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I Soldati Scrivono - Istituto Comprensivo 2 Serena
Memorie dal fronte Fronti Europei Il sistema di comunicazione più diffuso tra i soldati e le loro famiglie durante la Grande Guerra era la lettera. Essa aveva lo scopo di informare i familiari di ciò che stava accadendo, cercando di rassicurarli anche se alcuni erano coscienti del fatto che non avrebbero fatto ritorno. I soldati a loro volta cercavano di carpire più notizie possibile su quello che succedeva a casa. Le lettere erano destinate ai familiari e conoscenti, ma spesso anche ai parroci e ad autorità civili e politiche. I parroci erano autentici punti di raccordo nella comunità contadina, ai quali, se occorreva, si potevano raccontare cose che ai familiari è meglio tacere e ai quali possono chiedere favori, consigli di comportamento in circostanze estreme, assoluzioni preventive e dispense da doveri rituali, autorizzazioni a pratiche devozionali e scaramantiche che suonano superstiziose o incompatibili con l’ortodossia, ma alle quali l’ambiente e le circostanze inclinano i soldati. Oltre ai parroci, ci sono poi vi sono poi le autorità civili e politiche, ai quali viene indirizzata una corrispondenza anche in questo caso fitta e insistente, alimentata dallo stesso bisogno di protezione in circostanze particolarmente difficili e destabilizzanti. Ad esse ci si rivolge per chiedere raccomandazioni o favori, offrendo in cambio referenza e promesse di voto in occasione di elezioni. Le scritture di lettere ai propri cari era ormai diventata per i soldati una dipendenza, una fuga da quella che era la realtà e l’orrore della guerra. Questo disperato bisogno non era ostacolato né dall’analfabetismo, né dalla difformità dell’italiano parlato, né dalle pessime condizioni di vita o eventualmente gravi condizioni fisiche. La lettere non era l’unica forma di scrittura utilizzata dai soldati durante la Guerra Grande. Oltre ad esse vi erano i taccuini o quaderni, i diari e infine le vere e proprie autobiografie, scritte dai soldati più istruiti. I taccuini, o quaderni, venivano portati con i soldati ovunque essi andavano. Ci sono vari motivi che spingevano i soldati a scrivere questi quaderni. Il più importante fu il fatto che tutti sentivano l’intima, confusa e perfino inconsapevole intuizione che l’evento incombente avesse qualcosa di potentemente invasivo che lo avrebbe reso memorabile. Dunque poteva essere opportuno lasciare qualche traccia dell’esperienza compiuta, una testimonianza che avrebbe lasciato un’ “impronta” nella Storia. Chi non era in grado di scrivere, in genere raccontava la propria storia attraverso l’uso di illustrazioni che si succedevano cronologicamente, come dei fumetti. Era anche molto usata il sistema avente sia la storia scritta, sia le immagini per chiarire meglio i fatti narrati. Infine c’erano le autobiografie che, a scopo di memento e insegnamento per il futuro, sono le vere e proprie memorie dei soldati, tutte le loro esperienze racchiuse in queste opere solenni. Sono testi che ci conducono senza preamboli dentro gli avvenimenti, quasi a manifestare lo sconcerto per essere stato preso dentro quell’ingranaggio di violenza e di morte che è la guerra senza preavviso, senza preparazione e senza giustificazione. Tutto questo ci porta ad una conclusione in particolare: per i soldati scrivere significava lasciare una traccia, l’ultima, della propria esistenza, da recapitare dalle persone care, in modo che la loro morte non rappresenti la loro sparizione nel nulla. Il fronte italiano La consegna della posta “ In verità, o signori, la posta è il più gran dono che la patria possa fare ai combattenti: perché in quel fascio di lettere che giunge ogni giorno fino alle trincee più avanzate, la patria appare ai soldati non più come una idealità impersonale ed astratta, ma come una lontana moltitudine di anime care e di noti volti , in mezzo alla quale ciascuno riconosce un bene che è solamente suo, uno sguardo che soltanto per lui riluce, una voce che per lui solo canta” P. Calamandrei, Zona di guerra. Lettere, scritti e discorsi 1915 – 1924, Laterza, Roma-Bari 2007. Il paesaggio della montagna veneta mostra ancora oggi le tracce della presenza di un’ umanità che dal maggio 1915 al novembre 1918 ha popolato e sfruttato in maniera intensiva il territorio nel primo conflitto mondiale. In questo lungo periodo durato ben 41 mesi, i soldati avevano un unico modo per comunicare con i loro famigliari: scrivere una lettera! Nelle lettere i soldati scrivevano attimi delle loro giornate. Per cui si poteva trovar scritto dell’uccisione per fucilazione di un comilitare perché aveva salutato un generale tenendo la pipa tra i denti. Oppure si possono andare a cercare tutti gli estratti in cui i soldati raccontano il terribile momento dell’assalto, quando si doveva uscire dalle trincee, sapendo che sarebbero stati in pochi a restare in vita. Forti, trincee, postazioni di mitragliatrici e cannoni; i luoghi delle battaglie, ma anche i luoghi della vita quotidiana dei soldati manifestano, ancora oggi, una forza di connotazione dell’ambiente. La guerra non l’hanno raccontata solo gli ufficiali istruiti ma anche soldati quasi analfabeti che si cimentavano per la prima volta con la parola scritta. Infatti errori di ortografia si mescolano con costruzioni lessicali di origine dialettale, i nomi dei luoghi sono spesso storpiati e i tempi dei verbi ingarbugliati. L’elemento predominante di tutto ciò è: la memoria della Grande Guerra! Questa lettera scritta al padre da Eugenio Garrone, un giovane alpino impegnato sul fronte del Carso, fa parte di Momenti della vita di guerra, il volume pubblicato nel 1934 da Adolfo Omodeo, storico del Risorgimento e volontario nella Prima guerra mondiale, che raccolse in esso, commentandole, lettere e memorie dei soldati italiani caduti. Essa ci dà un quadro della vita quotidiana durante la guerra (il combattimento, l’arretramento, la difesa dentro la trincea, la ricerca dei morti) e restituisce il clima di immobilità sospesa delle notti passate al fronte. 19 settembre1916 Ondate successive furono respinte dal fuoco misurato e nutrito degli avversari e dovemmo retrocedere fino quasi alle posizioni iniziali, organizzando alla meglio una provvisoria trincea, e addossando dietro di essa quelle truppe che, in un eventuale contrattacco, arginassero l’offensiva e impedissero una vera catastrofe. La cosa riuscì: sopravvenne la notte: veglia più ansiosa non passerò più. Immaginati un imbuto di cui uno degli orli sia più basso, quello occupato da noi: quello più alto, e per di più della metà, guernito [occupato] dagli avversari. La notte è limpidissima: tutta la cresta dell’imbuto spicca nitida sul cielo bianco: l’imbuto si sprofonda nero in basso, e da quel profondo salgono ad ogni momento i lamenti dei feriti che non abbiamo ancora potuto raccogliere. Si sta all’erta tutti: gli occhi vorrebbero vedere di più: gli orecchi vorrebbero percepire tutto, ed è questa tensione esagerata che a volte c’inganna. Si vedono ombre nere che salgono, si odono fruscii misteriosi: si lancia un razzo bianco: sale bruciando, si ferma in alto sorretto da un paracadute, poi naviga lento, s’abbassa, si rialza: nulla. Ma un razzo ne chiama altri e da tutta la cresta è uno scoppiettare breve improvviso di razzi convergenti al centro, ed ogni angolo è scoperto, scrutato, perlustrato da migliaia d’occhi, nell’ansia di tanti e tanti cuori in tumulto. Nulla. La nebbia ridiscende: i razzi non servono che a mettere nell’aria una macchia nebulosa: non si vede più nulla: entrano in ballo le mitragliatrici: pochi colpi, prima, qua e là: poi un picchiettare nervoso da tutte le parti. Ognuna batte una zona; anche la nostra è cercata nervosamente. I soldati sono tutti bassi, protetti. Passano i proiettili a centinaia, con miagolii strani, prolungati sopra le teste, in alto: non si sente altro: poi si rifà il silenzio dietro una coda rada di colpi nervosi [...]. Così passa tutta la notte, e così, in un’alternativa di momenti tranquilli e d’allarme, passano due altre giornate, in un’immobilità che pare impossibile, a volte, di poter conservare per ore e ore sotto il flagello di una pioggia incessante, e in una ricerca affannosa, in altri momenti di nebbia fitta, dei nostri feriti, che a poco a poco riusciamo a portare dietro le linee, e anche dei nostri morti che seppelliamo tutti vicini, individuandoli con rustiche croci. A. Omodeo, Momenti della vita di guerra. Dai diari e dalle lettere dei caduti 1915-1918, Einaudi, Torino 1968, p. 74. Data: 19 settembre 1917 Luogo: Fronte del Carso Autore: Eugenio Garrone Tratto da: Momenti della vita di guerra Finalità: Scrive al padre per informarlo della vita in trincea e delle sofferenze che subisce e alcune tecniche di attacco Difformità dall’italiano medio: La lettera di Garrone non presenta molte difformità dall’italiano medio. La maggior parte di esse possono essere attribuite ad un’interpretazione poetica. Egli infatti studiò Giurisprudenza e fu ricordato dai suoi cari come un giovane molto dedito all’arte, alla poesia e alla letteratura Caratteristiche delle trincee: Le postazioni di trincea paragonate da Garrone, ad un imbuto il cui orlo più basso è occupato dai soldati italiani, e l’altro orlo, più alto, è occupato dai numerosi avversari I soldati si trovano accanto ai corpi morti dei propri compagni: Il soldato descrive la sua angoscia nel sentire i lamenti dei compagni feriti, abbandonati nella terra di nessuno Durissime condizioni di vita: I soldati all’interno delle trincee, vivono quelli che a loro sembrano interminabili periodi di attesa, aspettando nel terrore l’ordine di un nuovo attacco Estratto di una lettera di G. Molinari alla moglie, agosto 1916 “… Ma fra di me tengo una cosa che non mi dimenticherò più: giorni indietro proprio a me e a sei dei miei compagni mie toccato andare a fucilare uno della nostra compagnia; devi sapere che cuesto cui cuando eravamo sul Podigara, si era lontanato dalla compagnia due volte proprio cuci giorni che bisognava avansare, poverino si vede che non aveva proprio coraggio, e per cuesto a avuto la fucilazione al petto; lanno fatto sedere di una pietra e la è bisognato spararci per forsa perchè dietro di noi cera la mitragliatrice, e poi siè comandati non bisogna rifiutarsi, ma per questo io son molto dispiaciuto ben che ne ò visti tanti di morti, ma così mi ha fatto senso e letà di 34 anni... bisogna anche esere asasini…” Anni agosto 1916 Luogo Podigara Finalità lo sfogo per la fucilazione di un suo compagno racconto della fucilazione di un compagno, sofferenza, cattiveria e tristezza, rispecchio della vita dei soldati mie toccato andare, cuesto, cuando, cuci, avansare, lanno, cera, letà, esere asasini Caratteristiche Difformità dell'italiano medio 24 giugno 1917 E’ bello velare per un istante la vita reale presente, con tutte le buie preoccupazioni, con gli immancabili dolori, col rammarico, colla tristezza, col cordoglio continuo – dati, non dalla deficienza di coraggio, ma dell’innato egoismo umano che ha sempre inceppato il proseguimento del benessere collettivo- e ridestare il “caro immaginar” dei dieci anni, colle sue innocenti gioie, colle pure ma chimeriche speranze, coi più nobili ma inaffidabili ideali, coi più sublimi sentimenti di amore! E perché è bello risvegliar, a volte, la nostra immaginazione e obliare la triste realtà presente, ieri, tra uno schianto e l’altro di bombarda, tra il picchiare di gravine ed il batter di mazza per la costruzione di nuove solide trincee e saldi ricoveri, sotto l’ acquazzone penetrante fino al midollo delle ossa, vidi ed istintivamente raccolsi una bianca ed immacolata margheritina. Comprenderai senza che te lo dica, anzi prima che te lo dica, quel che ne feci: i suoi petali strappati e sciupati, si dispersero uno dopo l’altro, dopo avermi dato quella dolce illusione che ti è facile immaginare. Se consideri che noi abbiamo vent’anni, e che noi ci è dato vedere l’altro che le stesse cose, il medesimo cielo, i medesimi luoghi che la vita in cui nascono le più belle speranze, non è che un ricordo; se consideri che la nostra esistenza è fatta di sacrifici continui, di rassegnazione, di lotte sovrumane, in cui spesso sbocchiamo per forza maggiore, spesso quando meno ce l’aspettiamo; se consideri che quando non si è in trincea ma a riposo si è sempre sotto il tiro del cannone, sotto l’ala della morte, medesimi luoghi, resi più invisi e più odiosi dalle minori preoccupazioni, dalla mancanza di fatica e di tensione nervosa; se consideri tutto ciò, l’innocente illusione di essermi chinato a raccogliere la margheritina ed averla sciupata, ti sembrerà naturale. La margheritina mi ha riferito una parola che qui non esiste: mi ha detto “T’ama”; ma lo stelo che mi era rimasto in mano, forse per vendicarsi di averlo denudato, mi domandò “Chi?” poi rise … La pioggia veniva giù a torrenti; una nostra bombarda martellava ad intermittenza le posizioni nemiche, le sconvolgeva, le schiantava; e la mia illusione rimase travolta da quella triste realtà obliata per un solo istante. Sopravvivendo a questa lotta e ritornando al,a vita di lavoro e di studio, forse lungo il nostro cammino, ci sarà dato di trovare e raccogliere una margheritina, che senza strapparle i petali e senza sottoporla ad un interrogatorio ci manifesterà l’animo suo, il suo amore simile al nostro quella margheritina sarà il nostro amico fedele, il compagno inseparabile della vita. Non sopravvivendo per la non rinvenuta e non raccolta margheritina non avrò alcun rimpianto: lei troverà sempre qualcuno che la raccoglierà; io caduto sulla breccia, veglierò su lei come potrò, e mi consolerò di avere speso la vita per la vita; perché non c’è ragione di vivere, se libertà non c’è. A proposito se non ritorno ricordati di ritirare la “laurea ad honorem” che mi spetta. Ora permettimi che ti faccia una fraterna raccomandazione: quando mi scrivi non adoperare a mio riguardo parole e frasi che mi fanno diventare rosso di vergogna. Ciccio coi suoi quasi due anni di lotta è un po’ cambiato nei capelli, ma … è sempre quello. La lotta non mi ha fatto acquistare nessuna prerogativa, nessun merito. Se l’avessi fuggita sarei stato un vile o un verme che dir si voglia; l’averla combattuta ed il continuare a combattere è stato ed è il mio dovere; il morire in essa è il compimento di tale dovere. Quindi per me mai parole che mi facciano fremere di rossore, perche mal mi si adattano e poi perché dette da te mio fratello spirituale. M’hai scritto per Peppino, che non pare tagliato, ne per la calligrafia, ne per il disegno, e siccome sono materie che l’accompagnerebbero all’istituto, non essendo forte in esse, meglio sarebbe abbandonare simili studi. Questo era, a quel che mi ha scritto pure Peppino, l’idea di Toto. Ora tu sai che Peppino ha 13 anni o quasi;che gli studi classici sono lunghi, che per portarli a compimento dovrebbe fare dei salti che lo rovinerebbero;che Papà e’ ormai solo. Per queste ragioni e ritenendo che con buona volontà gli riuscirà facile sormontare le prime difficoltà incontrate nel disegno e nella calligrafia, se però c’e una mano amica, che lo incoraggi e lo guidi, sarei dell’opinione di fargli continuare gli studi incominciati perché più brevi e più pratici. Se tu credi che studiando i mesi di luglio, agosto e settembre, possa presentarsi ad ottobre a sostenere gli esami di ammissione al 3° tecnico e superarli lo farai continuare, e, potendo, ti curerai di lui. Data 24 giugno 1917 Luogo Ignoto Autore Anonimo Finalità Rivelare la vita reale, con tutte le sue buie preoccupazioni, con gli immancabili dolori, col rammarico e col cordoglio continuo Difformità dall’italiano medio “colle” = con le Ideologia dell’autore “Non c’è ragione di vivere se libertà non c’è” Durissime condizioni di vita Il soldato riporta la fatica e il disagio che si incontra nel costruire nuove trincee e solidi ricoveri sotto il picchiare della pioggia incessante. Anche durante le ore di riposo, i soldati sono sempre sotto tiro dei cannoni e dei bombardamenti, questo provoca in loro grande tensione Distogliere il soldato dalla sofferenza e proiettarlo con l’immaginazione nella realtà dell’ambiente famigliare Alla fine il soldato rivive la situazione che la sua famiglia sta vivendo dando loro consigli e raccomandazioni Ma bien chère Lucie, Quand cette lettre te parviendra, je serai mort fusillé. Voici pourquoi : le 27 novembre, vers 5 heures du soir, après un violent bombardement de deux heures, dans une tranchée de première ligne, et alors que nous finissions la soupe, des Allemands se sont amenés dans la tranchée, m’ont fait prisonnier avec deux autres camarades. J’ai profité d’un moment de bousculade pour m’échapper des mains des Allemands. J’ai suivi mes camarades, et ensuite, j’ai été accusé d’abandon de poste en présence de l’ennemi. Nous sommes passés vingt-quatre hier soir au Conseil de Guerre. Six ont été condamnés à mort dont moi. Je ne suis pas plus coupable que les autres, mais il faut un exemple. Mon portefeuille te parviendra et ce qu’il y a dedans. Je te fais mes derniers adieux à la hâte, les larmes aux yeux, l’âme en peine. Je te demande à genoux humblement pardon pour toute la peine que je vais te causer et l’embarras dans lequel je vais te mettre. Ma petite Lucie, encore une fois, pardon. Je vais me confesser à l’instant, et espère te revoir dans un monde meilleur. Je meurs innocent du crime d’abandon de poste qui m’est reproché. Si au lieu de m’échapper des Allemands, j’étais resté prisonnier, j’aurais encore la vie sauve. C’est la fatalité. Ma dernière pensée, à toi, jusqu’au bout. Henry Floch Mia cara Lucia, Quando questa lettera ti sarà pervenuta, io sarò morto fucilato. Ecco perchè: il 27 novembre, verso le 5 di sera, dopo due ore di violento bombardamento, in una trincea della prima linea, mentre stavamo finendo la nostra zuppa, dei tedeschi sono penetrati nella trincea e mi hanno fatto prigioniero con due miei compagni. Io sono riuscito ad approfittare di un momento di rissa e di disordine per scappare dalle mani dei tedeschi.Ho poi seguito i miei compagni e ho raggiunto le nostre linee. A causa di ciò, sono stato accusato di abbandono del posto in presenza di nemici. Siamo passati in ventiquattro davani al Consiglio di Guerra. Sei sono stati condannati a morte, tra questi sei ci sono io. Non sono piu' colpevole degli altri, ma c'è bisogno di un esempio. Il mio portafogli ti arriverà con quello che c'è dentro. Ti devo fare i miei ultimi saluti in fretta, con le lacrime agli occhi, l'anima in pena. Io ti domando umilmente in ginocchio perdono per tutta la tristezza che ti causerò e per l'imbarazzo nel quale ti metterò....Mia piccola Lucia, ancora una volta, scusa. Mi confesserò all'istante e spero di rivederti in un mondo migliore. Muoio innocente del crimine di abbandono del posto che mi è imputato. Se invece di scappare fossi rimasto prigioniero dei tedeschi, avrei avuto la vita salva. E' il destino. Il mio ultimo pensiero è a te, fino alla fine. Henry Floch Anni 1917 Luogo trincee della prima linea Finalità condanna a morte per diserzione Caratteristiche chiede perdono alla moglie per l’accaduto l’autore fa parte di una delle classi più alte dell’esercito Difformità dall'italiano medio Affetti famigliari molto presente nei confronti della moglie 9 Giugno 1917 Appartengo, mio caro amico Ernesto ,alla brigata Siena, ieri distintasi nei contrattacchi austriaci del Faiti con le brigate Bari e Tevere .Le mostrine di essa hanno i colori … della bandiera austriaca, e già le odio, quantunque non l’abbia ancora messe. Con tristezza mi distacco dal simbolo della Brigata alpi: simbolo di fede, primavera, di speranza. Non sono superstizioso certi colori li amiamo tutti, certi altri li odiamo quasi tutti. Nel sostituire le mie mostrine di color verde-lieta giovinezza. Con le altre … gialle e nere, mi sembra di trovarmi davanti ad un catafalco. Rammento che una fanciulla mi attaccò al collo della prima giubba di guerra, che indossai le mostrine verdi: ignoravo che il 51’ e il 52’ formassero la brigata dei vecchi cacciatori delle Alpi e che avessero simili mostrine. Nel vederle mi viene di mormorare : “abbi fede, spera.” Nel vedere queste altre le labbra biascicano un “de profundis”. Nell’ora del pericolo che è imminente strapperò il giallo e nero, e sotto di essi ancora una volta ricomparirà il verde con la mia giovinezza, le mie speranze, la mia fede. ANALISI DELLA LETTERA Data: 9 giugno 1917 Luogo : ignoto Autore: anonimo Finalità: ha scritto questa lettera a un suo ex compagno di brigata per informarlo dei suoi spostamenti e far percepire le sue emozioni al suo amico Ernesto Difformità dall’ italiano medio: numerosi errori lessicali sono presenti nel brano Durissime condizioni di vita: il soldato è costretto a passare da luogo all’altro con scarsità di cibo e alta possibilità di morire, perché nelle vicinanze si trovano gli austriaci pronti a sparare Paul Henry Floch è nato il 31 luglio 1881 a Breteil sur Iton Eure (Francia). Figlio di un sarto, è piuttosto istruito, poichè prima della guerra, era impiegato presso la corte di giustizia di pace della sua città natale. Si sposa nel maggio 1910 con Rose Lucie Adrienne Mouchard. Quando si arruola, visto il suo livello di istruzione, gli viene assegnato il grado di Caporale. Il 27 novembre 1914 , a seguito di un’attacco tedesco che demolisce parte delle trincee , sorprende il Caporale Floch e alcuni soldati del 298 RI che vengono fatti prigionieri. Durante l’assalto, in un momento di grande confusione il Caporale con alcuni commilitoni riesce a tornare alla sua trincea, ma viene accusato di aver abbandonato la posizione assegnatagli in presenza del nemico. Viene avviata un’indagine sommaria e il 3 dicembre, il Consiglio di guerra, stabilisce che il Caporale Floch e cinque altri soldati verranno fucilati a Vingré, per dare l’esempio e far comprendere il senso del dovere e dell’obbedienza ai soldati. Il Caporale Floch è stato sepolto nel cimitero del suo paese natale. Grazie agli sforzi della sua famiglia e di quella degli altri soldati che hanno subito la sua ingiusta accusa, il Caporale e gli altri 5 soldati sono stati riabilitati nel 1921 e vengono ora designati come « I Morti di Vingré ». Nel 1925 a Vingré è stato eretto un monumento in onore di questi uomini. Vi voglio raccontare un pochino come me la passo io qui, come ci trattano al fronte. […] Si fa altro che maledire i nostri superiori […] che vogliono tante mondizie, dico mondizie perché è fuori di ogni immaginazione […]. Sino che eravamo al masatorio cioè in prima linea, in rischio di farci macelare ogni minuto, e ci trattavano un po' meglio perché avevano paura più di noi, e quando si fava per avanzare cridavano avanti, avanti altrimenti vi sparo. Altro che dire nella stampa, e voi certo l'avrete letto sul Corriere che spiegava quei drappelli della morte che vanno seriamente e volontariamente a quella pericolosissima operazione di mettere i tubi di alto espulzione, e di tagliare i fili; che specialmente chi va non torna più […] certo si rischia la pelle, altrimenti la pelle me la fanno i nostri superiori . […] Spera Cara Molie che vada terminata questa guerra micidiale che invece di diminuire, va allargandosi sempre più e fa piangere Madri, Padri, Molie, Figli, Fratelli e Sorelle di tutti quelli che si ritrovano in detta guerra”. Finalità Caratteristiche raccontare come se la passavano i soldati al fronte paura, sfiducia nei superiori Difformità dall’italiano medio mondizie, sino, masatorio, in rischio, macelare, si fava, cridavano, espulzione, me la fanno i nostri superiori, molie, detta Le condizioni di vita Affetti famigliari si trovano in mezzo alle immondizie presenti per tutte le persone che sono a casa 1 agosto 1917 “Fin dall’inizio del Nostro Pontificato, fra gli orrori della terribile bufera che si era abbattuta sull’Europa, tre cose sopra le altre Noi ci proponemmo: una perfetta imparzialità verso tutti i belligeranti; uno sforzo continuo per fare a tutti il maggior bene possibile, e ciò senza accettazione di persone, senza distinzione di nazionalità o di religione; in fine la cura assidua, di nulla omettere, per quanto era in poter nostro che giovasse ad affrettare il fine di questa calamità, inducendo i popoli e i loro capi e i loro capi a più miti consigli, alle serene deliberazioni della pace, di una “pace giusta e duratura”. Chi ha seguito l’opera Nostra per tutto il doloroso triennio che ora si chiude, ha potuto riconoscere che, come Noi fummo sempre fedeli al proposito di assoluta imparzialità e di beneficenza, così non cessammo di esaltare popoli e governi belligeranti a tornare fratelli, quantunque non sempre sia stato reso pubblico ciò che Noi facemmo a questo nobilissimo intento. Sul tramontare del primo anno di guerra Noi, rivolgendo a essi le più vive esortazioni, indicammo anche la via da seguire per giungere a una pace stabile e dignitosa per tutti. Purtroppo, l’intento Nostro non fu ascoltato la guerra proseguì accanita per altri due anni con tutti i suoi orrori: si inasprì e si estese anzi per terra, per mare e perfino nell’aria, donde sulle città inermi, sui quieti villaggi, sui loro abitanti innocenti, scesero la desolazione e la morte. […] L’Europa così gloriosa e fiorente, correrà, quasi travolta da una follia universale, all’abisso, incontro ad un vero e proprio suicidio? In sì angoscioso stato di cose, dinnanzi a così grave minaccia, Noi, non per mire politiche particolari, né per il suggerimento o l’ intenzione di alcune delle parti belligeranti, ma mossi unicamente dalla coscienza del supremo dovere di Padre comuni fedeli, dal sospiro dei figli che invocano l’opera Nostra e la Nostra parola pacificatrice, dalla voce stessa dell’umanità e della ragione, alziamo nuovamente il grido di pace, e rinnoviamo un caldo appello a Voi che reggete in questa tragica ora le sorti dei popoli belligeranti, animati dalla care e soave speranza di giungere così quanto prima alla cessazione di questa lotta tremenda, la quale, ogni giorno di più, appare inutile strage.” Anno 1 Agosto 1917 Luogo Scritta in Vaticano, inviata a tutti gli stati del Mondo Finalità Cessare il conflitto Caratteristiche Linguaggio formale, stato di supplica dal Papa Benedetto XV divenne papa un mese dopo l’ inizio della guerra e subito tento di dissuadere i capi degli Stati belligeranti dal proseguire un c0nflitto che fin dall' inizio si era rivelato sanguinoso e destinato a prolungarsi nel tempo. Nel 1917, il papa scrisse ai capi di Stato di tutto il mondo una lettera dal titolo “Fin dall’Inizio”, invocando la pace e chiedendo di mettere fine all’ “Inutile strage” : un’espressione divenuta famosa. Altopiano del Carso, 26 ottobre 1917 Cara madre, Ti scrivo solo adesso, perché solo ora mi sono stati concessi un foglio, una penna dal pennino spuntato ed un po’ di inchiostro. Siamo in guerra da circa due anni e la situazione non è per niente cambiata. Io ho paura, potrei vedere la morte da un momento all’altro, e la guerra di trincea è un vero strazio. Siamo costretti a vivere in buche scavate nel terreno e mangiamo molto poco, i topi ed altri insetti convivono con noi e molti si ammalano di dissenteria, Inoltre il generale Cadorna è un vero tiranno e nessuno, nel mio reggimento, prova simpatia per lui: lui e gli altri alti ufficiali sembrano veramente incapaci di guidare un esercito ed in questi giorni le truppe sono talmente disorientate che gli Austriaci continuano ad avanzare. Non contento delle sconfitte e d elle migliaia di vittime, Cadorna, spesso fa fucilare soldati italiani accusandoli ingiustamente, di diserzione o vigliaccheria. Cara madre io sono ancora vivo e spero di tornare a casa sano e salvo, ma in queste condizioni, ben presto, l’esercito austriaco ci travolgerà tutti. Ti abbraccio e ti bacio tuo figlio Gianni. Milano, 28 ottobre 1917 Figlio mio, Perché sei voluto partire per questa avventura che credevi emozionante? A me sembra solo un cammino in contro alla morte, quanto vorrei stringerti forte in questo momento così difficile. Il dottore ha detto che tuo padre sta peggiorando inesorabilmente e che, senza medicine, resisterà al massimo un mese. Per favore torna a casa poiché, se tuo padre dovesse venire a mancare, toccherebbe a tuo fratello più piccolo di fare il capofamiglia. Non buttare la tua vita a soli 23 anni; pensa a Marinella che attende con ansia il tuo ritorno, pensa ai campi aridi ed alle mandrie, pensa alla tua bella terra dove ancora regna la pace. Torna presto, tua madre. Riva del Piave, 14 novembre 1917 Cara madre, Come pensavo, le truppe austro tedesche hanno sfondato le nostre difese e sono entrate nel territorio Italiano. Finalmente Cadorna è stato congedato e sostituito dal generale Armando Diaz; lui si che è degno di stare alla testa di un esercito e ci sta per davvero, senza nascondersi dietro le sue truppe. Ci ha fatto assestare sul Piave dove abbiamo ingaggiato una restistenza furiosa. Se gli austriaci dovessero sfondare anche queste difese dilagherebbero nella pianura Padana ed a quel punto la guerra sarebbe persa. Madre, nonostante il fatto che riusciamo a contrastare i nemici, il mio cuore pena tanto: ogni giorno vedo arrivare nuovi giovani pronti a morire, ma che no n sanno a cosa vanno incontro e vedo fuggire intere famiglie dai villaggi distrutti e devastati dalle bombe e dai gas tossici. L’altro giorno una bambina è arrivata nel nostro ospedale da campo con una ferita di striscio provocata da un proiettile; perché tutto questo dolore? Questi piccoli e indifesi bambini cosa hanno fatto per perdere i genitori o la loro stessa vita? Nel mio reggimento c’è un poeta, tale Giuseppe Ungaretti, che esprime le sue emozioni e gli stati d’animo nei confronti della guerra componendo poesie. Ne ha composta una anche per me e per Marinella. Dille che appena la guerra finirà la sposerò e finalmente potremo vivere insieme. Ti abbraccio forte, tuo figlio. Milano, 15 novembre 1917 Figlio amato, Ti devo dare una brutta notizia, tuo padre è morto ed ora tuo fratello di 12 anni è diventato il capofamiglia. Riusciamo a stento a vivere col tuo compenso e Marinella inizia a cedere alla corte dei ragazzi del paese. Il raccolto è tutto seccato ed il terreno è arido; le mandrie si stanno decimando poiché il fieno scarseggia. Torna a casa ed aiuta la tua famiglia! Lascia stare questa guerra inutile! Ti prego ascoltami, Tua madre Vittorio Veneto, 4 novembre 1918 Madre, finalmente la guerra è finita ed è stata vinta da noi. Il generale Diaz, avuta notizia che molti soldati stavano abbandonando le loro posizioni per andare al fronte per difendere la patria, ha sferrato delle offensive decisive che hanno costretto gli Austriaci alla resa; una tattica davvero intelligente. I nemici hanno firmato l’armistizio e siamo tutti liberi di tornare a casa. Sarò a Milano tra un paio di giorni e non vedo l’ora di riabbracciarvi tutti, soprattutto Marinella. Comunque non scrivermi più perché sosterò qui ancora molto poco. A presto, Gianni. Difformità dall’ italiano medio Linguaggio ricco e corretto Stati d’animo e sentimenti Decisamente preoccupata per il futuro e soprattutto per la salute del figlio lontano Affetti familiari Nomina sempre la salute del marito e il fatto che il figlio minore dpvrà diventare capofamiglia a soli 12 anni. Supplica in numerose situazioni il figlio soldato di tornare a casa perché hanno bisogno di lui. Difficoltà lavorative È una donna vedova che si trova con un figlio di 23 anni soldato in trincea e uno di 12 capofamiglia, deve affrontare il lavoro nei campi. Il terreno si presenta arido e il raccolto è seccato e le mandrie si stanno decimando poiché il fieno scarseggia. Difformità dall’italiano medio Linguaggio ricco e corretto Caratteristiche delle trincee “siamo costretti a vivere nelle buche scavate nel terreno” Il cibo e il vestiario “mangiamo molto poco” Le durissime condizioni di vita “i topi ed altri insetti convivono con noi e molti si ammalano di dissenteria” “Cadorna fa spesso fucilare soldati Italiani accusandoli, ingiustamente, di diserzione o vigliaccheria” Gli affetti familiari Scrive sempre alla madre, ha un fratello di 12 anni, il padre muore, è innamorato di Marinella Modo per togliersi dalla vita di trincea e proiettarsi con l’ immaginazione nella realtà quotidiana e familiare Chiede della vita in paese e sua madre gli spiega che è dura e che vuole che lui torni a casa, raccontandogli dei raccolti, del bestiame e di Marinella 17 maggio 1917 Salute ne ho parecchia come al solito, e spero di averne per molti anni ancora. Salvatore mi scrive spesso. M’ha detto che insieme alla compagnia a cui apparteneva è passato a formare un nuovo reggimento. Quello che è capitato a lui è capitato a me; domani o anche oggi lascio con tutta la mia compagnia il 52, e ci trasferiamo a Belluno per costruire un nuovo reparto. Non mi dispiace per niente lasciare questi posti che avevo cominciato a vedere di mal occhio Spero che dove mi manderanno, tutto mi andrà bene come in passato o anche meglio. In tutti i casi, finché c’è vita e vent’anni, faremo per intero il nostro dovere. P.S. Siccome credo che Papà sia attualmente carico di lavoro, desidererei che facesse pochissimo o anche niente. Se quello che dovrebbe far lui può farlo fare ad altri, non risparmi niente, perché farebbe quasi un peccato. La provvidenza in seguito non mancherà per nessuno, per ora papà pensi a risparmiarsi. Così raccomando alla mamma di pensare molto per sé e poco per me; perché se non fa così non pensa ne a sé, ne a me. Data: 17 maggio 1917 Luogo: Ignoto Autore: Anonimo Finalità: In questa lettera lo scopo principale dell’autore è informare la famiglia del suo stato di salute e del suo trasferimento in un altro reggimento. Difformità dall’italiano medio: Questa lettera non presenta evidenti difformità dell’italiano medio. Affetti familiari: L’autore esprime la raccomandazione che l’anziano padre non debba fare lavori faticosi e che la madre non debba preoccuparsi per lui perché finirebbe per trascurare se stessa. Questo è solo un minuscolo assaggio di tutte le lettere e le memorie scritte dai soldati nelle trincee durante la Grande Guerra. I soldati non scrivevano solo per raccontare cosa succedeva nelle trincee e per essere informati sulle condizioni della propria famiglia, ma era anche un modo per sfogarsi e non impazzire. In un certo senso, tentavano a modo loro di esorcizzare la paura della morte con cui convivevano.