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sanzaru e l`arte di sapersi esprimere
Barbara Felcini Maria Isa Lo Masto SANZARU E L’ARTE DI SAPERSI ESPRIMERE Prefazione di Francesca Brezzi Copyright © MMIX ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, 133/A–B 00173 Roma (06) 93781065 ISBN 978–88–548–3024–0 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: dicembre 2009 Indice 11 Prefazione 13 Premessa 21 Considerazioni liminari 23 Introduzione 27 Capitolo I Il processo comunicativo 1.1. La comunicazione verbale, non verbale e paraverbale, 32 – 1.2. Le caratteristiche personali, 35 – 1.3. I requisiti formali, 39 – 1.4. L’intelligenza emotiva, 40 43 Capitolo II Le domande 2.1. Domande aperte, 43 – 2.2. Domande chiuse, 45 – 2.3. Domande manipolatorie, 46 – 2.4. Le alterazioni del linguaggio, 47 57 Capitolo III Sapersi esprimere 3.1. La descrizione, l’interpretazione e la valutazione, 58 – 3.2. Le emozioni, 62 – 3.3. I bisogni, 64 – 3.4. La richiesta, 66 9 10 69 Indice Capitolo IV L’ascolto nella relazione d’aiuto 4.1. La tecnica dell’ascolto attivo, 71 – 4.2. I principi fondamentali della riformulazione, 77 87 Capitolo V La comprensione 5.1. Autenticità, 87 – 5.2. Empatia, 89 – 5.3. Considerazione positiva e accettazione incondizionata, 91 – 5.4. La valutazione organismica, 92 – 5.5. La tendenza attualizzante, 94 97 Capitolo VI Le barriere alla corretta comunicazione 6.1. Il pensiero stereotipato, 99 – 6.2. Il contenuto razionale, 99 – 6.3. La soggettività, 100 – 6.4. Offrire soluzioni, 102 – 6.5. Le attribuzioni soggettive, 102 – 6.6. L’auto– osservazione, 104 117 Conclusioni 121 Postfazione 123 Bibliografia 131 Ringraziamenti Capitolo I Il processo comunicativo Chiunque può arrabbiarsi, è facile … ma arrabbiarsi con la persona giusta, al giusto grado, nel modo giusto, nel momento giusto e per la giusta causa – questo non è da tutti e non è facile Aristotele, Etica Nicomachea Cosa si intende per corretta comunicazione interpersonale? È davvero possibile comunicare efficacemente senza lasciar spazio ad ambiguità e fraintendimenti che possono distorcere il messaggio? L’obiettivo di un buon comunicatore non è solamente trasferire informazioni ma ottenere una reazione in base al messaggio trasmesso o influenzare un comportamento9. 9 Giusti E., Ticconi G., La comunicazione non verbale, Scione Editore, Roma 1998. 27 28 Capitolo I Per capire come si svolge il processo di comunicazione, è importante tenere presente che esso trae origine da un’emittente che si rivolge ad un ricevente attraverso un canale definito. Il messaggio, cioè il contenuto che l’emittente intende trasmettere, è composto da una componente logico-semantica e da una componente affettivo-emotiva e viene inviato tramite un codice che il destinatario conosce ed è in grado di capire. Più numerosi sono i canali di comunicazione adottati più piena, articolata e profonda si può dire la trasmissione di informazioni poiché, in essa, vengono accresciuti sia l’aspetto logicosemantico che quello affettivo-emotivo. Edoardo Giusti e Giuseppe Picconi10 descrivono le diverse vie di comunicazione che possiamo scegliere, a seconda del contesto in cui ci troviamo. La comunicazione a una via avviene nel caso della radio, della tv o della carta stampata e prevede la ricezione delle informazioni unicamente da parte di uno o più riceventi e non prevede risposta. Si tratta di un tipo di comunicazione caratterizzata dalla chiarezza del suo obiettivo e dalla semplicità del linguaggio adottato. L’attendibilità e la legittimazione del messaggio dipendono dalla credibilità e dall’autorevolezza dell’emittente. La comunicazione a due vie prevede un’interazione tra emittente e ricevente e utilizza il solo canale uditivo, come accade ad esempio, quando telefoniamo. In questo caso, il messaggio verbale viene accompagnato anche da quello paraverbale, poiché timbro, tono, volume della voce e qualunque interiezione (umm, oh, ah,…) finanche il silenzio, possono aggiungere un significato più veritiero alla conversazione. La comunicazione a tre vie prevede una interazione tra emittente e ricevente e utilizza il canale visivo oltre a quello uditivo, permettendo così l’osservazione di quegli aspetti non verbali che aggiungono, volente o nolente, contenuto alla comunicazione. Infine, la comunicazione a più vie prevede l’aggiunta, ai precedenti, del canale tattile e quindi la comunicazione si arricchisce di nuove informazioni e può prevedere, quindi, un messaggio più complesso e articolato che utilizza tutti i canali sensoriali per la sua trasmissione al 10 Giusti E., Ticconi G., La comunicazione non verbale, op. cit. Il processo comunicativo 29 fine di amplificare la sua componente emotiva e dare enfasi al messaggio stesso. La finalità della comunicazione interpersonale è quella di comprendere e di farsi comprendere e la decodifica dei messaggi dipende da diversi fattori. L’educazione ricevuta, l’ambiente di riferimento, le propensioni personali, le esperienze passate, i pregiudizi e gli stereotipi radicati in noi che hanno influenzato la nostra personalità ed il nostro agire, ci ripropongono modelli di interpretazione della realtà che si rifanno a comportamenti noti, prevedibili e per un certo verso anche rassicuranti, che forniscono una mappa mentale di riferimento a cui attingiamo per decodificare la realtà che ci circonda. Scrive Eric Berne, padre dell’Analisi Transazionale: Ogni persona […] possiede uno schema di vita preconscio, o copione, per mezzo del quale struttura periodi di tempo […]. I copioni si basano generalmente su illusioni infantili che possono durare un’intera vita; nelle persone più sensibili, percettive ed intelligenti però queste illusioni si dissolvono a una a una conducendo alle varie crisi esistenziali […].11 Se ci lasciamo influenzare, quindi, dal nostro copione di vita o da qualunque mappa mentale che rappresenti la nostra realtà, il rischio è che, quando riceviamo un messaggio possiamo interpretarlo dando un significato diverso da quello originariamente attribuito dall’emittente. 11 Berne E.,1964, What do you say after you say hello?, trad. it. Ciao! … E poi?, Bompiani, Roma 2007, p. 31. 30 Capitolo I Le persone non sempre ci dicono ciò che pensano realmente. A volte i condizionamenti esterni sono così forti che la libertà di essere se stessi viene limitata non solo da situazioni contingenti ma anche e soprattutto dall’individuo stesso e l’espressione dei propri pensieri ed opinioni passa attraverso una forte censura personale. Inoltre, le persone possono non essere in contatto con i loro reali sentimenti. Talvolta il dolore, la rabbia e la paura le tengono lontane dalle emozioni che provano, non permettendo a queste ultime di farsi sentire ed avere libero sfogo. Molti individui hanno ricevuto un’educazione che non ha insegnato loro ad accettare e vivere le emozioni che provano; quindi, non essendo stati abituati a “contattarle”, non sono neppure in grado di riconoscerle. È proprio questo contenimento, questo non dare ascolto ad una parte così profonda e vera di se stessi, che spesso inibisce la comunicazione, distraendola dal suo reale oggetto. È difficile dar voce ai propri sentimenti, trasformando le emozioni in parole dotate del giusto peso e non rappresentate da semplici sfoghi emotivi che prendono voce da empiti di rabbia e di paura, privi di valore comunicativo, unicamente mirati all’offesa e, spesso, anche al rimprovero e alla recriminazione. Se ascoltiamo solo quel che vogliamo sentire, e cioè ciò che non ci crea dolore, le conversazioni vengono falsate; inoltre, non sempre le parole hanno un contenuto semantico univoco e possiamo incorrere nell’errore di travisarne il significato se dimentichiamo che la stessa parola può avere per ognuno di noi un significato diverso, legato alla sua storia personale. Se siamo molto concentrati su noi stessi, sui nostri bisogni e sulle nostre esigenze, facciamo fatica a prestare attenzione a quello che l’altro ci sta dicendo e, distratti nell’ascolto, siamo incuranti di decodificare correttamente il messaggio che ci viene inviato. E allora, come fare ad essere certi di avere ben compreso quello che il nostro interlocutore ci sta dicendo o, viceversa, capire se il nostro messaggio sia stato da lui correttamente inteso? Non è sufficiente saper utilizzare bene le parole e nulla più; chi sta di fronte a noi e ci sta parlando sa capire se in quel momento stiamo prestando la giusta attenzione, se siamo lì per lui, o se piuttosto la nostra mente è distolta da altri pensieri. Il processo comunicativo 31 Per ovviare a ciò, per riuscire a trasferire all’interlocutore la sensazione di essere stato veramente ascoltato e per dimostrargli la nostra presenza nella relazione, lo strumento da adottare è il feedback, vale a dire un messaggio di ritorno, dal ricevente all’emittente, che consente di verificare se la comunicazione è stata ben compresa. Tale conferma può essere ottenuta grazie alle tecniche di riformulazione, meglio analizzate nei capitoli successivi. La “buona” comunicazione, dunque, avviene quando il ricevente decodifica il più efficacemente possibile ciò che l’emittente intende esprimere, anche se, va detto, la comunicazione efficace e quindi la comprensione piena e totale di un messaggio, avviene molto raramente. Quando si comunica con un’altra persona, è indispensabile avere chiaro il proprio obiettivo. Sembra banale ma non lo è poi così tanto. Abbiamo già visto che durante una conversazione, se ci lasciamo trasportare da emozioni forti che non riconosciamo e non controlliamo, possiamo dire qualcosa di inopportuno e di non veritiero che rischia di spostare l’oggetto della comunicazione o darle una valenza che non le appartiene del tutto. Da qui l’importanza di avere coscienza di ciò che si vuole comunicare e di conoscere il contesto in cui stiamo comunicando, per definire bene il contenuto del nostro messaggio. Inoltre, usare un linguaggio comprensibile per il destinatario è un 32 Capitolo I elemento altrettanto importante. Se vogliamo essere compresi dobbiamo, prima di tutto, renderci conto di chi abbiamo di fronte e comunicare utilizzando un codice a lui familiare. Chi è sicuro di sé e di cosa sta dicendo non ha bisogno di servirsi di termini altisonanti, stranieri o tecnici, per “addetti ai lavori”. Una persona autentica è in grado di esprime i propri sentimenti, le proprie emozioni e gli argomenti che conosce e padroneggia utilizzando parole semplici e concetti chiari, accessibili a chi sta ascoltando. 1.1 La comunicazione verbale, non verbale e paraverbale Abbiamo ripetuto più volte che, per comunicare correttamente, non basta disporre di un buon eloquio. Come ci dimostrano tutti i più grandi attori di prosa, è l’azione congiunta di parole, postura, gesti, mimica, intonazione della voce, le pause ed il ritmo di un discorso che consentono di rafforzare ciò che stiamo dicendo, conquistando l’attenzione e la comprensione dell’ascoltatore. Più l’uso dei canali comunicativi è povero, più il messaggio prodotto è ambiguo. Ad esempio la comunicazione scritta, ad una via, si rivela più povera della comunicazione vis-à-vis, a più vie, poiché manca di tutto ciò che può essere aggiunto dai canali della vista, del suono e del tatto. Un comunicatore deve saper analizzare il contesto in cui esprime il messaggio e, nell’essere in grado di cambiarne gli schemi di riferimento in funzione dei diversi contesti, deve adattare continuamente il proprio linguaggio a quello dell’altro. Per una buona comprensione della comunicazione la semplice retorica non basta; infatti, la scelta dei vocaboli, delle costruzioni e delle figure viene supportata, ulteriormente, dalla comunicazione non verbale e paraverbale. Secondo Albert Mehrabian, il 55% del contenuto di un messaggio viene trasmesso a gesti e con la mimica facciale; circa il 38% con l’inflessione e il tono della voce; appena il 7% con le parole12. 12 Mehrabian A., Non-verbal communication, Aldine Chicago, 1972 in: Megginson L., Mosley D., Pietri P. Jr., Management, Franco Angeli, Milano, 1999. Il processo comunicativo 33 Esiste, quindi, una perdita di contenuto tra ciò che si intende dire, ciò che viene detto, ciò che l’altra persona ascolta, ciò che comprende e, infine, ciò che ricorda13. Per limitare al minimo questa perdita di contenuto, la comunicazione paraverbale agisce da supporto indispensabile affinché quanto detto rimanga maggiormente impresso. Il tono e il volume della voce, la sua velocità ed il ritmo, le pause ed i silenzi, tutto concorre a contrastare la noia di un dialogo che, se monocorde, può portare alla perdita di concentrazione da parte del nostro ascoltatore. Secondo Marilyn Pincus, in Mastering business etiquette and protocol: […] il 38% di un messaggio comunicato in un colloquio faccia a faccia è collegato al tono della voce. Questa percentuale aumenta ulteriormente nelle conversazioni telefoniche14. Nei paragrafi precedenti abbiamo già detto che la scelta del mezzo di trasmissione condiziona il contenuto del messaggio. La comunicazione, infatti, è sostanzialmente diversa se si scrive una lettera, se si parla al telefono o di persona, se si registra un filmato o, ancora, se si esprime attraverso il linguaggio del corpo. Secondo lo psicologo sociale Michael Argyle, quando c’è incongruenza tra comunicazione verbale e non verbale è quest’ultima che assume maggiore importanza per la comprensione del reale significato del messaggio15. La comunicazione non verbale funge da rinforzo alla comunicazione verbale e il messaggio viene comunicato tramite la respirazione, la traspirazione della pelle, la gestualità, la mimica e l’espressione del viso e dello sguardo, i cenni del capo e la postura. Una persona può comunicare molto di sé anche attraverso l’abbigliamento adottato, l’utilizzo degli status symbol, l’aspetto e 13 Pandiscia F., Comunicare bene. La comunicazione come forma mentis, Edizioni Psiconline, Francavilla al Mare (CH) 2009. 14 Pincus M., in Mastering business etiquette and protocol, National Institute of Business Management, New York 1989, p. 40, cit. in Megginson L., Mosley D., Pietri P. Jr., Management, Franco Angeli, Milano 1999, p. 503. 15 Argyle M., Il corpo ed il suo linguaggio. Studio della comunicazione non verbale, Zanichelli, Bologna, 1992, in Giusti E., Ticconi G., La comunicazione non verbale, op. cit. 34 Capitolo I l’igiene corporale. A proposito di comportamento Edoardo Giusti e Giuseppe Ticconi scrivono: Nel 1969, [Starkey] Duncan ha proposto una lista di comportamenti non verbali capaci di comunicare emozioni: espressioni facciali; movimenti degli occhi e direzione dello sguardo; gesti; posture; qualità della voce, come tonalità ed inflessioni; pause nel discorso; suoni come ridacchiare, grugnire, sbadigliare, ecc.; uso dello spazio nell’interazione sociale; annusare; fiutare.16 Molti degli elementi citati, come la mimica, la gestualità, la prossemica, possono essere controllati da noi con molta difficoltà e per la maggior parte dei casi sfuggono a qualunque forma di autocontrollo. Tali aspetti della nostra persona, se osservati con attenzione, possono rivelare molto di più di quanto, forse, vorremmo. La comunicazione non verbale, infatti, sostiene la comunicazione verbale fino anche a sostituirla, in particolar modo nell’espressione inconsapevole delle emozioni quali la felicità, la tristezza, la rabbia, la paura, il disgusto o la sorpresa, ed il corpo umano ne è lo strumento involontario. Affinché la comunicazione sia correttamente percepita dal nostro interlocutore è, quindi, importante che il contenuto del messaggio sia coerente con quanto trasmesso dalla gestualità. Un sentimento amichevole è accompagnato dal sorriso; il battito cardiaco accelerato e la sudorazione copiosa indicano ansia; la postura abbattuta e prostrata, le sopracciglia corrugate e gli occhi semichiusi dimostrano tristezza. Ma se la bocca è semiaperta, gli occhi dilatati e le sopraciglia sono alzate, siamo di fronte a sorpresa o paura? È possibile, infatti, che lo stesso segnale possa avere significati diversi a seconda del contesto in cui è presente. Quindi il corpo veicola feedback a chi li sa leggere, in quanto trasmette messaggi involontari che rafforzano o, al contrario, smentiscono il contenuto della comunicazione17; ciò rappresenta una fonte inesauribile di informazioni preziose ed altamente rivelatrici per chi è in grado di accorgersene. 16 17 Giusti E., Ticconi G., La comunicazione non verbale, op. cit, p. 69. Pandiscia F., Comunicare bene. La comunicazione come forma mentis, op. cit. Il processo comunicativo 1.2 35 Le caratteristiche personali Ci sono alcuni aspetti dell’animo umano che fungono da humus per una comunicazione ricca e profonda. Non basta avere consapevolezza di sé, delle proprie capacità e dei propri limiti. È indispensabile, innanzitutto, disporre di stabilità emotiva e di apertura mentale per accogliere punti di vista nuovi e talvolta inaspettati, stando ben attenti a non lasciare spazio a pregiudizi e stereotipi di alcun genere, che limitano il nostro orizzonte. Altri ingredienti fondamentali, necessari per accogliere un’altra persona, sono il rispetto e la disponibilità nei suoi confronti e la sensibilità verso i suoi personali problemi, la pazienza nell’ascoltare e la capacità di farsi coinvolgere mantenendo al contempo la giusta distanza emotiva che protegga da eccessive implicazioni emozionali, senza la quale, si potrebbe rischiare un burnout18, ed ancora una buona comunicativa, sia verbale sia non verbale, e la creatività per cogliere aspetti nuovi e diversi di fronte alle problematiche della vita, sia propria che altrui. A tutto ciò vanno aggiunte le qualità rogersiane dell’autenticità, della congruenza, dell’empatia e la disponibilità all’accettazione positiva incondizionata. Affinché comunicare sia uno scambio proficuo, arricchente e costruttivo per tutti è, quindi, importante provare il desiderio di confrontarsi con le altre persone, ascoltandole con apertura e disponibilità, senza volontà di manipolazione. 1.2.1 La manipolazione Fin troppo sovente, nel corso della nostra vita, abbiamo incontrato persone che hanno cercato di indurci a fare cose per il loro stesso interesse, riuscendo abilmente a farci credere d’essere noi stessi a desiderare di farlo. Ma come può accadere tutto ciò? 18 “Burnout” dall’inglese bruciarsi. É il rischio che corrono tutti coloro che svolgono attività di cura e sostegno. Facendosi carico eccessivamente delle problematiche altrui, la persona consente alle emozioni di sostituirsi alla razionalità e può incorrere non solo un esaurimento fisico ma anche emozionale. Per maggiori approfondimenti: Saviantoni G., Sgarro M., Dalla parte dei professionisti: burnout e traumatizzazione secondaria, 20.08.2001, http://www.psiconline.it/print.php?sid=178 36 Capitolo I I manipolatori agiscono sfruttando la nostra fragilità e carenza di autostima. Nella relazioni mettono in atto aggressioni verbali, sguardi sprezzanti, rimproveri non ben definiti: se non diamo un nome al problema, la situazione rimane nebulosa e offuscata fino a perdere ogni punto di riferimento; questo consente loro di condurci là dove essi vogliono e non dove vogliamo noi. Il manipolatore non comunica in maniera autentica. Usa l’ironia per deformare e interpretare i discorsi senza permettere al suo interlocutore la possibilità di replicare. Evita le discussioni che lo annoiano; non formula richieste chiare e definite ma piuttosto pone domande indirette e, a partire dalla risposta che riceve, trae le conclusioni che più si adattano al suo pensiero e ai suoi scopi. In tal modo il suo interlocutore viene portato allo sfinimento, il suo unico scopo è di avere sempre l’ultima parola e non sopporta rifiuti19. In casi estremi, l’esposizione alla comunicazione perversa (dubbi, confusione, messaggi contraddittori e/o paradossali) paralizza e scuote i riferimenti interiori di una persona, provocando il crollo della propria capacità critica. Le sensazioni ostili vengono trasmesse attraverso l’implicito, una tecnica che impedisce qualunque forma di reazione e/o di difesa. La sottomissione diventa l’unica strategia di adattamento in una situazione di cui non si vedono né soluzioni né vie d’uscita. Tali situazioni diventano insopportabili a lungo andare e il senso di vergogna conduce le persone ad allontanarsi dal proprio contesto sociale e ad isolarsi fino all’autodistruzione, nei casi estremi. 1.2.2 La prossemica Marco Costa e Pio E. Ricci Bitti così la definiscono: La prossemica è quella branca della psicologia che studia i comportamenti spaziali, ovvero il modo in cui ci collochiamo nello spazio e regoliamo le nostre distanze rispetto agli altri e all’ambiente.20 19 Nazare-Aga I., La manipolazione affettiva. Quando l’amore diventa una trappola, Castelvecchi, Roma 2008. 20 Costa M., Ricci Bitti P. E., Fra me e te, http://www.marcocosta.it, 18.08.2009, p. 3. Il processo comunicativo 37 Anche la prossemica può mostrare aspetti della personalità legati alla rappresentazione di sé e non sempre possono venir controllati dalla persona, contribuendo a far sentire l’altro, più o meno, a proprio agio. A seconda di quanto intendiamo dare confidenza e infondere sentimenti amicali ed affettivi, possiamo porci nello spazio a noi circostante, in maniera più o meno ravvicinata all’altro. Per facilitare un colloquio vis-à-vis, ad esempio, è bene disporsi né troppo lontano e neppure troppo vicino, senza frapposizioni di ostacoli che interrompono la diretta visuale fra voi e l’altra persona. Per la maggior parte degli individui la distanza ottimale è 90-180 cm. 38 Capitolo I L’antropologo americano Edward T. Hall ha classificato gli spazi personali suddividendoli in quattro zone. Esiste una zona intima, affettiva, che possiamo misurare da dove ci troviamo fino al punto raggiunto dal nostro braccio allungato, tenendo il gomito attaccato al corpo; possiamo toccare le braccia e le spalle, ci possiamo abbracciare, possiamo vedere gli occhi dell’altro, sentirne il respiro, l’odore e anche il calore. L’espressione facciale è controllabile. Troviamo poi una zona personale che raggiunge il limite massimo fino a cui si può estendere il braccio ed una zona sociale, la somma dello spazio di due zone personali affiancate, ed in fine una zona pubblica che va al di là della zona sociale21. La prossemica varia in funzione di diversi fattori, sia culturali che sociali, e Marco Costa e Pio E. Ricci Bitti così ce lo descrivono: Non tutti, comunque, manteniamo le stesse distanze a parità d’età e di sesso. […] anche i fattori di personalità giocano un ruolo importante. Individui ansiosi o introversi, ad esempio, mantengono distanze personali maggiori rispetto ad individui non ansiosi o introversi. Coloro che hanno un’alta autostima, ovvero che credono in se stessi e nelle loro capacità, tendono a rapportarsi con gli altri a minore distanza rispetto a persone che hanno una bassa autostima.22 Nei rapporti con gli altri, quindi, è molto importante porsi con un atteggiamento mentale aperto, senza che i giudizi ed i condizionamenti ci vincolino in “personaggi” ed atteggiamenti che non ci appartengono realmente. È fondamentale lasciare che i nostri sentimenti, le nostre emozioni e i nostri modi di essere ci presentino per quello che realmente siamo, in modo tale che anche il corpo ed il suo linguaggio mostrino la nostra autenticità. Se siamo in grado di coniugare un dialogo interiore costruttivo e consapevole con un dialogo costruttivo e cosciente rivolto agli altri, allora avremo capito cosa intende Virginia Satir quando spiega il concetto di congruenza. 21 Francesco Padrini, Il linguaggio segreto del corpo, Giovanni De Vecchi Editore, Milano 1994. 22 Costa M., Ricci Bitti P. E., Fra me e te, op. cit., p. 5. Il processo comunicativo 39 Quando parli, i pensieri, i sentimenti e il corpo devono essere in armonia. Per raggiungere questa sintonia bisogna prima di tutto conoscere come ci si sente realmente. Esprimi questi sentimenti attraverso le tue parole, il tono della voce e il linguaggio del corpo.23 1.3 I requisiti formali Durante un colloquio per poter trasmettere al nostro interlocutore un messaggio rassicurante di completa attenzione, è bene adottare una postura adeguata ad esprimere la centratura del momento. 23 Satir V., People making, Souvenir, Londra 1972 cit. in Giusti E., Testi A., L’assertività. Vincere quasi sempre con le 3A. Vol. 2, op. cit., p. 77. 40 Capitolo I Ciò significa: contatto oculare sostenuto senza esitazione, espressioni facciali accoglienti, busto lievemente proteso verso l’altra persona, spalle dritte e gambe leggermente piegate, piedi allineati parallelamente e poggiati a terra. Tali atteggiamenti esprimono interesse verso l’altro: il linguaggio aperto del corpo mostra la propria disponibilità all’interazione24. Parlando di comunicazione paraverbale, abbiamo detto che il tono della voce contribuisce a catturare l’attenzione dell’interlocutore. È importante, infatti, che chi parla adotti un tono di voce rassicurante e rilassato per indurre calore e simpatia in chi lo sta ascoltando, ciò contribuisce a creare un clima disteso e amichevole. Se il tono della voce si presenta aspro, invece, ciò indurrà nell’interlocutore un senso di ostilità; se si mantiene acuto, senza una modularità fatta di alti e bassi ed intervallato da pause, questo, potrà incutere soggezione in chi ascolta ed essere interpretato come una volontà di dominio da parte di chi sta parlando; infine, al contrario, se sarà basso e tremolante, la sensazione potrà essere di debolezza e sottomissione. 1.4 L’intelligenza emotiva25 Secondo lo psicologo statunitense Daniel Goleman, l’intelligenza non è solo logica ferrea ma una combinazione armonica della capacità di stabilire rapporti costruttivi, di sviluppare la propria creatività, di sentirsi liberi di affidarsi alle sensazioni irrazionali ed impulsive senza lasciarsi sopraffare dalla logica, saper cogliere le correnti emotive che si stabiliscono tra gli esseri umani, potenziando quelle positive e deviando quelle negative26. Alla base dell'intelligenza emotiva ci sono due competenze fondamentali: quella personale, legata al modo in cui siamo consapevoli e padroni di noi stessi, grazie alla quale controlliamo noi e l’ambiente; ed una competenza sociale, legata al modo in cui gestiamo le relazioni 24 Giusti E., Testi A., L’assertività. Vincere quasi sempre con le 3A. Vol. 2, op. cit. Goleman D., Intelligenza emotiva, Rizzoli, Milano 1996. 26 Master 24, L’arte di comunicare e public speaking, Gestione e Strategia d’Impresa vol. 1, Gruppo Editoriale L’Espresso s.p.a., Roma 2007. 25 Il processo comunicativo 41 con gli altri, sviluppando la nostra capacità di empatizzare e le abilità nelle relazioni interpersonali. La consapevolezza di sé implica la capacità di riconoscere le proprie emozioni, saper valutare accuratamente i propri limiti, le attitudini e le risorse interiori e consente di acquisire e sviluppare la percezione del proprio valore e delle proprie capacità, contestualmente ad una sana fiducia in se stessi. La padronanza di sé implica la capacità di autocontrollo e di gestione delle proprie emozioni e lo sviluppo di atteggiamenti eticamente corretti, nel rispetto di regole flessibili, chiaramente e autenticamente definite.