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2013/2-Dio guarda il cuore
Tariffa Assoc. Senza Fini di Lucro: Poste Italiane S.P.A - In A.P -D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/ 2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB/43/2004 - Arezzo - Anno XVII n° 2 / 2013 Dio guarda il cuore 1 3 6 Primapagina Dio guarda il cuore 4 Vivere come eterni principianti 8 Perché avete paura? 10 Non ci si può mai salvare da soli Perché non cambiate vita? 12 SOMMARIO 14 Rischiare la speranza Una fede nuda 18 La fede ha bisogno di nudità 22 20 Il silenzio di Dio 24 Far nascere Dio dentro di noi Credo nell’amore 26 28 Nuova Veglia - Prossime tappe Nuove pubblicazioni trimestrale Anno XVII - Numero 2 - Novembre 2013 REDAZIONE località Romena, 1 - 52015 Pratovecchio (AR) tel. 0575/582060 - [email protected] Il giornalino è anche online su www.romena.it DIRETTORE RESPONSABILE: Massimo Orlandi REDAZIONE e GRAFICA: Raffaele Quadri, Massimo Schiavo FOTO: Piero Checcaglini, Paolo Dalle Nogare, Copertina: Pablo Picasso “Bambina con colomba” Hanno collaborato: Luigi Verdi, Maria Teresa Marra Abignente, Giorgio Bonati, Luca Buccheri Le sintesi degli interventi di “Perché avete paura?” e “Una fede nuda” non sono state riviste dagli autori. Filiale E.P.I. 52100 Arezzo Aut. N. 14 del 8/10/1996 30 “Oggi le parole sono stanche” dice spesso don Luigi Ciotti. Le parole sono stanche perché girano troppo spesso a vuoto, lontane dalla realtà che vorrebbero rappresentare. E sono stanche perché devono sempre farsi largo in un dedalo inestricabile di messaggi che arrivano da ogni parte, spesso utili solo a confonderci. Quando, quest’anno, abbiamo pensato di proporre un cammino di incontri nuovo, non più ristretto alla dinamica di gruppo di un corso ma aperto a chiunque volesse parteciparvi, abbiamo avuto ben presente questo rischio. Il rischio di aggiungere parole magari belle, emozionanti, ma di vederle scomparire il giorno dopo, assorbite dalla bolla mediatica di cui siamo parte. Per fortuna no. Sia a luglio, con l’incontro “Perché avete paura?”, che a settembre per “Una fede nuda” abbiamo avvertito altro. Essere saturi di parole non vuol dire non averne più bisogno. Ci servono però parole realmente attaccate alla vita, capaci di saldare l’autenticità di chi le pronuncia con i bisogni profondi di chi le ascolta. La mia sensazione è che non di rado queste condizioni si siano realizzate e voglio pensare che molto sia dipeso non solo dalla capacità di coinvolgimento dei temi scelti (le paure, la fede) e dal valore degli interventi, ma anche dal fatto di essere stati in tanti (oltre quattrocento per ogni incontro), di aver quindi segnalato a noi stessi un sano bisogno di relazione, di contaminazione, di condivisione. L’incontro con Ermes, frate e poeta di Dio, e con Marina, insegnante e scrittrice, giunto all’epilogo del secondo cammino di incontri, ha saputo dare il nome giusto a quello che abbiamo vissuto: fecondità. Avevamo e abbiamo bisogno di parole feconde, di parole cioè che sanno aprire il cuore e indirizzarlo verso una prospettiva più vasta, di parole che contengono squarci di nuovo, di parole che, in questi tempi difficili, covano germi di speranza. È stato quasi naturale, dopo questi incontri, pensare che quello che avevamo respirato potesse diventare patrimonio comune, attraverso un numero speciale della nostra rivista. Ovviamente questo giornalino ha potuto accogliere, e in sintesi, solo una parte degli interventi. Ma è già qualcosa: è una traccia, è una scia, è una piccola, preziosa eredità. “La vera fatica della vita – ci ha detto Antonietta Potente – non è l’accumulo di tutte le cose che devo fare: la vera fatica della vita è sapere cosa val la pena fare e cosa invece non val la pena fare”. Di questi due incontri non ho dubbi: valeva la pena organizzarli e viverli. E vale la pena raccontarli. Spero che questo arrivi, almeno un po’, anche a voi. Buona lettura. Massimo Orlandi PRIMAPAGINA Romena. Incontro “Una fede nuda”. Apparentemente Ermes Ronchi e Marina Marcolini sono seduti davanti all’altare e ci parlano. In realtà camminano in mezzo a noi con un paniere in braccio, come i seminatori di un tempo, e spargono semi di bellezza e di amore. È una mattina di settembre, e la pieve intera è terra dissodata: noi ne siamo i solchi, finalmente aperti. Mi guardo intorno, mi specchio in quello che vedo: sono sguardi di chi sembra dire a se stesso “ma come, proprio a me!”, come se ciascuno si sentisse intimamente interpellato. Passa qualcosa di speciale tra chi parla e chi ascolta, un’energia creativa e creatrice. Un’energia feconda. Dio guarda il cuore A “Una delle verità fondamentali del cristianesimo – scrive Simone Weil – è questa: damo dove sei? Ho avuto paura ciò che salva è lo sguardo”. perché sono nudo e mi sono nascoIn questo numero speciale della nostra sto”. Così inizia la prima paura dell’uorivista potremo ascoltare tante parole, mo. tante intuizioni profonde tra quelle che abbiamo ascoltato nei due incontri di luHo paura della mia nudità perché più glio e settembre. Ma ci piace cominciare niente mi nasconde e diventano visibili da ciò che le parole anticipa e oltrepassa: a tutti queste mie mani vuote, il mio lo sguardo, cioè il nostro modo di guardacorpo fragile e indifeso e il mio cuore re e di guardarci. impaurito. Ed è proprio lo sguardo il protagonista di un libro che don Luigi Verdi ha comSeduto sulle ginocchia della paura, ho pletato in estate, ponte ideale tra i due molte lacrime inghiottite, davanti a me incontri. “Luigi – ha scritto ho il terrore di disperErmes Ronchi nell’introdudere la vita e mi guarLuigi Verdi zione – ha il dono antico do indietro per fuggire, della cardiognosi, ‘la coquasi a voler tornare noscenza del cuore’: ogni nel grembo di mia maDio guarda il cuore creatura riecheggia nel suo dre. cuore, come il rumore del mare nella conchiglia”. Questo tremare mi In “Dio guarda il cuore”, possiede, tanto che mi Gigi ha provato a mettersi sembra ci sia più notte in ascolto di tanti cuori, sodentro la notte, il cielo Prefazione prattutto di quelli feriti, per sia più stretto in questo Ermes Ronchi rivelarci cosa ha sentito, cielo nero. per dare “eco, sponda, appoggio”. Ho il coraggio perso in Tra le pagine del libro, questo labirinto, un cone abbiamo scelta una in raggio seduto davanti cui tutti possono ritrovaalla mia cella come il falre qualcosa di sè. È una so custode di un futuro pagina nella quale Gigi si assente. mette in ascolto del cuore di chi ha paura, di chi cerca di trovare il coraggio. Il cuore si arresta ed è quasi dolore È anche questo, forse, lo stato d’animo riprendere il respiro, se non si unigiusto per aprirsi all’ascolto di chi, nei sce a un profumo fresco, se non tordue incontri, ci ha stimolato a non temere no a camminare sulla strada e non le tempeste della crisi, e a aprire di nuovo sull’amarezza accumulata. le vele alla ricerca di un senso verso cui destinare la nostra vita. È crudele la mia paura, come un filo di seta intreccia la mia vita: un filo sottile con cui ho disegnato le mie frontiere 4 e come ogni prigioniero so dove il mio chiudermi nel tempo mi porta. So che dovrei gettare un ponte fra i due cigli del baratro, fra la paura e il coraggio, anche se io così smarrito non so come attraversarlo. Il coraggio, questa vertigine che buca il buio mi chiede di aprire gli occhi e guardarmi intorno, di raccogliere tutte le mie forze e saltare il muro di cinta con un balzo del cuore. So che dall’altra parte qualcuno attende di incontrarmi e di camminare con me. Ma se guardo bene ricordo che in ogni mia paura intravedevo una breccia in cui passava il segno della luce, simile alla luce dell’alba, quando incendia il cielo. Provo ad uscire dalla paura senza chiu- dere gli occhi, senza affrettare il passo, con un cuore che torni a battere a ritmo di coraggio, che mi faccia sentire il sapore di incompletezza e mi ridoni il desiderio di tornare a giocare con la mia vita smarrita. Le chiese e i castelli abbarbicati sui monti mi dicono che ciò che è saldo pende sul vuoto. La fiducia sa soffrire a lungo e rimanere gentile, fino a quando la paura arretra e mi restituisce ciò che non le appartiene: la voglia di vivere. E quando la fiducia abbraccia il coraggio, sento dissolvere in me la paura più grande: quella di essere uomo. Luigi Verdi Nella nostra vita tessuta a mano il filo può, a un tratto, strapparsi dalla cruna dell’ago: in quel preciso istante sai che non servono nè ansia, nè lamenti, ma solo occhi più desti per rinfilare l’ago e tornare a tessere la vita. Luigi Verdi 5 Perché avete paura? La domanda di Gesù ci arriva dritta addosso. È una domanda che scuote, che tocca, che ci chiama a guardare, senza nasconderci, la nostra vita. Parte così il nostro incontro di luglio. Con la voglia condivisa di esplorare ciò che frena la nostra vita. E le condizioni per farla sbocciare. Accade tutto d’improvviso. D’improvviso ci troviamo a essere in tanti, duecento, trecento, quattrocento. È arrivato il venerdì sera che abbiamo sognato, pensato, progettato da mesi. E si materializza in un secondo, portando con sé una naturalezza impensabile. Se la tocchi con mano, infatti, l’atmosfera è proprio quella che abbiamo conosciuto nei corsi e in tante attività di Romena, quell’atmosfera viva, aperta, stimolante, della quale non ti senti solo beneficiario, ma in qualche modo artefice. È quindi anche tua, dipende da te, ti appartiene. Si sciolgono così le nubi delle preoccupazioni: quello che proviamo quando siamo in venti succede ora che siamo venti volte di più; anche se siamo in tanti nessuno grava sulle fragili spalle della fraternità, anzi fraternità è questo camminare tutti insieme, tante storie diverse che arrivano da ogni angolo d’Italia. Insieme, per tre giorni. Bellissimo. È possibile ascoltare tutti gli interventi sulla pagina Podcast di www.romena.it 6 Gesù disse: “Passiamo all’altra riva” Il cammino ha per filo conduttore il racconto evangelico della tempesta sedata. In questo primo tratto ci lasciamo condurre volentieri dallo sguardo largo e aperto di un non vedente, il nostro Wolfgang Fasser, custode della casa di Romena a Quorle. Wolfgang porta in dote la saggezza dell’esperienza, e il dono della semplicità, coltivato nei suoi tanti viaggi in Africa. E sanno di Africa le foto che accompagnano il suo racconto. L’ultima che ci mostra è di una donna africana che porta in testa una macchina da cucire: “Questo so fare! ci dice questa signora, e così si muove per i villaggi e va e fa” commenta Wolfgang invitandoci a fare altrettanto: “Vai e fai!, non preoccuparti di essere imperfetto, fidanti di ciò che sai fare”. È così che si può davvero muoversi verso l’altra riva, simbolo di ogni cambiamento. Ed ecco levarsi una gran tempesta di vento… Il mattino del sabato porta su di sé l’architrave di pensiero su cui si regge tutto il resto. Roberto Mancini, filosofo appassionato, ci porta dentro la tempesta che stiamo vivendo, la analizza, la mette a nudo. “Non chiamiamo crisi la fase che stiamo vivendo - ci esorta - diamole il suo vero nome che è fallimento, fallimento di un sistema economico che ha ribaltato le relazioni tra l’uomo e le cose. E non aspettiamo che passi, ma utilizziamola per pensare un sistema diverso, che riporti l’uomo al suo posto, alla sua dignità”. I discepoli: “Maestro non ti importa che noi moriamo?” Il racconto del Vangelo si addentra ora nei vicoli bui che abbiamo dentro, nelle paure di cui ci sentiamo prigionieri. Un prete bresciano ci dice che si può anche andarci deliberatamente andare nei vicoli della nostra storia, e costruire speranza. Lui, Giacomo Panizza, lo ha fatto in Calabria, a Lamezia Terme. Lo ha fatto senza eroismi (“io la paura ce l’ho, ma sono bravo a non farmene accorgere”), semplicemente costruendo relazioni: “La speranza è un frutto comunitario”. Lui lì l’ha costruita con i rom (hanno creato una cooperativa per la raccolta differenziata dei rifiuti), con i malati di Aids, con i pazienti psichiatrici e soprattutto con un gruppo di disabili, la sua comunità: insieme hanno trovato il coraggio di prendersi una casa confiscata nello stesso androne dove vivono i boss della ‘ndrangheta. Gesù sgrida il vento e dice al mare: “Taci, calmati…” È l’egocentrismo, è il pensare di fare tutto da sé il più grande alleato l’alleato di ogni paura. I pensieri che maturano il sabato si ritrovano in quelli della domenica. L’intervento di Antonietta Potente, teologa, è di quelli che scuotono, che restano: “Basta con questo pensare alla nostra salvezza individua- le, coltivando orticelli a sé stanti. A me, devo dirlo, non mi interessa campare da sola fino a 120 anni magari perché faccio una dieta macrobiotica. Preferisco morire prima, soffocata di inquinamento, ma insieme a tutti gli altri”. È una provocazione forte verso chi pensa di affrontare le crisi rinchiudendosi in una nicchia: non ci si deve nascondere davanti al vento, ma esporci tutti insieme. Solo così si calmerà. “Perché avete paura? ” “Alzatevi, su!” L’invito di Filomeno Lopes non è metaforico: che ci si alzi per danzare e per cantare insieme. Filomeno è un giornalista e un musicista, ma prima ancora è un figlio d’Africa. La sua testimonianza parte dal corpo, lo chiama a esporsi, poi tocca l’anima, la invita a riscoprirsi nuda. Con la musica, con i ritmi, ora diventiamo un’onda vitale che propaga energia. Ci fa bene, fa bene: la gioia della festa sgretola i muri delle paure. Siamo all’epilogo. Ma prima di raggiungerlo c’è stato anche tanto altro, molto di più di quanto si possa raccontare. Le storie di vita, di dignità di amore che ci hanno portato Manuela Bondielli e Samuela Brunamonti, la colonna sonora musicale di ben quattro cantautori, Luigi Grechi, Letizia Fuochi, Tiziano Mazzoni, Antonio Salis. E ora, per finire, c’è don Luigi Ciotti. Sì, c’è don Ciotti, anche se non c’è. C’è, anche se sappiamo che non verrà per motivi di salute. C’è, lo rendiamo leggendo alcune pagine de “Il morso del più”, il libro che gli abbiamo dedicato, ascoltando il suo saluto registrato al telefono. C’è, perchè questa volta l’onda di coraggio e di speranza che ci porta ogni volta, siamo noi a inviargliela... Trabocca la pieve, trabocca di gente e di emozione. Trabocca della voglia di continuare, di andare oltre, di dare le gambe alla bellezza che abbiamo vissuto. E il cammino dei tre giorni che finisce così, finisce con un inizio, finisce in un inizio. 7 “Vivere come eterni principianti” di Wolfgang Fasser Ciò che ci blocca, nella vita, è la paura dell’imperfezione, del non farcela, è l’essere talmente immersi nei nostri limiti da non riuscire più a collocarli. E questo avviene perchè abbiamo troppe pretese su noi stessi... Scrive Martin Buber: “Bambino mio, ti si opporrà lo scuro, ti si opporrà all’inizio, nell’istante del compimento, a ogni svolta, col sembiante dell’ombra e col sembiante della vita. È la scorza che dovrai rompere, è l’abisso che dovrai oltrepassare in volo, è il resto di te: chiude il tuo cerchio e tu chiudi il suo. Verranno tempi in cui come un fulmine ti abbatterai sul suo ultimo rifugio e dinanzi alle sue potenze esso si dissolverà come una nube sottile e verranno tempi in cui ti assedierà con ombre di molle oscurità e tu sarai solo sul tuo scoglio, in mezzo al mare della tua notte. Ma quei tempi si squarceranno e questi tempi si squarceranno e tu sarai vincitore nella tua anima. E sappi, la tua anima è un metallo che nessuno può schiantare e solo Dio può fondere. Non temere dunque lo scuro, non temere nulla, mai.” Come sono intense queste parole, ci fanno coraggio ma ci fanno anche un pò tremare! Ci fanno capire che l’uomo ha in fondo bisogno anche della paura. E vogliamo allora trovare la forza, la speranza, il coraggio di ammettere le paure, di accoglierle, guardarle e liberarci, per non rimanere paralizzati. Vorrei proporvi alcuni suggerimenti. Facciamo un passo indietro Dalla natura impariamo sempre, la natura è nostra maestra e anche in questo caso ci insegna qualcosa che si collega all’esperienza della paura: quando incontriamo un animale selvatico, per esempio quando incontriamo una serpe, dobbiamo fermarci e fare un passo indietro e guardare meglio. Con quel passo indietro riusciamo a mettere come in cornice quel che ci fa paura, con quel passo 8 indietro possiamo osservare questa serpe, vedere cosa fa: forse prende il sole, forse ci guarda, forse mangiucchia qualcosa. “Fermati, fai un passo indietro, guarda meglio, esci da questa scena”. Così dobbiamo fare con le cose che ci fanno paura. Apriamoci a uno sviluppo orizzontale Noi tutti abbiamo delle aspettative sulla nostra vita, ma il più delle volte abbiamo delle aspettative sbagliate: ci ripetiamo “vorrei vorrei essere più consapevole, più intelligente, più spirituale”, seguendo cioè uno sviluppo verticale, in profondità o in altezza. Mi dico cioè che vorrei essere libero dalle paure, dalle gelosie, dalle invidie, chiaro come un cristallo...ma è disumano pretendere questo. Io invece credo molto in uno sviluppo orizzontale, in un abbraccio che accoglie ogni cosa della vita, ogni cosa di me e dell’altro. E questo vuol dire che, così come accolgo le mie competenze, la mia bellezza, la mia luce, non escludo la paura e la fragilità, l’immaturità, il limite, le difficoltà. L’abbraccio orizzontale è quando accolgo me con tutte le mie sofferenze, con tutte le mie paure, con tutta la mia meraviglia e bellezza: mi accolgo, mi abbraccio forte, e dico sì. Così posso anche permettermi di abbracciare l’altro, non solo perchè è bello e bravo, ma perchè è completo, è umano, con tutto se stesso, luci e ombre.. Smettiamola di pretendere di avere sempre successo, nell’amore, nel lavoro, nelle amicizie, accogliamoci come siamo,con le nostre luci e le nostre ombre, con questo abbraccio liberatorio. Wolfgang Fasser è custode dell’eremo di Quorle della Fraternità di Romena Ritroviamo lo spirito della comunità Abbiamo perso, nel nostro mondo dominato dal benessere, lo spirito della comunità, abbiamo perso cioè la capacità di prenderci cura delle fragilità dell’altro. Ognuno di noi è importante, ognuno di noi è corresponsabile della crescita della nostra società. Impariamo quindi a crescere con le esperienze di quelli che sono venuti prima di noi e nella consapevolezza di tutti quelli che verranno dopo di noi: questo è lo spirito della comunità. In Sudafrica viene chiamato “Ubuntu”: è lo spirito di chi è consapevole di quelli che erano prima di me, di quelli che sono con me, di quelli che verranno dopo di me. Smettiamola di vivere individualisticamente, smettiamola di personalizzare ogni cosa: se mi vesto di questo spirito di comunità inizio a camminare come figlio di questa famiglia umana e come figlio di Dio, con tutti. Essere uomo fino in fondo significa spogliarci delle nostre barriere, eliminare tutti i nostri confini e iniziare a sentirci uomini e donne in cammino con gli altri. Dice un proverbio africano: “da solo vai veloce, ma insieme vai lontano”. Aggiustiamo le aspettative Le nostre pretese di fronte alla vita sono a volte così vertiginosamente alte che ne abbiamo paura e abbiamo ragione perchè il fallimento è quasi garantito. Il momento della crisi, quella crisi che non vogliamo accettare, è invece il momento di riconfermarsi nella vita, nella famiglia, nella comunità. In Africa le persone, che hanno così poco, sanno vivere, sanno soffrire, sono orgogliose e fiere di sè, forse perchè si aspettano poco e tutto quel che hanno lo prendono come un dono della vita. Aggiustiamo anche noi le nostre aspettative verso la vita. Torniamo ad essere più modesti di fronte a ogni cosa, anche di fronte all’amore, torniamo modesti per non farci così paura. Permettiamoci di essere dei principianti: se partiamo con l’idea della perfezione ci spaventiamo, diamoci invece tempo per imparare. Buttiamoci, allora, ubuntu Quando hai paura fermati, fai un passo indietro, guarda meglio. Wolfgang Fasser 9 “Non ci si può mai salvare da soli” di Antonietta Potente Il vero timore dei discepoli e, come loro, di ciascuno di noi, è il cambiamento. Da Gesù giunge allora un segnale forte: per affrontare le trasformazioni che ci chiede la vita bisogna uscire dal nostro egocentrismo. Il testo della tempesta calmata, nella versione di Marco, chiude il cap. 4 e apre il cap. 5. Nel cap. 4 Gesù è molto critico con chi pensa di aver capito, di essersi già risvegliato e di sapere le cose prima e meglio degli altri. In questo senso il vangelo di Marco è molto interessante: immaginiamo che al momento della stesura del vangelo, la comunità di Marco raccolga tutta la tradizione orale e cominci a scrivere per ricordare quando ha avuto paura. In quel momento non avevano più vicino il loro Signore e Maestro e il grido “svegliati!” rivolto a Gesù ė il grido di quel momento, di quando non era più con loro. E qual è la paura? La vera paura è la trasformazione: qui nel testo in effetti non si cita nessuna trasformazione, ma si cita il mare, che è sempre stato il simbolo di grandi trasformazioni, sia individuali che sociali, pensate ad esempio al libro di Giona e a quello dell’Esodo. Questi momenti, così altamente drammatici, sono duri, sono al momento incomprensibili, ma ci servono per imparare a vivere in un modo diverso, perché sono momenti di cambiamento, non di consolazione. E noi dobbiamo attraversare la paura e uscirne con degli elementi di trasformazione nelle relazioni interpersonali, comunitarie, politiche, sociali; anche di relazione con la natura, che non può solo essere accarezzata, ma deve essere conosciuta, interpellata, una natura con la quale dobbiamo entrare in dialogo, come fa Gesù. Allora qual è la paura dei discepoli? 10 Probabilmente essi sono in un momento di trasformazione e lui non c’è e si dicono: “proviamo a svegliarlo”. Ma c’ è una cosa molto bella in questo risveglio: Gesù non compie un miracolo, si mette a dialogare con queste realtà. Le acque si agitano se ci sono delle correnti, se ci sono dei venti forti e lui sgrida il vento. Gesù parla e sgrida ed è un dialogo molto bello e molto logico, perchè prima sgrida i venti affinchè si fermino, cioè cerca di capire quali sono i motivi di questa agitazione, e poi tranquillizza il mare, che ritorna a bonaccia. E i discepoli possono passare all’altra riva, perché il problema è passare all’altra riva, è non tornare alla riva di prima. Molto probabilmente i discepoli, impauriti dal mare in burrasca, avevano pensato di tornare al porto sicuro da cui erano partiti: no, il punto è arrivare all’altra riva, il punto è andare avanti, non fermarsi, non tornare indietro. Il punto è la trasformazione. E qui sono chiamate in causa tutte le trasformazioni della nostra vita, non della vita degli altri, sono cioè degli impegni che dobbiamo prendere, sono delle fatiche che dobbiamo fare. Questa storia raccontata in questo brano del vangelo di Marco, è la storia di una comunità umana che ha bisogno di passare all’altra riva, perchè ha paura, e restare troppo tempo nella paura è pericoloso, perchė la paura paralizza. Ma quanta paura e quanto risveglio ci deve essere in noi! Noi chiediamo sempre a Dio Antonietta Potente è una teologa e una suora domenicana di svegliarsi solo per le nostre cose, eppure diceva s.Paolo “nessuno vive più per se stesso”. Nessuno: è questa la novità del cristianesimo. Dobbiamo risvegliarci a questa appartenenza comune degli esseri umani, uomini e donne, gigli del campo e uccelli del cielo. Se c’è da risvegliare Dio risvegliamolo per tutti, non lo possiamo chiedere solo per noi. ‘Salvaci’ è troppo poco, bisogna salvarci tutti. La mia sofferenza misteriosa deve circolare nelle sofferenze degli altri. Ma come dialogare con un mare in tempesta, come fermare quelle correnti contrarie che non ci permettono di raggiungere l’altra riva? Nel vangelo di Marco c’è un’indicazione preziosa, infatti andando a rileggere il testo vedrete che poco prima Gesù aveva raccontato le parabole della semplicità: parla del piccolo seme che piantato in terra diventa un grande albero che ospita tanti uccelli del cielo. L’essenza del cristianesimo è questa: “ospita” tanti, cioè dà la possibilità ad altri di continuare a vivere, di far sì che le persone, che altri, tutti gli altri, possano vivere e vivere bene dentro. Gesù ci dice che si può passare all’altra riva spostando l’ego, aprendo le finestre dell’ego, trasformando l’ego in eco, che risuona anche per gli altri. Non ho altro messaggio se non questo: cerchiamo di uscire dal nostro egocentrismo, egocentrismo di individui, egocentrismo di gruppi… e cerchiamo invece di diventare delle persone che ricostruiscono una storia con dei diritti che non sono più solo i miei esclusivi diritti. Cerchiamo di spostare gli sguardi. “Vivo senza vivere in me” diceva santa Teresa, ed è come se dicesse ‘è così alta la vita che spero, che muoio se continuo a vivere in questo modo’. Allora proviamoci: la tempesta è sedata, ma non drogata dalle consolazioni, è solo tornata al suo ritmo. Quanto durerà la bonaccia, la brezza, la calma dei venti forti? Non lo sappiamo, ma sappiamo che è possibile trasformarci e passare all’altra riva. Ma lo vogliamo davvero? Per favore, non lasciamo che il nostro cuore si addormenti. Non chiediamo a Dio di svegliarsi solo per ciò che ci interessa: dire “Salvaci!” è troppo poco, bisogna salvarci tutti. Antonietta Potente 11 “Perché non cambiate vita?” di Roberto Mancini Oggi potremmo riformulare così la domanda di Gesù. E chiederci perchè consideriamo ineluttabile e immodificabile il sistema economico che distrugge la vita di tante persone, inclusa la nostra... La domanda “Perché avete paura?” non è una domanda informativa. Mi pare, invece, che fosse una domanda che serviva a spostare il centro delle persone, il piano in cui si muovevano. È come dire: perché non cambiate vita? Sapendo però, nel modo in cui la domanda viene posta, che non c’è un perché che sia veramente vincolante, si tratta piuttosto di fare i conti con rappresentazioni, con forme di attaccamento, a quello che ci trattiene nella solita vita. In fondo alla domanda posta, la prima idea è che vivere significa cambiare vita, non significa continuare come prima. Il fallimento di un sistema Oggi ci sono tante parole equivoche, alla fine inutili, e una di queste è la parola crisi. Io non credo che noi siamo in crisi, perché la crisi è un periodo di passaggio un’esperienza limite, estrema, che ti porta o a una disfatta, una rovina, alla morte, oppure assomiglia a un parto, a un momento di nascita, di trasformazione dell’esistenza. Questa di oggi non è una crisi: la parola giusta, a mio avviso oggi, è fallimento. Questo è il fallimento di una civiltà che ha creduto nel potere e ha trovato nel denaro la forma del potere puro cioè la vera onnipotenza: il potere politico, militare, ideologico, religioso, era potere; il denaro è onnipotenza e quindi ha radicalizzato questa sorta di credenza delirante. Dunque se tu dici che questo è un tempo di crisi pensi che tra poco passerà, poi immagini che riprenderai a fare come facevi prima. Per cui dire crisi significa non riconoscere che 12 dobbiamo cambiare logica, che dobbiamo cambiare priorità, che dobbiamo cambiare modo di stare al mondo. Dire fallimento, anche se lì per lì suona peggio, vuol dire: qui non c’è una strada, allora devo cambiare completamente sentimenti, modo di pensare, economia, politica, sistema educativo, religione, cioè si tratta proprio di costruire in un altro modo la convivenza sociale. Il rovesciamento delle istituzioni Un fattore che inibisce la capacità di cambiare è appunto la paura. Uscire dalla paura vuol dire uscire dalla tomba. La domanda di Gesù è proprio l’idea di risvegliarsi da una vita che non sia sacrificata sull’altare della paura. Qual è il rimedio che storicamente l’umanità ha trovato per proteggersi dalla paura? La creazione delle istituzioni. Tutte le istituzioni, famiglia, stato, scuola, istituzioni religiose, servono a garantire protezione a una comunità, a ridurre il più possibile i fattori di precarietà, di vulnerabilità e proprio per questo ad aprire un futuro. L’istituzione deve garantire la continuità tra il presente e il futuro. Un’istituzione che non fa questo è un’istituzione pervertita, rovesciata. È quello che accade oggi: noi siamo alle prese con istituzioni come il mercato globale, che sono pericolose, non tutelano nessuno e se devono provocare un trauma nelle nostre vite lo fanno senza problema. Questo rovesciamento delle istituzioni sedimenta così tanto la paura da diventare disperazione, cioè mancanza di visioni alternative. Roberto Mancini, filosofo e scrittore, insegna all’Università di Macerata La forza della nostra libertà Ma se la paura è così potente nella società di oggi cosa possiamo fare? Credo che la grande forza che abbiamo sia quella della libertà: per quanto sia fragile, per quanto debba crescere, per quanto sia come un seme, come una piantina che deve poter trovare la sua possibilità di sviluppo, in realtà chiunque ha scommesso sulla cancellazione della libertà umana prima o poi ha perso la scommessa. La libertà è sempre risorta a dire di no, a dire che la vita era un’altra, che nessuno può veramente togliercela se noi non acconsentiamo a questo. L’altra grande fonte che noi abbiamo è il desiderio di una vita vera, cioè vuol dire: tu nel cuore da qualche parte sai che non devi adattarti, accontentarti, obbedire, piegare la testa. Anche nel corpo, nella coscienza, nell’intelligenza tu hai il desiderio di una vita vera. E qual è il luogo concreto per ritrovare questo desiderio? Il silenzio, il rallentare, l’esperienza di incontrare qualcun altro, l’esperienza della natura che ci umanizza. Ma tutto ciò non può che avere luogo in situazioni di fraternità, di sororità, che vuol dire: l’altro per me non è più semplicemente l’altro, cioè uno che conta di meno, uno che viene dopo, l’altro invece diventa un fratello e una sorella cioè qualcuno la cui esistenza è preziosa per me, qualcuno con il quale il legame inscindibile dura tutta la vita. Oggi non si può restare ai margini, bisogna andare nella città, bisogna andare nei partiti, nei sindacati, non per fare la cordata di quelli più puri, di quelli che hanno capito, non per essere i settari di turno ma per essere quelli che apertamente, umilmente pongono a chiunque la questione della ineludibilità della giustizia. Allora se noi faremo questo non solo non sprecheremo l’efficacia della responsabilità, perché la responsabilità vera è efficace, le cose le cambia. Se tu ti metti in una dinamica concreta di responsabilità ti accorgi che le cose un po’ puoi davvero cambiarle. Siamo nati per accogliere e condividere la vita, per trasformarla e arrivare così a una vita vera. Roberto Mancini 13 “Rischiare la speranza” di Luigi Ciotti Sono forti, vibranti, incisive le parole di don Ciotti. Anche via telefono ci arriva chiaro il suo invito a gettare il cuore oltre il limite, a seminare coraggio e speranza, a ritrovare il “morso del più”, del dare di più. Cari amici, sinceramente mi dispiace davvero molto non poter essere con voi, ma sappiate che lo sono dal profondo del cuore. A Romena ho sempre desiderato esserci, ho condiviso con voi momenti importanti di riflessione e di preghiera; ogni volta che sono venuto ho imparato, mi sono arricchito, ho portato via sensazioni che mi hanno aiutato poi a saldare sempre di più un po’ di terra con il cielo. Di questo vi ringrazio. Oggi sto con voi in un altro modo. Devo fermarmi per un po’ per questioni di salute, ho bisogno di recuperare energie. Lo faccio con fatica ma con serenità soprattutto per continuare a guardare oltre. È un momento di grande fragilità quello che stiamo vivendo: viviamo in una democrazia molto pallida nel nostro paese, con una politica che fa fatica a essere più vicino alla storia di chi soffre di più. Ma proprio in questo momento noi siamo chiamati a non lasciarci prendere dallo scoraggiamento, dalla paura, dalla rassegnazione: dobbiamo imparare a sentire forte, prepotente, la speranza. Sono tanti i modi di dare speranza: speranza vuol dire offrire opportunità, costruire progetti concreti, vuol dire realizzare politiche sociali per il lavoro, per la scuola, per sostenere le famiglie, per una sana partecipazione, speranza vuol dire mettere davvero al centro i nostri giovani: perché questa è una società che si preoccupa dei giovani, ma poi alla fine non se ne occupa. È un momento di grande disorientamento, di fatica e anche di grande paura per molti. Solo poche cifre: in Italia siamo giunti a 9 milioni di poveri, di cui 4 milioni in condizione 14 di povertà assoluta, e siamo a un milione e 876.000 minori poveri di cui settecentomila in condizione di povertà assoluta. È da qui, è da loro, che si deve costruire speranza. Io credo che la speranza tenga proprio conto degli esclusi perché non possiamo costruire speranza se non partendo da chi dalla speranza è stato escluso. Sono queste persone, questi volti quelli con cui noi siamo chiamati a sperare e sono loro quelli che ci fanno sperare. Sono loro quelli che fanno più fatica che ci offrono i punti di riferimento del nostro impegno e le coordinate politiche e sociali del nostro agire. Quindi forza amici, dobbiamo imparare di più il coraggio, quel morso del più che io non mi sono mai stancato di dire alla mia coscienza e che voglio ancora una volta condividere con voi. Bisogna imparare il coraggio di fare scelte scomode, di rifiutare i compromessi a cominciare dalle piccole cose dentro di noi. E voi mi insegnate che di fronte ai bivi della vita bisogna prendere posizione e decidere da che parte stare. E non temere di imboccare la strada più difficile che è quella in salita. Io verrò presto a Romena, per riflettere per pregare e per imparare ancora di più dentro di me il coraggio, il coraggio di guardare avanti e guardare oltre. Ma oggi vorrei salutarvi attraverso le parole del grande Tonino Bello: “Delle parole dette mi chiederà conto la storia, ma del silenzio col quale ho mancato di difendere i deboli dovrò rendere conto a Dio”. Questo vale per tutti noi. Vi abbraccio tanto. A presto. Foto di Paolo Dalle Nogare Dobbiamo sganciarci dalle nostre sicurezze e incontrarci dove la vita ci pungola, ci provoca, ci interpella. Perché questo è il compito che ci attende: diventare protagonisti del nostro tempo. Luigi Ciotti 15 16 Foto di Piero Checcaglini La vita altro non è che un pellegrinaggio verso il luogo del cuore. Oliver Clément 17 Una fede nuda Più che un tema è un cammino. Più che un traguardo è un bisogno: il bisogno di dare una luce di senso alla nostra vita. Un tema grande, davanti al quale ci siamo messi in ascolto... La forza di una carezza Venerdì, ore 23. La prima serata sta per concludersi, ma non ci riesce. La testimonianza di Silvano Lippi, 92 anni, deportato a Mauthausen, è un fardello duro da lasciare in gola. Per oltre un’ora Silvano ci ha portati nell’inferno di un campo di sterminio. Le sue parole hanno percorso binari agghiaccianti di morte, di tortura, di insensibilità umana. I suoi occhi hanno rivisto tutto quell’orrore: “Voi potete non credermi. Ma io c’ero. Anzi, 70 anni dopo io sono ancora lì”. Volevamo cominciare così il nostro percorso di una fede nuda: dal posto più lontano dall’uomo e da Dio. Ma ora quella scelta ci pesa, è un carico aspro. “Perché è potuto accadere? – chiede l’anziano deportato – Perchè Dio lo ha permesso?” Don Gianni Marmorini, che ha introdotto con grande delicatezza e sapienza l’incontro, non chiude queste domande, semplicemente prende la mano di Silvano, la stringe a sé. È possibile ascoltare tutti gli interventi sulla pagina Podcast di www.romena.it 18 Dopo di lui tutti i presenti, uno ad uno, si alzano, raggiungono Silvano. E sono carezze, e sono parole sussurrate, e sono baci. Una fila lunghissima scorre lentamente verso l’altare: un fiume di commozione avvolge questa notte, e non la fa andare a dormire. “Fai bei sogni Silvano”, qualcuno gli dice, ricordando gli incubi che ha vissuto: sarà più facile, ora che l’aria di mille carezze addolcisce il suo viso. Voglia di primavera La mattina del sabato porta con sé il profumo buono di questa partenza. Uno slancio prezioso per accogliere le scosse telluriche che ci porta ancora una volta Antonietta Potente: “Fede nuda è la fede che guarda prima di tutto l’uomo spogliato di tutti i diritti”. Un esempio? Ce lo offre l’ospite successivo, Franco Monnicchi, responsabile di una comunità Emmaus, che aiuta i più emarginati e rifiutati della nostra società , e offre loro la possibilità, attraverso il lavoro e la comunità, di riprendersi il loro destino: “Non so se credo in Dio – ci dirà - ma credo nella dignità di ogni uomo”. Corre veloce questa giornata. Però ora si ferma, si ferma davanti a una voce affettuosa, la voce di un uomo che da un balcone dice “Buonasera!” e poi chiede al popolo di benedirlo. La voce di chi sta portando primavera, primavera vera, nella chiesa. Due giornalisti sono venuti a parlarci di Papa Francesco per rendercelo ancora più vicino. Gianni Valente lo conosce di persona da oltre dieci anni; un’amicizia semplice, la sera stessa della sua elezione il Papa ha voluto riconfermarla con una chiamata al telefono: “Non mi stupì quella chiamata, né quelle che ha fatto dopo a tante persone: è nel suo stile, ama stare accanto alle persone”. Raffaele Luise, vaticanista del giornale radio Rai, ci racconta la rivoluzione che passa per Roma: “È un cambiamento radicale, ispirato alle radici evangeliche”, un cambiamento insperato che, ci raccomanda Raffaele, “va accompagnato, difeso, sostenuto da parte di ciascuno di noi”. Silenzio, ora, ora è sera. Ora di nudo c’è la musica. Musica di chitarra, rivestita da una voce di poesia. Gianmaria Testa. “Qui ci voglio suonare”, ci aveva detto pochi mesi prima per dare un respiro allo stupore provato entrando in pieve. Ed eccolo stasera, in un a solo incantevole. Una voce rauca, calda, la sua, che produce armonia quando canta, armonia quando parla. Anche i silenzi sono pieni: li riempie la nostra chiesa valorizzata dalla luce. La musica di questo cantautore, amatissimo in Italia, famoso soprattutto all’estero, sembra aver trovato la sua casa. Terra da ribaltare Domenica. La poesia non se n’è andata. Si vede che qui si è trovata bene. Stamani ha una duplice forma: quella di un uomo, Ermes Ronchi, e di una donna, Marina Marcolini. Non sono due incontri: è un incontro solo, a due voci. “Quanto si è perso nella chiesa, rinunciando a valorizzare i talenti delle donne!” dirà più tardi padre Ermes. Dà voce a un pensiero comune: le intuizioni femminili e maschili incrociandosi offrono continui squarci di luce, perché toccano luoghi e sensibilità diverse. La fede raccontata da Ermes e da Marina parte da due punti diversi per sfociare nello stesso mare: l’amore. E lo fa con un percorso così profondo, così vivo, che tutti si sentono inclusi, le donne, forse ancora di più perchè finalmente accolte, senza distinguo. Non è un caso che il momento più bello della mattina sia la lettura di un monologo poetico di Marina dedicata a Maria Maddalena da parte delle attrici Maria Teresa Totti e Anna Branciforti e che l’indimenticabile finale del mattino sia ancora al femminile, con la voce appassionata di Anna Maria Iorio. E, per finire, Maurizio Maggiani. O meglio, Maggiani per ripartire da capo. Le intuizioni, l’irritualità, l’autenticità di questo scrittore ci aiutano a fare ciò che è necessario, con la fede: non darla mai per scontata. Tutt’altro. “Io non ho fede, perchè la fede ha bisogno di essere nuda, e per essere nudi bisogna togliersi di dosso tutte le sovrastrutture di pensiero, di mente nelle quali siamo vissuti. A me tutto questo non riesce. Così alla domanda Credi in Dio: io non saprei rispondere”. Palla al centro. Si finisce. Si ricomincia. Nessuno doveva convincere nessuno. Ma questo distendersi di diversità, questo fluire di declinazioni diverse al tema ci è entrato dentro, ha smosso. Si va verso l’autunno ed è questo ciò che ci serve: ribaltare la nostra terra. Nuovi semi germineranno. 19 “Il silenzio di Dio” di Gianni Marmorini Dov’era Dio? Perchè non ha impedito tutto questo? Ha un compito difficile il nostro Gianni: deve introdurre con le parole la testimonianza di un uomo, Silvano Lippi, che ha visitato il punto in cui l’uomo è stato più lontano da se stesso e da Dio: un campo di sterminio nazista. Un grande maestro come Paolo De Benedetti, non iniziava mai un suo corso senza ricordare questa frase del teologo Jurger Kuhlmann: “Se la vostra teologia dopo Auschwitz non è cambiata essa non vale niente.” Perché la pagina forse più brutta dell’umanità deve cambiare il mio modo di pensare Dio? Questa domanda mi ha accompagnato molto e vorrei condividerla con voi. Nel nostro immaginario Dio è sempre pensato come l’Onnipotente. In realtà la parola ebraica “El Shaddai”, che viene tradotta come ‘”Onnipotente” significa “Il Dio del crinale delle colline”, che è un modo per dire “Il seno di una madre che allatta”. Quando noi diciamo Dio onnipotente, non c’è l’idea della forza del guerriero che vince le battaglie, ma quella di tutte le donne che hanno allattato i figli. Tuttavia quest’idea di un Dio che può tutto ci ha penetrato. E da questa idea nascono problemi: per esempio, di fronte a eventi come la Shoah, Dio dov’era? Pensando a questa domanda mi vorrei soffermare sul Vangelo di Marco, ma non su una pagina, piuttosto su come Marco ha concepito il Vangelo. Marco è l’evangelista che racconta più di tutti i miracoli di Gesù, almeno fino a un certo punto, perché dal capitolo dieci di miracoli 20 non se ne trovano più. Inoltre, nel raccontare questi miracoli Marco li accompagna con una raccomandazione, Gesù la ripete almeno cinque volte, di non dire niente a nessuno. Un altro atteggiamento particolare di Gesù è che, dopo ogni gesto significativo, si dilegua: “Vieni Signore, ti cercano tutti!” gli dicono gli apostoli, e lui scompare o invita gli apostoli a spostarsi da quel luogo. Ma perché Gesù chiede ai suoi discepoli di non dire nulla dopo i miracoli, perché, proprio nel momento del “successo” , sparisce? La spiegazione potrebbe essere questa: che Gesù non si riconosceva nella figura di un Messia vincente, che risolve i problemi, che cambia le situazioni e le aggiusta. Dopo il decimo capitolo Gesù non fa più miracoli, e gradualmente si avvia verso la sua Passione: verrà rifiutato, tradito, abbandonato, fino alla croce, fino a quel grido: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?” Ed è sotto la croce che il centurione vedendo come Gesù muore dice: “Davvero quest’uomo è figlio di Dio!” Questa volta Gesù viene rivelato e non viene più nascosto. E il figlio di Dio che viene rivelato non è quel Gesù che trova un lebbroso e lo guarisce, che trova un morto e lo resuscita, ma è lo sconfitto, il rifiutato, il crocefisso. Gianni Marmorini è sacerdote e appassionato studioso della Bibbia Dovete sapere che il Vangelo di Marco, su questo concordano gli esperti, è stato allungato di almeno un capitolo. Nella versione originale il Vangelo finisce poco oltre, quando le donne vanno alla tomba e l’angelo annuncia che è risorto. Quindi in Marco non ci sarebbero le apparizioni di Gesù. Pensate: negli altri Vangeli ci sono le apparizioni, in quello di Marco devi credere al crocefisso, alle parole del centurione davanti al suo corpo nudo morto: “Quest’uomo è figlio di dio”! La fede è lì. In che modo la Shoah può aver cambiato il nostro modo di pensare Dio? Io credo che in realtà non l’ha molto cambiato, perché per noi Dio è sempre colui che può risolverci i problemi. Questo Dio onnipotente ci è forse entrato nel dna. Ma se noi invece di avere questa immagine di Dio, avessimo quella del crocifisso, chi si sentirebbe di dire a quell’uomo morto sulla croce, tutto nudo, aiutami? Il crocefisso ribalta le cose: non è lui che può aiutarti, solo tu puoi aiutare lui. Il crocefisso ribalta il nostro modo di vedere Dio: non è lui che può aiutarci siamo noi che possiamo aiutare lui. Gianni Marmorini Un’altra immagine della Bibbia molto bella, che mi è molto cara è in Isaia, quando dice: “Consolate il mio popolo” (cap 40.1). Questo versetto, secondo una lettura rabbinica, si può tradurre anche in un altro modo: “Consolatemi, consolatemi mio popolo” .C’è l’idea di un Dio che piange, che chiede di essere consolato, perché la vita in questo mondo non è quella che lui aveva sognato. Penso ancora alle parole di Paolo de Benedetti che diceva più o meno così: quando saremo di là, noi che ci aspettiamo di incontrare un Dio giudice, perché così ci hanno detto, chissà che invece non incontriamo un vecchio che ha bisogno di essere consolato, con le lacrime sul viso, e il bisogno che siamo noi ad asciugarle a lui. 21 “La fede ha bisogno di nudità” di Maurizio Maggiani Non ci servono costruzioni culturali o tantomeno teologiche per arrivare alla fede. Serve l’inverso. Un percorso di spoliazione totale. Perchè non c’è fede che non sia nuda. Sono un uomo che non riesce a mettersi nudo e non ha fede. Se uno mi chiedesse: ma tu credi in Dio? Io non saprei rispondere. Ma se mi chiedessero: tu sei ateo? Risponderei di no. Non sono niente, ma spero di aver vissuto una vita abbastanza dignitosa per potermi meritare qualcosa di meglio di un “a-privativo”. Però io ho a che fare con la fede, e ho a che fare con la fede nuda perché è un tema della dignità della mia vita, un tema non risolto. “Ma tu credi in Dio?”. Ho posto questa domanda a un’amica. La conosco da quando era bambina, oggi è archeologa, ha scoperto l’antico porto di Magdala sul Lago di Tiberiade. Ma quello che vorrei ricordarvi di lei è la sua risposta: sì, mi ha detto, io credo in Dio, perchè a me Dio è simpatico. Mi ha fatto molto pensare questa risposta, perchè arrivava da una persona completamente calva (stava facendo gli scavi in Terrasanta ma anche la chemioterapia) e anche per un altro motivo, che è, per me al centro di questo tema: una fede nuda. Credo che conosciate il libro di questo posto, la Bibbia. Genesi, la storia di Adamo ed Eva. L’uomo che si sente solo, l’arrivo di Eva che scioglie le sue ansie e ripristina un perfetto equilibrio. Un equilibrio che però si rompe quando la più evoluta, la più avanzata, la più sveglia fra i due, Eva, fa una scelta, la scelta di rischiare anzi di rinunciare al perfetto equilibrio, alla vita, alla gioia, per gustare il frutto del bene e del male; 22 Eva sceglie di rinunciare al paradiso per poter essere libera di scegliere, di accedere alla conoscenza e di affrontare un cammino distruttivo ma tuttora straordinario, pieno di incognite e di orrendi trabocchetti, il cammino verso la conoscenza. Sceglie di poter scegliere. E cos’è la prima cosa che succede appena Eva sceglie e fa scegliere al suo uomo? Scopre la sua nudità e la vergogna della sua nudità. Eva si nasconde con la mano davanti e Adamo ci mette una foglia di fico! Lei si vergogna, scopre la sua nudità e si vergogna. Perché Eva si vergogna? Perché scopre la cultura, la conoscenza, la civiltà, la morale della civiltà. Per il popolo ebraico e per noi inizia la storia quando l’uomo, che agisce fuori dall’Eden, fuori del paradiso, esercita il libero arbitrio, sceglie e agisce sulla terra, lavora la terra, suda, partorisce; allora inizia la storia, iniziano le culture, le civiltà. Se c’è una cosa che il popolo ebraico ha ben chiaro in testa, e ce l’abbiamo chiaro anche noi, è che la femmina è portatrice di un bene e che questo bene va protetto, tutelato, reso irraggiungibile per chi non ha diritto: il bene è la sua nudità, sono i suoi organi riproduttivi. La femmina è colei che garantisce l’asse ereditario, il tramandarsi della dote, la ricchezza che resta nella famiglia e nei discendenti. È una proprietà nella cultura giudaica e nella nostra cultura: la femmina è un bene che va Maurizio Maggiani è uno dei più apprezzati scrittori italiani protetto, tutelato; lo strumento del suo bene, gli organi sessuali, devono essere nascosti perché siano chiaramente irraggiungibili al primo venuto, se ne può servire solo colui che è prescelto come avente diritto. La cultura, la civiltà che genera quella cultura pretende il coprirsi, mentre la fede chiede di compiere il percorso opposto: non c’è fede senza nudità. Se noi mettiamo la ragione nella fede, se noi mettiamo tutte le operazioni culturali dopo quel gesto di Eva così coraggioso, così folle, così pericoloso, se noi mettiamo una qualunque delle idee, bellissime o bruttissime, che ci sono venute in mente negli ultimi trentamila anni, noi distruggiamo qualunque possibilità di fede. Perchè non c’è nessuna ragione per convincerci di credere in Dio... qualunque ragione noi adduciamo per convincerci di credere in Dio riduciamo Dio a noi stessi, alla nostra cultura, alla nostra civiltà, alla nostra morale. Così io non ho la fede perchè non riesco a spogliarmi dalla sovrastruttura complessa, articolata, convincente, funzionante che è la mia cultura, non riesco a denudarmi di tutto ciò per predispormi alla grazia irragionevole della fede. Io credo fermamente, con San Paolo se mi permettete, che la fede è solo grazia, dono gratuito che facciamo a noi stessi. Gratuità ovvero senza nessuna ragione: io ti do una cosa senza nessuna ragione se non quella di dartela. Ricordate la risposta della mia amica? Una risposta meravigliosamente, straordinariamente priva di qualunque ragione: “Credo perchè Dio mi è simpatico”. Riesci a ridurre a ragionevolezza la simpatia? La fede è solo grazia, dono che facciamo a noi stessi. Maurizio Maggiani Non ignoro cosa sia la fede, ma non riesco a pormi così libero da provare simpatia per Dio. E certo io invidio la mia amica che dice Dio mi è simpatico perché la sua mente, il suo cuore, la sua trippa, abitano in un luogo più vasto del mio. 23 “Far nascere Dio dentro di noi” di Marina Marcolini Chi era Maria se non una di noi? Chi era Maria se non il segno che siamo chiamati a essere madri del divino che abbiamo dentro? Il nostro compito è lo stesso di una madre incinta: accogliere, dare spazio a ciò che ci abita dentro... Come posso chiamare quello che ho vissuto? Un’esperienza mistica? Ma a mistico associamo cose che non hanno niente a che fare con quello che ho provato io, visioni, esperienze staccate dal quotidiano, cose “dell’altro mondo”. La parola ‘mistico’ ha la stessa etimologia di mistero. Ma la vita, il reale, è pieno di mistero. Allora esperienza mistica è quando si scopre la profondità del reale, quando si sente che sotto ogni cosa c’è dell’altro, nei suoi occhi, in una rosa, in un dettaglio. “La fede dona un’intelligenza che penetra il minimo per scorgervi il massimo” (Giuseppe Barzaghi). Io ho scoperto che dentro di me c’era Dio, l’ho sentito. E allora ho cominciato a vedere Dio negli altri. Qualcosa di grandioso ma al tempo stesso semplicissimo e familiare, come quando una donna sente dentro di sé un bambino. Allora mi chiedo: l’annunciazione riguarda solo Maria o è qualcosa per tutti? E chi è Maria? Una superwoman perfetta e distante o una donna come me e te, che ha vissuto un’esperienza di vita spiazzante e forte, a cui ha risposto in modo libero e coraggioso? Per ritrovare una fede nuda anche Maria va liberata. La posta in gioco è alta, perché la sua storia è la nostra. Allora bisogna mandare gambe all’aria le statue che le abbiamo eretto: Maria non è quella specie di semidivinità che ci guarda pietosamente dall’alto del suo piedistallo, ma una donna che con la sua storia ci racconta la nostra vera storia: c’è un pezzetto di Dio in noi e vuole venire alla luce. L’icona di Maria è la mia icona. Maria, la madre di Dio, è stata chiusa in un bozzolo dorato di parole che non sono liberanti né per le donne né per gli uomini. Maria non è quella disincarnata figura, quasi asessuata, cui ci hanno abituato, ma l’esaltazione dell’umano e dell’umano tutto intero, corpo e spirito, innalzato fino a partori- re un Dio. La storia di Maria, la theotókos, colei che nel suo corpo genera Dio, parla un linguaggio tutto al femminile, una lingua che la chiesa non ha ancora imparato a parlare. Ma noi vogliamo una chiesa poliglotta. La lingua delle donne, il racconto della loro esperienza, la loro intelligenza della vita e della fede, sono una ricchezza im- Marina Marcolini è docente universitaria, scrittrice e coautrice del programma “Le ragioni della speranza” 24 perdibile per tutti. Non sprechiamola più. Maria incinta di Dio è l’immagine più potente che il vangelo ci dà sul senso e il fine della nostra vita. È una metafora prodigiosa. Essere incinti di Dio, incinti di luce, significa vivere alla presenza. Non occorre che pensi sempre a Dio, è già dentro di me. “Provo, crescente, una specie di certezza interiore che esiste in me un deposito di oro puro da consegnare”. (Simone Weil) Dentro la nostra nudità si può trovare un Dio vicinissimo, intimo come un amante. Marina Marcolini Noi andiamo per il mondo con la pancia gravida di luce, incinti d’amore. La pancia, cioè non solo l’anima, ma tutta la persona. Benedetto sia questo nostro corpo, tanto spesso disprezzato, tanto da farlo intristire e ammalare. Benedetto sia questo corpo, il suo vigore, la sua bellezza, la sua capacità di amare e di dare la vita. Meister Eckhart scrive che tutta la scrittura sacra, tutta la vicenda di Cristo hanno un solo scopo: fare nascere Dio in noi. “Tutti sono chiamati a essere madri di Dio. Perché Dio ha sempre bisogno di venire al mondo”. E allora le donne hanno molto da insegnare. Ricordo il mio primo parto. Se mi abbandonavo al dolore, che era fortissimo, senza resistergli, nasceva in me, nel mio corpo e nel mio cuore, una forza che non veniva da me. Non eravamo soli, io e quel corpicino, a doverci dare da fare per quella cosa così difficile e paurosa, ma era lì presente qualcosa di grande che ci stava portando alla luce tutti e due. C’era un’onda calda, forte, immensamente forte, inarrestabile, che dentro di me, attraverso di me compiva l’opera. Io dovevo solo accoglierla e farmi condurre e così scoprire che dentro di me la vita si muoveva al ritmo di quell’onda, tanto da sentirmi tutt’uno con lei. 25 “Credo nell’amore” di Ermes Ronchi Arrivano con il passo della poesia parole che abbracciano tutta la vita, che danno luce alla parola fede. L’invito è a gustarle lentamente, immaginando la voce calma e morbida di Ermes che ce le rende presenti... Se ci chiedono: tu cristiano a che cosa credi? La risposta che ci viene immediata è: credo in Dio padre onnipotente, in Gesù Cristo, lo Spirito santo, i più acculturati tra noi aggiungeranno qualche altro particolare di fede… e tutto questo va bene. Ma san Giovanni nella sua prima lettera ha una risposta molto diversa:”Noi abbiamo creduto all’amore che Dio ha per noi”. I cristiani sono quelli che credono all’amore. Non si crede ad altro, non all’eternità, all’onnipotenza, ma all’amore. E questo è importante perché all’amore possono credere tutti, giovani e meno giovani, credenti e lontani, chi ha un cammino spirituale chi è lontano da ogni via religiosa, l’omosessuale e il risposato che scommette una seconda volta sull’amore. Tu che cosa credi? Io credo l’amore. Non si crede ad altro. Aver fede nell’amore, avere fiducia negli innamorati. Non avvicinarli con la regola o il divieto, in tante situazioni di sofferenza, ma aiutarli a capire che c’è un annuncio di eternità dentro la relazione d’amore. Avvicinare con il divieto chi è in situazioni complesse con la norma è sbagliato e talvolta vorrei dire criminale, è allontanarli per anni o per sempre dalla chiesa. Se noi crediamo l’amore, ne possiamo fare non un luogo di moralizzazione ma di rivelazione. Il luogo privilegiato dell’evangelizzazione, il luogo privilegiato della teologia. L’amore rivela qualcosa del volto di Dio. Ogni innamorato è un mistico, capisce che l’altro conta di più, che l’amore ha fame di eternità. Mi diceva il mio prof preferito, Olivier Clement, a Parigi: vuoi spiegare a qualcuno che cosa è l’inferno e che cosa è il paradiso? Usa il linguaggio dell’amore. Ogni innamorato lo sa: l’inferno è la separazione, il tradimento, l’abbandono da parte del tuo amato. Il paradiso invece è l’abbraccio, la comunione, lo stringersi dopo essersi perduti. E poi portare Dio, che è amore, che è passione di unirsi a te, dentro la tua passione di unirti alle persone che ami. Ogni evento d’amore è sempre decretato dal cielo! Soprattutto è possibile allargare lo spazio perché Dio abiti in ogni amore. In ogni storia d’amore concreta può vivere il mistero totale dell’amore, che è Dio. Quando amiamo profondamente qualcuno, Dio sta già lì. Più che vedere i nostri amori in competizione con Dio, questi ci offrono luoghi in cui possiamo montare la sua tenda. Lì dove ami devi onorare Dio, nell’amore. Non dobbiamo cercare Dio ai margini dell’esistenza, o alla fine di ciò che è umano. Dio è presente nel cuore della vita e ne avvertiamo la vicinanza con tutti i nostri sensi. Più ameremo la vita senza riserve, più saremo anche capaci di provare fede e felicità. Credo nell’amore di Dio per me. Non nel mio per lui. «È un privilegio divino essere sempre non tanto l’amato quanto l’amante» (C. S. Lewis). La certezza di essere stato amato, un giorno, anche una volta sola, in modo disinteressato, salva dall’ignoranza della vita. E dall’ignoranza di Dio. Abbiamo tutti una memoria al fondo di noi stessi, quando sale dal fondo della notte come un canto lontano, l’assicurazione che al di là di tutto, al di là persino della gioia e della pena, della nascita e della morte, esiste uno spazio che nulla soppianta, più forte di tutte le minacce, che non corre alcun rischio di distruzione, uno spazio intatto, quello dell’amore che ha fondato il nostro essere. E io so che un giorno ci sarà dato di amare con il cuore stesso di Dio. Ermes Ronchi, frate dei servi di Maria, è poeta e scrittore. Conduce il programma “Le ragioni della speranza” 26 Foto di Piero Checcaglini La fede ha tre passi: ho bisogno, mi fido, mi affido. Ermes Ronchi A I L EG V A V NUO Rischiamo il Coraggio Trieste 25 novembre 2013 Udine 26 novembre 2013 treviso 27 novembre 2013 pordenone 28 novembre 2013 padova 29 novembre 2013 Parrocchia San Luca - via Forlanini, 26 Parrocchia di Pagnacco ore 21.00 ore 21.00 Parr. Assunzione B.V. Maria - Paderno di Ponzano Veneto ore 21.00 Parrocchia San Lorenzo - Rorai Grande ore 21.00 Parrocchia S. Bartolomeo - via Montà, 208 ore 21.00 prato 3 dicembre 2013 valdarno 4 dicembre 2013 Parrocchia San Bartolomeo - p.zza Mercatale Pieve di Cascia - Reggello ore 21.00 ore 21.00 firenze 11 dicembre 2013 brescia 20 gennaio 2014 bergamo 21 gennaio 2014 milano 22 gennaio 2014 Parrocchia dei Salesiani - via Gioberti Centro Mater Divinae Gratiae - via Sant’Emiliano, 30 Chiesa dei Frati Cappuccini - via dei Cappuccini Parrocchia B.V. Immacolata - Lavanderie di Segrate 28 ore 21.00 ore 21.00 ore 21.00 ore 21.00 piacenza 23 gennaio 2014 siena 28 gennaio 2014 arezzo 29 gennaio 2014 catania 10 febbraio 2014 modica 11 febbraio 2014 ragusa 12 febbraio 2014 palermo 13 febbraio 2014 messina 14 febbraio 2014 locri - ardore marina 24 febbraio 2014 crotone 25 febbraio 2014 Lamezia terme 26 febbraio 2014 Cosenza 27 febbraio 2014 Scalea (CS) 28 febbraio 2014 Parrocchia Santa Franca - p.zza Paolo VI, 1 Parrocchia San Francesco all’Alberino Parrocchia San Marco alla Sella Parrocchia SS. Pietro e Paolo - via Siena Chiesa di San Pietro - c.so Umberto I Parrocchia S. Pietro Apostolo - via Lazio, 89 - Beddio Parrocchia San Gaetano - Brancaccio ore 21.00 ore 21.00 ore 21.00 ore 20.30 ore 20.00 ore 19.00 ore 20.00 Parr. San Giacomo Maggiore Apostolo - via Buganza, isolato 54 ore 20.00 Parrocchia Santa Maria del Pozzo ore 20.30 Parrocchia del Sacro Cuore - Borgata San Francesco Chiesa del Carmine - Sambiase Luogo da definire Parrocchia San Nicola di Platea - via San Nicola Le piagge (FI) Comunità Le Piagge ore 20.00 ore 19.30 ore 20.30 ore 20.30 5 marzo 2014 ore 21.00 Rovereto 10 marzo 2014 Verona 11 marzo 2014 Imola 12 marzo 2014 Bologna 13 marzo 2014 Modena 14 marzo 2014 Parrocchia di Santa Caterina - Frati Cappuccini Parrocchia San Nicolò all’Arena - p.zza San Nicolò Convento dei Cappuccini - via Villa Clelia, 16 Chiesa San Vincenzo De Paoli - via Ristori, 1 Chiesa San Barnaba - via Carteria, 108 ore 21.00 ore 21.00 ore 21.00 ore 21.00 ore 21.00 29 NUOVO LIBRO Il morso del più incontri con Luigi Ciotti di Massimo Orlandi “Amici, non dobbiamo sentirci mai arrivati, mai a posto. Dobbiamo sempre sentire prepotente dentro di noi il morso del più.” Luigi Ciotti Edizioni Romena 2013 Pagine 128 Prezzo € 10,00 ISBN 978-88-89669-52-5 È un incontro speciale quello che vi proponiamo con il fondatore del gruppo Abele e di Libera, con questo prete la cui parrocchia è la strada. È un incontro che contiene i passaggi più coinvolgenti dei tanti interventi di don Ciotti a Romena, è un incontro che porta con sè tutta la passione e la bellezza della sua testimonianza di vita. Lasciamo che le sue parole ci arrivino addosso: saranno ora pedata ora abbraccio, ora morso ora carezza. Ci faranno anche male, per farci, soprattutto, bene. Lo trovi in libreria o richiedilo all’indirizzo: [email protected] 30 AGENDA 2014 OGNI GIORNO 2014 Osare la bellezza “Ciò che oggi occorre è un sussulto, una fascinazione, un innamoramento, l’emozione per la bellezza racchiusa ne frammento” Bruno Forte L’Agenda di Romena arriva a casa tua Puoi acquistare l’agenda in libreria o riceverla a casa per posta*. * Per ordini di 2 o più copie la spedizione è gratuita. Effettua l’ordine su www.romena.it o invia una mail a [email protected] Edizioni Romena 2013 Pagine 284 Prezzo € 14,00 ISBN 978-88-89669-51-8 PROSSIMO NUMERO: il giornale in uscita a aprile approfondirà il tema: “Rischiamo il coraggio”. Inviateci lettere, idee, articoli, foto (termine ultimo: 28 febbraio 2014), preferibilmente alla nostra e-mail: [email protected] UN CONTRIBUTO: il giornalino è una pubblicazione gratuita e viene inviato a tutte le persone che hanno partecipato ai corsi di Romena o ne abbiano fatto richiesta. 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