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2013/2-Dio guarda il cuore

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2013/2-Dio guarda il cuore
Tariffa Assoc. Senza Fini di Lucro: Poste Italiane S.P.A - In A.P -D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/ 2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB/43/2004 - Arezzo - Anno XVII n° 2 / 2013
Dio
guarda
il cuore
1
3
6
Primapagina
Dio guarda il cuore
4
Vivere come eterni principianti
8
Perché avete paura?
10 Non ci si può mai salvare da soli
Perché non cambiate vita?
12
SOMMARIO
14 Rischiare la speranza
Una fede nuda
18
La fede ha bisogno di nudità
22
20 Il silenzio di Dio
24 Far nascere Dio dentro di noi
Credo nell’amore
26
28 Nuova Veglia - Prossime tappe
Nuove pubblicazioni
trimestrale
Anno XVII - Numero 2 - Novembre 2013
REDAZIONE
località Romena, 1 - 52015 Pratovecchio (AR)
tel. 0575/582060 - [email protected]
Il giornalino è anche online su
www.romena.it
DIRETTORE RESPONSABILE:
Massimo Orlandi
REDAZIONE e GRAFICA:
Raffaele Quadri, Massimo Schiavo
FOTO:
Piero Checcaglini, Paolo Dalle Nogare,
Copertina: Pablo Picasso “Bambina con colomba”
Hanno collaborato:
Luigi Verdi, Maria Teresa Marra Abignente, Giorgio
Bonati, Luca Buccheri
Le sintesi degli interventi di “Perché avete paura?” e
“Una fede nuda” non sono state riviste dagli autori.
Filiale E.P.I. 52100 Arezzo
Aut. N. 14 del 8/10/1996
30
“Oggi le parole sono stanche” dice spesso don Luigi Ciotti. Le parole sono stanche perché
girano troppo spesso a vuoto, lontane dalla realtà che vorrebbero rappresentare. E sono
stanche perché devono sempre farsi largo in un dedalo inestricabile di messaggi che arrivano
da ogni parte, spesso utili solo a confonderci.
Quando, quest’anno, abbiamo pensato di proporre un cammino di incontri nuovo, non più ristretto alla dinamica di gruppo di un corso ma aperto a chiunque volesse parteciparvi, abbiamo
avuto ben presente questo rischio. Il rischio di aggiungere parole magari belle, emozionanti,
ma di vederle scomparire il giorno dopo, assorbite dalla bolla mediatica di cui siamo parte.
Per fortuna no. Sia a luglio, con l’incontro “Perché avete paura?”, che a settembre per “Una
fede nuda” abbiamo avvertito altro.
Essere saturi di parole non vuol dire non averne più bisogno. Ci servono però parole realmente
attaccate alla vita, capaci di saldare l’autenticità di chi le pronuncia con i bisogni profondi
di chi le ascolta. La mia sensazione è che non di rado queste condizioni si siano realizzate e
voglio pensare che molto sia dipeso non solo dalla capacità di coinvolgimento dei temi scelti
(le paure, la fede) e dal valore degli interventi, ma anche dal fatto di essere stati in tanti (oltre quattrocento per ogni incontro), di aver quindi segnalato a noi stessi un sano bisogno di
relazione, di contaminazione, di condivisione.
L’incontro con Ermes, frate e poeta di Dio, e con Marina, insegnante e scrittrice, giunto
all’epilogo del secondo cammino di incontri, ha saputo dare il nome giusto a quello che abbiamo vissuto: fecondità. Avevamo e abbiamo bisogno di parole feconde, di parole cioè che
sanno aprire il cuore e indirizzarlo verso una prospettiva più vasta, di parole che contengono
squarci di nuovo, di parole che, in questi tempi difficili, covano germi di speranza.
È stato quasi naturale, dopo questi incontri, pensare che quello che avevamo respirato potesse
diventare patrimonio comune, attraverso un numero speciale della nostra rivista.
Ovviamente questo giornalino ha potuto accogliere, e in sintesi, solo una parte degli interventi.
Ma è già qualcosa: è una traccia, è una scia, è una piccola, preziosa eredità.
“La vera fatica della vita – ci ha detto Antonietta Potente – non è l’accumulo di tutte le cose
che devo fare: la vera fatica della vita è sapere cosa val la pena fare e cosa invece non val
la pena fare”.
Di questi due incontri non ho dubbi: valeva la pena organizzarli e viverli. E vale la pena
raccontarli.
Spero che questo arrivi, almeno un po’, anche a voi.
Buona lettura.
Massimo Orlandi
PRIMAPAGINA
Romena. Incontro “Una fede nuda”. Apparentemente Ermes Ronchi e Marina Marcolini sono
seduti davanti all’altare e ci parlano. In realtà camminano in mezzo a noi con un paniere in
braccio, come i seminatori di un tempo, e spargono semi di bellezza e di amore.
È una mattina di settembre, e la pieve intera è terra dissodata: noi ne siamo i solchi, finalmente aperti.
Mi guardo intorno, mi specchio in quello che vedo: sono sguardi di chi sembra dire a se stesso
“ma come, proprio a me!”, come se ciascuno si sentisse intimamente interpellato.
Passa qualcosa di speciale tra chi parla e chi ascolta, un’energia creativa e creatrice.
Un’energia feconda.
Dio guarda il cuore
A
“Una delle verità fondamentali del cristianesimo – scrive Simone Weil – è questa:
damo dove sei? Ho avuto paura
ciò che salva è lo sguardo”.
perché sono nudo e mi sono nascoIn questo numero speciale della nostra
sto”. Così inizia la prima paura dell’uorivista potremo ascoltare tante parole,
mo.
tante intuizioni profonde tra quelle che
abbiamo ascoltato nei due incontri di luHo paura della mia nudità perché più
glio e settembre. Ma ci piace cominciare
niente mi nasconde e diventano visibili
da ciò che le parole anticipa e oltrepassa:
a tutti queste mie mani vuote, il mio
lo sguardo, cioè il nostro modo di guardacorpo fragile e indifeso e il mio cuore
re e di guardarci.
impaurito.
Ed è proprio lo sguardo il protagonista
di un libro che don Luigi Verdi ha comSeduto sulle ginocchia della paura, ho
pletato in estate, ponte ideale tra i due
molte lacrime inghiottite, davanti a me
incontri. “Luigi – ha scritto
ho il terrore di disperErmes Ronchi nell’introdudere la vita e mi guarLuigi Verdi
zione – ha il dono antico
do indietro per fuggire,
della cardiognosi, ‘la coquasi a voler tornare
noscenza del cuore’: ogni
nel grembo di mia maDio guarda il cuore
creatura riecheggia nel suo
dre.
cuore, come il rumore del
mare nella conchiglia”.
Questo tremare mi
In “Dio guarda il cuore”,
possiede, tanto che mi
Gigi ha provato a mettersi
sembra ci sia più notte
in ascolto di tanti cuori, sodentro la notte, il cielo
Prefazione
prattutto di quelli feriti, per
sia più stretto in questo
Ermes Ronchi
rivelarci cosa ha sentito,
cielo nero.
per dare “eco, sponda, appoggio”.
Ho il coraggio perso in
Tra le pagine del libro,
questo labirinto, un cone abbiamo scelta una in
raggio seduto davanti
cui tutti possono ritrovaalla mia cella come il falre qualcosa di sè. È una
so custode di un futuro
pagina nella quale Gigi si
assente.
mette in ascolto del cuore di chi ha
paura, di chi cerca di trovare il coraggio.
Il cuore si arresta ed è quasi dolore
È anche questo, forse, lo stato d’animo
riprendere il respiro, se non si unigiusto per aprirsi all’ascolto di chi, nei
sce a un profumo fresco, se non tordue incontri, ci ha stimolato a non temere
no a camminare sulla strada e non
le tempeste della crisi, e a aprire di nuovo
sull’amarezza accumulata.
le vele alla ricerca di un senso verso cui
destinare la nostra vita.
È crudele la mia paura, come un filo di
seta intreccia la mia vita: un filo sottile
con cui ho disegnato le mie frontiere
4
e come ogni prigioniero so dove il mio
chiudermi nel tempo mi porta.
So che dovrei gettare un ponte fra i due
cigli del baratro, fra la paura e il coraggio,
anche se io così smarrito non so come
attraversarlo.
Il coraggio, questa vertigine che buca il
buio mi chiede di aprire gli occhi e guardarmi intorno, di raccogliere tutte le mie
forze e saltare il muro di cinta con un balzo del cuore.
So che dall’altra parte qualcuno attende
di incontrarmi e di camminare con me.
Ma se guardo bene ricordo che in ogni
mia paura intravedevo una breccia in cui
passava il segno della luce, simile alla
luce dell’alba, quando incendia il cielo.
Provo ad uscire dalla paura senza chiu-
dere gli occhi, senza affrettare il passo,
con un cuore che torni a battere a ritmo
di coraggio, che mi faccia sentire il sapore di incompletezza e mi ridoni il desiderio di tornare a giocare con la mia vita
smarrita.
Le chiese e i castelli abbarbicati sui monti
mi dicono che ciò che è saldo pende sul
vuoto.
La fiducia sa soffrire a lungo e rimanere
gentile, fino a quando la paura arretra e
mi restituisce ciò che non le appartiene:
la voglia di vivere.
E quando la fiducia abbraccia il coraggio,
sento dissolvere in me la paura più grande: quella di essere uomo.
Luigi Verdi
Nella nostra vita
tessuta a mano
il filo può, a un tratto,
strapparsi dalla cruna dell’ago:
in quel preciso istante
sai che non servono
nè ansia, nè lamenti,
ma solo occhi più desti
per rinfilare l’ago
e tornare a tessere la vita.
Luigi Verdi
5
Perché avete paura?
La domanda di Gesù ci arriva dritta addosso. È una domanda che scuote, che
tocca, che ci chiama a guardare, senza nasconderci, la nostra vita.
Parte così il nostro incontro di luglio. Con la voglia condivisa di esplorare ciò
che frena la nostra vita. E le condizioni per farla sbocciare.
Accade tutto d’improvviso. D’improvviso ci troviamo a essere in tanti, duecento, trecento,
quattrocento.
È arrivato il venerdì sera che abbiamo sognato,
pensato, progettato da mesi. E si materializza in
un secondo, portando con sé una naturalezza
impensabile.
Se la tocchi con mano, infatti, l’atmosfera è proprio quella che abbiamo conosciuto nei corsi e
in tante attività di Romena, quell’atmosfera viva,
aperta, stimolante, della quale non ti senti solo
beneficiario, ma in qualche modo artefice. È
quindi anche tua, dipende da te, ti appartiene.
Si sciolgono così le nubi delle preoccupazioni:
quello che proviamo quando siamo in venti succede ora che siamo venti volte di più; anche se
siamo in tanti nessuno grava sulle fragili spalle
della fraternità, anzi fraternità è questo camminare tutti insieme, tante storie diverse che arrivano da ogni angolo d’Italia. Insieme, per tre
giorni. Bellissimo.
È possibile ascoltare tutti
gli interventi sulla pagina
Podcast di www.romena.it
6
Gesù disse: “Passiamo all’altra riva”
Il cammino ha per filo conduttore il racconto
evangelico della tempesta sedata. In questo
primo tratto ci lasciamo condurre volentieri dallo sguardo largo e aperto di un non vedente, il
nostro Wolfgang Fasser, custode della casa
di Romena a Quorle. Wolfgang porta in dote la
saggezza dell’esperienza, e il dono della semplicità, coltivato nei suoi tanti viaggi in Africa.
E sanno di Africa le foto che accompagnano il
suo racconto. L’ultima che ci mostra è di una
donna africana che porta in testa una macchina
da cucire: “Questo so fare! ci dice questa signora, e così si muove per i villaggi e va e fa” commenta Wolfgang invitandoci a fare altrettanto:
“Vai e fai!, non preoccuparti di essere imperfetto, fidanti di ciò che sai fare”. È così che si può
davvero muoversi verso l’altra riva, simbolo di
ogni cambiamento.
Ed ecco levarsi una gran tempesta di vento…
Il mattino del sabato porta su di sé l’architrave di
pensiero su cui si regge tutto il resto.
Roberto Mancini, filosofo appassionato, ci porta dentro la tempesta che stiamo vivendo, la
analizza, la mette a nudo. “Non chiamiamo crisi
la fase che stiamo vivendo - ci esorta - diamole
il suo vero nome che è fallimento, fallimento di
un sistema economico che ha ribaltato le relazioni tra l’uomo e le cose. E non aspettiamo che
passi, ma utilizziamola per pensare un sistema
diverso, che riporti l’uomo al suo posto, alla sua
dignità”.
I discepoli: “Maestro non ti importa che noi
moriamo?”
Il racconto del Vangelo si addentra ora nei vicoli bui che abbiamo dentro, nelle paure di cui
ci sentiamo prigionieri. Un prete bresciano ci
dice che si può anche andarci deliberatamente
andare nei vicoli della nostra storia, e costruire
speranza. Lui, Giacomo Panizza, lo ha fatto in
Calabria, a Lamezia Terme. Lo ha fatto senza
eroismi (“io la paura ce l’ho, ma sono bravo a
non farmene accorgere”), semplicemente costruendo relazioni: “La speranza è un frutto comunitario”. Lui lì l’ha costruita con i rom (hanno
creato una cooperativa per la raccolta differenziata dei rifiuti), con i malati di Aids, con i pazienti
psichiatrici e soprattutto con un gruppo di disabili, la sua comunità: insieme hanno trovato il
coraggio di prendersi una casa confiscata nello
stesso androne dove vivono i boss della ‘ndrangheta.
Gesù sgrida il vento e dice al mare: “Taci,
calmati…”
È l’egocentrismo, è il pensare di fare tutto da
sé il più grande alleato l’alleato di ogni paura.
I pensieri che maturano il sabato si ritrovano in
quelli della domenica.
L’intervento di Antonietta Potente, teologa, è
di quelli che scuotono, che restano: “Basta con
questo pensare alla nostra salvezza individua-
le, coltivando orticelli a sé stanti. A me, devo
dirlo, non mi interessa campare da sola fino a
120 anni magari perché faccio una dieta macrobiotica. Preferisco morire prima, soffocata di
inquinamento, ma insieme a tutti gli altri”. È una
provocazione forte verso chi pensa di affrontare
le crisi rinchiudendosi in una nicchia: non ci si
deve nascondere davanti al vento, ma esporci
tutti insieme. Solo così si calmerà.
“Perché avete paura? ”
“Alzatevi, su!” L’invito di Filomeno Lopes non
è metaforico: che ci si alzi per danzare e per
cantare insieme. Filomeno è un giornalista e un
musicista, ma prima ancora è un figlio d’Africa.
La sua testimonianza parte dal corpo, lo chiama
a esporsi, poi tocca l’anima, la invita a riscoprirsi
nuda. Con la musica, con i ritmi, ora diventiamo
un’onda vitale che propaga energia. Ci fa bene,
fa bene: la gioia della festa sgretola i muri delle
paure.
Siamo all’epilogo. Ma prima di raggiungerlo c’è
stato anche tanto altro, molto di più di quanto si
possa raccontare. Le storie di vita, di dignità di
amore che ci hanno portato Manuela Bondielli
e Samuela Brunamonti, la colonna sonora musicale di ben quattro cantautori, Luigi Grechi, Letizia Fuochi, Tiziano Mazzoni, Antonio Salis.
E ora, per finire, c’è don Luigi Ciotti. Sì, c’è don
Ciotti, anche se non c’è. C’è, anche se sappiamo che non verrà per motivi di salute. C’è, lo
rendiamo leggendo alcune pagine de “Il morso del più”, il libro che gli abbiamo dedicato,
ascoltando il suo saluto registrato al telefono.
C’è, perchè questa volta l’onda di coraggio e di
speranza che ci porta ogni volta, siamo noi a
inviargliela...
Trabocca la pieve, trabocca di gente e di emozione. Trabocca della voglia di continuare, di
andare oltre, di dare le gambe alla bellezza che
abbiamo vissuto. E il cammino dei tre giorni che
finisce così, finisce con un inizio, finisce in un
inizio.
7
“Vivere come eterni principianti”
di Wolfgang Fasser
Ciò che ci blocca, nella vita, è la paura dell’imperfezione, del non farcela, è
l’essere talmente immersi nei nostri limiti da non riuscire più a collocarli. E
questo avviene perchè abbiamo troppe pretese su noi stessi...
Scrive Martin Buber: “Bambino mio, ti si
opporrà lo scuro, ti si opporrà all’inizio,
nell’istante del compimento, a ogni svolta, col
sembiante dell’ombra e col sembiante della
vita. È la scorza che dovrai rompere, è l’abisso
che dovrai oltrepassare in volo, è il resto di te:
chiude il tuo cerchio e tu chiudi il suo. Verranno
tempi in cui come un fulmine ti abbatterai sul
suo ultimo rifugio e dinanzi alle sue potenze
esso si dissolverà come una nube sottile e
verranno tempi in cui ti assedierà con ombre di
molle oscurità e tu sarai solo sul tuo scoglio, in
mezzo al mare della tua notte. Ma quei tempi
si squarceranno e questi tempi si
squarceranno e tu sarai vincitore
nella tua anima. E sappi, la tua
anima è un metallo che nessuno
può schiantare e solo Dio può
fondere. Non temere dunque lo
scuro, non temere nulla, mai.”
Come sono intense queste
parole, ci fanno coraggio ma ci
fanno anche un pò tremare!
Ci fanno capire che l’uomo ha in
fondo bisogno anche della paura. E vogliamo
allora trovare la forza, la speranza, il coraggio
di ammettere le paure, di accoglierle,
guardarle e liberarci, per non rimanere
paralizzati.
Vorrei proporvi alcuni suggerimenti.
Facciamo un passo indietro
Dalla natura impariamo sempre, la natura
è nostra maestra e anche in questo caso ci
insegna qualcosa che si collega all’esperienza
della paura: quando incontriamo un animale
selvatico, per esempio quando incontriamo
una serpe, dobbiamo fermarci e fare un
passo indietro e guardare meglio. Con quel
passo indietro riusciamo a mettere come in
cornice quel che ci fa paura, con quel passo
8
indietro possiamo osservare questa serpe,
vedere cosa fa: forse prende il sole, forse ci
guarda, forse mangiucchia qualcosa.
“Fermati, fai un passo indietro, guarda meglio,
esci da questa scena”. Così dobbiamo fare
con le cose che ci fanno paura.
Apriamoci a uno sviluppo orizzontale
Noi tutti abbiamo delle aspettative sulla
nostra vita, ma il più delle volte abbiamo
delle aspettative sbagliate: ci ripetiamo
“vorrei vorrei essere più consapevole, più
intelligente, più spirituale”, seguendo cioè uno
sviluppo verticale, in profondità
o in altezza. Mi dico cioè che
vorrei essere libero dalle paure,
dalle gelosie, dalle invidie,
chiaro come un cristallo...ma è
disumano pretendere questo.
Io invece credo molto in uno
sviluppo orizzontale, in un
abbraccio che accoglie ogni
cosa della vita, ogni cosa di me
e dell’altro. E questo vuol dire
che, così come accolgo le mie
competenze, la mia bellezza, la mia luce, non
escludo la paura e la fragilità, l’immaturità, il
limite, le difficoltà.
L’abbraccio orizzontale è quando accolgo me
con tutte le mie sofferenze, con tutte le mie
paure, con tutta la mia meraviglia e bellezza:
mi accolgo, mi abbraccio forte, e dico sì. Così
posso anche permettermi di abbracciare
l’altro, non solo perchè è bello e bravo, ma
perchè è completo, è umano, con tutto se
stesso, luci e ombre..
Smettiamola di pretendere di avere sempre
successo, nell’amore, nel lavoro, nelle
amicizie, accogliamoci come siamo,con le
nostre luci e le nostre ombre, con questo
abbraccio liberatorio.
Wolfgang Fasser è custode dell’eremo di Quorle della Fraternità di Romena
Ritroviamo lo spirito della comunità
Abbiamo perso, nel nostro mondo dominato
dal benessere, lo spirito della comunità,
abbiamo perso cioè la capacità di prenderci
cura delle fragilità dell’altro. Ognuno di noi è
importante, ognuno di noi è corresponsabile
della crescita della nostra società. Impariamo
quindi a crescere con le esperienze di
quelli che sono venuti prima di noi e nella
consapevolezza di tutti quelli che verranno
dopo di noi: questo è lo spirito della comunità.
In Sudafrica viene chiamato “Ubuntu”: è
lo spirito di chi è consapevole di quelli che
erano prima di me, di quelli che sono con me,
di quelli che verranno dopo di me.
Smettiamola di vivere individualisticamente,
smettiamola di personalizzare ogni cosa: se
mi vesto di questo spirito di comunità inizio
a camminare come figlio di questa famiglia
umana e come figlio di Dio, con tutti. Essere
uomo fino in fondo significa spogliarci delle
nostre barriere, eliminare tutti i nostri confini e
iniziare a sentirci uomini e donne in cammino
con gli altri. Dice un proverbio africano: “da
solo vai veloce, ma insieme vai lontano”.
Aggiustiamo le aspettative
Le nostre pretese di fronte alla vita sono
a volte così vertiginosamente alte che ne
abbiamo paura e abbiamo ragione perchè il
fallimento è quasi garantito. Il momento della
crisi, quella crisi che non vogliamo accettare,
è invece il momento di riconfermarsi nella
vita, nella famiglia, nella comunità.
In Africa le persone, che hanno così poco,
sanno vivere, sanno soffrire, sono orgogliose
e fiere di sè, forse perchè si aspettano poco
e tutto quel che hanno lo prendono come un
dono della vita.
Aggiustiamo anche noi le nostre aspettative
verso la vita. Torniamo ad essere più
modesti di fronte a ogni cosa, anche di
fronte all’amore, torniamo modesti per non
farci così paura. Permettiamoci di essere
dei principianti: se partiamo con l’idea della
perfezione ci spaventiamo, diamoci invece
tempo per imparare. Buttiamoci, allora,
ubuntu
Quando hai paura
fermati,
fai un passo indietro,
guarda meglio.
Wolfgang Fasser
9
“Non ci si può mai salvare da soli”
di Antonietta Potente
Il vero timore dei discepoli e, come loro, di ciascuno di noi, è il cambiamento.
Da Gesù giunge allora un segnale forte: per affrontare le trasformazioni che
ci chiede la vita bisogna uscire dal nostro egocentrismo.
Il testo della tempesta calmata, nella versione
di Marco, chiude il cap. 4 e apre il cap. 5. Nel
cap. 4 Gesù è molto critico con chi pensa
di aver capito, di essersi già risvegliato e di
sapere le cose prima e meglio degli altri.
In questo senso il vangelo di Marco è molto
interessante: immaginiamo che al momento
della stesura del vangelo, la comunità di
Marco raccolga tutta la tradizione orale e
cominci a scrivere per ricordare
quando ha avuto paura.
In quel momento non avevano
più vicino il loro Signore e
Maestro e il grido “svegliati!”
rivolto a Gesù ė il grido di quel
momento, di quando non era
più con loro. E qual è la paura? La
vera paura è la trasformazione:
qui nel testo in effetti non si cita
nessuna trasformazione, ma si
cita il mare, che è sempre stato il
simbolo di grandi trasformazioni,
sia individuali che sociali, pensate ad esempio
al libro di Giona e a quello dell’Esodo.
Questi momenti, così altamente drammatici,
sono duri, sono al momento incomprensibili,
ma ci servono per imparare a vivere in un
modo diverso, perché sono momenti di
cambiamento, non di consolazione. E noi
dobbiamo attraversare la paura e uscirne
con degli elementi di trasformazione
nelle relazioni interpersonali, comunitarie,
politiche, sociali; anche di relazione con la
natura, che non può solo essere accarezzata,
ma deve essere conosciuta, interpellata, una
natura con la quale dobbiamo entrare in
dialogo, come fa Gesù.
Allora qual è la paura dei discepoli?
10
Probabilmente essi sono in un momento
di trasformazione e lui non c’è e si dicono:
“proviamo a svegliarlo”. Ma c’ è una cosa molto
bella in questo risveglio: Gesù non compie
un miracolo, si mette a dialogare con queste
realtà.
Le acque si agitano se ci sono delle correnti,
se ci sono dei venti forti e lui sgrida il vento.
Gesù parla e sgrida ed è un dialogo molto
bello e molto logico, perchè
prima sgrida i venti affinchè si
fermino, cioè cerca di capire
quali sono i motivi di questa
agitazione, e poi tranquillizza il
mare, che ritorna a bonaccia.
E i discepoli possono passare
all’altra riva, perché il problema
è passare all’altra riva, è non
tornare alla riva di prima. Molto
probabilmente i discepoli,
impauriti dal mare in burrasca,
avevano pensato di tornare al
porto sicuro da cui erano partiti: no, il punto è
arrivare all’altra riva, il punto è andare avanti,
non fermarsi, non tornare indietro. Il punto è
la trasformazione.
E qui sono chiamate in causa tutte le
trasformazioni della nostra vita, non della
vita degli altri, sono cioè degli impegni che
dobbiamo prendere, sono delle fatiche che
dobbiamo fare. Questa storia raccontata in
questo brano del vangelo di Marco, è la storia
di una comunità umana che ha bisogno di
passare all’altra riva, perchè ha paura, e restare
troppo tempo nella paura è pericoloso, perchė
la paura paralizza.
Ma quanta paura e quanto risveglio ci deve
essere in noi! Noi chiediamo sempre a Dio
Antonietta Potente è una teologa e una suora domenicana
di svegliarsi solo per le nostre cose, eppure
diceva s.Paolo “nessuno vive più per se stesso”.
Nessuno: è questa la novità del cristianesimo.
Dobbiamo risvegliarci a questa appartenenza
comune degli esseri umani, uomini e donne,
gigli del campo e uccelli del cielo. Se c’è da
risvegliare Dio risvegliamolo per tutti, non
lo possiamo chiedere solo per noi. ‘Salvaci’
è troppo poco, bisogna salvarci tutti. La mia
sofferenza misteriosa deve circolare nelle
sofferenze degli altri.
Ma come dialogare con un mare in tempesta,
come fermare quelle correnti contrarie che
non ci permettono di raggiungere l’altra
riva? Nel vangelo di Marco c’è un’indicazione
preziosa, infatti andando a rileggere il
testo vedrete che poco prima Gesù aveva
raccontato le parabole della semplicità: parla
del piccolo seme che piantato in terra diventa
un grande albero che ospita tanti uccelli del
cielo. L’essenza del cristianesimo è questa:
“ospita” tanti, cioè dà la possibilità ad altri di
continuare a vivere, di far sì che le persone,
che altri, tutti gli altri, possano vivere e vivere
bene dentro. Gesù ci dice che si può passare
all’altra riva spostando l’ego, aprendo le
finestre dell’ego, trasformando l’ego in eco,
che risuona anche per gli altri.
Non ho altro messaggio se non questo:
cerchiamo di uscire dal nostro egocentrismo,
egocentrismo di individui, egocentrismo di
gruppi… e cerchiamo invece di diventare
delle persone che ricostruiscono una storia
con dei diritti che non sono più solo i miei
esclusivi diritti. Cerchiamo di spostare gli
sguardi. “Vivo senza vivere in me” diceva santa
Teresa, ed è come se dicesse ‘è così alta la vita
che spero, che muoio se continuo a vivere in
questo modo’.
Allora proviamoci: la tempesta è sedata, ma
non drogata dalle consolazioni, è solo tornata
al suo ritmo. Quanto durerà la bonaccia,
la brezza, la calma dei venti forti? Non lo
sappiamo, ma sappiamo che è possibile
trasformarci e passare all’altra riva. Ma lo
vogliamo davvero? Per favore, non lasciamo
che il nostro cuore si addormenti.
Non chiediamo a Dio
di svegliarsi
solo per ciò che ci interessa:
dire “Salvaci!”
è troppo poco,
bisogna salvarci tutti.
Antonietta Potente
11
“Perché non cambiate vita?”
di Roberto Mancini
Oggi potremmo riformulare così la domanda di Gesù. E chiederci perchè
consideriamo ineluttabile e immodificabile il sistema economico che distrugge
la vita di tante persone, inclusa la nostra...
La domanda “Perché avete paura?” non è una
domanda informativa. Mi pare, invece, che
fosse una domanda che serviva a spostare il
centro delle persone, il piano in cui si muovevano. È come dire: perché non cambiate vita?
Sapendo però, nel modo in cui la domanda
viene posta, che non c’è un perché che sia
veramente vincolante, si tratta piuttosto di
fare i conti con rappresentazioni, con forme
di attaccamento, a quello che ci trattiene nella solita vita. In fondo alla domanda posta,
la prima idea è che vivere significa cambiare vita, non significa continuare
come prima.
Il fallimento di un sistema
Oggi ci sono tante parole equivoche, alla fine inutili, e una di
queste è la parola crisi. Io non
credo che noi siamo in crisi,
perché la crisi è un periodo di
passaggio un’esperienza limite,
estrema, che ti porta o a una disfatta, una rovina, alla morte, oppure assomiglia a un parto, a un momento di nascita, di
trasformazione dell’esistenza. Questa di oggi
non è una crisi: la parola giusta, a mio avviso
oggi, è fallimento.
Questo è il fallimento di una civiltà che ha
creduto nel potere e ha trovato nel denaro
la forma del potere puro cioè la vera onnipotenza: il potere politico, militare, ideologico,
religioso, era potere; il denaro è onnipotenza
e quindi ha radicalizzato questa sorta di credenza delirante.
Dunque se tu dici che questo è un tempo di
crisi pensi che tra poco passerà, poi immagini che riprenderai a fare come facevi prima.
Per cui dire crisi significa non riconoscere che
12
dobbiamo cambiare logica, che dobbiamo
cambiare priorità, che dobbiamo cambiare modo di stare al mondo. Dire fallimento,
anche se lì per lì suona peggio, vuol dire:
qui non c’è una strada, allora devo cambiare
completamente sentimenti, modo di pensare, economia, politica, sistema educativo, religione, cioè si tratta proprio di costruire in un
altro modo la convivenza sociale.
Il rovesciamento delle istituzioni
Un fattore che inibisce la capacità di cambiare
è appunto la paura. Uscire dalla
paura vuol dire uscire dalla tomba.
La domanda di Gesù è proprio
l’idea di risvegliarsi da una vita
che non sia sacrificata sull’altare
della paura.
Qual è il rimedio che storicamente l’umanità ha trovato per
proteggersi dalla paura? La creazione delle istituzioni. Tutte le
istituzioni, famiglia, stato, scuola, istituzioni
religiose, servono a garantire protezione a
una comunità, a ridurre il più possibile i fattori di precarietà, di vulnerabilità e proprio
per questo ad aprire un futuro. L’istituzione
deve garantire la continuità tra il presente e
il futuro. Un’istituzione che non fa questo è
un’istituzione pervertita, rovesciata.
È quello che accade oggi: noi siamo alle prese
con istituzioni come il mercato globale, che
sono pericolose, non tutelano nessuno e se
devono provocare un trauma nelle nostre
vite lo fanno senza problema.
Questo rovesciamento delle istituzioni sedimenta così tanto la paura da diventare disperazione, cioè mancanza di visioni alternative.
Roberto Mancini, filosofo e scrittore, insegna all’Università di Macerata
La forza della nostra libertà
Ma se la paura è così potente nella società di
oggi cosa possiamo fare?
Credo che la grande forza che abbiamo sia
quella della libertà: per quanto sia fragile, per
quanto debba crescere, per quanto sia come
un seme, come una piantina che deve poter
trovare la sua possibilità di sviluppo, in realtà
chiunque ha scommesso sulla cancellazione
della libertà umana prima o poi ha perso la
scommessa.
La libertà è sempre risorta a dire di no, a dire
che la vita era un’altra, che nessuno può veramente togliercela se noi non acconsentiamo
a questo.
L’altra grande fonte che noi abbiamo è il desiderio di una vita vera, cioè vuol dire: tu nel
cuore da qualche parte sai che non devi adattarti, accontentarti, obbedire, piegare la testa.
Anche nel corpo, nella coscienza, nell’intelligenza tu hai il desiderio di una vita vera. E
qual è il luogo concreto per ritrovare questo
desiderio? Il silenzio, il rallentare, l’esperienza
di incontrare qualcun altro, l’esperienza della
natura che ci umanizza.
Ma tutto ciò non può che avere luogo in situazioni di fraternità, di sororità, che vuol dire:
l’altro per me non è più semplicemente l’altro,
cioè uno che conta di meno, uno che viene
dopo, l’altro invece diventa un fratello e una
sorella cioè qualcuno la cui esistenza è preziosa per me, qualcuno con il quale il legame
inscindibile dura tutta la vita.
Oggi non si può restare ai margini, bisogna
andare nella città, bisogna andare nei partiti,
nei sindacati, non per fare la cordata di quelli
più puri, di quelli che hanno capito, non per
essere i settari di turno ma per essere quelli che apertamente, umilmente pongono a
chiunque la questione della ineludibilità della
giustizia.
Allora se noi faremo questo non solo non
sprecheremo l’efficacia della responsabilità,
perché la responsabilità vera è efficace, le
cose le cambia. Se tu ti metti in una dinamica concreta di responsabilità ti accorgi che le
cose un po’ puoi davvero cambiarle.
Siamo nati
per accogliere e
condividere la vita,
per trasformarla
e arrivare così
a una vita vera.
Roberto Mancini
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“Rischiare la speranza”
di Luigi Ciotti
Sono forti, vibranti, incisive le parole di don Ciotti. Anche via telefono ci arriva
chiaro il suo invito a gettare il cuore oltre il limite, a seminare coraggio e
speranza, a ritrovare il “morso del più”, del dare di più.
Cari amici, sinceramente mi dispiace davvero
molto non poter essere con voi, ma sappiate
che lo sono dal profondo del cuore. A Romena
ho sempre desiderato esserci, ho condiviso
con voi momenti importanti di riflessione e
di preghiera; ogni volta che sono venuto ho
imparato, mi sono arricchito, ho portato via
sensazioni che mi hanno aiutato poi a saldare
sempre di più un po’ di terra con il cielo. Di
questo vi ringrazio.
Oggi sto con voi in un altro
modo. Devo fermarmi per un
po’ per questioni di salute, ho
bisogno di recuperare energie. Lo
faccio con fatica ma con serenità
soprattutto per continuare a
guardare oltre.
È un momento di grande fragilità
quello che stiamo vivendo:
viviamo in una democrazia
molto pallida nel nostro paese, con una
politica che fa fatica a essere più vicino alla
storia di chi soffre di più. Ma proprio in questo
momento noi siamo chiamati a non lasciarci
prendere dallo scoraggiamento, dalla paura,
dalla rassegnazione: dobbiamo imparare a
sentire forte, prepotente, la speranza. Sono
tanti i modi di dare speranza: speranza vuol
dire offrire opportunità, costruire progetti
concreti, vuol dire realizzare politiche sociali
per il lavoro, per la scuola, per sostenere
le famiglie, per una sana partecipazione,
speranza vuol dire mettere davvero al centro
i nostri giovani: perché questa è una società
che si preoccupa dei giovani, ma poi alla fine
non se ne occupa.
È un momento di grande disorientamento, di
fatica e anche di grande paura per molti.
Solo poche cifre: in Italia siamo giunti a 9
milioni di poveri, di cui 4 milioni in condizione
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di povertà assoluta, e siamo a un milione e
876.000 minori poveri di cui settecentomila in
condizione di povertà assoluta.
È da qui, è da loro, che si deve costruire
speranza. Io credo che la speranza tenga
proprio conto degli esclusi perché non
possiamo costruire speranza se non partendo
da chi dalla speranza è stato escluso.
Sono queste persone, questi volti quelli con cui
noi siamo chiamati a sperare e sono loro quelli
che ci fanno sperare. Sono loro
quelli che fanno più fatica che ci
offrono i punti di riferimento del
nostro impegno e le coordinate
politiche e sociali del nostro agire.
Quindi forza amici, dobbiamo
imparare di più il coraggio, quel
morso del più che io non mi sono
mai stancato di dire alla mia
coscienza e che voglio ancora
una volta condividere con voi.
Bisogna imparare il coraggio di fare scelte
scomode, di rifiutare i compromessi a
cominciare dalle piccole cose dentro di noi.
E voi mi insegnate che di fronte ai bivi della
vita bisogna prendere posizione e decidere da
che parte stare. E non temere di imboccare la
strada più difficile che è quella in salita.
Io verrò presto a Romena, per riflettere per
pregare e per imparare ancora di più dentro di
me il coraggio, il coraggio di guardare avanti
e guardare oltre.
Ma oggi vorrei salutarvi attraverso le parole
del grande Tonino Bello: “Delle parole dette
mi chiederà conto la storia, ma del silenzio col
quale ho mancato di difendere i deboli dovrò
rendere conto a Dio”. Questo vale per tutti noi.
Vi abbraccio tanto. A presto.
Foto di Paolo Dalle Nogare
Dobbiamo sganciarci dalle nostre sicurezze e
incontrarci dove la vita ci pungola, ci provoca,
ci interpella. Perché questo è il compito che ci
attende: diventare protagonisti del nostro tempo.
Luigi Ciotti
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Foto di Piero Checcaglini
La vita altro
non è che un
pellegrinaggio
verso il luogo del
cuore.
Oliver Clément
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Una fede nuda
Più che un tema è un cammino. Più che un traguardo è un bisogno: il bisogno
di dare una luce di senso alla nostra vita. Un tema grande, davanti al quale ci
siamo messi in ascolto...
La forza di una carezza
Venerdì, ore 23. La prima serata sta per
concludersi, ma non ci riesce. La testimonianza di Silvano Lippi, 92 anni, deportato
a Mauthausen, è un fardello duro da lasciare
in gola.
Per oltre un’ora Silvano ci ha portati nell’inferno di un campo di sterminio. Le sue
parole hanno percorso binari agghiaccianti
di morte, di tortura, di insensibilità umana.
I suoi occhi hanno rivisto tutto quell’orrore:
“Voi potete non credermi. Ma io c’ero. Anzi,
70 anni dopo io sono ancora lì”.
Volevamo cominciare così il nostro percorso di una fede nuda: dal posto più lontano
dall’uomo e da Dio. Ma ora quella scelta ci
pesa, è un carico aspro. “Perché è potuto
accadere? – chiede l’anziano deportato –
Perchè Dio lo ha permesso?”
Don Gianni Marmorini, che ha introdotto
con grande delicatezza e sapienza l’incontro,
non chiude queste domande, semplicemente
prende la mano di Silvano, la stringe a sé.
È possibile ascoltare tutti
gli interventi sulla pagina
Podcast di www.romena.it
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Dopo di lui tutti i presenti, uno ad uno, si alzano, raggiungono Silvano. E sono carezze,
e sono parole sussurrate, e sono baci. Una
fila lunghissima scorre lentamente verso
l’altare: un fiume di commozione avvolge
questa notte, e non la fa andare a dormire.
“Fai bei sogni Silvano”, qualcuno gli dice,
ricordando gli incubi che ha vissuto: sarà
più facile, ora che l’aria di mille carezze
addolcisce il suo viso.
Voglia di primavera
La mattina del sabato porta con sé il profumo buono di questa partenza. Uno slancio
prezioso per accogliere le scosse telluriche
che ci porta ancora una volta Antonietta
Potente: “Fede nuda è la fede che guarda
prima di tutto l’uomo spogliato di tutti i diritti”.
Un esempio? Ce lo offre l’ospite successivo,
Franco Monnicchi, responsabile di una comunità Emmaus, che aiuta i più emarginati
e rifiutati della nostra società , e offre loro la
possibilità, attraverso il lavoro e la comunità, di riprendersi il loro destino: “Non so se
credo in Dio – ci dirà - ma credo nella dignità
di ogni uomo”.
Corre veloce questa giornata. Però ora si
ferma, si ferma davanti a una voce affettuosa, la voce di un uomo che da un balcone
dice “Buonasera!” e poi chiede al popolo di
benedirlo. La voce di chi sta portando primavera, primavera vera, nella chiesa. Due
giornalisti sono venuti a parlarci di Papa
Francesco per rendercelo ancora più vicino.
Gianni Valente lo conosce di persona da
oltre dieci anni; un’amicizia semplice, la sera
stessa della sua elezione il Papa ha voluto
riconfermarla con una chiamata al telefono:
“Non mi stupì quella chiamata, né quelle che
ha fatto dopo a tante persone: è nel suo stile,
ama stare accanto alle persone”.
Raffaele Luise, vaticanista del giornale
radio Rai, ci racconta la rivoluzione che
passa per Roma: “È un cambiamento radicale, ispirato alle radici evangeliche”, un
cambiamento insperato che, ci raccomanda
Raffaele, “va accompagnato, difeso, sostenuto da parte di ciascuno di noi”.
Silenzio, ora, ora è sera. Ora di nudo c’è la
musica. Musica di chitarra, rivestita da una
voce di poesia. Gianmaria Testa. “Qui ci
voglio suonare”, ci aveva detto pochi mesi
prima per dare un respiro allo stupore provato entrando in pieve. Ed eccolo stasera,
in un a solo incantevole.
Una voce rauca, calda, la sua, che produce
armonia quando canta, armonia quando
parla. Anche i silenzi sono pieni: li riempie la
nostra chiesa valorizzata dalla luce.
La musica di questo cantautore, amatissimo
in Italia, famoso soprattutto all’estero, sembra aver trovato la sua casa.
Terra da ribaltare
Domenica. La poesia non se n’è andata. Si
vede che qui si è trovata bene.
Stamani ha una duplice forma: quella di
un uomo, Ermes Ronchi, e di una donna,
Marina Marcolini. Non sono due incontri:
è un incontro solo, a due voci. “Quanto si è
perso nella chiesa, rinunciando a valorizzare
i talenti delle donne!” dirà più tardi padre
Ermes. Dà voce a un pensiero comune: le
intuizioni femminili e maschili incrociandosi
offrono continui squarci di luce, perché toccano luoghi e sensibilità diverse. La fede
raccontata da Ermes e da Marina parte da
due punti diversi per sfociare nello stesso
mare: l’amore. E lo fa con un percorso così
profondo, così vivo, che tutti si sentono inclusi, le donne, forse ancora di più perchè
finalmente accolte, senza distinguo. Non
è un caso che il momento più bello della
mattina sia la lettura di un monologo poetico
di Marina dedicata a Maria Maddalena da
parte delle attrici Maria Teresa Totti e Anna
Branciforti e che l’indimenticabile finale del
mattino sia ancora al femminile, con la voce
appassionata di Anna Maria Iorio.
E, per finire, Maurizio Maggiani. O meglio,
Maggiani per ripartire da capo. Le intuizioni,
l’irritualità, l’autenticità di questo scrittore ci
aiutano a fare ciò che è necessario, con la
fede: non darla mai per scontata. Tutt’altro.
“Io non ho fede, perchè la fede ha bisogno
di essere nuda, e per essere nudi bisogna
togliersi di dosso tutte le sovrastrutture di
pensiero, di mente nelle quali siamo vissuti. A me tutto questo non riesce. Così
alla domanda Credi in Dio: io non saprei
rispondere”.
Palla al centro. Si finisce. Si ricomincia.
Nessuno doveva convincere nessuno. Ma
questo distendersi di diversità, questo fluire
di declinazioni diverse al tema ci è entrato
dentro, ha smosso. Si va verso l’autunno ed
è questo ciò che ci serve: ribaltare la nostra
terra. Nuovi semi germineranno.
19
“Il silenzio di Dio”
di Gianni Marmorini
Dov’era Dio? Perchè non ha impedito tutto questo? Ha un compito difficile
il nostro Gianni: deve introdurre con le parole la testimonianza di un uomo,
Silvano Lippi, che ha visitato il punto in cui l’uomo è stato più lontano da se
stesso e da Dio: un campo di sterminio nazista.
Un grande maestro come Paolo De Benedetti, non iniziava mai un suo corso senza
ricordare questa frase del teologo Jurger
Kuhlmann: “Se la vostra teologia dopo Auschwitz non è cambiata essa non vale niente.”
Perché la pagina forse più brutta dell’umanità deve cambiare il mio modo di pensare
Dio?
Questa domanda mi ha accompagnato
molto e vorrei condividerla
con voi.
Nel nostro immaginario Dio
è sempre pensato come l’Onnipotente. In realtà la parola
ebraica “El Shaddai”, che viene
tradotta come ‘”Onnipotente” significa “Il Dio del crinale
delle colline”, che è un modo
per dire “Il seno di una madre
che allatta”. Quando noi diciamo Dio onnipotente, non c’è
l’idea della forza del guerriero
che vince le battaglie, ma quella di tutte le
donne che hanno allattato i figli.
Tuttavia quest’idea di un Dio che può tutto
ci ha penetrato. E da questa idea nascono
problemi: per esempio, di fronte a eventi
come la Shoah, Dio dov’era?
Pensando a questa domanda mi vorrei soffermare sul Vangelo di Marco, ma non su
una pagina, piuttosto su come Marco ha
concepito il Vangelo.
Marco è l’evangelista che racconta più di tutti i miracoli di Gesù, almeno fino a un certo
punto, perché dal capitolo dieci di miracoli
20
non se ne trovano più. Inoltre, nel raccontare questi miracoli Marco li accompagna con
una raccomandazione, Gesù la ripete almeno cinque volte, di non dire niente a nessuno. Un altro atteggiamento particolare di
Gesù è che, dopo ogni gesto significativo,
si dilegua: “Vieni Signore, ti cercano tutti!” gli
dicono gli apostoli, e lui scompare o invita
gli apostoli a spostarsi da quel luogo.
Ma perché Gesù chiede ai
suoi discepoli di non dire
nulla dopo i miracoli, perché,
proprio nel momento del
“successo” , sparisce?
La spiegazione potrebbe essere questa: che Gesù non si
riconosceva nella figura di un
Messia vincente, che risolve i
problemi, che cambia le situazioni e le aggiusta.
Dopo il decimo capitolo Gesù
non fa più miracoli, e gradualmente si avvia verso la sua Passione: verrà
rifiutato, tradito, abbandonato, fino alla croce, fino a quel grido: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?”
Ed è sotto la croce che il centurione vedendo come Gesù muore dice: “Davvero
quest’uomo è figlio di Dio!”
Questa volta Gesù viene rivelato e non viene più nascosto. E il figlio di Dio che viene
rivelato non è quel Gesù che trova un lebbroso e lo guarisce, che trova un morto e
lo resuscita, ma è lo sconfitto, il rifiutato, il
crocefisso.
Gianni Marmorini è sacerdote e appassionato studioso della Bibbia
Dovete sapere che il Vangelo di Marco, su
questo concordano gli esperti, è stato allungato di almeno un capitolo. Nella versione originale il Vangelo finisce poco oltre, quando le donne vanno alla tomba e
l’angelo annuncia che è risorto. Quindi in
Marco non ci sarebbero le apparizioni di
Gesù. Pensate: negli altri Vangeli ci sono
le apparizioni, in quello di Marco devi credere al crocefisso, alle parole del centurione davanti al suo corpo nudo morto:
“Quest’uomo è figlio di dio”! La fede è lì.
In che modo la Shoah può aver cambiato
il nostro modo di pensare Dio? Io credo
che in realtà non l’ha molto cambiato,
perché per noi Dio è sempre colui che
può risolverci i problemi. Questo Dio onnipotente ci è forse entrato nel dna.
Ma se noi invece di avere questa immagine di Dio, avessimo quella del crocifisso, chi si sentirebbe di dire a quell’uomo
morto sulla croce, tutto nudo, aiutami?
Il crocefisso ribalta le cose: non è lui che
può aiutarti, solo tu puoi aiutare lui.
Il crocefisso
ribalta il nostro modo
di vedere Dio:
non è lui che può aiutarci
siamo noi
che possiamo aiutare lui.
Gianni Marmorini
Un’altra immagine della Bibbia molto bella, che mi è molto cara è in Isaia, quando
dice: “Consolate il mio popolo” (cap 40.1).
Questo versetto, secondo una lettura
rabbinica, si può tradurre anche in un altro modo: “Consolatemi, consolatemi mio
popolo” .C’è l’idea di un Dio che piange,
che chiede di essere consolato, perché la
vita in questo mondo non è quella che lui
aveva sognato.
Penso ancora alle parole di Paolo de Benedetti che diceva più o meno così: quando saremo di là, noi che ci aspettiamo di
incontrare un Dio giudice, perché così ci
hanno detto, chissà che invece non incontriamo un vecchio che ha bisogno di
essere consolato, con le lacrime sul viso,
e il bisogno che siamo noi ad asciugarle
a lui.
21
“La fede ha bisogno di nudità”
di Maurizio Maggiani
Non ci servono costruzioni culturali o tantomeno teologiche per arrivare alla
fede. Serve l’inverso. Un percorso di spoliazione totale. Perchè non c’è fede che
non sia nuda.
Sono un uomo che non riesce a mettersi nudo
e non ha fede. Se uno mi chiedesse: ma tu credi in Dio? Io non saprei rispondere. Ma se mi
chiedessero: tu sei ateo? Risponderei di no.
Non sono niente, ma spero di aver vissuto una
vita abbastanza dignitosa per potermi meritare qualcosa di meglio di un “a-privativo”.
Però io ho a che fare con la fede, e ho a che
fare con la fede nuda perché è
un tema della dignità della mia
vita, un tema non risolto.
“Ma tu credi in Dio?”. Ho posto
questa domanda a un’amica. La
conosco da quando era bambina, oggi è archeologa, ha scoperto l’antico porto di Magdala
sul Lago di Tiberiade. Ma quello
che vorrei ricordarvi di lei è la
sua risposta: sì, mi ha detto, io
credo in Dio, perchè a me Dio è
simpatico.
Mi ha fatto molto pensare questa risposta,
perchè arrivava da una persona completamente calva (stava facendo gli scavi in Terrasanta ma anche la chemioterapia) e anche
per un altro motivo, che è, per me al centro di
questo tema: una fede nuda.
Credo che conosciate il libro di questo posto,
la Bibbia. Genesi, la storia di Adamo ed Eva.
L’uomo che si sente solo, l’arrivo di Eva che
scioglie le sue ansie e ripristina un perfetto
equilibrio.
Un equilibrio che però si rompe quando la più
evoluta, la più avanzata, la più sveglia fra i due,
Eva, fa una scelta, la scelta di rischiare anzi di
rinunciare al perfetto equilibrio, alla vita, alla
gioia, per gustare il frutto del bene e del male;
22
Eva sceglie di rinunciare al paradiso per poter
essere libera di scegliere, di accedere alla conoscenza e di affrontare un cammino distruttivo ma tuttora straordinario, pieno di incognite
e di orrendi trabocchetti, il cammino verso la
conoscenza.
Sceglie di poter scegliere.
E cos’è la prima cosa che succede appena Eva sceglie e fa
scegliere al suo uomo? Scopre
la sua nudità e la vergogna della sua nudità. Eva si nasconde
con la mano davanti e Adamo
ci mette una foglia di fico!
Lei si vergogna, scopre la sua
nudità e si vergogna.
Perché Eva si vergogna? Perché
scopre la cultura, la conoscenza, la civiltà, la morale della civiltà.
Per il popolo ebraico e per noi
inizia la storia quando l’uomo, che agisce fuori
dall’Eden, fuori del paradiso, esercita il libero
arbitrio, sceglie e agisce sulla terra, lavora la
terra, suda, partorisce; allora inizia la storia,
iniziano le culture, le civiltà.
Se c’è una cosa che il popolo ebraico ha ben
chiaro in testa, e ce l’abbiamo chiaro anche
noi, è che la femmina è portatrice di un bene
e che questo bene va protetto, tutelato, reso
irraggiungibile per chi non ha diritto: il bene
è la sua nudità, sono i suoi organi riproduttivi.
La femmina è colei che garantisce l’asse ereditario, il tramandarsi della dote, la ricchezza
che resta nella famiglia e nei discendenti.
È una proprietà nella cultura giudaica e nella
nostra cultura: la femmina è un bene che va
Maurizio Maggiani è uno dei più apprezzati scrittori italiani
protetto, tutelato; lo strumento del suo bene,
gli organi sessuali, devono essere nascosti
perché siano chiaramente irraggiungibili al
primo venuto, se ne può servire solo colui che
è prescelto come avente diritto.
La cultura, la civiltà che genera quella cultura
pretende il coprirsi, mentre la fede chiede di
compiere il percorso opposto: non c’è fede
senza nudità.
Se noi mettiamo la ragione nella fede, se noi
mettiamo tutte le operazioni culturali dopo
quel gesto di Eva così coraggioso, così folle,
così pericoloso, se noi mettiamo una qualunque delle idee, bellissime o bruttissime, che ci
sono venute in mente negli ultimi trentamila
anni, noi distruggiamo qualunque possibilità
di fede. Perchè non c’è nessuna ragione per
convincerci di credere in Dio... qualunque
ragione noi adduciamo per convincerci di
credere in Dio riduciamo Dio a noi stessi, alla
nostra cultura, alla nostra civiltà, alla nostra
morale.
Così io non ho la fede perchè non riesco a
spogliarmi dalla sovrastruttura complessa,
articolata, convincente, funzionante che è la
mia cultura, non riesco a denudarmi di tutto
ciò per predispormi alla grazia irragionevole
della fede.
Io credo fermamente, con San Paolo se mi permettete, che la fede è solo grazia, dono gratuito che facciamo a noi stessi.
Gratuità ovvero senza nessuna ragione: io ti
do una cosa senza nessuna ragione se non
quella di dartela.
Ricordate la risposta della mia amica? Una risposta meravigliosamente, straordinariamente priva di qualunque ragione: “Credo perchè
Dio mi è simpatico”. Riesci a ridurre a ragionevolezza la simpatia?
La fede
è solo grazia,
dono che facciamo
a noi stessi.
Maurizio Maggiani
Non ignoro cosa sia la fede, ma non riesco a
pormi così libero da provare simpatia per Dio.
E certo io invidio la mia amica che dice Dio mi
è simpatico perché la sua mente, il suo cuore,
la sua trippa, abitano in un luogo più vasto del
mio.
23
“Far nascere Dio dentro di noi”
di Marina Marcolini
Chi era Maria se non una di noi? Chi era Maria se non il segno che siamo chiamati
a essere madri del divino che abbiamo dentro? Il nostro compito è lo stesso di
una madre incinta: accogliere, dare spazio a ciò che ci abita dentro...
Come posso chiamare quello che ho vissuto? Un’esperienza mistica? Ma a mistico associamo cose che non hanno niente
a che fare con quello che ho provato io,
visioni, esperienze staccate dal quotidiano, cose “dell’altro mondo”.
La parola ‘mistico’ ha la stessa etimologia di mistero. Ma la vita, il reale, è pieno
di mistero. Allora esperienza mistica è
quando si scopre la profondità del reale,
quando si sente che sotto
ogni cosa c’è dell’altro, nei
suoi occhi, in una rosa, in
un dettaglio. “La fede dona
un’intelligenza che penetra
il minimo per scorgervi il
massimo” (Giuseppe Barzaghi).
Io ho scoperto che dentro
di me c’era Dio, l’ho sentito.
E allora ho cominciato a vedere Dio negli altri. Qualcosa di grandioso ma al tempo stesso semplicissimo e familiare, come quando una
donna sente dentro di sé un bambino.
Allora mi chiedo: l’annunciazione riguarda solo Maria o è qualcosa per tutti? E chi
è Maria? Una superwoman perfetta e distante o una donna come me e te, che ha
vissuto un’esperienza di vita spiazzante e
forte, a cui ha risposto in modo libero e
coraggioso?
Per ritrovare una fede nuda anche Maria va liberata. La posta in gioco è alta,
perché la sua storia è la nostra. Allora
bisogna mandare gambe all’aria le statue che le abbiamo eretto: Maria non è
quella specie di semidivinità che ci guarda pietosamente dall’alto del suo piedistallo, ma una donna che con la sua storia ci racconta la nostra vera storia: c’è un
pezzetto di Dio in noi e vuole venire alla
luce. L’icona di Maria è la mia icona.
Maria, la madre di Dio, è
stata chiusa in un bozzolo dorato di parole che
non sono liberanti né per
le donne né per gli uomini. Maria non è quella
disincarnata figura, quasi asessuata, cui ci hanno
abituato, ma l’esaltazione
dell’umano e dell’umano
tutto intero, corpo e spirito, innalzato fino a partori-
re un Dio.
La storia di Maria, la theotókos, colei che
nel suo corpo genera Dio, parla un linguaggio tutto al femminile, una lingua
che la chiesa non ha ancora imparato a
parlare. Ma noi vogliamo una chiesa poliglotta.
La lingua delle donne, il racconto della
loro esperienza, la loro intelligenza della
vita e della fede, sono una ricchezza im-
Marina Marcolini è docente universitaria, scrittrice e coautrice del programma “Le ragioni della speranza”
24
perdibile per tutti. Non sprechiamola più.
Maria incinta di Dio è l’immagine più
potente che il vangelo ci dà sul senso e
il fine della nostra vita. È una metafora
prodigiosa. Essere incinti di Dio, incinti di
luce, significa vivere alla presenza. Non
occorre che pensi sempre a Dio, è già
dentro di me. “Provo, crescente, una specie di certezza interiore che esiste in me un
deposito di oro puro da consegnare”.
(Simone Weil)
Dentro la nostra nudità
si può trovare un Dio
vicinissimo, intimo
come un amante.
Marina Marcolini
Noi andiamo per il mondo con la pancia
gravida di luce, incinti d’amore.
La pancia, cioè non solo l’anima, ma tutta
la persona. Benedetto sia questo nostro
corpo, tanto spesso disprezzato, tanto da
farlo intristire e ammalare. Benedetto sia
questo corpo, il suo vigore, la sua bellezza, la sua capacità di amare e di dare la
vita.
Meister Eckhart scrive che tutta la scrittura sacra, tutta la vicenda di Cristo hanno
un solo scopo: fare nascere Dio in noi.
“Tutti sono chiamati a essere madri di Dio.
Perché Dio ha sempre bisogno di venire al
mondo”. E allora le donne hanno molto da
insegnare.
Ricordo il mio primo parto. Se mi abbandonavo al dolore, che era fortissimo,
senza resistergli, nasceva in me, nel mio
corpo e nel mio cuore, una forza che non
veniva da me. Non eravamo soli, io e quel
corpicino, a doverci dare da fare per quella cosa così difficile e paurosa, ma era lì
presente qualcosa di grande che ci stava
portando alla luce tutti e due.
C’era un’onda calda, forte, immensamente forte, inarrestabile, che dentro di me,
attraverso di me compiva l’opera. Io dovevo solo accoglierla e farmi condurre e
così scoprire che dentro di me la vita si
muoveva al ritmo di quell’onda, tanto da
sentirmi tutt’uno con lei.
25
“Credo nell’amore”
di Ermes Ronchi
Arrivano con il passo della poesia parole che abbracciano tutta la vita, che
danno luce alla parola fede. L’invito è a gustarle lentamente, immaginando
la voce calma e morbida di Ermes che ce le rende presenti...
Se ci chiedono: tu cristiano a che cosa credi? La
risposta che ci viene immediata è: credo in Dio
padre onnipotente, in Gesù Cristo, lo Spirito
santo, i più acculturati tra noi aggiungeranno
qualche altro particolare di fede… e tutto questo va bene. Ma san Giovanni nella sua prima
lettera ha una risposta molto diversa:”Noi abbiamo creduto all’amore che Dio ha per noi”.
I cristiani sono quelli che credono all’amore.
Non si crede ad altro, non all’eternità, all’onnipotenza, ma all’amore.
E questo è importante perché all’amore possono credere tutti, giovani e meno giovani, credenti e lontani, chi ha un cammino spirituale
chi è lontano da ogni via religiosa, l’omosessuale e il risposato che scommette una seconda
volta sull’amore.
Tu che cosa credi? Io credo l’amore. Non si crede ad altro. Aver fede nell’amore, avere fiducia
negli innamorati. Non avvicinarli con la regola
o il divieto, in tante situazioni di sofferenza, ma
aiutarli a capire che c’è un annuncio di eternità
dentro la relazione d’amore. Avvicinare con il
divieto chi è in situazioni complesse con la norma è sbagliato e talvolta vorrei dire criminale, è
allontanarli per anni o per sempre dalla chiesa.
Se noi crediamo l’amore, ne possiamo fare non
un luogo di moralizzazione ma di rivelazione.
Il luogo privilegiato dell’evangelizzazione, il
luogo privilegiato della teologia. L’amore rivela qualcosa del volto di Dio. Ogni innamorato è
un mistico, capisce che l’altro conta di più, che
l’amore ha fame di eternità.
Mi diceva il mio prof preferito, Olivier Clement,
a Parigi: vuoi spiegare a qualcuno che cosa è
l’inferno e che cosa è il paradiso? Usa il linguaggio dell’amore. Ogni innamorato lo sa: l’inferno
è la separazione, il tradimento, l’abbandono da
parte del tuo amato.
Il paradiso invece è l’abbraccio, la comunione,
lo stringersi dopo essersi perduti.
E poi portare Dio, che è amore, che è passione
di unirsi a te, dentro la tua passione di unirti
alle persone che ami. Ogni evento d’amore è
sempre decretato dal cielo! Soprattutto è possibile allargare lo spazio perché Dio abiti in
ogni amore. In ogni storia d’amore concreta
può vivere il mistero totale dell’amore, che è
Dio. Quando amiamo profondamente qualcuno, Dio sta già lì.
Più che vedere i nostri amori in competizione
con Dio, questi ci offrono luoghi in cui possiamo montare la sua tenda.
Lì dove ami devi onorare Dio, nell’amore. Non
dobbiamo cercare Dio ai margini dell’esistenza,
o alla fine di ciò che è umano. Dio è presente
nel cuore della vita e ne avvertiamo la vicinanza con tutti i nostri sensi. Più ameremo la vita
senza riserve, più saremo anche capaci di provare fede e felicità.
Credo nell’amore di Dio per me. Non nel mio
per lui. «È un privilegio divino essere sempre non
tanto l’amato quanto l’amante» (C. S. Lewis).
La certezza di essere stato amato, un giorno,
anche una volta sola, in modo disinteressato,
salva dall’ignoranza della vita. E dall’ignoranza
di Dio.
Abbiamo tutti una memoria al fondo di noi
stessi, quando sale dal fondo della notte come
un canto lontano, l’assicurazione che al di là di
tutto, al di là persino della gioia e della pena,
della nascita e della morte, esiste uno spazio
che nulla soppianta, più forte di tutte le minacce, che non corre alcun rischio di distruzione,
uno spazio intatto, quello dell’amore che ha
fondato il nostro essere.
E io so che un giorno ci sarà dato di amare con
il cuore stesso di Dio.
Ermes Ronchi, frate dei servi di Maria, è poeta e scrittore. Conduce il programma “Le ragioni della speranza”
26
Foto di Piero Checcaglini
La fede ha tre passi:
ho bisogno,
mi fido,
mi affido.
Ermes Ronchi
A
I
L
EG
V
A
V
NUO
Rischiamo il Coraggio
Trieste
25 novembre 2013
Udine
26 novembre 2013
treviso
27 novembre 2013
pordenone
28 novembre 2013
padova
29 novembre 2013
Parrocchia San Luca - via Forlanini, 26
Parrocchia di Pagnacco
ore 21.00
ore 21.00
Parr. Assunzione B.V. Maria - Paderno di Ponzano Veneto
ore 21.00
Parrocchia San Lorenzo - Rorai Grande
ore 21.00
Parrocchia S. Bartolomeo - via Montà, 208
ore 21.00
prato
3 dicembre 2013
valdarno
4 dicembre 2013
Parrocchia San Bartolomeo - p.zza Mercatale
Pieve di Cascia - Reggello
ore 21.00
ore 21.00
firenze
11 dicembre 2013
brescia
20 gennaio 2014
bergamo
21 gennaio 2014
milano
22 gennaio 2014
Parrocchia dei Salesiani - via Gioberti
Centro Mater Divinae Gratiae - via Sant’Emiliano, 30
Chiesa dei Frati Cappuccini - via dei Cappuccini
Parrocchia B.V. Immacolata - Lavanderie di Segrate
28
ore 21.00
ore 21.00
ore 21.00
ore 21.00
piacenza
23 gennaio 2014
siena
28 gennaio 2014
arezzo
29 gennaio 2014
catania
10 febbraio 2014
modica
11 febbraio 2014
ragusa
12 febbraio 2014
palermo
13 febbraio 2014
messina
14 febbraio 2014
locri - ardore marina
24 febbraio 2014
crotone
25 febbraio 2014
Lamezia terme
26 febbraio 2014
Cosenza
27 febbraio 2014
Scalea (CS)
28 febbraio 2014
Parrocchia Santa Franca - p.zza Paolo VI, 1
Parrocchia San Francesco all’Alberino
Parrocchia San Marco alla Sella
Parrocchia SS. Pietro e Paolo - via Siena
Chiesa di San Pietro - c.so Umberto I
Parrocchia S. Pietro Apostolo - via Lazio, 89 - Beddio
Parrocchia San Gaetano - Brancaccio
ore 21.00
ore 21.00
ore 21.00
ore 20.30
ore 20.00
ore 19.00
ore 20.00
Parr. San Giacomo Maggiore Apostolo - via Buganza, isolato 54
ore 20.00
Parrocchia Santa Maria del Pozzo
ore 20.30
Parrocchia del Sacro Cuore - Borgata San Francesco
Chiesa del Carmine - Sambiase
Luogo da definire
Parrocchia San Nicola di Platea - via San Nicola
Le piagge (FI)
Comunità Le Piagge
ore 20.00
ore 19.30
ore 20.30
ore 20.30
5 marzo 2014
ore 21.00
Rovereto
10 marzo 2014
Verona
11 marzo 2014
Imola
12 marzo 2014
Bologna
13 marzo 2014
Modena
14 marzo 2014
Parrocchia di Santa Caterina - Frati Cappuccini
Parrocchia San Nicolò all’Arena - p.zza San Nicolò
Convento dei Cappuccini - via Villa Clelia, 16
Chiesa San Vincenzo De Paoli - via Ristori, 1
Chiesa San Barnaba - via Carteria, 108
ore 21.00
ore 21.00
ore 21.00
ore 21.00
ore 21.00
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NUOVO LIBRO
Il morso del più
incontri con Luigi Ciotti
di Massimo Orlandi
“Amici,
non dobbiamo sentirci
mai arrivati, mai a posto.
Dobbiamo sempre
sentire prepotente
dentro di noi
il morso del più.”
Luigi Ciotti
Edizioni Romena 2013
Pagine 128
Prezzo € 10,00
ISBN 978-88-89669-52-5
È un incontro speciale quello che vi proponiamo con il fondatore del
gruppo Abele e di Libera, con questo prete la cui parrocchia è la strada.
È un incontro che contiene i passaggi più coinvolgenti dei tanti
interventi di don Ciotti a Romena, è un incontro che porta con sè tutta
la passione e la bellezza della sua testimonianza di vita.
Lasciamo che le sue parole ci arrivino addosso: saranno ora pedata
ora abbraccio, ora morso ora carezza. Ci faranno anche male, per farci,
soprattutto, bene.
Lo trovi in libreria o richiedilo all’indirizzo:
[email protected]
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AGENDA 2014
OGNI GIORNO
2014
Osare la bellezza
“Ciò che oggi occorre è un sussulto,
una fascinazione, un innamoramento,
l’emozione per la bellezza racchiusa ne frammento”
Bruno Forte
L’Agenda di Romena
arriva a casa tua
Puoi acquistare l’agenda in libreria
o riceverla a casa per posta*.
* Per ordini di 2 o più copie la spedizione è gratuita.
Effettua l’ordine su
www.romena.it
o invia una mail a
[email protected]
Edizioni Romena 2013
Pagine 284
Prezzo € 14,00
ISBN 978-88-89669-51-8
PROSSIMO NUMERO: il giornale in uscita a aprile approfondirà il tema: “Rischiamo il coraggio”.
Inviateci lettere, idee, articoli, foto (termine ultimo: 28 febbraio 2014), preferibilmente alla nostra e-mail:
[email protected]
UN CONTRIBUTO: il giornalino è una pubblicazione gratuita e viene inviato a tutte le persone che hanno
partecipato ai corsi di Romena o ne abbiano fatto richiesta. Aiutateci a sostenere le spese di realizzazione
e spedizione inviando il vostro contributo col bollettino allegato, oppure effettuare un’offerta ai seguenti
conti correnti intestati a Fraternità di Romena ONLUS, Pratovecchio (Arezzo):
postale IBAN: IT 58 O 07601 14100 000038366340
bancario IBAN: IT 25 G 05390 71590 000000003260
PASSAPAROLA: se sai di qualcuno a cui non è arrivato il giornale o ha cambiato indirizzo, se desideri
farlo avere a qualche altra persona scrivi a [email protected] o collegati a www.romena.it.
SEGRETERIA: per iscriversi ai corsi è necessario telefonare al nostro numero 0575.582060.
Le iscrizioni ai corsi si aprono il primo giorno del mese precedente al corso stesso.
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S
ei caduto nel mondo
come un bacio,
senza chiedermi preghiere,
ma solo fiducia.
Luigi Verdi
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