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Lezione 12: Cromatografia su colonna
1 Metodologia Biochimica 2002 – Lez. 4 CROMATOGRAFIA SU COLONNA La cromatografia è una tecnica di migrazione differenziata che permette la separazione dei costituenti di una miscela di sostanze affini. La cromatografia può essere di tipo analitico o preparativo. In ogni tecnica cromatografica devono essere identificabili due fasi immiscibili tra loro: una fase stazionaria, che può essere solida o liquida, e una fase mobile che può essere liquida o gassosa, e che contiene la miscela di sostanze da separare. Di fatto, nel caso di cromatografia per la separazione di proteine si impiega sempre una cromatografia su colonna, dove la fase stazionaria è immobilizzata su un supporto (matrice) inerte ed insolubile, ‘impaccato’ dentro una colonna di vetro, plastica o metallo. Nella cromatografia su colonna, la miscela da separare, caricata sulla cima della colonna, viene trascinata all’interno della matrice da una aggiunta continua di solvente (fase mobile). Durante il percorso, le varie componenti della miscela sono rallentate in misura variabile e quindi tendono a separarsi. Le varie componenti usciranno a tempi diversi dalla colonna, e saranno raccolte in frazioni diverse di eluato. Caricamento campione Flusso di solvente, separazione componenti Colonna contenente la fase stazionaria Raccolta frazioni La separazione delle molecole dipende dalle interazioni delle molecole stesse con la fase stazionaria, che consentono la ripartizione delle componenti tra le due fasi. Infatti, un concetto fondamentale in tutte le tecniche di cromatografia è quello di coefficiente di partizione. Il coefficiente di partizione, Kd , descrive il modo in cui un composto si distribuisce tra due fasi immiscibili; ad una determinata temperatura, per una sostanza che si distribuisce tra volumi uguali di due fasi tra loro immiscibili, A e B, il valore di questo coefficiente è una costante e si definisce: Kd = concentrazione nella fase A concentrazione nella fase B Nel caso i volumi delle due fasi non siano uguali, si preferisce considerare le quantità totali di sostanza in ciascuna fase (concentrazione x volume) e si parla di coefficiente di partizione effettivo. E’ chiaro che per ottenere una separazione il più possibile efficace tra le componenti di una miscela sarà necessario scegliere le fasi stazionaria e mobile in modo tale che le varie molecole della miscela abbiano coefficienti di partizione tra le due fasi il più possibile diversi 2 Metodologia Biochimica 2002 – Lez. 4 Cromatografia su colonna (continuazione) Un tipico sistema cromatografico su colonna include: un serbatoio per la fase mobile, collegato alla cima della colonna; la colonna stessa, contenente la fase stazionaria (tipicamente, una resina idratata) e dotata di un sistema di rilascio (nel caso più semplice, una valvola a farfalla); un raccoglitore di frazioni. A B Contenitore eluente Pompa Eluente Eluente Tappo Colonna Materiale impaccato Setti di nylon Tappo Lana di vetro Uscita eluato (al rivelatore e/o al collettore di frazioni Il flusso della fase mobile entro la colonna può avvenire semplicemente per effetto della gravità (come nel caso ‘A’ illustrato sopra) oppure per azione di una pompa (caso ‘B’). In molti sistemi semplici di cromatografia una pompa peristaltica si trova a valle della colonna, anziché a monte. Le pressioni richieste per il funzionamento dei diversi tipi di cromatografia dipendono dalla resistenza opposta al flusso da parte della matrice. Nel caso di una matrice che opponga una resistenza minima, la forza di gravità o una pompa peristaltica sono sufficienti per mantenere un buon il flusso e si parla di LPLC (low pressure liquid chromatography; le pressioni in gioco sono inferiori alle 5 atmosfere). Per sistemi con resistenze maggiori, si ricorre a pompe più sofisticate e si parla di MPLC (medium pressure – pressioni fino a 50 atmosfere) o HPLC (high pressure liquid chromatography, che richiede colonne in metallo e che vedremo più in dettaglio più avanti). All’uscita della colonna e prima del raccoglitore di frazioni può trovarsi un rivelatore (ad esempio, un sistema spettrofotometrico) che permetta di rilevare la presenza dei composti d’interesse nell’eluato. L’andamento del segnale proveniente dal rivelatore in funzione del tempo di eluizione costituisce un cromatogramma. 3 Metodologia Biochimica 2002 – Lez. 4 CROMATOGRAFIA – NOMENCLATURA E CENNI DI TEORIA Un esempio di cromatogramma è dato nella figura sotto. I picchi del cromatogramma rivelano la presenza di materiale (ad es., proteine) nell’eluato. I principali parametri da valutare nell’esame di un cromatogramma sono: tempo morto; tempo di ritenzione; larghezza dei picchi. Il tempo morto (tM) rappresenta il tempo che impiega un componente non trattenuto o la fase mobile per arrivare al rivelatore. Il tempo di ritenzione di un picco (tr) è il tempo che intercorre dall'introduzione del campione al momento in cui l'apice del picco raggiunge il rivelatore. S e g n a l e Tempo Nella figura sopra, (tr)A e (tr)B sono i tempi di ritenzione per i composti A e B mentre wA e wB sono le larghezze alla base dei picchi A e B. I picchi cromatografici assumono di solito la forma di una gaussiana, e la larghezza del picco viene calcolata come uguale a quattro volte le deviazione standard (σ ). Risoluzione - Il buon esito di ogni procedura cromatografica si valuta mediante la capacità di separare completamente un composto da una miscela di altri composti simili. Un primo parametro da considerare è la separazione dei picchi, cioè la differenza in tr tra un picco ed il picco più vicino. Un parametro più importante è la risoluzione (Rs), che considera non solo i tempi di ritenzione ma anche le ampiezze: Rs = 2 ( t r )B − ( t r ) A w A + wB Si può dimostrare che quando Rs = 1,5 la sovrapposizione dei picchi è <0.5%. Cosa determina la larghezza delle bande cromatografiche? Ciascun composto entra nella resina impaccata sotto forma di una banda discreta e piuttosto stretta (la larghezza dipende dal volume del campione caricato). Questa banda tende ad allargarsi mentre il composto si muove nella colonna a causa di tre fattori principali: - Le molecole di soluto hanno diversi possibili Colonna percorsi all’interno della colonna - Il soluto tende a diffondere longitudinalmenFlusso te lungo la colonna. - Per raggiungere l’equilibrio tra fase mobile e fase stazionaria dettato dal coefficiente di partizione, ogni composto ha a disposizione solo un tempo finito a causa del flusso. 4 Metodologia Biochimica 2002 – Lez. 4 Piatti teorici L'efficienza di un sistema cromatografico e in particolare di una colonna, si quantifica con il cosiddetto numero di piatti teorici N. In questo caso la cromatografia si rifà alle colonne di distillazione frazionata nelle quali maggiore è il numero di piatti di distillazione più efficace è la stessa. Un piatto teorico è la più piccola zona adiacente all'interno della colonna in cui il soluto raggiunge un equilibrio tra fase mobile e stazionaria. Il numero di piatti teorici si calcola considerando la larghezza del picco, in quanto più stretti sono i picchi, più efficiente è la colonna. Il numero dei piatti teorici, N, è dato da t N = 16 r w 2 (In realtà, questa trattazione è piuttosto grossolana, perché le dimensioni di un picco dipendono non solo dalla natura della colonna, ma anche dal volume di campione caricato, dalla larghezza della colonna, dalla velocità di flusso etc.). Il numero di ‘piatti teorici’ di una colonna è collegato alla risoluzione perché, sostanzialmente, un piatto teorico è la più piccola ‘fetta’ della colonna dove due molecole dotate di diverso coefficiente di ripartizione hanno la possibilità di dimostrare diverse velocità di migrazione: migliore una colonna, minore l’altezza del piatto teorico (lo ‘spessore’ della fetta). Il numero dei piatti, e quindi la risoluzione, può essere aumentato aumentando la lunghezza della colonna, ma il limite a questo approccio consiste nell’allargamento del picco per fenomeni di diffusione. Una variante dell’equazione data sopra, ottenuta considerando il picco come una gaussiana e utile per ottenere N direttamente dal cromatogramma, è la seguente: I principi che descrivono l'efficienza cromatografica si possono riassumere nell'equazione di van Deemter, che esprime l'altezza del piatto teorico (h) in funzione della velocità di flusso della fase mobile (V). Minore è il valore di h, maggiore è il numero di piatti teorici contenuti nella colonna e quindi maggiore sarà la sua efficienza. L'equazione di van Deemter è la seguente: h=A+ B +C×V V A - è una costante che dipende dalle dimensioni e h forma dei granuli della fase stazionaria (influenza i diversi possibili percorsi del soluto); B - coefficiente di diffusione longitudinale: (esprime la tendenza delle molecole di soluto a diffondere nella fase mobile, che è maggiore a basso flusso) C - resistenza al trasferimento di massa, (esprime la difficoltà a raggiungere l’equilibrio tra fase mobile e fase stazionaria dettato dal coefficiente di partizione, e la sua importanza aumenta all’aumentare della velocità di flusso). B V Cx A Velocità di flusso Rappresentazione grafica dell’equazione di van Deemter 5 Metodologia Biochimica 2002 – Lez. 4 CROMATOGRAFIA DI ESCLUSIONE ( o GEL-FILTRAZIONE ) Per la separazione di molecole in base alla loro forma e al loro peso molecolare vengono utilizzate le proprietà di setaccio molecolare che sono proprie di numerosi materiali porosi. I materiali usati di solito a questo scopo sono polimeri presenti sotto forma di un reticolo tridimensionale poroso che conferisce loro proprietà di gel. Da qui il termine di gel-filtrazione per descrivere la cromatografia che utilizza questi materiali. Microstruttura della matrice: particelle La cromatografia ad esclusione si fonda su un principio abbastanza semplice: una colonna di particelle di gel è in equilibrio con un solvente adatto alle molecole da separare. Le molecole più grandi, completamente escluse dai pori, rimangono nel volume vuoto (o volume escluso) e passano attraverso gli spazi interstiziali, mentre le molecole più piccole si distribuiscono nel solvente presente sia all'interno sia all'esterno del setaccio molecolare e attraversano quindi la colonna a velocità più bassa. Per ciascun tipo di gel il coefficiente di ripartizione Kd (tra il solvente interno e quello esterno al gel) di un determinato soluto è funzione del peso molecolare del soluto esso. Se la molecola del soluto è così grande da essere esclusa dal solvente interno al gel, Kd è uguale a 0 e la particella, non trattenuta, viene eluita nel tempo morto. Se invece il soluto è abbastanza piccolo da essere liberamente permeabile alle particelle di gel, Kd = 1 (cioè la particella partiziona egualmente tra interno ed esterno).Poiché in ogni gel esiste una certa variabilità della porosità delle particelle, per i soluti di grandezza intermedia esisterà una parte di solvente interno alle particelle di gel che sarà accessibile e una parte che non lo sarà e quindi Kd sarà compreso tra 0 e 1. Proteina piccola Volume vuoto Proteina media Volume della fase stazionaria Proteina grande Volume interno E' proprio la variabilità di Kd tra questi due estremi che rende possibile, nei vari gel, la separazione di soluti in un ristretto campo di pesi molecolari. Metodologia Biochimica 2002 – Lez. 4 6 Cromatografia di gel-filtrazione (continuazione) Le matrici usate comprendono destrani a legami crociati, legami ottenuti da reazione con epicloridrina (Sephadex), agarosio (Sepharose, Bio-Gel A, Savagac), poliacrilammide (Bio-Gel P), poliesteri, gel di silice, poliacrilomorfolina e polistireni. Queste matrici funzionano sotto forma di gel idratato, ma spesso sono vendute sotto forma di polvere secca, che deve essere idratata prima di impaccare la colonna. L’idratazione si ottiene in genere mescolando una parte di polvere con dieci di soluzione tamponata, e lasciando che la matrice assorba tampone per parecchie ore, mescolando di tanto in tanto. L’impaccamento della colonna si ottiene, in estrema sintesi, sospendendo la matrice in tampone ed aggiungendola delicatamente all’interno della colonna. Il rubinetto d’uscita deve essere aperto, così che ci sia flusso di liquido nella colonna mentre la resina decanta e si assesta (dopo avere versato tutta la matrice, si continua ad aggiungere tampone).E’ importante effettuare l’impaccamento in un’unica fase ed evitare di intrappolare bolle d’aria nel gel, per evitare variazioni nella uniformità della matrice. Risoluzione: nella gel filtrazione, la risoluzione dipende dalle dimensioni delle particelle di gel, dalle dimensioni dei pori, dalla lunghezza e dal diametro della colonna e dal volume del campione, che in questo sistema è particolarmente critico. Generalmente si consiglia di usare volumi di campione <5% del volume totale della resina impaccata. IMPIEGHI SPERIMENTALI Purificazione: la principale applicazione della cromatografia a esclusione è la purificazione delle macromolecole biologiche. Ovviamente, le molecole di interesse devono cadere entro l’intervallo di separazione dello specifico gel usato, quindi per scegliere una certa matrice per la purificazione dobbiamo avere un’idea preliminare delle dimensioni o del peso molecolare della particella. Set di proteine a pesi molecolari Con questa tecnica si possono purificare proteine noti caricate sulla resina per gel(di solito si usa come ultimo passaggio in un filtrazione (HPLC) Bio-Sil SEC 250 protocollo di purificazione), acidi nucleici (ad es., plasmidi), polisaccaridi ed anche virus. Si possono separare anche composti a basso peso molecolare: aminoacidi da peptidi, peptidi ottenuti dall'idrolisi parziale delle proteine, oligonucleotidi ottenuti per idrolisi parziale degli acidi nucleici e destrani a basso peso molecolare. Determinazione del peso molecolare di proteine: il tempo di ritenzione per le proteine globulari dipende come detto dalle dimensioni e quindi dalla massa molecolare. Per una data colonna, i tempi di ritenzione di diverse proteine globulari dipendono linearmente dalla massa delle proteine stesse (almeno per certi intervalli di valori di massa). Una volta calibrata la colonna con proteine globulari di massa nota, è possibile dedurre con buona approssimazione la massa ignota di una proteina globulare dal suo tempo di ritenzione. 1- Volume escluso 2 - Tiroglobulina (670000 Da) 3 - γ -globulina (158000 Da) 4 - Ovalbumina (44000 Da) 5 - Mioglobina (17000 Da) 6 - Cobalamina (1350 Da) 7 Metodologia Biochimica 2002 – Lez. 4 Dissalazione: si possono separare soluti ad alto peso molecolare dai sali o dai solventi organici usando colonne impaccate con una resina per gelfiltrazione a pori piccoli (ad es., una Sephadex G-25; comunque, il limite di esclusione del gel deve essere inferiore alle dimensioni della macromolecola d’interesse). Infatti, mentre le macromolecole vengono eluite con il volume vuoto, i sali, a basso peso molecolare, vengono trattenuti dalla matrice. Il sistema funziona bene anche quando si usano delle microcolonne, in cui il flusso dell’eluente è garantito dalla centrifugazione della colonna entro un tubo da centrifuga (eppendorf). Questo metodo di dissalazione è più rapido ed efficiente di quello per dialisi: si applica, per esempio, per allontanare il fenolo da preparazioni di acidi nucleici, il solfato d'ammonio da preparazioni di proteine, i monosaccaridi dai polisaccaridi e gli aminoacidi dalle proteine. Studi di legame: la cromatografia di esclusione può essere usata per studiare il legame reversibile di un ligando ad una macromolecola proteica. In questo caso la colonna viene equilibrata con una soluzione a concentrazione nota di ligan-do (A). Una quantità nota di proteina viene sciolta nella stessa soluzione di ligando caricata su co-lonna. La rilevazione continua dell'effluente per-metterà di registrare una linea di base costante dovuta all'assorbimento del ligando. Quando verrà eluito il complesso macromolecolaligando (PA) si avrà un picco positivo dovuto a (A + PA) seguito da un picco negativo dovuto alla sottrazione di ligando libero operato dalla macromolecola al suo passaggio (A - PA). Campione Colonna Centrifugazione Sali, molecole a basso peso molecolare Proteina dissalata S e g n a l e [A]+[PA] [A] [A]-[PA] 0 20 40 60 Tempo (minuti) SITI WEB INTERESSANTI Sito Web Commento www.bath.ac.uk/~cesjh/adsorb1.htm Un corso sulla separazione cromatografica delle proteine, con una trattazione dettagliatissima della teoria dell’adsorbimento, della ripartizione etc. Per quelli di voi che amano la matematica. Dall’Università di Bath (UK). ntri.tamuk.edu/hplc/size.html Un trattamento didattico abbastanza accurato della cromatografia di esclusione. Dalla Texas A&M University di Kingsville (USA) Metodologia Biochimica 2002 – Lez. 4 8 CROMATOGRAFIA A SCAMBIO IONICO In questo tipo di cromatografia, l’adsorbimento delle particelle sulla fase stazionaria è determinato da interazioni di tipo elettrostatico (gruppi con cariche di segno opposto). Le proteine, possiedono gruppi ionizzabili e il fatto che essi possano portare una carica netta positiva o negativa può essere utilizzato nella separazione di miscele che li contengano. La carica netta che questi composti presentano dipende dal loro pK e dal pH della soluzione secondo l'equazione di Henderson-Hasselbalch. Le separazioni a scambio ionico sono condotte in colonne impaccate con una resina scambiatrice di ioni. Si tratta cioè di una resina in cui una matrice solida di supporto, in forma di sferule porose porta covalentemente legati dei gruppi funzionali carichi. Negli scambiatori anionici (come la DEAE nello schema a lato) la resina DEAE CM espone gruppi carichi positivamente (in generale, gruppi basici) che attraggono molecole cariche negativamente, e ne favoriscono l’adsorbimento sulla fase solida, mentre le molecole neutre o cariche poScambiatore anionico Scambiatore cationico sitivamente vengono eluite nel tempo morto della colonna. Gli scambiatori cationici possiedono invece gruppi carichi negativamente (acidi) e attraggono, quindi, molecole cariche positivamente. Si parla anche di scambiatori ‘forti’ o ‘deboli’, in riferimento al pK dei gruppi carichi attaccati alla resina: uno scambiatore forte ha un pK molto alto (per le basi) o molto basso (per gli acidi), tale per cui rimane ionizzato in un largo intervallo di pH. Il tipo di scambiatore da usare dipende ovviamente dal punto isoelettrico (pI) di una proteina, nonché dalla sua stabilità in funzione del pH. Se una proteina è stabile al di sopra del suo pI, conviene lavorare sopra il pI ed usare uno scambiatore anionico; viceversa, se la proteina è stabile al di sotto del suo pI, conviene lavorare a basso pH ed usare uno scambio cationico. Un suggerimento empirico dato da molti autori è di lavorare ad un pH distante circa 1 unità dal pI – questo consente di avere una carica netta sufficiente per favorire l’adsorbimento, senza richiedere però condizioni troppo drastiche per l’eluizione. 9 Metodologia Biochimica 2002 – Lez. 4 Più alta la forza ionica, maggiore la competizione degli ioni in soluzione con la proteina. Per questo, solitamente le proteine vengono eluite in gradiente di pH oppure di forza ionica: a seconda della loro carica netta complessiva più o meno elevata, proteine diverse scenderanno in punti diversi del gradiente. Un gradiente di forza ionica è preferibile nella maggior parte dei casi perché più compatibile con la stabilità proteica. Inoltre, l’eluizione con gradiente di pH può essere meno efficiente a causa dell'effetto Donnan; questo effetto è indice della repulsione elettrostatica tra ioni di segno uguale che si instaura all'interno della colonna e che determina una diminuzione di pH diversa nel volume interno della matrice dove avviene lo scambio rispetto al volume vuoto della colonna. [NaCl] bassa [NaCl] elevata [NaCl] intermedia Proteina (pH>pI) % di proteina eluita Ioni nel tampone (Cl-) Forza ionica % di protein a eluita Per l’eluizione è possibile utilizzare gradienti continui o discontinui. Nei gradienti discontinui si utilizzano soluzioni eluenti a concentrazione crescente mentre nei gradienti continui si ha una continua e lineare variazione di concentrazione. Proteina A Proteina B Proteina C Proteina D Forza ionica Gradiente discontinuo 0.8 [NaCl] (M) Eluizione Nella cromatografia a scambio ionico, l’interazione tra proteina e fase stazionaria dipende (a) dalla carica della proteina che, come detto, dipende a sua volta dal pH; (b) dalla forza ionica della fase mobile. Gradiente continuo 0.4 0.0 0 20 40 Tempo (minuti) 60 10 Metodologia Biochimica 2002 – Lez. 4 Cromatografia a scambio ionico (continuazione) Molti scambiatori ionici sono costituiti da matrici di cellulosa modificata chimicamente: ad es. la carbossimetilcellulosa (CM-cellulosa) e la DEAE-cellulosa. Analoghi ai derivati della cellulosa sono i derivati del destrano e dell'agarosio (Sephadex e Sepharose). Questi scambiatori sono affini ai materiali impiegati nella gel filtrazione e presentano quindi limiti d'esclusione. Pertanto uniscono al processo di scambio ionico quello di filtrazione molecolare, migliorando così la risoluzione complessiva soprattutto nella separazione di proteine ad elevato peso molecolare e di acidi nucleici. Vice versa, per la separazione di molecole piccole sono preferibili supporti poco porosi o con bassi limiti di esclusione. Resina Supporto Gruppo funzionale Tipo DEAE Sepharose (Pharmacia) DEAE Bio-Gel A (Bio-Rad) Agarosio -CH2CH2N+H(CH2CH3) 2 Scambio anionico dietilaminoetil (DEAE) (debole) QAE Sephadex C50 (Pharmacia) Destrano Dietil-(2-idrossipropil) aminoetil (un ammina quaternaria) Scambio anionico (forte) CM Sepharose (Pharmacia) Agarosio -CH2COOCarbossimetil Scambio cationico (debole) SP Sephadex C50 (Pharmacia) Destrano -(CH2) 3SO3Sulfopropil Scambio cationico (forte) Altre resine usate nella separazione di materiali biologici sono costituiti da polimeri sintetici (di stirene e di divinilbenzene). Inoltre, sono state recentemente introdotte per la costituzione delle cosiddette resine ‘tentacolari’. Sono resine in cui i gruppi carichi sono legati a bracci spaziatori a loro volta fissati su un supporto rigido. Quando una proteina si lega ad una normale fase stazionaria subisce una alterazione della sua struttura tridimensionale che può in casi estremi portare addirittura alla denaturazione della proteina. Gli scambiatori tentacolari si protendono nello spazio all'interno della colonna e permettono l'attacco della proteina senza che questa si deformi. Nella scelta di una resina per lo scambio ionico è opportuno considerare anche la forma ionica (cioè, qual è il controione normalmente presente nella fase stazionaria) e la dimensione delle particelle. Molte resine per scambio ionico sono disponibili in diverse forme ioniche, ed è possibile convertire una forma ionica nell’altra (‘scambiare’ il controione). Diversi controioni avranno diverse affinità per una resina, e sarà quindi più o meno facile per le molecole del campione spiazzare questi controioni per legarsi. Per quanto riguarda le dimensioni delle particelle idratate (nell’ordine delle decine di µm), possono variare da resina a resina e anche da forma ionica a forma ionica. Sono importanti per la risoluzione: in generale, particelle piccole consentono una risoluzione maggiore ma richiedono flussi più bassi. L'efficienza della cromatografia a scambio ionico non è strettamente legata al volume di campione applicato alla colonna come nella cromatografia ad esclusione e quindi possiamo caricare sulla colonna volumi anche elevati di materiale.