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Abitare la vita - Fraternità di Romena
Tariffa Assoc. Senza Fini di Lucro: Poste Italiane S.P.A - In A.P -D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/ 2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB/43/2004 - Arezzo - Anno XII n° 4/2008 Abitare la vita 1 3 6 Primapagina Nel palmo della mano 4 Come una barca nel mare 8 La melodia della vita 10 Dedicato a tutti gli assenti Un tesoro nascosto nel campo 12 SOMMARIO 14 La nostra casa è sempre oltre Contemplare il creato 18 Alle radici dell’amore 22 20 Una pace possibile 24 Natale, il mistero della fragilità Il viaggio della veglia di Romena 26 28 Verso il Natale Graffiti trimestrale Anno XII - Numero 4 - Dicembre 2008 REDAZIONE località Romena, 1 - 52015 Pratovecchio (AR) tel./fax 0575/582060 www.romena.it e-mail: [email protected] DIRETTORE RESPONSABILE: Massimo Orlandi REDAZIONE e GRAFICA: Simone Pieri, Alessandro Bartolini Massimo Schiavo FOTO: Massimo Schiavo, Eliseo Pieri, Piero Checcaglini, Elisa Vito Copertina: Massimo Schiavo Hanno collaborato: Luigi Verdi, Pier Luigi Ricci, Maria Teresa Abignente, Luca Buccheri, Luigi Padovese, Wolfgang Fasser. Filiale E.P.I. 52100 Arezzo Aut. N. 14 del 8/10/1996 30 Nevica. Nevica dolcemente, il vento si culla ogni fiocco. Nevica sul Casentino, il grigio chiaro del cielo si tuffa nel bianco della valle. Nevica, e una coperta lieve copre ogni rumore, se cammini senti anche i tuoi passi, affondano morbidi, fanno musica. “Abitare la vita” dice il tema di questo numero. Per me, in questo momento, vuol dire imparare ad ascoltarla meglio. Non so se in questo bisogno si riconosce anche qualcuno di voi. So che questo tema si può sviluppare solo uno ad uno, ciascuno dal luogo dove si trova la sua vita, ciascuno indirizzandosi verso ciò di cui sente l’assenza. La vita da abitare non è solamente quella che viviamo, è il nostro presente nutrito anche dal richiamo del futuro. Dov’è che spinge la vostra vela? Cosa vi manca per sentirvi più autentici, più vicini a voi stessi, alla vostra vita? Ora tocca a voi svolgere, nella vostra intimità, questo stesso tema. Se volete, vi posso offrire un po’ di questa neve, la sua carezza di pace, il suo tempo senza tempo, il suo profumo di domani, sotto una scorza bianca di silenzio. Può essere un buon aiuto per il vostro ascolto interiore. Di sicuro è anche un modo perché possiate immaginare la nostra Romena imbiancata, come in una cartolina di auguri inviata al cuore di ciascuno di voi. Massimo Orlandi PRIMAPAGINA Penso alle tante nevicate cui ho assistito. Ti affacci fuori, e devi restare dentro. Hai mille cose da fare, e puoi solo aspettare. Senti quell’evento come una violenza. Come se la natura ti obbligasse ad accorgerti di lei. Poi passa. Ti scopri a seguire la scia infuocata delle braci sul camino, a scrivere una lettera a un amico, ti riesce anche di giocare, come un bambino, all’aperto. E non ti ricordi neanche perché, fino a poco prima, ti tormentava la tua ansia. Le sbarre sono sparite, ti consegni volentieri a quell’oceano di pace e di bellezza. Associo questa nevicata a una recente esperienza. Durante un corso che sto facendo con la Compagnia delle Arti di Romena, ci è stato chiesto di metterci a coppie e di ascoltarci. Per cinque minuti uno dei due doveva parlare e l’altro star lì, occhi negli occhi, senza voltarsi, senza annuire, senza ribattere. L’amica che doveva farlo con me la conosco da anni. In quei cinque minuti ho visto di più. Non mi sfuggiva nulla, le sue parole scolpite, gli occhi che salivano e scendevano, i suoi capelli, e come erano pettinati, il sorriso accennato e l’onda del suo volto in movimento. Ho visto un mondo anche se quel mondo lo avevo sempre avuto a portata di mano. Ha scritto padre Balducci che è l’ascolto, l’ascolto del mondo e degli altri, che ci permette di uscire dal nostro “monologo” e di entrare nella grande sinfonia dell’universo. Sento che il mio ascolto è spesso prigioniero della mia emotività o del mio attivismo, che il mio “monologo” nasce da quella frenesia del fare che distribuisce ciò che sento solo in funzione del bisogno, solo in previsione della sua efficacia. Si può andare oltre, sento il bisogno dell’oltre. E quest’oltre è in un orizzonte più vasto e profondo dell’ascolto, capace di farmi incontrare nuove note nella sinfonia dell’universo. Me lo dice una nevicata, me lo ha comunicato un’amica. N e l pa l mo d e l l a mano di Luigi Verdi Spesso ciò che ci è familiare non lo conosciamo, perché è sempre sotto i nostri occhi e perché l’enfasi eccessiva delle ripetizioni rende scontati i modi di fare, gli atteggiamenti e gli obiettivi. Gli aspetti per noi più importanti delle cose sono nascosti dalla loro semplicità e quotidianità. Minima Moralia di Adorno, uno dei più bei libri scritti sulla vita quotidiana, aveva come sottotitolo “Riflessioni di una vita offesa”. La vita quotidiana è così il teatro di una tensione costante, un insieme di pratiche, di ambienti, di relazioni. Ci si attrezza a vivere con l’incertezza, elaborando volta a volta strategie utili a eliminare dall’orizzonte ciò che procura ansia. In questa vita offesa, se vogliamo rimane in piedi e non essere travolti, dobbiamo prendere esempio dallo stile di vita del monaco e dell’artigiano. Per loro prioritario è il presente, il Kairòs, che vuol dire armonia. Il monaco e l’artigiano si incarnano nel presente, lo attraversano, per trovare la misura giusta dell’armonia e cercare una saggezza che renda abitabile questa nostra vita terrena. Il vivere intensamente il presente li porta a conquistare se stessi, uscire da sè e affrontare il mondo. Oggi la nostra vita è un continuo migrare e migrare è sempre smantellare il centro del mondo per entrare in un mondo perduto e disorientato di frammenti. Dio è sempre molto attento ai dettagli e ai frammenti: agli occhi, ai gesti, a come si fanno e si dicono le cose, al granello di senape, alla pecora perduta, allo spicciolo della vedova. In ogni momento di frantumazione e di crisi Dio ci chiede di partire dai frammenti e dai dettagli per riprendere il cammino e la nostra dignità. L’attenzione ai particolari appartiene a uno 4 stile di vita orientato alla profondità e all’interiorità; un dettaglio è ciò che fa commuovere, è ciò che fa innamorare o che ci fa perdere per un momento nella vertigine dell’infinito. Oggi dobbiamo tornare a scegliere e smettere di vivere per contrarietà, perché senza una storia di scelte nessuna dimora può essere una casa. Dopo l’anno di pausa che mi aiutò ad attraversare la crisi senza scappare, decisi di tornare. Dovevo scegliere un luogo per abitare e la scelta di Romena non è stata una scelta di gusto, ma di intuizione, è stata eleggere un luogo in cui le due linee della vita si incrociavano. Ad abitare un luogo così intensamente, dopo un pò senti che l’amore non è un luogo, ma un modo di vivere, e la tua casa non è più l’abitare, ma la storia non detta di una vita vissuta. Ogni fiore, casa, amore, lavoro è iniziato dal palmo di una mano. All’inizio di Romena in falegnameria creavo icone, ma anche tavoli e altri oggetti per arredare la casa, e tutto partiva dal palmo della mia mano. Accoglievo chiunque attento ai dettagli e tutto partiva dal palmo della mia mano; il palmo della mano era il crocevia delle due linee, io e Dio, io e l’altro. Dobbiamo tornare ad abitare la vita per far sì che non si ripeta la triste liturgia delle stesse parole e dei gesti di chi consuma. Abitare la vita è permettere all’altro di abitare con te in un “luogo” che non pretende una chiarezza senza ombra, un’identità senza divenire, un posto fisso. L’altro in noi deve restare di carne, vivo, mobile, senza mai trasformarlo in un’idea; bisogna scoprire i gesti o le parole che toccano l’altro nella sua alterità. Abitare è essere capaci di risparmiare in noi un luogo non solo per l’altro, ma per la relazione con lui, creare uno spazio libero in cui ciascuno si possa sentire a casa. La pelle del palmo ha memoria tenace. Foto di Massimo Schiavo Erri De Luca La m e lo d ia Di recente ti ho sentito usare questa bella espressione: “Vivo volentieri”. Cosa significa? È quello che sento ogni mattina al mio risveglio. Vivo volentieri, non mi devo sforzare. E devo questo alla scelta di una vita autentica. Cosa intendi per autenticità? Io sono autentico quando vivo in modo semplice, essenziale. È una delle grandi lezioni che ho imparato trascorrendo lunghi periodi in una delle regioni più povere dell’Africa, il Lesotho: godi di quello che hai. Questo non vuol dire che io non sappia apprezzare le comodità: ma so che i soldi e l’aver troppe cose mi allontana dal contatto profondo con me stesso. Ma ti è capitato anche di vivere con fatica, di svegliarti senza la stessa gioia? Quando ti alzi con quel senso di depressione, quando senti che metterti in movimento ti costa, vuol dire che c’è qualcosa nella tua vita che non sei te. Tutte le volte che mi sono trovato a compiere scelte che mi allontanavano da me, che non erano autentiche, mi sono ammalato. In che modo riesci a stare vicino a te stesso? Ascoltando la melodia della mia vita. Se ci si ascolta profondamente si sente come una melodia di fondo che ci accompagna sempre. Immagina una grande orchestra i cui strumenti, i violini, i corni, le trombe, sono i temi di fondo, le grandi aree d’interesse della nostra vita. Nel corso della vita, uno di questi temi, la passione per la fisioterapia, quella per l’Africa, la musica, l’ascolto della natura, è venuto alla ribalta, e mi sono sentito bruciare dal desiderio di esplorarlo, di metterlo al centro dell’orchestra, con un ruolo da solista. Ogni volta questo tema ha avuto poi una fase di realizzazione e poi una sua conclusione, ma anche quando ha esaurito la sua parabola è rimasto con me nella sua essenza, come un timbro da apportare al ritornello successivo della melodia. Così ogni volta l’orchestra trova un nuovo tema dominante, ma è costantemente arricchita dai temi già sviluppati. Inoltre sullo sfondo ci sono delle note costanti, che accompagnano tutta la melodia, per me per esempio è la mia cecità, e il modo di affrontarla. 6 dell a v i ta Conversazione con Wolfgang Fasser Ecco, se si riesce a riconoscere il movimento melodico che c’è dentro di noi riusciamo meglio a compiere le scelte più giuste. In questo momento qual è il tema dominante nella tua melodia di vita? Sono consapevole che in questa fase al centro della mia vita ci sono alcuni impegni di fondo. Innanzitutto un compito di formazione: la formazione dei miei giovani colleghi musicoterapeuti al Trillo, la formazione dei fisioterapisti in Lesotho. Poi un compito di apprendimento: sto partecipando a un master di musicoterapia in Svizzera. Ricorda, che per tenersi svegli, è bene continuare a rimettersi sempre sui banchi di scuola. E al cuore di questa fase c’è il compito di realizzare questa nuova esperienza di incontro e di ascolto della Fraternità di Romena a Quorle. Sono consapevole che altre richieste, altre opportunità io non posso seguirle, non posso soddisfarle. Ma il fatto di aver centrato gli obiettivi che sono più vivi dentro di me mi rende sereno, mi rende più facile muovermi nelle mie giornate. Non sempre però nella vita i cambiamenti hanno un ritmo così armonico… Nella melodia della vita c’è spazio per le consonanze, ma anche per le tensioni. Le dissonanze sono necessarie all’armonia perché tengono viva la nostra vita, la aprono a nuovi orizzonti. Capiterà però anche a te di compiere scelte che non vanno nella giusta direzione. Che rapporto hai con gli errori. Ho compreso che gli errori esprimono il loro significato solo più avanti, lì per lì non lo vedi. Per questo è bene lasciarli aperti, non definirli. E poi, se è possibile, quando si è capito, bisogna provare a condurre quella lezione verso qualcosa di positivo. Ho sempre davanti il grande esempio di Nelson Mandela. La tragedia dell’apartheid era stata un enorme errore e lui, per primo, ne aveva subito le conseguenze. Ma quando divenne presidente del Sudafrica disse chiaramente: “Il nostro compito è di tradurre quel drammatico errore in qualcosa di positivo di cui il Sudafrica e l’umanità intera potranno andar orgogliosi”. E così l’apartheid finì con uno straordinario percorso di riconciliazione. Foto di Massimo Schiavo I gesti essenziali sono quelli che servono per far vivere, evocano il pane, la casa, l’amore, la speranza, la confidenza… Antonietta Potente Come una barca nel mare di Maria Teresa Marra Abignente Vorrei abitare la vita come una barca abita il mare. Leggera, sapendo di essere sostenuta dalla carezza dell’acqua vorrei partire senza paure, allontanandomi pian piano dalla terra verso un orizzonte che sembra sempre più vicino, vicino allo sguardo. Andare verso il sole e sulla sua scia lasciarmi cullare, senza la pretesa di sapere dove il vento mi condurrà. Partirei come si parte sempre all’inizio del viaggio della vita, senza altro bagaglio che la mia libertà, lo spazio e l’eternità. E davvero mi abbandonerei al dondolio dell’onda, certa che il suo abbraccio mi proteggerà sempre; che non avrò fame e sete, ma che per me fame e sete saranno saziate. La mia culla avanzerà sicura e a me non resteranno che paesaggi da guardare ed infinita riconoscenza. E gli scogli fra i quali sosterò avranno il nome di chi, con i suoi occhi, mi sprona a procedere e mi incoraggia ad avanzare. E le spiagge dove mi fermerò mi custodiranno con il sorriso buono ed accogliente di chi non giudica i miei errori. Il mare, come la vita, vuole essere sempre conquistato, a colpi di remi che fanno sanguinare le mani o fidando nel vento favorevole; sempre chiede fatica e attenzione e la pazienza di sopportare il sole che arde quando è mezzogiorno e saper scrutare la lontananza. Il mare chiede di attendere, come la vita; chiede di guardare in alto per scoprire le stelle, anche quando velate dalle nuvole sembrano scomparse per sempre. Poi verrà il tempo delle burrasche e il desiderio immenso di sfidare le onde e il vento. E quando arriverà la paura e le onde si faranno grosse non servirà scappare, ma anzi bisognerà andar loro incontro. Solo così faranno meno male. In quel momento cercherò di diventare io stessa onda e acqua schiumeggiante; dovrò smettere di remare tentando di sfuggire e affronterò invece con coraggio la tempesta, anche se sentirò brividi di freddo e di paura. 8 Dovrò restare in piedi e puntare la prua diritta verso l’onda che si prepara e si gonfia. Il sapore dell’acqua salata che mi schiaffeggia si mescolerà a quello delle mie lacrime. Il mare, come la vita, vive di drammi e di naufragi: a volte però dalle profondità degli abissi emergono tesori che solo grazie alle tempeste ci vengono donati, rendendoli ancora più preziosi. Così quando il sole e la calma torneranno potrò riposare: tra le mie mani spaccate dal sale e dal vento troverò i segni della bufera, ma anche perle inaspettate di una bellezza inestimabile e di una purezza ignota fino ad allora. E sarò ancora riconoscente. Scivolerò pacata nel mare ritornato tranquillo e avrò negli occhi la gioia di aver vinto una tempesta e sul corpo avrò le sue ferite; sarò un poco più sicura, ma saprò anche che altre burrasche arriveranno e che altre onde mi faranno tremare e sussultare. Ma questo non mi fermerà. Il mare, come la vita, è fedele verso quelli che lo amano e allora getterò le mie reti e le tirerò su colme: prenderò solo il necessario, solo quello di cui ho bisogno. Il resto lo restituirò all’acqua perché il mare vuole sentire che lo si desidera sempre, come la vita. Sarà bello poi al tramonto seguire il riflesso del sole che traccerà per me la rotta da seguire: sarà come incontrare, nel brillare dell’acqua, le mani che mi hanno sostenuta, gli occhi fieri che mi hanno seguita, le voci che mi hanno accarezzato mentre lottavo. E tutto sarà finalmente calma e pace, non rimarrà che silenzio e quella luce indefinibile che precede la notte. Potrò allentare la presa dai remi, lasciare che la mia barca, seguendo il gioco scintillante dell’ultimo sole, approdi verso l’orizzonte. Lascerò andare zavorre e ormeggi ormai inutili, finchè il mare, come la vita, mi prenderà tra le sue braccia. Non andare sempre fino in fondo, c’è tanto in mezzo! Elias Canetti D e d icato a t u t t i g l i ass e n t i di Pier Luigi Ricci È una dedica per tutti, anche per te. a confrontarsi con gli altri, ad ascoltare, ad Sembra paradossale, ma non è per niente aderire almeno un po’ alle cose prima ancora scontato saper abitare la vita, solo per il fat- di giudicarle. Ma tuo figlio, tua moglie, i tuoi to di trovarsi fisicamente presenti su questa amici sono altro da te e tu non puoi incaselterra. larli, prima di incontrarli. Ti sarà capitato tante volte di veder persone Come potrai poi abbracciare uno, se prima che mentre parli loro sono con la testa da hai già deciso che è uno stupido? Come può un’altra parte, oppure di conoscere coppie un uomo ricominciare con la sua donna, se che, pur dormendo sullo stesso letto, vivono prima non ha ascoltato le sue ragioni e non mondi e storie diverse. Ma anche noi stessi, ha deposto i suoi giudizi? quanti film, quante conNon credo che l’essere getture prima di entrare umano sia un girovago in una situazione, senza per l’universo, credo che La paura accorgersi di quanto opispesso non riesca ad adenioni e pregiudizi possano rire alle cose, perchè da bussò alla porta. distorcere la realtà, a vollontano pensa agli altri La fede te procurandoci perfino come nemici, come prosofferenze per eventi che blemi, senza incontrarli. andò ad aprire. non accadranno mai. Per forza poi si difende. L’essere umano è maeEd evade. Non c’era nessuno. stro in questo, è la sua Le nostre giornate sono grandezza, ma è anche piene di innocenti e a M. L. King la fonte dei suoi provolte meno innocenti blemi. Parlo di quella evasioni. È difficile essua divina capacità di serci, aderire alle cose e costruire la vita, di pensarla prima ancora agli altri, appartenere. Ma è la vita. Se non di abitarla, di renderla colorata e avvincente si appartiene non si vive. oppure disastrosa ed infelice prima ancora Ho dedicato questo articolo agli assenti, in di assaggiarla. maniera affettuosa, perché siamo tutti lì. Lo fa con l’immaginazione, con la fede, A dibattersi con tutto il peso delle nostre lo fa con la scelta dei punti di vista, con la complicazioni, a volte nemmeno coscienti capacità di attribuire il significato alle cose, di quanto onnipotenza e presunzione ci imdi dare un nome a tutto ciò che esiste o che pediscano di abitare la vita. solo potrebbe esistere sulla terra. Proprio Ma si può crescere, cominciando proprio a come quando Dio dà ad Adamo ed Eva il rimettere in discussione le nostre verità. compito di dare un nome a tutto ciò che loro Appartenere, se da un lato vuol dire portare vedevano intorno. Ma dà loro un confine, da il nostro contributo alla costruzione della non oltrepassare. realtà, dall’altro è anche lasciarsi modelE sta proprio qui il dramma: quando chia- lare, condurre, convincere dalla vita che ci miamo verità i nostri pregiudizi. E diven- circonda. È ritrovare lo stupore di chi sa di tiamo presuntuosi. Perché non si riesce più non sapere. 10 Foto di Massimo Schiavo Possiamo anche lottare con Dio come Giacobbe, dubitare e dibatterci come Giobbe, rattristarci come Gesù e le sue amiche Marta e Maria. Anche questi sono sentieri che portano a Dio. Card. C. M. Martini 11 Un t e soro nascos to n e l campo di Luigi Padovese “Abitare la vita” significa innanzitutto “abitare se stessi”. Mi pongo di fronte a questa affermazione con un duplice sentimento. Emozione forte rispetto alla possibilità che mi viene offerta e contemporaneamente sgomento rispetto a un compito che, a prima vista, appare difficile, quasi impossibile. In quest’ottica mi viene subito in mente il lungo cammino professionale fatto, come psicologo. Le tante occasioni di formazione, di analisi, di studio, di lavoro che mi hanno aiutato a sviluppare una maggior consapevolezza. Penso però che ciò che più mi ha sostenuto, nel timido tentativo di “abitare me stesso”, siano stati, come si dice a Romena, gli incontri. Incontri con persone, con luoghi e Comunità; con Romena e con la Comunità delle Piagge di Firenze. E poi ancora incontri con personaggi di cui ho letto e riletto i libri, cercando di fare mio il loro pensiero. Infine, in quanto più importante e trasformativo per me e per il mio modo di essere, il re-incontro con la migliore compagna di viaggio che potessi trovare, mia moglie Daria e i miei figli, Roberta e Tommaso. Qui però vorrei chiedere aiuto a due grandi compagni di lettura e di meditazione. Padre Giovanni Vannucci che per poco non ho conosciuto di persona, quando mi sono trasferito a Panzano in Chianti e Roberto Assagioli, fondatore della psicosintesi . Tutti e due hanno detto e scritto cose molto simili circa l’importanza di “abitare se stessi”. Certo, da due prospettive diverse: spirituale e psicologica. Assagioli, dal punto di vista della psicosintesi ci dice che “ognuno di noi è una folla”. Ci illudiamo cioè di essere un’entità monolitica e immutabile, mentre invece è vero il contrario. Siamo un miscuglio di elementi contrastanti e mutevoli. Prosegue Assagioli: “Non siamo unificati. Ne abbiamo spesso l’illusione perché non abbiamo vari corpi, varie membra,… ma nel nostro interno avviene metaforicamente proprio così; varie personalità e sub personalità si azzuffano tra loro continuamente: impulsi, desideri, principi, aspirazioni, ideali sono in continuo tumulto”. 12 Basta pensare a come possiamo essere diversi nelle varie situazioni. Non siamo certo gli stessi con i genitori o con gli amici, in un funerale piuttosto che ad un matrimonio. Ecco che allora diventa necessario conoscere questi diversi modi di essere, sviluppare più consapevolezza e padronanza, saperli valorizzare e meglio armonizzare nell’insieme della nostra persona. In altre parole, come ci ricordava Lidia Maggi in un recente incontro a Romena, il nostro fine non è essere “perfetti” ma “interi”, conoscendo e dando spazio armonico a tutte quelle caratteristiche personali che ci identificano e che ci appartengono. Padre Vannucci, commentando la parabola del regno dei cieli e del tesoro nascosto nel campo, parla anche lui di sub-personalità, naturalmente a modo suo, da una prospettiva spirituale. E dice: “Il campo siamo noi e il tesoro è nascosto dentro di noi; e vi sembrerà strano, ma dobbiamo vendere tutto per comprare noi stessi”. Proseguendo domanda a ciascuno di noi quanti “Padroni” abbiamo? E, soprattutto, se siamo consapevoli di averli. In effetti ne abbiamo tanti: l’ambizioso, il prepotente, il sensuale, ecc., padroni e passioni che ci dominano e ci controllano, allontanandoci dalla nostra vera essenza ed autenticità. Vannucci ci invita dunque “…a scendere nel nostro campo per ricominciare a rilevare tutti i proprietari che se ne sono impossessati…una volta conquistato il nostro campo, noi troveremo il tesoro e questo tesoro darà alla nostra vita più serenità, più forza, più pace, più armonia”. La Psicosintesi direbbe più o meno la stessa cosa. Prendiamo un po’ le distanze (si chiama disidentificazione) da questi atteggiamenti profondi che ci fanno da padroni, spesso senza che noi ce ne rendiamo conto. Impariamo a riconoscerli e a governarli. Riusciremo così a liberarci da questa illusione che condiziona la nostra vita e a ritornare al nostro vero sé, tornando “a casa” e proseguendo il cammino della nostra evoluzione. Foto di Massimo Schiavo Possa tanta fatica vostra divenirvi un tesoro, sebbene, ahimé, siete voi stessi velo al tesoro! Rumi 13 L A N O S T R A C A SA È S E M P R E O LT R E di Giovanni Vannucci* Cristo ci dice: “Io sono la vita”. Abbiamo visto che la vita è una mutazione continua, un passaggio incessante da una figura all’altra figura; la permanenza della vita è garantita da questa continua morte per risorgere, morte e resurrezione, distruzione e apparizione di una nuova figura. Questo avviene implacabilmente nel ritmo del tempo per tutte le cose viventi. È avvenuto nel Cristo e avviene anche di noi che vogliamo seguire la via del Cristo e vivere la vita del Cristo. Dobbiamo implacabilmente essere pronti e vigilanti alla novità che incontriamo nel giorno che di dischiude al nostro cammino. Ogni giorno Dio è nuovo: la chiamiamo “l’eterno dei giorni” ma Dio non ha tempo, è presente eternamente. Per la nostra esperienza umana in continua mutazione è presente ed è assente. Cristo è venuto e lo attendiamo; è un paradosso questo. Cristo è venuto, perché lo attendiamo? Diciamo: “La seconda venuta. Attendiamo ancora che Cristo nasca in noi. È nato a Betlemme e deve nascere in noi…” Se invece ci chiudiamo nelle nostre visioni religiose, corriamo il rischio di essere pietre morte nel fluire della vita. Allora Cristo passa in noi e noi non lo avvertiamo, non ci guarda neppure, perché non ci sente, non siamo viventi: siamo morti di una morte senza risurrezione. Questa è la vita di Cristo, la realtà di Cristo, la realtà della vita. Noi dobbiamo continuamente confrontare il mistero di Dio, che è vita, con le manifestazioni della vita. Se chiudiamo Dio soltanto nell’esperienza della nostra mente o della nostra emotività, dimenticando la realtà vivente, rischiamo di morire soffocati dai nostri sentimenti pietistici e rischiamo di rimanere inerti, inariditi dalle definizioni della nostra mente. Anche la nostra vita cristiana bisogna sia permeata da un continuo rinnovamento, dalla continua ansia di seguire la novità di Cristo. Cristo ci passa vicino, ci saluta, ci dice: “Va’ oltre”: E diventiamo inquieti, agitati, finchè non sentiamo che il nostro passo segue le orme di Cristo. E quando gli chiediamo: “Dove abiti?”. Lui ci dice: “Il Figlio dell’Uomo non ha una tana dove dimorare né una pietra dove posare il capo”(Mt 8,20. Lc 9,58). È il pellegrino eterno, qui nel tempo e nello spazio, e noi che siamo alla ricerca di Dio dobbiamo essere i pellegrini eterni, sempre in un movimento vitale per poter seguire le orme del maestro che ci porta a più vita, più amore, più verità, più saggezza, più equilibrio; e questo “più”, questo “oltre”, che l’esperienza religiosa introduce nel nostro organismo psicologico e mentale non trova mai pace. Noi cerchiamo una città che non è costruita da mano d’uomo, ma è costruita da Dio stesso, la Gerusalemme celeste che è oltre il tempo e oltre lo spazio, la maturazione del nostro essere in Dio, che è oltre il presente e non avverrà altro che nel momento in cui il bacio di Dio si poserà sulle nostre labbra. Allora saremo assorbiti dalla luce e dalla vita di Dio, e avremo una vita senza fine. Come deve essere, allora, la nostra vita cristiana? Un avvento continuo, una continua attesa dello Sposo che viene. Allo Sposo dobbiamo andare incontro con le lampade accese, cioè con tutto il nostro essere vivente, non racchiuso in nessuna visione religiosa, perché tutte le visioni sono buone nel momento presente, ma tutte devono essere superate nel momento successivo. Vorrei che sentiste così il mistero di Cristo: egli ci chiama ad andare oltre, vuole che la nostra vita abbia sempre accanto il segno più, mai il segno meno. Noi sognamo una vita più piena, più intensa, sognamo un amore più caldo, più umano, più esteso, più umano, sognamo una libertà sempre maggiore, una possibilità di comunicare con tutti gli esseri, una dilatazione di coscienza che ci permetta di essere presenti a tutte le creature che attualmente vivono negli sconfinati universi che attorniano la nostra terra. Questo aspettiamo e dobbiamo essere insofferenti fintanto che non avremo raggiunto la vera pienezza di vita. *Questo testo è tratto da “Il passo di Dio”, Meditazioni per l’Avvento, Edizioni Paoline, Milano, 2005 14 Foto di Eliseo Pieri A differenza di un moralista, Cristo non amava una teoria, ma amava l’uomo vero. D. Bonhoeffer 16 Foto di Elisa Vito Sarà cristiana la società in cui l’amore sostituirà le leggi. Ignazio Silone 17 CONTEMPLARE IL CREATO di Sorella Maria di Campello La poesia del quotidiano, i piccoli segni di attenzione che ci invitano ad abitare la vita sono al cuore di questo brano di Sorella Maria, fondatrice dell’eremo di Campello, in Umbria. N on mi stancherò mai di dirvi che considero un dovere sacro quello di uscire all’aperto e di contemplare la bellezza che ci attornia, e di salutare i luoghi amati, e tutte le creature. Vorrei che ognuno di noi si abituasse alla tenerezza verso ogni creatura, e a renderle servizio. Per esempio: passiamo nel bosco, ecco un alberello che ha bisogno di sostegno. Ecco un ramoscello secco, che si deve togliere dai giovani pini. L’alberello patisce se non gli si toglie il secco. Ecco i processionali da distruggere, sui cipressi, sui pini, sulle querce. Ecco una pianticina di passiflora, che deve essere aiutata nel suo abbarbicarsi. Ecco un cespuglio di fiori solitari nel bosco e sul prato… L’ammirazione e il rispetto ai fiori! Come vorrei ne fossimo tutte penetrate. Lasciamoli vivere all’aperto, e alla gioia dei nostri occhi contemplanti! Non sono le conversazioni spirituali o le letture che maggiormente ci insegnano. È il nostro cuore desto, attento, che amando può servirsi di tutto. Come è sacro il mistero che ci avvolge, e che miracoloso potere di amore ci tocca, ci sostenta quanto l’aria! Io sento il mistero sacro e il miracolo dell’amore in un attimo di comunione col Cristo quanto nella stella e nel passero. Campello: via della pace Il brano è stato scelto nell’ambito di “Ogni giorno 2009”, l’agenda di Romena, che quest’anno è accompagnata dallo sguardo di grandi testimoni femminili della spiritualità. 18 E del passero avrò sempre memoria, come della vespa che mi aspettava in cella, della farfalla che visse con me otto giorni, della coccinella e del bruchino lucente sotto il chiostro, del grillo che mi ha fatto compagnia per giorni e della rondinina che mi ascoltava mentre le dicevo la mia confessione in una vigilia della Madonna. Ognuno di questi ricordi mi è presente, e accresce la mia venerazione pensosa verso il mistero dell’amore. Contentarci di poco! Il poco, con l’amore, giunge ad abbellire, a gettare raggi di dolcezza attorno. Foto di Massimo Schiavo Sorella Maria di Campello 19 Una pace possibile di Luca Buccheri Una domenica pomeriggio d’autunno in dialogo con Alex Zanotelli, il missionario comboniano che ha trascorso più di dieci anni in una baraccopoli a Nairobi, in Kenya, e da qualche anno è rientrato in Italia scegliendo di vivere accanto ai poveri del rione Sanità di Napoli. Un incontro forte, a tratti duro, col tenore di una testimonianza profetica innanzitutto vissuta e pagata di persona. Non è la prima volta di Alex Zanotelli a Romena; già 5 anni fa è stato con noi in un memorabile incontro con Pietro Ingrao, e adesso è nuovamente qui, mentre nel mondo si agitano venti di crisi nella finanza e in Italia inerti lavoratori immigrati vengono massacrati da bande di criminali camorristi. «In questo contesto – domanda l’amico giornalista e conduttore del ciclo di incontri sulle Beatitudini, Raffaele Luise – che senso ha oggi costruire la pace?». «Sono tanti i segni di speranza che ci vengono dal Sud del mondo – esordisce l’ex direttore di Nigrizia – come il presidente del Paraguay Lugo, vescovo, eletto dal popolo, che porta la scelta dei poveri dopo 60 anni di dittatura…; poi un altro presidente, Correa, dall’Equador, nella cui Costituzione per la prima volta risulterà che non soltanto gli uomini e le donne sono soggetti di diritto, ma anche gli esseri viventi, la natura, il creato». 20 Assieme ai segni di speranza vi sono però molte ombre e tristezze che riaffiorano alla mente e rabbuiano il volto del nostro coraggioso testimone. «Porto nel cuore una grande tristezza, prima di tutto per quello che è accaduto 2-3 giorni fa a Castel Volturno, sul litorale domiziano, quel massacro chiaramente di stile camorristico: 6 africani uccisi; teniamo presente che sono questi i grandi poveri in mezzo a noi ed è incredibile come li trattiamo… Secondo. Porto nel cuore un’enorme tristezza per aver visto il nostro Presidente del Consiglio annunciare in televisione che il problema dei rifiuti a Napoli è risolto. Io vi posso dire una cosa – confida Alex, che a Napoli ci vive ormai da diversi anni – che non solo non è risolto, ma che il popolo campano (e non solo napoletano) sta pagando pesantissimamente tutto questo… e lo vedrete nei prossimi anni. Terzo. Permettetemi di dirvi la mia amarezza per la sconfitta che tutti noi abbiamo subito quest’esta- te… il governo di Berlusconi, con l’approvazione Di fronte però a problemi planetari tanto grandi si unanime dell’opposizione, il 5 agosto ha deciso corre il rischio di demoralizzarsi nel cercare cose che l’acqua è merce e che gli usi idrici in questo concrete da fare e di cedere alla rassegnazione paese saranno gestiti dalle multinazionali, cioè che paralizza. Ecco allora che Alex – dopo aver dai privati». spiegato ai presenti che fine ha fatto la mondezza Come declinare allora la beatitudine dei “co- di Napoli e quanto grande sia ancora l’emergenza struttori di pace” in un contesto così violento? rifiuti in Campania – raccoglie alcuni suggeriEsaminando il testo del vangelo di Matteo e di menti finali da consegnare al popolo di Romena, Luca, Zanotelli fa notare, sottolineandolo più vol- assiepato in ogni dove nella pieve. te, che «Gesù – e non Gandhi – è l’inventore della Sono «tre cose semplici ma importanti – conclude nonviolenza attiva»; essa è «il rifiuto della logica appassionato con crescente vigore – 1) Basta della violenza utilizzando agli imballaggi! Compri l’intelligenza a ribaltare la un regalino piccolo così… situazione», come nel caso e devi buttare via tutto! “La pace è l’uomo del porgere l’altra guancia I sindaci devono tassare e questo uomo è mio fratello, o dello spogliarsi della le ditte che fanno tanti propria tunica in tribunale imballaggi. In Germail più povero di tutti i fratelli; nel caso ti venga tolto il tuo nia più involucri fai più la libertà è l’uomo solo mantello. Purtroppo tasse paghi… Dobbiamo «noi cristiani non abbiaabolirli tutti gli imballage questo uomo è mio fratello, mo tirato la conseguenza gi, se non quelli proprio il più schiavo di tutti i fratelli: teologica della nonviolenza essenziali. 2) Basta con di Gesù… Essa vuol dire la plastica! Noi al riola giustizia è l’uomo infatti che Gesù credeva in ne Sanità incoraggiamo e quest’uomo è mio fratello” un Dio nonviolento». tutte le donne che vanno David Maria Turoldo Poi, citando uno dei santi a comperare… (e non più geniali d’Occidente, andate nei supermercati, che ha vissuto tra l’altro in ma per favore…, ma non questi luoghi della Toscana, ha spiegato il moti- siete ancora stanchi dei supermercati?). Quanvo per cui i potenti di tutto il mondo tornano ad do andate in un negozio andateci con le vostre armarsi: «Padre – disse Francesco di Assisi nudo sportine di pelle, di iuta, come le vostre mamme davanti al suo vescovo – se io ho, devo avere le o nonne. E dite “No, grazie” a chi vi offre buste armi per difendere quello che ho. È tutto qui il di plastica, bicchieri di plastica ecc. 3) Basta con problema. Perché in Occidente tanta corsa alla le bottiglie di acqua minerale! L’Italia è il paese sicurezza? Perché abbiamo e più siamo ricchi che ha l’acqua naturale più buona al mondo; nel e più dobbiamo difenderci. Io sono vissuto 12 giro di pochi anni è diventato il paese che beve anni in una baraccopoli e non avete idea di cosa più acqua minerale al mondo… Ma siamo pazzi? significhi essere ricchi, straricchi, a Nairobi… Ma sapete qual’è la regione che beve più acqua andate a vedere le palazzine dei ricchi: muri, minerale in Italia? …la Campania…! Ma capite filo spinato, poliziotti, cani… è chiaro, davanti quanto è assurda tutta questa roba? C’è bisogno alla miseria devono difendersi… Ma è la stessa che cambiamo cultura tutti». logica nostra; ecco perché politicamente paga il Alex vuole congedarci con una nota di speranza, discorso sicurezza oggi». la stessa che aveva aperto l’incontro: «Sta na«Non è possibile che l’11% della popolazione scendo dal basso una lotta di resistenza bella… mondiale si pappi l’88% delle risorse disponibili. C’è una “grande svolta” possibile; andiamo Perché ci sia la pace c’è bisogno di un minimo di avanti e diamoci tutti da fare perché vinca la giustizia nella divisione dei beni di questo mondo. vita». Ecco una pace possibile da vivere, alla E questa è la prima risposta che dobbiamo dare». portata di tutti. 21 ALLE RADICI DELL’AMORE di Massimo Orlandi Quali sono le condizioni per abitare una vita insieme? In che modo possiamo rafforzare le fondamenta di un amore? A Giogoli, vicino Firenze, l’esperienza di un prete che si fa compagno di viaggio per tante giovani coppie, invitandole a un cammino profondo. Una preparazione vera alla promessa più grande e più difficile: quella di camminare insieme, per sempre. Sale alto sulle colline di Scandicci il campanile di Giogoli. Come un braccio alzato, come un invito. Se ti avvicini trovi auto insinuate in ogni spazio tra gli olivi che ammantano la collina. Se entri trovi un prete che parla e fa parlare, e un abbraccio accogliente, che sa di casa. Dev’essere scritta nel Dna della pieve di sant’Alessandro questa capacità di richiamo, ma di sicuro c’entra molto anche il cammino intrapreso da don Giorgio Mazzanti e dai suoi compagni di viaggio. In questo cammino uno spazio speciale è stato riservato a chi cerca di condividere insieme gioie e dolori di una vita. All’inizio galeotta era la bellezza antica delle chiesa, il panorama dominante sulla piana. Ma a don Giorgio convinceva poco questa processione di futuri sposi che sceglievano Giogoli specie per la foto con vista. “Più che altro non volevo sposare persone anonime. Volevo incontrarli, camminare con loro”. Sul solco degli incontri pre-matrimoniali classici veniva gettato il seme di un cammino in profondità. Per le coppie quel tempo non era certo il pedaggio necessario per sposarsi nella chiesa prescelta, 22 ma un vero viaggio di vita. Accadeva non di rado che quel mettersi a nudo interrompesse anzitempo il progetto di vita a due. E questo accade anche oggi, ogni tanto, proprio perché il corso di Giogoli è basato su un cammino che tocca le corde più profonde. Ma negli anni è cresciuta soprattutto la consapevolezza del valore di questa esperienza: in questi anni di disgregazione anticipata di troppe unioni, di esplosione dei nuclei familiari, i ragazzi, spiega don Giorgio, hanno sempre più voglia di stimolarsi a vicenda per vedere se la barca che stanno allestendo ha la forza per affrontare i venti, a volte turbolenti, di una vita. E il corso non è certamente la prova del nove, ma certamente un aiuto a essere più consapevoli del loro percorso, senza lesinare provocazioni, specie nei primi incontri: “Quando domando, perché ti vuoi sposare? Per amore mi si risponde spesso. Ma cosa vuol dire amare? insisto, perché per amore si possono fare tante cose, non è detto che ogni tipo di amore sia un amore nuziale”. Non è in un’affettività senza radici o in un sentimentalismo di superficie, non nell’esigenza di coprire i reciproci vuoti affettivi la linfa che può alimentare un rapporto duraturo. Ci vuole altro. Don Giorgio individua le radici da piantare per dare stabilità a un viaggio a due: “Io credo che l’innamoramento sia la percezione della dimensione profonda di se stessi e dell’altro. Questa conoscenza intima, profonda, vera, è necessaria perché l’amore possa esprimersi e consentire a ciascuno di espandersi nella totalità del potenziale che ha dentro. Perché, questo è il fine dell’amore, la tua donna, il tuo uomo, ti deve portare alla piena realizzazione di te stesso”. Di fronte a questo cammino di conoscenza si innalzano, spesso, le resistenze più forti delle coppie, perché ciascuno ha paura di vedere il suo vuoto, i suoi aspetti negativi, e perché spaventa l’ingresso nella dimensione più intima, ma anche più vera dell’altro: “Durante uno degli incontri chiediamo di mettersi in silenzio, a lungo, uno di fronte all’altra, senza far nulla, senza dir nulla: e questo momento, nella sua semplicità, diventa molto difficile quando si ha paura di entrare nel silenzio dell’altro”. C’è una seconda radice che, per don Giorgio, deve essere ben salda per favorire un viaggio a due. È la radice che è rivolta verso il futuro, verso ciò che si ha davanti, che non si può vedere, ma che si dovrà vivere insieme. “Cosa vi tiene uniti? Qual è il vostro progetto di vita? Spesso le coppie rispondono indicando di avere in comune cose molto concrete, magari le stesse idee per il tempo libero, e obiettivi chiari e concreti: una casa, un figlio. Ma ciò che conta, alla lunga, non è il singolo obiettivo, è avere un orizzonte, una prospettiva di vita condivisa. Questo sguardo aperto e condiviso sul futuro è necessario, perché è illusorio pensare che l’amore possa permettere di superare ogni differenza”. Al radicamento dell’amore serve ancora una componente: la disponibilità a sostenere anche la fatica dello stare insieme. “Di solito uso questo esempio: quando impari a suonare la chitarra, le corde ti possono far venire le vesciche alle dita. Ma se non vuoi farti venire le vesciche non imparerai mai a suonare. C’è un callo che è necessario farsi per suonare la melodia dello stare insieme. Chi ci sta davanti può anche farci resistenza, ma questa tensione, scomoda, può contenere l’ invito a incontrare sempre di più noi stessi e quindi a realizzarci ancora di più.” Conoscenza di sé e dell’altro, spinta a guardare oltre, capacità di affrontare anche le tensioni: sono le basi di una coppia, sono in fondo ciò che serve in ogni relazione umana, sociale. Per questo don Giorgio sente così prezioso questo lavoro sulla coppia: chi lo sperimenta nel suo viaggio a due, potrà trasportare le stesse dinamiche nella sua vita con gli altri. “È più facile che chi si è ben equipaggiato nella vita a due sappia vivere meglio anche nella società. Chi ha impostato bene questo primo, essenziale grado di socialità intuisce che ciò che ha trovato per sé è anche ciò che serve nella società. È la prima spinta a giocare questo percorso di coppia portando in spazi più vasti, nel lavoro, nel sociale, questo bisogno di rapporti più veri, più liberi”. Ogni anno molte decine di coppie rispondono al richiamo del campanile di Giogoli. Ma ora la bellezza del luogo non è più coreografia, è un paesaggio interiore, voluto, conquistato, atteso. E don Giorgio? A lui cosa resta della festa? “Una gioia profonda, la gioia di aver accompagnato quelle persone e di averle viste per certi aspetti nascere e poi sbocciare insieme”. È un innamoramento contagioso. Ti fa rinascere ogni volta. Parla a ogni tipo di amore. Ti aiuta a riconoscerti nel tuo. “Fin dall’inizio ho sempre sentito che l’amore nuziale riguarda tutti, ha a che fare con la profondità del cuore di ogni uomo”. Perché, in fondo, da quando Dio ti mette in vita, ti invita alle nozze con Lui. Ognuno, a suo modo, è sposo. Ciò che conta è che l’amore sia profondo, vero, libero e liberante. Perchè, è il saluto di don Giorgio “Solo l’amore che si tuffa nell’infinito trova l’infinito”. 23 Natale, il mistero della fragilità di Angelo Casati* Oggi scrivo di padri, di madri e di bambini. E non solo perché le sere stanno allungando le ombre e l’aria odora, come già fosse vigilia di Natale. Scrivo di padri, di madri, di bambini perché questi miei giorni sono affollati di volti. Di padri, di madri e di bambini. Oggi mi sono incantato, ultimo e non ultimo di innumerevoli incantamenti, per come Stefano teneva tra le braccia Maddalena, la sua piccola cucciola, e per come Elisa, la madre, la teneva negli occhi neri. Dopo giornate a sapore di attese e di nascite, di grembi colmi e di sconfinamenti alla luce di bimbi. Dopo visite in chiesa di giovani donne incinte, a rischio di nascita, che affidano un grembo alla tua preghiera – mancano pochi giorni, mancano solo ore – ecco ora gli annunci che bucano lunghe attese: è un bimbo, è una bimba, è una coppia di gemelli. Ora tutti messi alla luce e hanno un nome. E anche lui, come tutti, ed era figlio di Dio, messo alla luce, lui che era la luce, dopo avere abitato nove mesi di tenerezza d’ombra. Anche lui in un gesto di affidamento, che è la vita. E ci furono mani quella notte, ci furono fasce e la mangiatoia. Come se Dio non avesse chiesto di più per nascere. Come se volesse insegnare che la vita è consegnarsi ad una promessa. Se non ti affidi, muori in un grembo. Se, prima di uscire alla luce, vuoi il programma, non uscirai mai. Esci affidandoti. Senza un atto di fiducia rimaniamo nel grembo. Senza un atto di fiducia nella vita, la vita senza aggettivi, la vita così come accadrà. Insegnamento prezioso che sta nell’umido degli occhi di ogni bambino, in quello sguardo senza ombre e senza pretesa. Insegnamento urgente per un tempo come il nostro che sta segnalandosi come la stagione di una accentuata diffidenza, come la stagione del calcolo esasperato, del controllo ossessivo. Anche per questo le barche rimangono a riva. Non si accetta l’avventura di traversate a rischio di vento e di flutti, a rischio dell’imprevedibile. A riva, le vele afflosciate, senza respiro di vento, senza trascinamento di passione. * Il testo di Angelo Casati è tratto dal sito www.sullasoglia.it 24 Mi sembra oggi di leggere una sorta di esitazione Da quella notte Dio diede appuntamento nella a confidare, ad abbandonarsi. Non voglio entrare fragilità degli umani. Purtroppo lungo i secoli si nei motivi di questo disagio che sono molteplici e persistette a cercarlo da altre parti, anche le chiepossono avere anche una loro serietà. Può essere se lo cercarono e ancora lo cercano da altre parti, una sfida lasciare il sicuro, la terra in cui stai, il nel segno di modelli vincenti, in modelli disumani paese conosciuto, per un viaggio che non puoi di perfezione. Ma è perdere l’appuntamento. Che immaginare. Abbandonandoti. Ma immaginiamo è nella debolezza e nella fragilità. come sarebbe triste, triste e spenta, una gene- Non vergognartene. Né della tua né di quella razione che si muovesse solo a una condizione: degli altri. Dio l’ha sposata, sposata per sempre, avere una garanzia in mano. quella notte. E tutta la vita, La vita, dicevo, ha nel suo la sua – leggi il vangelo – “dna” l’abbandonarsi. Gesù fu un chinarsi sul mistero Asino e bue ci propone il bambino, non della fragilità. Ha dato siamo tutti, o Signore, certo per la sua innocenza appuntamento, non cercarlo muso dietro muso, che non potremmo imitare, altrove, mancheresti l’apa fissare il mistero. ma per la sua capacità di puntamento con Dio. Che è abbandonarsi. È così che si nella fragilità della carne di Mistero di ruvida cresce nella vita. Se da picun neonato. Guardalo, non coli non ci fossimo affidati, occorre altro per amarlo. e povera paglia saremmo ancora al nastro È ancora nudo dei mille e giorni senza luce di partenza. È dando fiducia orpelli umani, non ha altro droghe senza speranza. che noi cresciamo e viviamo. titolo che quello di un essere Viene dagli occhi umidi dei umano, un titolo che apparEssere, mio Dio, bimbi questo invito a latiene a tutti, il vero grande asino e bue sciare, a rischiare, ad aver titolo, il solo che Dio ha fiducia. Pena l’intristirsi in onorato. Ogni essere umano col fiato sospeso un porto da cui non si ha mai da onorare dunque nella a godere il mistero. il coraggio di salpare. sua fragilità e debolezza, Ma la Nascita, le nascite ci da amare nudo, per come Noi siamo, Signore, fanno chini anche su un altro è, soffio del vivente in una il tuo vivente presepe, mistero, quello delle fragilifragile tenda di carne. siamo la paglia tà. Su un mistero di fragilità Non ti è chiesto altro, non si chinarono nella notte Maaltri prerequisiti, perché su cui coricarti ancora. ria e Giuseppe. Ogni madre tu possa chinarti e adorare e ogni padre chini, come ad il mistero. Anche questo è adorare una vita che è soffio in pochi palmi di un insegnamento urgente, in controtendenza in mani, le tue mani. Sfiori e quasi è paura di strin- stagioni di disprezzo o di obnubilamento del gere, tanto la carne ha segno di debolezza. Ma rispetto. Sacro per ogni creatura. Va custodita il mistero della fragilità, che abita ogni nascita una luce negli occhi. La Nascita, le nascite racdi un cucciolo d’uomo, si inarcò a dismisura, la contano, ogni volta che accadono, questo mistero notte delle notti, e sembravano chinarsi i cieli in di una fragilità d’amare, di cui prendersi cura, un trasalire di stelle. O era forse dare nomi di da custodire. cieli e di stelle al trasalire degli occhi e del cuore Creare vicinanza sembra essere invito buono, che navigavano nel mistero delle notte? Mistero profumo di pane nei nostri inquieti giorni. Non di una fragilità umana sposata da Dio. Che Dio sempre, quasi mai, ci sarà dato di togliere dalle avesse scelto per la sua visita alla terra non la spalle dell’altro il peso della vita. Neppure a Gesù modalità fragorosa e solenne, accecante, privi- riuscì tanto! Non sempre poté i miracoli, ma semlegio degli dei pagani, ma l’ingresso nel segno pre raccontò con i suoi occhi la vicinanza. Ora della debolezza e della fragilità, era sì segno da tocca a noi raccontarla. Con i nostri occhi. far stupire gli occhi e il cielo. 25 Il viaggio della VEGLIA DI ROMENA Abitare la Vita 35 incontri nelle varie cittˆ per ritrovarci e continuare il cammino 26 SIENA ore 21,00 28 Gennaio ore 21,00 4 Febbraio ore 21,00 10 Febbraio ore 21,00 11 Febbraio ore 21,00 16 Febbraio ore 21,00 17 Febbraio ore 21,00 18 Febbraio ore 21,00 25 Febbraio ore 20,30 9 Marzo ore 20,30 10 Marzo ore 20,30 11 Marzo ore 20,30 12 Marzo ore 20,30 13 Marzo ore 21,00 24 Marzo ore 21,00 25 Marzo Piccole sorelle, via Acque Salvie - Tre fontane - EUR ore 21,00 26 Marzo Parrocchia di SOVICILLE - p.zza Marconi AREZZO Parrocchia di Saione GROSSETO Centro giovanile Salesiani - via degli Apostoli 1 LIVORNO Parrocchia di S. Caterina - p.zza dei Domenicani BOLOGNA Santa Maria della Pace - p.zza del Baraccano IMOLA Convento dei Cappuccini PESARO Pieve Santo Stefano - CANDELARA LE PIAGGE (FI) Comunità delle Piagge MARtINA FRANCA Chiesa S. Antonio ai Cappuccini LECCE - GALATONE Parrocchia S. Francesco D’Assisi - via Metello BARI Chiesa di S. Marcello ALTAMURA Chiesa S. Sabino - Loc. FORNELLO San severo (FG) Casa Ecumenica NAPOLI Istituto Maria Ausiliatrice - via Cimarosa - Vomero FONDI (LT) Santuario Madonna della Rocca ROMA 27 Verso il Natale Tre domeniche di avvento, tre occasioni di festa, di accoglienza, di incontro. Domenica 7, 14 e 21 dicembre Romena si prepara al Natale attraverso tre proposte di condivisione. Incontri Prima della Messa ci ritroviamo nella sala del camino per una riflessione sui temi del Natale. Un modo per prepararci e per riflettere sul significato e il valore della festa. 7 dicembre, ore 15 14 dicembre, ore 15 21 dicembre, ore 15 Dio dei gesti Aderire alla vita Dio si fa carne Diventare concreti Dio in cammino In viaggio verso se stessi con Pier Luigi Ricci con Luigi Verdi con Gianni Marmorini Mercatino Come ogni anno nel nostro mercatino si possono trovare piccoli doni, oggetti artigianali, pensieri semplici e, naturalmente, i nostri libri. Un modo per conservare l’idea del regalo restituendolo a una dimensione più spontanea, più semplice, meno costosa. dalle 14,30 Accoglienza Dopo la messa delle 16.30 è bello fermarsi ancora un po’ per una cioccolata calda, una fetta di torta da condividere, un momento di vicinanza con buoni sapori e tanta amicizia. Naturalmente poi ci ritroveremo tutti insieme la notte di Natale alle ore 22.30 per la messa con cui accogliere la nascita di Gesù. 28 Il Giornalino Un regalo di Natale per il nostro giornalino Da dodici anni il giornalino di Romena arriva gratuitamente nelle case di tutti coloro che hanno partecipato alle nostre attività, dei loro amici, di chi, semplicemente ce lo richiede. Stiamo per arrivare a quota 10.000 copie. È un risultato bellissimo che vogliamo custodire e coltivare, allargando questo luogo d’incontro a tanti altri amici. Per far questo, però, abbiamo anche bisogno di voi. Per poter continuare a proseguire su questa strada di condivisione, senza alcun impegno o abbonamento, sarebbe prezioso un vostro piccolo aiuto. Immaginate: un regalo di Natale per il nostro giornalino. Che ne pensate? Se volete, trovate il bollettino di conto corrente al centro anche di questo numero. Grazie, di cuore Agenda OGNI GIORNO 2009 Con gli occhi delle donne Ritorna l’agenda di Romena. Sarà la sensibilità femminile a guidare lo scorrere del tempo del prossimo anno: Antonietta Potente, Christiane Singer, Sorella Maria, Etty Hillesum, Maria Zambrano ed altre donne ci regalano il loro sguardo sulla profondità della vita. Con un aforisma, una poesia, con un commento “vivo” del Vangelo accompagnamo il nuovo anno. Un piccolo regalo per Ogni Giorno. A Romena e in libreria € 14,00 - ISBN: 978-88-89669-27-3 29 GRAFFITI ono nel porticato dell’ospedale St. Gemma a Dodoma, aspetto che una suora mi porti dei ricevutari da riempire ed osservo le persone che man mano arrivano. Molti di loro per giungere lì, avere una diagnosi ed essere curati si sono dovuti alzare molto presto, affrontando, magari febbricitanti, diversi km a piedi. Ci sono anche molte giovani madri con bambini, sorretti sulle loro schiene con una tela particolare chiamata Kanga, per lo più affetti da malaria, talvolta da AIDS. Le loro facce sono comprensibilmente stanche, ma non affrante. Un’inspiegabile energia le sostiene, diritte e dignitose nel loro dolore e nella loro povertà. A metà mattinata il porticato è pieno di malati, educatamente e silenziosamente in fila, in attesa del loro turno per essere visitati o per ricevere il “dispensing bag” (piccola bustina trasparente) con il giusto numero di pillole prescritte. Non c’è bisogno della macchinetta col numero stile Coop: nessuno discute o si sogna di non rispettare la fila. Mi vengono in mente le innumerevoli volte che per le strade del centro livornese ho visto mamme con vestiti firmati, spalle tatuate e piercing che spingevano passeggini con bambini di 3 o 4 anni mentre, animosamente, si lamentavano per futilità con le loro amiche; oppure rivedo altre scene di “ordinaria follia” e mi sorge spontanea una domanda: qual è il mondo “civile”?! Qual è il mondo che permette di vivere la vita nei suoi aspetti più autentici? Qual è il mondo che permette all’uomo di accettare la vita in modo dignitoso, nell’umiltà e nel rispetto di se stesso e degli altri? S 30 In quel mese all’ospedale ho sperimentato di persona il senso di impotenza che la povertà ti mette di fronte, povertà che lascerebbe inerte chiunque di noi, ma non loro, loro, le “sisters” erano diverse, con naturalezza si rimboccavano le maniche senza commenti, senza lamentarsi, inventando sempre nuovi stratagemmi per far rendere al meglio quel poco che c’era, sempre col sorriso sulle labbra e la battuta pronta, senza perdere la voglia di comunicare e rallegrare le consorelle, magari raccontando la visita in città alla Casa Madre, così come se fosse una novella. Per un mese spalla a spalla con le suore, grazie al loro calore e alla loro accoglienza, ho potuto affrontare serenamente situazioni di disagio che altrimenti avrei saputo gestire con difficoltà. Non ero andata tanto per dare, quanto per imparare e sono stata accontentata a piene mani. Car la to imparando, forse per la prima volta, ad “abitare la vita”: verità, fedeltà, tornare ad innamorarsi. Per la prima volta dopo tanto tempo mi riapproprio del mio centro, del mio respiro e, finalmente mi sento, mi percepisco; e veramente mi sento viva…. Fedele a me stessa, alla mia unicità, all’energia e luce interiore che mi appartiene per diritto di nascita, quale creatura d’amore, figlia dell’Altissimo. Lentamente mi sciolgo dagli attaccamenti, dai bisogni, dalle paure, dalle dipendenze, per sentirmi in un’onda d’amore che mi penetra l’anima, che mi fa sentire già a casa e innamorata. Elisa S a nostra struttura biologica è fatta per abitare la vita; dalla più piccola cellula ai sistemi complessi del nostro corpo si svolge un processo di trasformazione, moltiplicazione, movimento, morte e rigenerazione che crea l’armonia del nostro essere. Abitare la vita è sentire che lei scorre dentro di noi come il nostro sangue ed è in un certo senso più forte di noi, di tutti i nostri dubbi e certezze, del nostro amore e dei nostri vuoti, perché mentre noi pensiamo, organizziamo, tratteniamo, camminiamo, continua il suo corso dentro di noi e ci supporta anche nel nostro abitarla senza attenzione. Questa mancanza di attenzione alla vita spesso ci accompagna, perché la riteniamo “normale”; è normale vivere, è normale ciò che ci accade. Io credo che la vita non sia normalità, ma naturalità fatta di bellissime differenze. Siamo fatti per abitare la nostra unicità dando attenzione a tutto ciò che avviene dentro e fuori di noi. La normalità è chiudere la vita nella norma, nella L legge, è omologarla e giudicarla, mentre la naturalità è lasciarsi portare dalla vita immergendosi in essa come in una forza viva che tutto abbraccia e accompagna. La normalità giudica la vita e la rinchiude nei propri schemi, la naturalità è un lasciarsi guidare e giudicare dalla vita sapendo che alla fine ciò che accade è più forte. Abitare la naturalità della vita è non avere paura di lei, ma lasciarla scorrere consapevoli che c’è posto per ciascuno e per ogni diversità, perché in natura ogni cosa è unica e le differenze sono imperfezioni che creano bellezza. Quando ho fiducia in questo, nonostante le difficoltà della mia vita, mi sento al mio posto; ciò che faccio nel mio lavoro, in casa, nelle relazioni ha attenzione ed è calmo. Guardo i miei figli e ho fiducia che anche la loro vita è forte e sarà sempre più abitata (come quella di mia figlia, che è incinta) e, nonostante si siano formati nel mio utero, comprendo la novità e originalità delle loro esistenze, anche se capirlo non è facile… Monica PROSSIMO NUMERO: il giornale in uscita a Marzo approfondirà il tema: “Potare”. Inviateci lettere, idee, articoli, foto (termine ultimo: 28 Febbraio 2009), preferibilmente alla nostra e-mail: [email protected] UN CONTRIBUTO: se volete darci una mano a realizzare il giornalino e a sostenere le spese potete inoltrare il vostro contributo col bollettino allegato, oppure effettuare un’offerta ai seguenti conti correnti intestati a Fraternità di Romena ONLUS, Pratovecchio (Arezzo): postale IBAN: IT 58 O 07601 14100 000038366340 bancario IBAN: IT 25 G 05390 71590 000000003260 PASSAPAROLA: se sai di qualcuno a cui non è arrivato il giornale o ha cambiato indirizzo, se desideri farlo avere a qualche altra persona, informaci. SEGRETERIA: l’orario per le iscrizioni ai corsi è preferibilmente dal mercoledì al venerdì dalle 17,30 alle 19,30, sabato e domenica quando vuoi. Le iscrizioni ai corsi si aprono il primo giorno del mese precedente al corso stesso. 31 M i avvicino a te e ritrovo ciò che ho perduto, Mi sorridi e ritrovo ciò che ho amato. Foto di Massimo Schiavo Luigi Verdi 32