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Abitare la vita - Fraternità di Romena

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Abitare la vita - Fraternità di Romena
Tariffa Assoc. Senza Fini di Lucro: Poste Italiane S.P.A - In A.P -D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/ 2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB/43/2004 - Arezzo - Anno XII n° 4/2008
Abitare
la vita
1
3
6
Primapagina
Nel palmo della mano
4
Come una barca nel mare
8
La melodia della vita
10 Dedicato a tutti gli assenti
Un tesoro nascosto nel campo
12
SOMMARIO
14 La nostra casa è sempre oltre
Contemplare il creato
18
Alle radici dell’amore
22
20 Una pace possibile
24 Natale, il mistero della fragilità
Il viaggio della veglia di Romena
26
28 Verso il Natale
Graffiti
trimestrale
Anno XII - Numero 4 - Dicembre 2008
REDAZIONE
località Romena, 1 - 52015 Pratovecchio (AR)
tel./fax 0575/582060
www.romena.it
e-mail: [email protected]
DIRETTORE RESPONSABILE:
Massimo Orlandi
REDAZIONE e GRAFICA:
Simone Pieri, Alessandro Bartolini
Massimo Schiavo
FOTO:
Massimo Schiavo, Eliseo Pieri,
Piero Checcaglini, Elisa Vito
Copertina:
Massimo Schiavo
Hanno collaborato:
Luigi Verdi, Pier Luigi Ricci, Maria Teresa Abignente,
Luca Buccheri, Luigi Padovese, Wolfgang Fasser.
Filiale E.P.I. 52100 Arezzo
Aut. N. 14 del 8/10/1996
30
Nevica. Nevica dolcemente, il vento si culla ogni fiocco.
Nevica sul Casentino, il grigio chiaro del cielo si tuffa nel bianco della valle.
Nevica, e una coperta lieve copre ogni rumore, se cammini senti anche i tuoi passi,
affondano morbidi, fanno musica.
“Abitare la vita” dice il tema di questo numero. Per me, in questo momento, vuol dire
imparare ad ascoltarla meglio.
Non so se in questo bisogno si riconosce anche qualcuno di voi. So che questo tema si
può sviluppare solo uno ad uno, ciascuno dal luogo dove si trova la sua vita, ciascuno
indirizzandosi verso ciò di cui sente l’assenza. La vita da abitare non è solamente quella
che viviamo, è il nostro presente nutrito anche dal richiamo del futuro.
Dov’è che spinge la vostra vela? Cosa vi manca per sentirvi più autentici, più vicini a
voi stessi, alla vostra vita?
Ora tocca a voi svolgere, nella vostra intimità, questo stesso tema.
Se volete, vi posso offrire un po’ di questa neve, la sua carezza di pace, il suo tempo
senza tempo, il suo profumo di domani, sotto una scorza bianca di silenzio.
Può essere un buon aiuto per il vostro ascolto interiore.
Di sicuro è anche un modo perché possiate immaginare la nostra Romena imbiancata,
come in una cartolina di auguri inviata al cuore di ciascuno di voi.
Massimo Orlandi
PRIMAPAGINA
Penso alle tante nevicate cui ho assistito.
Ti affacci fuori, e devi restare dentro. Hai mille cose da fare, e puoi solo aspettare. Senti
quell’evento come una violenza. Come se la natura ti obbligasse ad accorgerti di lei.
Poi passa. Ti scopri a seguire la scia infuocata delle braci sul camino, a scrivere una
lettera a un amico, ti riesce anche di giocare, come un bambino, all’aperto. E non ti
ricordi neanche perché, fino a poco prima, ti tormentava la tua ansia. Le sbarre sono
sparite, ti consegni volentieri a quell’oceano di pace e di bellezza.
Associo questa nevicata a una recente esperienza. Durante un corso che sto facendo con
la Compagnia delle Arti di Romena, ci è stato chiesto di metterci a coppie e di ascoltarci.
Per cinque minuti uno dei due doveva parlare e l’altro star lì, occhi negli occhi, senza
voltarsi, senza annuire, senza ribattere.
L’amica che doveva farlo con me la conosco da anni. In quei cinque minuti ho visto di più.
Non mi sfuggiva nulla, le sue parole scolpite, gli occhi che salivano e scendevano, i suoi
capelli, e come erano pettinati, il sorriso accennato e l’onda del suo volto in movimento.
Ho visto un mondo anche se quel mondo lo avevo sempre avuto a portata di mano.
Ha scritto padre Balducci che è l’ascolto, l’ascolto del mondo e degli altri, che ci permette
di uscire dal nostro “monologo” e di entrare nella grande sinfonia dell’universo.
Sento che il mio ascolto è spesso prigioniero della mia emotività o del mio attivismo,
che il mio “monologo” nasce da quella frenesia del fare che distribuisce ciò che sento
solo in funzione del bisogno, solo in previsione della sua efficacia.
Si può andare oltre, sento il bisogno dell’oltre. E quest’oltre è in un orizzonte più vasto e profondo dell’ascolto, capace di farmi incontrare nuove note nella sinfonia dell’universo.
Me lo dice una nevicata, me lo ha comunicato un’amica.
N e l pa l mo d e l l a mano
di Luigi Verdi
Spesso ciò che ci è familiare non lo conosciamo, perché è sempre sotto i nostri occhi e perché l’enfasi eccessiva delle ripetizioni rende
scontati i modi di fare, gli atteggiamenti e gli
obiettivi.
Gli aspetti per noi più importanti delle cose
sono nascosti dalla loro semplicità e quotidianità.
Minima Moralia di Adorno, uno dei più bei
libri scritti sulla vita quotidiana, aveva come
sottotitolo “Riflessioni di una vita offesa”.
La vita quotidiana è così il teatro di una tensione costante, un insieme di pratiche, di ambienti, di relazioni.
Ci si attrezza a vivere con l’incertezza, elaborando volta a volta strategie utili a eliminare
dall’orizzonte ciò che procura ansia.
In questa vita offesa, se vogliamo rimane in
piedi e non essere travolti, dobbiamo prendere esempio dallo stile di vita del monaco e
dell’artigiano. Per loro prioritario è il presente, il Kairòs, che vuol dire armonia.
Il monaco e l’artigiano si incarnano nel presente, lo attraversano, per trovare la misura
giusta dell’armonia e cercare una saggezza
che renda abitabile questa nostra vita terrena.
Il vivere intensamente il presente li porta a
conquistare se stessi, uscire da sè e affrontare
il mondo.
Oggi la nostra vita è un continuo migrare
e migrare è sempre smantellare il centro del
mondo per entrare in un mondo perduto e disorientato di frammenti.
Dio è sempre molto attento ai dettagli e ai
frammenti: agli occhi, ai gesti, a come si fanno e si dicono le cose, al granello di senape,
alla pecora perduta, allo spicciolo della vedova.
In ogni momento di frantumazione e di crisi
Dio ci chiede di partire dai frammenti e dai
dettagli per riprendere il cammino e la nostra
dignità.
L’attenzione ai particolari appartiene a uno
4
stile di vita orientato alla profondità e all’interiorità; un dettaglio è ciò che fa commuovere, è ciò che fa innamorare o che ci fa perdere
per un momento nella vertigine dell’infinito.
Oggi dobbiamo tornare a scegliere e smettere di vivere per contrarietà, perché senza una
storia di scelte nessuna dimora può essere
una casa.
Dopo l’anno di pausa che mi aiutò ad attraversare la crisi senza scappare, decisi di tornare. Dovevo scegliere un luogo per abitare e
la scelta di Romena non è stata una scelta di
gusto, ma di intuizione, è stata eleggere un
luogo in cui le due linee della vita si incrociavano.
Ad abitare un luogo così intensamente, dopo
un pò senti che l’amore non è un luogo, ma
un modo di vivere, e la tua casa non è più
l’abitare, ma la storia non detta di una vita
vissuta.
Ogni fiore, casa, amore, lavoro è iniziato dal
palmo di una mano.
All’inizio di Romena in falegnameria creavo
icone, ma anche tavoli e altri oggetti per arredare la casa, e tutto partiva dal palmo della
mia mano. Accoglievo chiunque attento ai
dettagli e tutto partiva dal palmo della mia
mano; il palmo della mano era il crocevia
delle due linee, io e Dio, io e l’altro.
Dobbiamo tornare ad abitare la vita per far sì
che non si ripeta la triste liturgia delle stesse
parole e dei gesti di chi consuma.
Abitare la vita è permettere all’altro di abitare con te in un “luogo” che non pretende
una chiarezza senza ombra, un’identità senza
divenire, un posto fisso.
L’altro in noi deve restare di carne, vivo, mobile, senza mai trasformarlo in un’idea; bisogna scoprire i gesti o le parole che toccano
l’altro nella sua alterità.
Abitare è essere capaci di risparmiare in noi
un luogo non solo per l’altro, ma per la relazione con lui, creare uno spazio libero in cui
ciascuno si possa sentire a casa.
La pelle del palmo
ha memoria
tenace.
Foto di Massimo Schiavo
Erri De Luca
La
m e lo d ia
Di recente ti ho sentito usare questa bella
espressione: “Vivo volentieri”. Cosa significa?
È quello che sento ogni mattina al mio risveglio.
Vivo volentieri, non mi devo sforzare. E devo questo alla scelta di una vita autentica.
Cosa intendi per autenticità?
Io sono autentico quando vivo in modo semplice, essenziale. È una delle grandi lezioni che ho
imparato trascorrendo lunghi periodi in una delle
regioni più povere dell’Africa, il Lesotho: godi di
quello che hai. Questo non vuol dire che io non
sappia apprezzare le comodità: ma so che i soldi
e l’aver troppe cose mi allontana dal contatto profondo con me stesso.
Ma ti è capitato anche di vivere con fatica, di
svegliarti senza la stessa gioia?
Quando ti alzi con quel senso di depressione,
quando senti che metterti in movimento ti costa,
vuol dire che c’è qualcosa nella tua vita che non
sei te.
Tutte le volte che mi sono trovato a compiere scelte che mi allontanavano da me, che non erano autentiche, mi sono ammalato.
In che modo riesci a stare vicino a te stesso?
Ascoltando la melodia della mia vita.
Se ci si ascolta profondamente si sente come una
melodia di fondo che ci accompagna sempre.
Immagina una grande orchestra i cui strumenti, i
violini, i corni, le trombe, sono i temi di fondo, le
grandi aree d’interesse della nostra vita. Nel corso
della vita, uno di questi temi, la passione per la fisioterapia, quella per l’Africa, la musica, l’ascolto
della natura, è venuto alla ribalta, e mi sono sentito
bruciare dal desiderio di esplorarlo, di metterlo al
centro dell’orchestra, con un ruolo da solista. Ogni
volta questo tema ha avuto poi una fase di realizzazione e poi una sua conclusione, ma anche quando
ha esaurito la sua parabola è rimasto con me nella
sua essenza, come un timbro da apportare al ritornello successivo della melodia. Così ogni volta
l’orchestra trova un nuovo tema dominante, ma è
costantemente arricchita dai temi già sviluppati.
Inoltre sullo sfondo ci sono delle note costanti, che
accompagnano tutta la melodia, per me per esempio è la mia cecità, e il modo di affrontarla.
6
dell a
v i ta
Conversazione con Wolfgang Fasser
Ecco, se si riesce a riconoscere il movimento melodico che c’è dentro di noi riusciamo meglio a
compiere le scelte più giuste.
In questo momento qual è il tema dominante
nella tua melodia di vita?
Sono consapevole che in questa fase al centro della
mia vita ci sono alcuni impegni di fondo. Innanzitutto un compito di formazione: la formazione
dei miei giovani colleghi musicoterapeuti al Trillo,
la formazione dei fisioterapisti in Lesotho. Poi un
compito di apprendimento: sto partecipando a un
master di musicoterapia in Svizzera. Ricorda, che
per tenersi svegli, è bene continuare a rimettersi
sempre sui banchi di scuola.
E al cuore di questa fase c’è il compito di realizzare questa nuova esperienza di incontro e di ascolto
della Fraternità di Romena a Quorle.
Sono consapevole che altre richieste, altre opportunità io non posso seguirle, non posso soddisfarle.
Ma il fatto di aver centrato gli obiettivi che sono
più vivi dentro di me mi rende sereno, mi rende
più facile muovermi nelle mie giornate.
Non sempre però nella vita i cambiamenti hanno un ritmo così armonico…
Nella melodia della vita c’è spazio per le consonanze, ma anche per le tensioni. Le dissonanze
sono necessarie all’armonia perché tengono viva
la nostra vita, la aprono a nuovi orizzonti.
Capiterà però anche a te di compiere scelte che
non vanno nella giusta direzione. Che rapporto
hai con gli errori.
Ho compreso che gli errori esprimono il loro significato solo più avanti, lì per lì non lo vedi. Per
questo è bene lasciarli aperti, non definirli. E poi,
se è possibile, quando si è capito, bisogna provare
a condurre quella lezione verso qualcosa di positivo. Ho sempre davanti il grande esempio di Nelson
Mandela. La tragedia dell’apartheid era stata un
enorme errore e lui, per primo, ne aveva subito le
conseguenze. Ma quando divenne presidente del
Sudafrica disse chiaramente: “Il nostro compito
è di tradurre quel drammatico errore in qualcosa
di positivo di cui il Sudafrica e l’umanità intera
potranno andar orgogliosi”. E così l’apartheid finì
con uno straordinario percorso di riconciliazione.
Foto di Massimo Schiavo
I gesti essenziali
sono quelli che servono per far vivere,
evocano il pane, la casa, l’amore,
la speranza, la confidenza…
Antonietta Potente
Come una barca nel mare
di Maria Teresa Marra Abignente
Vorrei abitare la vita come una barca abita il
mare.
Leggera, sapendo di essere sostenuta dalla
carezza dell’acqua vorrei partire senza paure,
allontanandomi pian piano dalla terra verso un
orizzonte che sembra sempre più vicino, vicino
allo sguardo. Andare verso il sole e sulla sua scia
lasciarmi cullare, senza la pretesa di sapere dove
il vento mi condurrà.
Partirei come si parte sempre all’inizio del viaggio
della vita, senza altro bagaglio che la mia libertà,
lo spazio e l’eternità. E davvero mi abbandonerei
al dondolio dell’onda, certa che il suo abbraccio
mi proteggerà sempre; che non avrò fame e sete,
ma che per me fame e sete saranno saziate. La
mia culla avanzerà sicura e a me non resteranno
che paesaggi da guardare ed infinita riconoscenza.
E gli scogli fra i quali sosterò avranno il nome
di chi, con i suoi occhi, mi sprona a procedere e
mi incoraggia ad avanzare. E le spiagge dove mi
fermerò mi custodiranno con il sorriso buono ed
accogliente di chi non giudica i miei errori.
Il mare, come la vita, vuole essere sempre conquistato, a colpi di remi che fanno sanguinare
le mani o fidando nel vento favorevole; sempre
chiede fatica e attenzione e la pazienza di sopportare il sole che arde quando è mezzogiorno
e saper scrutare la lontananza. Il mare chiede di
attendere, come la vita; chiede di guardare in alto
per scoprire le stelle, anche quando velate dalle
nuvole sembrano scomparse per sempre.
Poi verrà il tempo delle burrasche e il desiderio
immenso di sfidare le onde e il vento. E quando
arriverà la paura e le onde si faranno grosse non
servirà scappare, ma anzi bisognerà andar loro
incontro. Solo così faranno meno male. In quel
momento cercherò di diventare io stessa onda e
acqua schiumeggiante; dovrò smettere di remare tentando di sfuggire e affronterò invece con
coraggio la tempesta, anche se sentirò brividi di
freddo e di paura.
8
Dovrò restare in piedi e puntare la prua diritta
verso l’onda che si prepara e si gonfia. Il sapore
dell’acqua salata che mi schiaffeggia si mescolerà
a quello delle mie lacrime.
Il mare, come la vita, vive di drammi e di naufragi: a volte però dalle profondità degli abissi
emergono tesori che solo grazie alle tempeste ci
vengono donati, rendendoli ancora più preziosi.
Così quando il sole e la calma torneranno potrò
riposare: tra le mie mani spaccate dal sale e dal
vento troverò i segni della bufera, ma anche perle inaspettate di una bellezza inestimabile e di
una purezza ignota fino ad allora. E sarò ancora
riconoscente.
Scivolerò pacata nel mare ritornato tranquillo e
avrò negli occhi la gioia di aver vinto una tempesta e sul corpo avrò le sue ferite; sarò un poco
più sicura, ma saprò anche che altre burrasche
arriveranno e che altre onde mi faranno tremare
e sussultare. Ma questo non mi fermerà.
Il mare, come la vita, è fedele verso quelli che
lo amano e allora getterò le mie reti e le tirerò su
colme: prenderò solo il necessario, solo quello
di cui ho bisogno. Il resto lo restituirò all’acqua
perché il mare vuole sentire che lo si desidera
sempre, come la vita.
Sarà bello poi al tramonto seguire il riflesso del
sole che traccerà per me la rotta da seguire: sarà
come incontrare, nel brillare dell’acqua, le mani
che mi hanno sostenuta, gli occhi fieri che mi
hanno seguita, le voci che mi hanno accarezzato
mentre lottavo.
E tutto sarà finalmente calma e pace, non rimarrà
che silenzio e quella luce indefinibile che precede
la notte. Potrò allentare la presa dai remi, lasciare
che la mia barca, seguendo il gioco scintillante
dell’ultimo sole, approdi verso l’orizzonte.
Lascerò andare zavorre e ormeggi ormai inutili,
finchè il mare, come la vita, mi prenderà tra le
sue braccia.
Non andare sempre
fino in fondo,
c’è tanto in mezzo!
Elias Canetti
D e d icato a t u t t i g l i ass e n t i
di Pier Luigi Ricci
È una dedica per tutti, anche per te.
a confrontarsi con gli altri, ad ascoltare, ad
Sembra paradossale, ma non è per niente aderire almeno un po’ alle cose prima ancora
scontato saper abitare la vita, solo per il fat- di giudicarle. Ma tuo figlio, tua moglie, i tuoi
to di trovarsi fisicamente presenti su questa amici sono altro da te e tu non puoi incaselterra.
larli, prima di incontrarli.
Ti sarà capitato tante volte di veder persone Come potrai poi abbracciare uno, se prima
che mentre parli loro sono con la testa da hai già deciso che è uno stupido? Come può
un’altra parte, oppure di conoscere coppie un uomo ricominciare con la sua donna, se
che, pur dormendo sullo stesso letto, vivono prima non ha ascoltato le sue ragioni e non
mondi e storie diverse. Ma anche noi stessi, ha deposto i suoi giudizi?
quanti film, quante conNon credo che l’essere
getture prima di entrare
umano sia un girovago
in una situazione, senza
per l’universo, credo che
La paura
accorgersi di quanto opispesso non riesca ad adenioni e pregiudizi possano
rire alle cose, perchè da
bussò alla porta.
distorcere la realtà, a vollontano pensa agli altri
La fede
te procurandoci perfino
come nemici, come prosofferenze per eventi che
blemi, senza incontrarli.
andò ad aprire.
non accadranno mai.
Per forza poi si difende.
L’essere umano è maeEd evade.
Non c’era nessuno.
stro in questo, è la sua
Le nostre giornate sono
grandezza, ma è anche
piene di innocenti e a
M. L. King
la fonte dei suoi provolte meno innocenti
blemi. Parlo di quella
evasioni. È difficile essua divina capacità di
serci, aderire alle cose e
costruire la vita, di pensarla prima ancora agli altri, appartenere. Ma è la vita. Se non
di abitarla, di renderla colorata e avvincente si appartiene non si vive.
oppure disastrosa ed infelice prima ancora Ho dedicato questo articolo agli assenti, in
di assaggiarla.
maniera affettuosa, perché siamo tutti lì.
Lo fa con l’immaginazione, con la fede, A dibattersi con tutto il peso delle nostre
lo fa con la scelta dei punti di vista, con la complicazioni, a volte nemmeno coscienti
capacità di attribuire il significato alle cose, di quanto onnipotenza e presunzione ci imdi dare un nome a tutto ciò che esiste o che pediscano di abitare la vita.
solo potrebbe esistere sulla terra. Proprio Ma si può crescere, cominciando proprio a
come quando Dio dà ad Adamo ed Eva il rimettere in discussione le nostre verità.
compito di dare un nome a tutto ciò che loro Appartenere, se da un lato vuol dire portare
vedevano intorno. Ma dà loro un confine, da il nostro contributo alla costruzione della
non oltrepassare.
realtà, dall’altro è anche lasciarsi modelE sta proprio qui il dramma: quando chia- lare, condurre, convincere dalla vita che ci
miamo verità i nostri pregiudizi. E diven- circonda. È ritrovare lo stupore di chi sa di
tiamo presuntuosi. Perché non si riesce più non sapere.
10
Foto di Massimo Schiavo
Possiamo anche lottare con Dio come Giacobbe,
dubitare e dibatterci come Giobbe,
rattristarci come Gesù e le sue amiche Marta e Maria.
Anche questi sono sentieri che portano a Dio.
Card. C. M. Martini
11
Un t e soro nascos to n e l campo
di Luigi Padovese
“Abitare la vita” significa innanzitutto “abitare
se stessi”. Mi pongo di fronte a questa affermazione con un duplice sentimento. Emozione
forte rispetto alla possibilità che mi viene offerta
e contemporaneamente sgomento rispetto a un
compito che, a prima vista, appare difficile, quasi
impossibile. In quest’ottica mi viene subito in
mente il lungo cammino professionale fatto, come
psicologo. Le tante occasioni di formazione, di
analisi, di studio, di lavoro che mi hanno aiutato
a sviluppare una maggior consapevolezza.
Penso però che ciò che più mi ha sostenuto, nel
timido tentativo di “abitare me stesso”, siano stati,
come si dice a Romena, gli incontri. Incontri con
persone, con luoghi e Comunità; con Romena e
con la Comunità delle Piagge di Firenze. E poi
ancora incontri con personaggi di cui ho letto e
riletto i libri, cercando di fare mio il loro pensiero.
Infine, in quanto più importante e trasformativo
per me e per il mio modo di essere, il re-incontro
con la migliore compagna di viaggio che potessi
trovare, mia moglie Daria e i miei figli, Roberta
e Tommaso.
Qui però vorrei chiedere aiuto a due grandi compagni di lettura e di meditazione. Padre Giovanni
Vannucci che per poco non ho conosciuto di
persona, quando mi sono trasferito a Panzano
in Chianti e Roberto Assagioli, fondatore della
psicosintesi .
Tutti e due hanno detto e scritto cose molto
simili circa l’importanza di “abitare se stessi”.
Certo, da due prospettive diverse: spirituale e
psicologica.
Assagioli, dal punto di vista della psicosintesi ci
dice che “ognuno di noi è una folla”. Ci illudiamo
cioè di essere un’entità monolitica e immutabile, mentre invece è vero il contrario. Siamo un
miscuglio di elementi contrastanti e mutevoli.
Prosegue Assagioli: “Non siamo unificati. Ne
abbiamo spesso l’illusione perché non abbiamo
vari corpi, varie membra,… ma nel nostro interno avviene metaforicamente proprio così; varie
personalità e sub personalità si azzuffano tra
loro continuamente: impulsi, desideri, principi,
aspirazioni, ideali sono in continuo tumulto”.
12
Basta pensare a come possiamo essere diversi
nelle varie situazioni. Non siamo certo gli stessi
con i genitori o con gli amici, in un funerale
piuttosto che ad un matrimonio.
Ecco che allora diventa necessario conoscere
questi diversi modi di essere, sviluppare più
consapevolezza e padronanza, saperli valorizzare
e meglio armonizzare nell’insieme della nostra
persona. In altre parole, come ci ricordava Lidia
Maggi in un recente incontro a Romena, il nostro
fine non è essere “perfetti” ma “interi”, conoscendo e dando spazio armonico a tutte quelle
caratteristiche personali che ci identificano e che
ci appartengono.
Padre Vannucci, commentando la parabola del
regno dei cieli e del tesoro nascosto nel campo,
parla anche lui di sub-personalità, naturalmente
a modo suo, da una prospettiva spirituale. E dice:
“Il campo siamo noi e il tesoro è nascosto dentro
di noi; e vi sembrerà strano, ma dobbiamo vendere tutto per comprare noi stessi”.
Proseguendo domanda a ciascuno di noi quanti
“Padroni” abbiamo? E, soprattutto, se siamo
consapevoli di averli. In effetti ne abbiamo tanti:
l’ambizioso, il prepotente, il sensuale, ecc., padroni e passioni che ci dominano e ci controllano, allontanandoci dalla nostra vera essenza ed
autenticità.
Vannucci ci invita dunque “…a scendere nel
nostro campo per ricominciare a rilevare tutti
i proprietari che se ne sono impossessati…una
volta conquistato il nostro campo, noi troveremo
il tesoro e questo tesoro darà alla nostra vita più
serenità, più forza, più pace, più armonia”.
La Psicosintesi direbbe più o meno la stessa cosa.
Prendiamo un po’ le distanze (si chiama disidentificazione) da questi atteggiamenti profondi
che ci fanno da padroni, spesso senza che noi ce
ne rendiamo conto. Impariamo a riconoscerli e
a governarli.
Riusciremo così a liberarci da questa illusione
che condiziona la nostra vita e a ritornare al nostro vero sé, tornando “a casa” e proseguendo il
cammino della nostra evoluzione.
Foto di Massimo Schiavo
Possa tanta fatica vostra
divenirvi un tesoro,
sebbene, ahimé,
siete voi stessi
velo al tesoro!
Rumi
13
L A N O S T R A C A SA È S E M P R E O LT R E
di Giovanni Vannucci*
Cristo ci dice: “Io sono la vita”. Abbiamo visto
che la vita è una mutazione continua, un passaggio incessante da una figura all’altra figura; la
permanenza della vita è garantita da questa continua morte per risorgere, morte e resurrezione,
distruzione e apparizione di una nuova figura.
Questo avviene implacabilmente nel ritmo del
tempo per tutte le cose viventi.
È avvenuto nel Cristo e avviene anche di noi che
vogliamo seguire la via del Cristo e vivere la vita
del Cristo. Dobbiamo implacabilmente essere
pronti e vigilanti alla novità che incontriamo nel
giorno che di dischiude al nostro cammino.
Ogni giorno Dio è nuovo: la chiamiamo “l’eterno dei giorni” ma Dio non ha tempo, è presente
eternamente. Per la nostra esperienza umana in
continua mutazione è presente ed è assente. Cristo
è venuto e lo attendiamo; è un paradosso questo.
Cristo è venuto, perché lo attendiamo? Diciamo:
“La seconda venuta. Attendiamo ancora che
Cristo nasca in noi. È nato a Betlemme e deve
nascere in noi…”
Se invece ci chiudiamo nelle nostre visioni religiose, corriamo il rischio di essere pietre morte
nel fluire della vita. Allora Cristo passa in noi e
noi non lo avvertiamo, non ci guarda neppure,
perché non ci sente, non siamo viventi: siamo
morti di una morte senza risurrezione.
Questa è la vita di Cristo, la realtà di Cristo, la
realtà della vita. Noi dobbiamo continuamente
confrontare il mistero di Dio, che è vita, con le
manifestazioni della vita.
Se chiudiamo Dio soltanto nell’esperienza della
nostra mente o della nostra emotività, dimenticando la realtà vivente, rischiamo di morire soffocati
dai nostri sentimenti pietistici e rischiamo di
rimanere inerti, inariditi dalle definizioni della
nostra mente.
Anche la nostra vita cristiana bisogna sia permeata da un continuo rinnovamento, dalla continua
ansia di seguire la novità di Cristo. Cristo ci passa
vicino, ci saluta, ci dice: “Va’ oltre”: E diventiamo
inquieti, agitati, finchè non sentiamo che il nostro
passo segue le orme di Cristo.
E quando gli chiediamo: “Dove abiti?”. Lui ci
dice: “Il Figlio dell’Uomo non ha una tana dove
dimorare né una pietra dove posare il capo”(Mt
8,20. Lc 9,58).
È il pellegrino eterno, qui nel tempo e nello spazio, e noi che siamo alla ricerca di Dio dobbiamo
essere i pellegrini eterni, sempre in un movimento
vitale per poter seguire le orme del maestro che
ci porta a più vita, più amore, più verità, più
saggezza, più equilibrio; e questo “più”, questo
“oltre”, che l’esperienza religiosa introduce nel
nostro organismo psicologico e mentale non
trova mai pace.
Noi cerchiamo una città che non è costruita da
mano d’uomo, ma è costruita da Dio stesso, la
Gerusalemme celeste che è oltre il tempo e oltre
lo spazio, la maturazione del nostro essere in Dio,
che è oltre il presente e non avverrà altro che nel
momento in cui il bacio di Dio si poserà sulle
nostre labbra. Allora saremo assorbiti dalla luce e
dalla vita di Dio, e avremo una vita senza fine.
Come deve essere, allora, la nostra vita cristiana?
Un avvento continuo, una continua attesa dello
Sposo che viene. Allo Sposo dobbiamo andare
incontro con le lampade accese, cioè con tutto il
nostro essere vivente, non racchiuso in nessuna
visione religiosa, perché tutte le visioni sono
buone nel momento presente, ma tutte devono
essere superate nel momento successivo.
Vorrei che sentiste così il mistero di Cristo: egli
ci chiama ad andare oltre, vuole che la nostra
vita abbia sempre accanto il segno più, mai il
segno meno.
Noi sognamo una vita più piena, più intensa,
sognamo un amore più caldo, più umano, più
esteso, più umano, sognamo una libertà sempre
maggiore, una possibilità di comunicare con
tutti gli esseri, una dilatazione di coscienza che
ci permetta di essere presenti a tutte le creature
che attualmente vivono negli sconfinati universi
che attorniano la nostra terra.
Questo aspettiamo e dobbiamo essere insofferenti fintanto che non avremo raggiunto la vera
pienezza di vita.
*Questo testo è tratto da “Il passo di Dio”, Meditazioni per l’Avvento, Edizioni Paoline, Milano, 2005
14
Foto di Eliseo Pieri
A differenza di un moralista,
Cristo non amava una teoria,
ma amava l’uomo vero.
D. Bonhoeffer
16
Foto di Elisa Vito
Sarà cristiana
la società in cui l’amore
sostituirà le leggi.
Ignazio Silone
17
CONTEMPLARE IL CREATO
di Sorella Maria di Campello
La poesia del quotidiano, i piccoli segni
di attenzione che ci invitano ad abitare
la vita sono al cuore di questo brano di
Sorella Maria, fondatrice dell’eremo di
Campello, in Umbria.
N
on mi stancherò mai di dirvi che considero
un dovere sacro quello di uscire all’aperto
e di contemplare la bellezza che ci attornia, e di
salutare i luoghi amati, e tutte le creature.
Vorrei che ognuno di noi si abituasse alla tenerezza
verso ogni creatura, e a renderle servizio.
Per esempio: passiamo nel bosco, ecco un alberello
che ha bisogno di sostegno. Ecco un ramoscello
secco, che si deve togliere dai giovani pini. L’alberello patisce se non gli si toglie il secco. Ecco i
processionali da distruggere, sui cipressi, sui pini,
sulle querce.
Ecco una pianticina di passiflora, che deve essere
aiutata nel suo abbarbicarsi. Ecco un cespuglio di
fiori solitari nel bosco e sul prato…
L’ammirazione e il rispetto ai fiori! Come vorrei
ne fossimo tutte penetrate.
Lasciamoli vivere all’aperto, e alla gioia dei nostri
occhi contemplanti!
Non sono le conversazioni spirituali o le letture
che maggiormente ci insegnano. È il nostro cuore
desto, attento, che amando può servirsi di tutto.
Come è sacro il mistero che ci avvolge, e che
miracoloso potere di amore ci tocca, ci sostenta
quanto l’aria!
Io sento il mistero sacro e il miracolo dell’amore
in un attimo di comunione col Cristo quanto nella
stella e nel passero.
Campello: via della pace
Il brano è stato scelto
nell’ambito di “Ogni giorno
2009”, l’agenda di Romena,
che quest’anno è accompagnata dallo sguardo di grandi
testimoni femminili della
spiritualità.
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E del passero avrò sempre memoria, come della
vespa che mi aspettava in cella, della farfalla che
visse con me otto giorni, della coccinella e del bruchino lucente sotto il chiostro, del grillo che mi ha
fatto compagnia per giorni e della rondinina che
mi ascoltava mentre le dicevo la mia confessione
in una vigilia della Madonna.
Ognuno di questi ricordi mi è presente, e accresce la mia venerazione pensosa verso il mistero
dell’amore.
Contentarci di poco!
Il poco, con l’amore,
giunge ad abbellire,
a gettare raggi di dolcezza
attorno.
Foto di Massimo Schiavo
Sorella Maria di Campello
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Una pace possibile
di Luca Buccheri
Una domenica pomeriggio d’autunno in dialogo con Alex Zanotelli, il missionario comboniano che
ha trascorso più di dieci anni in una baraccopoli a Nairobi, in Kenya, e da qualche anno è rientrato in
Italia scegliendo di vivere accanto ai poveri del rione Sanità di Napoli. Un incontro forte, a tratti duro,
col tenore di una testimonianza profetica innanzitutto vissuta e pagata di persona.
Non è la prima volta di Alex Zanotelli a Romena;
già 5 anni fa è stato con noi in un memorabile incontro con Pietro Ingrao, e adesso è nuovamente
qui, mentre nel mondo si agitano venti di crisi
nella finanza e in Italia inerti lavoratori immigrati
vengono massacrati da bande di criminali camorristi. «In questo contesto – domanda l’amico
giornalista e conduttore del ciclo di incontri sulle
Beatitudini, Raffaele Luise – che senso ha oggi
costruire la pace?».
«Sono tanti i segni di speranza che ci vengono
dal Sud del mondo – esordisce l’ex direttore di
Nigrizia – come il presidente del Paraguay Lugo,
vescovo, eletto dal popolo, che porta la scelta
dei poveri dopo 60 anni di dittatura…; poi un
altro presidente, Correa, dall’Equador, nella
cui Costituzione per la prima volta risulterà che
non soltanto gli uomini e le donne sono soggetti
di diritto, ma anche gli esseri viventi, la natura,
il creato».
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Assieme ai segni di speranza vi sono però molte
ombre e tristezze che riaffiorano alla mente e
rabbuiano il volto del nostro coraggioso testimone. «Porto nel cuore una grande tristezza, prima
di tutto per quello che è accaduto 2-3 giorni fa
a Castel Volturno, sul litorale domiziano, quel
massacro chiaramente di stile camorristico: 6
africani uccisi; teniamo presente che sono questi
i grandi poveri in mezzo a noi ed è incredibile
come li trattiamo… Secondo. Porto nel cuore
un’enorme tristezza per aver visto il nostro Presidente del Consiglio annunciare in televisione
che il problema dei rifiuti a Napoli è risolto. Io vi
posso dire una cosa – confida Alex, che a Napoli
ci vive ormai da diversi anni – che non solo non
è risolto, ma che il popolo campano (e non solo
napoletano) sta pagando pesantissimamente tutto
questo… e lo vedrete nei prossimi anni. Terzo.
Permettetemi di dirvi la mia amarezza per la
sconfitta che tutti noi abbiamo subito quest’esta-
te… il governo di Berlusconi, con l’approvazione Di fronte però a problemi planetari tanto grandi si
unanime dell’opposizione, il 5 agosto ha deciso corre il rischio di demoralizzarsi nel cercare cose
che l’acqua è merce e che gli usi idrici in questo concrete da fare e di cedere alla rassegnazione
paese saranno gestiti dalle multinazionali, cioè che paralizza. Ecco allora che Alex – dopo aver
dai privati».
spiegato ai presenti che fine ha fatto la mondezza
Come declinare allora la beatitudine dei “co- di Napoli e quanto grande sia ancora l’emergenza
struttori di pace” in un contesto così violento? rifiuti in Campania – raccoglie alcuni suggeriEsaminando il testo del vangelo di Matteo e di menti finali da consegnare al popolo di Romena,
Luca, Zanotelli fa notare, sottolineandolo più vol- assiepato in ogni dove nella pieve.
te, che «Gesù – e non Gandhi – è l’inventore della Sono «tre cose semplici ma importanti – conclude
nonviolenza attiva»; essa è «il rifiuto della logica appassionato con crescente vigore – 1) Basta
della violenza utilizzando
agli imballaggi! Compri
l’intelligenza a ribaltare la
un regalino piccolo così…
situazione», come nel caso
e devi buttare via tutto!
“La pace è l’uomo
del porgere l’altra guancia
I sindaci devono tassare
e questo uomo è mio fratello,
o dello spogliarsi della
le ditte che fanno tanti
propria tunica in tribunale
imballaggi. In Germail più povero di tutti i fratelli;
nel caso ti venga tolto il tuo
nia più involucri fai più
la
libertà
è
l’uomo
solo mantello. Purtroppo
tasse paghi… Dobbiamo
«noi cristiani non abbiaabolirli tutti gli imballage questo uomo è mio fratello,
mo tirato la conseguenza
gi, se non quelli proprio
il più schiavo di tutti i fratelli:
teologica della nonviolenza
essenziali. 2) Basta con
di Gesù… Essa vuol dire
la plastica! Noi al riola giustizia è l’uomo
infatti che Gesù credeva in
ne Sanità incoraggiamo
e quest’uomo è mio fratello”
un Dio nonviolento».
tutte le donne che vanno
David Maria Turoldo
Poi, citando uno dei santi
a comperare… (e non
più geniali d’Occidente,
andate nei supermercati,
che ha vissuto tra l’altro in
ma per favore…, ma non
questi luoghi della Toscana, ha spiegato il moti- siete ancora stanchi dei supermercati?). Quanvo per cui i potenti di tutto il mondo tornano ad do andate in un negozio andateci con le vostre
armarsi: «Padre – disse Francesco di Assisi nudo sportine di pelle, di iuta, come le vostre mamme
davanti al suo vescovo – se io ho, devo avere le o nonne. E dite “No, grazie” a chi vi offre buste
armi per difendere quello che ho. È tutto qui il di plastica, bicchieri di plastica ecc. 3) Basta con
problema. Perché in Occidente tanta corsa alla le bottiglie di acqua minerale! L’Italia è il paese
sicurezza? Perché abbiamo e più siamo ricchi che ha l’acqua naturale più buona al mondo; nel
e più dobbiamo difenderci. Io sono vissuto 12 giro di pochi anni è diventato il paese che beve
anni in una baraccopoli e non avete idea di cosa più acqua minerale al mondo… Ma siamo pazzi?
significhi essere ricchi, straricchi, a Nairobi… Ma sapete qual’è la regione che beve più acqua
andate a vedere le palazzine dei ricchi: muri, minerale in Italia? …la Campania…! Ma capite
filo spinato, poliziotti, cani… è chiaro, davanti quanto è assurda tutta questa roba? C’è bisogno
alla miseria devono difendersi… Ma è la stessa che cambiamo cultura tutti».
logica nostra; ecco perché politicamente paga il Alex vuole congedarci con una nota di speranza,
discorso sicurezza oggi».
la stessa che aveva aperto l’incontro: «Sta na«Non è possibile che l’11% della popolazione scendo dal basso una lotta di resistenza bella…
mondiale si pappi l’88% delle risorse disponibili. C’è una “grande svolta” possibile; andiamo
Perché ci sia la pace c’è bisogno di un minimo di avanti e diamoci tutti da fare perché vinca la
giustizia nella divisione dei beni di questo mondo. vita». Ecco una pace possibile da vivere, alla
E questa è la prima risposta che dobbiamo dare». portata di tutti.
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ALLE RADICI DELL’AMORE
di Massimo Orlandi
Quali sono le condizioni per
abitare una vita insieme? In
che modo possiamo rafforzare
le fondamenta di un amore? A Giogoli, vicino Firenze,
l’esperienza di un prete che
si fa compagno di viaggio per
tante giovani coppie, invitandole a un cammino profondo.
Una preparazione vera alla
promessa più grande e più
difficile: quella di camminare
insieme, per sempre.
Sale alto sulle colline di Scandicci il campanile di Giogoli. Come un braccio alzato, come un
invito.
Se ti avvicini trovi auto insinuate in ogni spazio
tra gli olivi che ammantano la collina.
Se entri trovi un prete che parla e fa parlare, e un
abbraccio accogliente, che sa di casa.
Dev’essere scritta nel Dna della pieve di
sant’Alessandro questa capacità di richiamo, ma
di sicuro c’entra molto anche il cammino intrapreso da don Giorgio Mazzanti e dai suoi compagni di viaggio. In questo cammino uno spazio
speciale è stato riservato a chi cerca di condividere insieme gioie e dolori di una vita.
All’inizio galeotta era la bellezza antica delle
chiesa, il panorama dominante sulla piana. Ma a
don Giorgio convinceva poco questa processione di futuri sposi che sceglievano Giogoli specie
per la foto con vista. “Più che altro non volevo
sposare persone anonime. Volevo incontrarli,
camminare con loro”. Sul solco degli incontri
pre-matrimoniali classici veniva gettato il seme
di un cammino in profondità.
Per le coppie quel tempo non era certo il pedaggio necessario per sposarsi nella chiesa prescelta,
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ma un vero viaggio di vita. Accadeva non di rado
che quel mettersi a nudo interrompesse anzitempo il progetto di vita a due.
E questo accade anche oggi, ogni tanto, proprio
perché il corso di Giogoli è basato su un cammino che tocca le corde più profonde. Ma negli
anni è cresciuta soprattutto la consapevolezza del
valore di questa esperienza: in questi anni di disgregazione anticipata di troppe unioni, di esplosione dei nuclei familiari, i ragazzi, spiega don
Giorgio, hanno sempre più voglia di stimolarsi
a vicenda per vedere se la barca che stanno allestendo ha la forza per affrontare i venti, a volte
turbolenti, di una vita. E il corso non è certamente la prova del nove, ma certamente un aiuto a
essere più consapevoli del loro percorso, senza
lesinare provocazioni, specie nei primi incontri:
“Quando domando, perché ti vuoi sposare? Per
amore mi si risponde spesso. Ma cosa vuol dire
amare? insisto, perché per amore si possono fare
tante cose, non è detto che ogni tipo di amore sia
un amore nuziale”.
Non è in un’affettività senza radici o in un sentimentalismo di superficie, non nell’esigenza di
coprire i reciproci vuoti affettivi la linfa che può
alimentare un rapporto duraturo. Ci vuole altro.
Don Giorgio individua le radici da piantare per
dare stabilità a un viaggio a due:
“Io credo che l’innamoramento sia la percezione
della dimensione profonda di se stessi e dell’altro. Questa conoscenza intima, profonda, vera,
è necessaria perché l’amore possa esprimersi e
consentire a ciascuno di espandersi nella totalità
del potenziale che ha dentro. Perché, questo è il
fine dell’amore, la tua donna, il tuo uomo, ti deve
portare alla piena realizzazione di te stesso”.
Di fronte a questo cammino di conoscenza si
innalzano, spesso, le resistenze più forti delle
coppie, perché ciascuno ha paura di vedere il suo
vuoto, i suoi aspetti negativi, e perché spaventa
l’ingresso nella dimensione più intima, ma anche
più vera dell’altro: “Durante
uno degli incontri chiediamo
di mettersi in silenzio, a lungo,
uno di fronte all’altra, senza far nulla, senza dir nulla:
e questo momento, nella sua
semplicità, diventa molto difficile quando si ha paura di entrare nel silenzio dell’altro”.
C’è una seconda radice che,
per don Giorgio, deve essere
ben salda per favorire un viaggio a due. È la radice che è rivolta verso il futuro, verso ciò che
si ha davanti, che non si può vedere, ma che si
dovrà vivere insieme. “Cosa vi tiene uniti? Qual
è il vostro progetto di vita? Spesso le coppie rispondono indicando di avere in comune cose
molto concrete, magari le stesse idee per il tempo libero, e obiettivi chiari e concreti: una casa,
un figlio. Ma ciò che conta, alla lunga, non è il
singolo obiettivo, è avere un orizzonte, una prospettiva di vita condivisa. Questo sguardo aperto
e condiviso sul futuro è necessario, perché è illusorio pensare che l’amore possa permettere di
superare ogni differenza”.
Al radicamento dell’amore serve ancora una
componente: la disponibilità a sostenere anche
la fatica dello stare insieme. “Di solito uso questo esempio: quando impari a suonare la chitarra, le corde ti possono far venire le vesciche
alle dita. Ma se non vuoi farti venire le vesciche
non imparerai mai a suonare. C’è un callo che
è necessario farsi per suonare la melodia dello
stare insieme. Chi ci sta davanti può anche farci resistenza, ma questa tensione, scomoda, può
contenere l’ invito a incontrare sempre di più noi
stessi e quindi a realizzarci ancora di più.”
Conoscenza di sé e dell’altro, spinta a guardare oltre, capacità di affrontare anche le tensioni:
sono le basi di una coppia, sono in fondo ciò che
serve in ogni relazione umana, sociale. Per questo don Giorgio sente così prezioso questo lavoro
sulla coppia: chi lo sperimenta nel suo viaggio a
due, potrà trasportare le stesse dinamiche nella
sua vita con gli altri. “È più facile che chi si è
ben equipaggiato nella vita a due sappia vivere meglio anche nella società.
Chi ha impostato bene questo
primo, essenziale grado di
socialità intuisce che ciò che
ha trovato per sé è anche ciò
che serve nella società. È la
prima spinta a giocare questo
percorso di coppia portando
in spazi più vasti, nel lavoro,
nel sociale, questo bisogno di
rapporti più veri, più liberi”.
Ogni anno molte decine di coppie rispondono
al richiamo del campanile di Giogoli. Ma ora la
bellezza del luogo non è più coreografia, è un
paesaggio interiore, voluto, conquistato, atteso.
E don Giorgio? A lui cosa resta della festa? “Una
gioia profonda, la gioia di aver accompagnato
quelle persone e di averle viste per certi aspetti
nascere e poi sbocciare insieme”.
È un innamoramento contagioso. Ti fa rinascere
ogni volta. Parla a ogni tipo di amore. Ti aiuta
a riconoscerti nel tuo. “Fin dall’inizio ho sempre sentito che l’amore nuziale riguarda tutti, ha
a che fare con la profondità del cuore di ogni
uomo”. Perché, in fondo, da quando Dio ti mette
in vita, ti invita alle nozze con Lui.
Ognuno, a suo modo, è sposo. Ciò che conta è
che l’amore sia profondo, vero, libero e liberante.
Perchè, è il saluto di don Giorgio “Solo l’amore
che si tuffa nell’infinito trova l’infinito”.
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Natale, il mistero della fragilità
di Angelo Casati*
Oggi scrivo di padri, di madri e di bambini. E non
solo perché le sere stanno allungando le ombre
e l’aria odora, come già fosse vigilia di Natale.
Scrivo di padri, di madri, di bambini perché questi miei giorni sono affollati di volti. Di padri, di
madri e di bambini.
Oggi mi sono incantato, ultimo e non ultimo di
innumerevoli incantamenti, per come Stefano
teneva tra le braccia Maddalena, la sua piccola
cucciola, e per come Elisa, la madre, la teneva
negli occhi neri. Dopo giornate a sapore di attese
e di nascite, di grembi colmi e di sconfinamenti
alla luce di bimbi. Dopo visite in chiesa di giovani
donne incinte, a rischio di nascita, che affidano
un grembo alla tua preghiera – mancano pochi
giorni, mancano solo ore – ecco ora gli annunci
che bucano lunghe attese: è un bimbo, è una bimba, è una coppia di gemelli. Ora tutti messi alla
luce e hanno un nome. E anche lui, come tutti, ed
era figlio di Dio, messo alla luce, lui che era la
luce, dopo avere abitato nove mesi di tenerezza
d’ombra. Anche lui in un gesto di affidamento,
che è la vita. E ci furono mani quella notte, ci
furono fasce e la mangiatoia. Come se Dio non
avesse chiesto di più per nascere. Come se volesse insegnare che la vita è consegnarsi ad una
promessa. Se non ti affidi, muori in un grembo.
Se, prima di uscire alla luce, vuoi il programma,
non uscirai mai. Esci affidandoti.
Senza un atto di fiducia rimaniamo nel grembo.
Senza un atto di fiducia nella vita, la vita senza
aggettivi, la vita così come accadrà. Insegnamento prezioso che sta nell’umido degli occhi
di ogni bambino, in quello sguardo senza ombre
e senza pretesa. Insegnamento urgente per un
tempo come il nostro che sta segnalandosi come
la stagione di una accentuata diffidenza, come
la stagione del calcolo esasperato, del controllo
ossessivo. Anche per questo le barche rimangono
a riva. Non si accetta l’avventura di traversate a
rischio di vento e di flutti, a rischio dell’imprevedibile. A riva, le vele afflosciate, senza respiro di
vento, senza trascinamento di passione.
* Il testo di Angelo Casati è tratto dal sito www.sullasoglia.it
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Mi sembra oggi di leggere una sorta di esitazione Da quella notte Dio diede appuntamento nella
a confidare, ad abbandonarsi. Non voglio entrare fragilità degli umani. Purtroppo lungo i secoli si
nei motivi di questo disagio che sono molteplici e persistette a cercarlo da altre parti, anche le chiepossono avere anche una loro serietà. Può essere se lo cercarono e ancora lo cercano da altre parti,
una sfida lasciare il sicuro, la terra in cui stai, il nel segno di modelli vincenti, in modelli disumani
paese conosciuto, per un viaggio che non puoi di perfezione. Ma è perdere l’appuntamento. Che
immaginare. Abbandonandoti. Ma immaginiamo è nella debolezza e nella fragilità.
come sarebbe triste, triste e spenta, una gene- Non vergognartene. Né della tua né di quella
razione che si muovesse solo a una condizione: degli altri. Dio l’ha sposata, sposata per sempre,
avere una garanzia in mano.
quella notte. E tutta la vita,
La vita, dicevo, ha nel suo
la sua – leggi il vangelo –
“dna” l’abbandonarsi. Gesù
fu un chinarsi sul mistero
Asino e bue
ci propone il bambino, non
della fragilità. Ha dato
siamo tutti, o Signore,
certo per la sua innocenza
appuntamento, non cercarlo
muso dietro muso,
che non potremmo imitare,
altrove, mancheresti l’apa fissare il mistero.
ma per la sua capacità di
puntamento con Dio. Che è
abbandonarsi. È così che si
nella fragilità della carne di
Mistero di ruvida
cresce nella vita. Se da picun neonato. Guardalo, non
coli non ci fossimo affidati,
occorre altro per amarlo.
e povera paglia
saremmo ancora al nastro
È ancora nudo dei mille
e giorni senza luce
di partenza. È dando fiducia
orpelli umani, non ha altro
droghe senza speranza.
che noi cresciamo e viviamo.
titolo che quello di un essere
Viene dagli occhi umidi dei
umano, un titolo che apparEssere, mio Dio,
bimbi questo invito a latiene a tutti, il vero grande
asino e bue
sciare, a rischiare, ad aver
titolo, il solo che Dio ha
fiducia. Pena l’intristirsi in
onorato. Ogni essere umano
col fiato sospeso
un porto da cui non si ha mai
da onorare dunque nella
a godere il mistero.
il coraggio di salpare.
sua fragilità e debolezza,
Ma la Nascita, le nascite ci
da amare nudo, per come
Noi siamo, Signore,
fanno chini anche su un altro
è, soffio del vivente in una
il tuo vivente presepe,
mistero, quello delle fragilifragile tenda di carne.
siamo la paglia
tà. Su un mistero di fragilità
Non ti è chiesto altro, non
si chinarono nella notte Maaltri prerequisiti, perché
su cui coricarti ancora.
ria e Giuseppe. Ogni madre
tu possa chinarti e adorare
e ogni padre chini, come ad
il mistero. Anche questo è
adorare una vita che è soffio in pochi palmi di un insegnamento urgente, in controtendenza in
mani, le tue mani. Sfiori e quasi è paura di strin- stagioni di disprezzo o di obnubilamento del
gere, tanto la carne ha segno di debolezza. Ma rispetto. Sacro per ogni creatura. Va custodita
il mistero della fragilità, che abita ogni nascita una luce negli occhi. La Nascita, le nascite racdi un cucciolo d’uomo, si inarcò a dismisura, la contano, ogni volta che accadono, questo mistero
notte delle notti, e sembravano chinarsi i cieli in di una fragilità d’amare, di cui prendersi cura,
un trasalire di stelle. O era forse dare nomi di da custodire.
cieli e di stelle al trasalire degli occhi e del cuore Creare vicinanza sembra essere invito buono,
che navigavano nel mistero delle notte? Mistero profumo di pane nei nostri inquieti giorni. Non
di una fragilità umana sposata da Dio. Che Dio sempre, quasi mai, ci sarà dato di togliere dalle
avesse scelto per la sua visita alla terra non la spalle dell’altro il peso della vita. Neppure a Gesù
modalità fragorosa e solenne, accecante, privi- riuscì tanto! Non sempre poté i miracoli, ma semlegio degli dei pagani, ma l’ingresso nel segno pre raccontò con i suoi occhi la vicinanza. Ora
della debolezza e della fragilità, era sì segno da tocca a noi raccontarla. Con i nostri occhi.
far stupire gli occhi e il cielo.
25
Il viaggio della VEGLIA DI ROMENA
Abitare la Vita
35
incontri
nelle varie cittˆ
per ritrovarci
e continuare
il cammino
26
SIENA
ore 21,00
28 Gennaio
ore 21,00
4 Febbraio
ore 21,00
10 Febbraio
ore 21,00
11 Febbraio
ore 21,00
16 Febbraio
ore 21,00
17 Febbraio
ore 21,00
18 Febbraio
ore 21,00
25 Febbraio
ore 20,30
9 Marzo
ore 20,30
10 Marzo
ore 20,30
11 Marzo
ore 20,30
12 Marzo
ore 20,30
13 Marzo
ore 21,00
24 Marzo
ore 21,00
25 Marzo
Piccole sorelle, via Acque Salvie - Tre fontane - EUR ore 21,00
26 Marzo
Parrocchia di SOVICILLE - p.zza Marconi
AREZZO
Parrocchia di Saione
GROSSETO
Centro giovanile Salesiani - via degli Apostoli 1
LIVORNO
Parrocchia di S. Caterina - p.zza dei Domenicani
BOLOGNA
Santa Maria della Pace - p.zza del Baraccano
IMOLA
Convento dei Cappuccini
PESARO
Pieve Santo Stefano - CANDELARA
LE PIAGGE (FI)
Comunità delle Piagge
MARtINA FRANCA
Chiesa S. Antonio ai Cappuccini
LECCE - GALATONE
Parrocchia S. Francesco D’Assisi - via Metello
BARI
Chiesa di S. Marcello
ALTAMURA
Chiesa S. Sabino - Loc. FORNELLO
San severo (FG)
Casa Ecumenica
NAPOLI
Istituto Maria Ausiliatrice - via Cimarosa - Vomero
FONDI (LT)
Santuario Madonna della Rocca
ROMA
27
Verso il Natale
Tre domeniche di avvento, tre occasioni di festa, di accoglienza, di
incontro. Domenica 7, 14 e 21 dicembre Romena si prepara al Natale
attraverso tre proposte di condivisione.
Incontri
Prima della Messa ci ritroviamo nella sala del camino per una riflessione sui temi del
Natale. Un modo per prepararci e per riflettere sul significato e il valore della festa.
7 dicembre, ore 15
14 dicembre, ore 15
21 dicembre, ore 15
Dio dei gesti
Aderire alla vita
Dio si fa carne
Diventare concreti
Dio in cammino
In viaggio verso se stessi
con Pier Luigi Ricci
con Luigi Verdi
con Gianni Marmorini
Mercatino
Come ogni anno nel nostro mercatino si possono trovare piccoli doni, oggetti artigianali,
pensieri semplici e, naturalmente, i nostri libri. Un modo per conservare l’idea del regalo
restituendolo a una dimensione più spontanea, più semplice, meno costosa.
dalle 14,30
Accoglienza
Dopo la messa delle 16.30 è bello fermarsi ancora un po’ per una cioccolata calda,
una fetta di torta da condividere, un momento di vicinanza con buoni sapori e tanta
amicizia.
Naturalmente poi ci ritroveremo tutti insieme la notte di Natale alle ore 22.30
per la messa con cui accogliere la nascita di Gesù.
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Il Giornalino
Un regalo di Natale
per il nostro giornalino
Da dodici anni il giornalino di Romena
arriva gratuitamente nelle case di tutti coloro
che hanno partecipato alle nostre attività, dei loro
amici, di chi, semplicemente ce lo richiede.
Stiamo per arrivare a quota 10.000 copie. È un risultato
bellissimo che vogliamo custodire e coltivare, allargando
questo luogo d’incontro a tanti altri amici. Per far questo,
però, abbiamo anche bisogno di voi. Per poter continuare a
proseguire su questa strada di condivisione, senza alcun impegno
o abbonamento, sarebbe prezioso un vostro piccolo aiuto.
Immaginate: un regalo di Natale per il nostro giornalino. Che ne pensate? Se volete,
trovate il bollettino di conto corrente al centro anche di questo numero.
Grazie, di cuore
Agenda
OGNI GIORNO 2009
Con gli occhi delle donne
Ritorna l’agenda di Romena. Sarà la
sensibilità femminile a guidare lo scorrere
del tempo del prossimo anno: Antonietta
Potente, Christiane Singer, Sorella Maria,
Etty Hillesum, Maria Zambrano ed altre
donne ci regalano il loro sguardo sulla
profondità della vita. Con un aforisma,
una poesia, con un commento “vivo” del
Vangelo accompagnamo il nuovo anno.
Un piccolo regalo per Ogni Giorno.
A Romena e in libreria € 14,00 - ISBN: 978-88-89669-27-3
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GRAFFITI
ono nel porticato dell’ospedale St. Gemma a Dodoma, aspetto che una suora mi
porti dei ricevutari da riempire ed osservo le persone che man mano arrivano. Molti di
loro per giungere lì, avere una diagnosi ed essere
curati si sono dovuti alzare molto presto, affrontando, magari febbricitanti, diversi km a piedi. Ci
sono anche molte giovani madri con bambini,
sorretti sulle loro schiene con una tela particolare
chiamata Kanga, per lo più affetti da malaria, talvolta da AIDS. Le loro facce sono comprensibilmente stanche, ma non affrante. Un’inspiegabile
energia le sostiene, diritte e dignitose nel loro dolore e nella loro povertà. A metà mattinata il porticato è pieno di malati, educatamente e silenziosamente in fila, in attesa del loro turno per essere
visitati o per ricevere il “dispensing bag” (piccola
bustina trasparente) con il giusto numero di pillole prescritte. Non c’è bisogno della macchinetta
col numero stile Coop: nessuno discute o si sogna
di non rispettare la fila.
Mi vengono in mente le innumerevoli volte che
per le strade del centro livornese ho visto mamme con vestiti firmati, spalle tatuate e piercing
che spingevano passeggini con bambini di 3 o 4
anni mentre, animosamente, si lamentavano per
futilità con le loro amiche; oppure rivedo altre
scene di “ordinaria follia” e mi sorge spontanea
una domanda: qual è il mondo “civile”?! Qual
è il mondo che permette di vivere la vita nei
suoi aspetti più autentici? Qual è il mondo che
permette all’uomo di accettare la vita in modo
dignitoso, nell’umiltà e nel rispetto di se stesso
e degli altri?
S
30
In quel mese all’ospedale ho sperimentato di
persona il senso di impotenza che la povertà ti
mette di fronte, povertà che lascerebbe inerte
chiunque di noi, ma non loro, loro, le “sisters”
erano diverse, con naturalezza si rimboccavano
le maniche senza commenti, senza lamentarsi,
inventando sempre nuovi stratagemmi per far
rendere al meglio quel poco che c’era, sempre
col sorriso sulle labbra e la battuta pronta, senza
perdere la voglia di comunicare e rallegrare le
consorelle, magari raccontando la visita in città
alla Casa Madre, così come se fosse una novella.
Per un mese spalla a spalla con le suore, grazie
al loro calore e alla loro accoglienza, ho potuto
affrontare serenamente situazioni di disagio che
altrimenti avrei saputo gestire con difficoltà. Non
ero andata tanto per dare, quanto per imparare e
sono stata accontentata a piene mani.
Car la
to imparando, forse per la prima volta,
ad “abitare la vita”: verità, fedeltà, tornare ad innamorarsi.
Per la prima volta dopo tanto tempo mi riapproprio del mio centro, del mio respiro e, finalmente
mi sento, mi percepisco; e veramente mi sento
viva….
Fedele a me stessa, alla mia unicità, all’energia
e luce interiore che mi appartiene per diritto di
nascita, quale creatura d’amore, figlia dell’Altissimo.
Lentamente mi sciolgo dagli attaccamenti, dai
bisogni, dalle paure, dalle dipendenze, per sentirmi in un’onda d’amore che mi penetra l’anima, che mi fa sentire già a casa e innamorata.
Elisa
S
a nostra struttura biologica è fatta per
abitare la vita; dalla più piccola cellula
ai sistemi complessi del nostro corpo si
svolge un processo di trasformazione, moltiplicazione, movimento, morte e rigenerazione che
crea l’armonia del nostro essere.
Abitare la vita è sentire che lei scorre dentro di
noi come il nostro sangue ed è in un certo senso
più forte di noi, di tutti i nostri dubbi e certezze,
del nostro amore e dei nostri vuoti, perché mentre noi pensiamo, organizziamo, tratteniamo,
camminiamo, continua il suo corso dentro di noi
e ci supporta anche nel nostro abitarla senza attenzione.
Questa mancanza di attenzione alla vita spesso
ci accompagna, perché la riteniamo “normale”; è
normale vivere, è normale ciò che ci accade.
Io credo che la vita non sia normalità, ma naturalità fatta di bellissime differenze.
Siamo fatti per abitare la nostra unicità dando
attenzione a tutto ciò che avviene dentro e fuori
di noi.
La normalità è chiudere la vita nella norma, nella
L
legge, è omologarla e giudicarla, mentre la naturalità è lasciarsi portare dalla vita immergendosi
in essa come in una forza viva che tutto abbraccia e accompagna. La normalità giudica la vita e
la rinchiude nei propri schemi, la naturalità è un
lasciarsi guidare e giudicare dalla vita sapendo
che alla fine ciò che accade è più forte.
Abitare la naturalità della vita è non avere paura
di lei, ma lasciarla scorrere consapevoli che c’è
posto per ciascuno e per ogni diversità, perché
in natura ogni cosa è unica e le differenze sono
imperfezioni che creano bellezza.
Quando ho fiducia in questo, nonostante le difficoltà della mia vita, mi sento al mio posto; ciò
che faccio nel mio lavoro, in casa, nelle relazioni
ha attenzione ed è calmo.
Guardo i miei figli e ho fiducia che anche la loro
vita è forte e sarà sempre più abitata (come quella di mia figlia, che è incinta) e, nonostante si
siano formati nel mio utero, comprendo la novità
e originalità delle loro esistenze, anche se capirlo non è facile…
Monica
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a Marzo approfondirà il tema:
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M i avvicino a te e ritrovo
ciò che ho perduto,
Mi sorridi e ritrovo
ciò che ho amato.
Foto di Massimo Schiavo
Luigi Verdi
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