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BLOCCATI DALLO SCHERMO Biennale delle Arti e delle Scienze del Mediterraneo Associazione di Enti Locali per l’Educational e la Cultura - Ente Formatore per Docenti Istituzione Promotrice della Staffetta di Scrittura Bimed/Exposcuola in Italia e all’Estero Partendo dall’incipit di Luca Ragagnin e con il coordinamento dei propri docenti, hanno scritto il racconto gli studenti delle scuole e delle classi appresso indicate: Istituto d'Istruzione Superiore “Assteas” di Buccino – Classi V B/D, IV B, III C Liceo Artistico “Felice Faccio” di Castellamonte – Classe IV A Sezione Architettura e Ambiente Liceo scientifico “Elio Vittorini” di Napoli – Classi I I, III H Liceo Scientifico “E. Amaldi” di Barcellona – Classe III A Istituto d’istruzione Secondaria Superiore “G. B. Vico” di Laterza – Classi IV C, VC/D/G Liceo “Chris Cappell College” di Anzio - Classi III B/C/D, IV E,V D ISIS “V. Cuoco - O. Fascitelli” di Isernia – Classi II A/B, III B Liceo Classico “P. Galluppi” di Catanzaro - I A Liceo Classico “P. Galluppi” di Catanzaro - Classe I A Liceo Scientifico Statale “Alfonso Gatto” di Agropoli - Classe II A Istituto Magistrale ‘’G. Guacci’’ di Benevento – Classi III VC Editing a cura di: Isabella Carena Biennale delle Arti e delle Scienze del Mediterraneo Associazione di Enti Locali Ente Formatore per docenti accreditato MIUR Il racconto è pubblicato in seno alla Collana dei Raccontiadiecimilamani Staffetta Bimed/Exposcuola 2014 Istituzione Promotrice della Staffetta di Scrittura Bimed/Exposcuola in Italia e all’Estero Direzione e progetto scientifico Andrea Iovino Monitoraggio dell’azione e ottimizzazione delle procedure Ermelinda Garofano Segreteria di Redazione e responsabili delle procedure Valentina Landolfi Margherita Pasquale Francesco Rossi Staff di Direzione e gestione delle procedure Angelo Di Maso Adele Spagnuolo Responsabile per l’impianto editoriale Marisa Coraggio Grafica di copertina: l’Istituto Europeo di Design, Torino Docente: Sandra Raffini Impaginazione Tullio Rinaldi Ermanno Villari Relazioni Istituzionali Nicoletta Antoniello Piattaforma BIMEDESCRIBA Gennaro Coppola Angelo De Martino Amministrazione Rosanna Crupi Annarita Cuozzo Franco Giugliano I libretti della Staffetta non possono essere in alcun modo posti in distribuzione Commerciale RINGRAZIAMENTI I racconti pubblicati nella Collana della Staffetta di Scrittura Bimed/ExpoScuola 2014 si realizzano anche grazie al contributo erogato in favore dell’azione dalle istituzioni e dai Comuni che la finanziano perché ritenuta esercizio di rilevante qualità per la formazione delle nuove generazioni. Tra gli Enti che contribuiscono alla pubblicazione della Collana Staffetta 2014 citiamo: Siano, Bellosguardo, Pisciotta, Pinerolo, Moncalieri, Castellamonte, Torre Pellice, Forno Canavese, Ivrea, Chivasso, Cuorgnè, Santena, Agliè, Favignana, Lanzo Torinese, Sicignano degli Alburni, Petina, Piaggine, San Giorgio a Cremano, l’Associazione in Saint Vincent e l’Associazione Turistica Pro Loco di Castelletto Monferrato. La Staffetta di Scrittura riceve un rilevante contributo per l’organizzazione degli Eventi di presentazione dei Racconti 2014 dai Comuni di Moncalieri, Salerno, Pinerolo e dal Parco Nazionale del Gargano/Riserva Naturale Marina Isole Tremiti. Si coglie l’occasione per ringraziare i tantissimi uomini e donne che hanno operato per il buon esito della Staffetta 2014 e che nella Scuola, nelle istituzioni e nel mondo delle associazioni promuovono l’interazione con i format che Bimed annualmente pone in essere in favore delle nuove generazioni. Ringraziamenti e tanta gratitudine per gli scrittori che annualmente redigono il proprio incipit per la Staffetta e lo donano a questa straordinaria azione qualificando lo start up dell’iniziativa. Un ringraziamento particolare alle Direzioni Regionali Scolastiche e agli Uffici Scolastici Provinciali che si sono prodigati in favore dell’iniziativa. Infine, ringraziamenti ossequiosi vanno a S. E. l’On. Giorgio Napolitano che ha insignito la Staffetta 2014 con uno dei premi più ambiti per le istituzioni che operano in ambito alla cultura e al fare cultura, la Medaglia di Rappresentanza della Repubblica Italiana giusto dispositivo SGPR 01/10/2013 0102715P del PROT SCA/GN/1047-1 Partner Tecnico Staffetta 2014 Si ringraziano per l’impagabile apporto fornito alla Staffetta 2014: i Partner tecnici UNISA – Salerno, Dip. di Informatica; Istituto Europeo di Design - Torino; Cartesar Spa e Sabox Eco Friendly Company; il partner Must Certipass, Ente Internazionale Erogatore delle Certificazioni Informatiche EIPASS By Bimed Edizioni Dipartimento tematico della Biennale delle Arti e delle Scienze del Mediterraneo (Associazione di Enti Locali per l’Educational e la Cultura) Via della Quercia, 64 – 84080 Capezzano (SA), ITALY Tel. 089/2964302-3 fax 089/2751719 e-mail: [email protected] La Collana dei Raccontiadiecimilamani 2014 viene stampata in parte su carta riciclata. È questa una scelta importante cui giungiamo grazie al contributo di autorevoli partner (Sabox e Cartesar) che con noi condividono il rispetto della tutela ambientale come vision culturale imprescindibile per chi intende contribuire alla qualificazione e allo sviluppo della società contemporanea anche attraverso la preservazione delle risorse naturali. E gli alberi sono risorse ineludibili per il futuro di ognuno di noi… Parte della carta utilizzata per stampare i racconti proviene da station di recupero e riciclo di materiali di scarto. La Pubblicazione è inserita nella collana della Staffetta di Scrittura Bimed/Exposcuola 2013/2014 Riservati tutti i diritti, anche di traduzione, in Italia e all’estero. Nessuna parte può essere riprodotta (fotocopia, microfilm o altro mezzo) senza l’autorizzazione scritta dell’Editore. La pubblicazione non è immessa nei circuiti di distribuzione e commercializzazione e rientra tra i prodotti formativi di Bimed destinati unicamente alle scuole partecipanti l’annuale Staffetta di Scrittura Bimed/ExpoScuola. La Staffetta 2013/14 riceve: Medaglia di Rappresentanza della Presidenza della Repubblica Italiana Patrocini: Senato della Repubblica, Camera dei Deputati, Ministero della Giustizia, Ministero per le Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, Ministero dell’Ambiente PRESENTAZIONE Quante attenzioni, quanta positiva tensione e quanto straordinario e felice impegno nella Staffetta di quest’anno. L’emozione che abbiamo provato quando il Presidente della Repubblica ha conferito alla Staffetta la Medaglia di Rappresentanza è stata grande ma ancora e di gran lunga maggiore è stata, l’emozione, nel vedere gli occhi dei nostri ragazzi in visita al Quirinale. Ho avvertito in quegli occhi l’orgoglio di chi sentiva di essersi impegnato in un’attività che le istituzioni gli stavano riconoscendo … È quello che vorrei vedere negli occhi di quei tanti giovani che dopo la scuola, a conclusione del proprio ciclo d’istruzione, invece, in questo tempo sentono l’apprensione di un contesto che, probabilmente, dovrebbe sancire la Staffetta come buona prassi da adottare in funzione del divenire comune. Cos’è, in fondo la Staffetta? E’ un format educativo, un esercizio imperdibile per l’acquisizione gli strumenti necessari a affrontare LA VITA sentendo lo straordinario dono della vita. La Staffetta è una sfida in cui tutti si mettono insieme stando dalla stessa parte, sentendo anche le entità lontane come i compagni di un cammino comune … L’altro che diventa te stesso … Questo è la Staffetta un momento che dura un intero anno e che alla fine ti mette nella condizione di sentirti più forte e orgoglioso per quello che è stato fatto, insieme a tanti altri che hanno concorso a realizzare un prodotto che alla fine è la testimonianza di un impegno che ci ha visti UNITI (!) in funzione di un obiettivo … Si tratta di quello di cui ha bisogno il Paese e di quello che appare indispensabile per qualificare il tempo e lo spazio che stiamo attraversando. Andrea Iovino L’innovazione e la Staffetta: una opportunità per la Scuola italiana. Questo è il secondo anno che operiamo in partnership con Bimed per la realizzazione della “Staffetta di scrittura Creativa e di Legalità”. Siamo orgogliosi di essere protagonisti di questa importante avventura che, peraltro, ci consente di raggiungere e sensibilizzare un così grande numero di persone sull’attualissimo, quanto per molti ancora poco conosciuto, tema che attiene la cultura digitale. Sentiamo spesso parlare di innovazione, di tecnologia e di internet: tutti elementi che hanno rivoluzionato il mondo, dalle amicizie, al tempo libero,lo studio, il lavoro e soprattutto il modo di reperire informazioni. L’innovazione ha travolto il mondo della produzione, dei servizi e dell’educazione, ma non dobbiamo dimenticare che “innovare” significa, prima di tutto, porre la dovuta attenzione alla cultura. Da un punto di vista tecnico, siamo tutti più o meno esperti, ma quanti di noi comprendono realmente l’essenza, le motivazioni, le opportunità e i rischi che ne derivano? La Società è cambiata e la Scuola, che è preposta alla formazione di nuovi individui e nuove coscienze, non può restare ferma di fronte al cambiamento che l’introduzione delle nuove tecnologie e internet hanno portato anche nella didattica: oggi gli studenti apprendono in modo diverso e questo implica necessariamente un metodo di insegnamento diverso. Con il concetto di “diffusione della cultura digitale” intendiamo lo sviluppo del pensiero critico e delle competenze digitali che, insieme all’alfabetizzazione, aiutano i docenti e i nostri ragazzi a districarsi nella giungla tecnologica che viviamo quotidianamente. L’informatica entra a Scuola in modo interdisciplinare e trasversale: entra perché i ragazzi di oggi sono i “nativi digitali”, sono nati e cresciuti con tecnologie di cui non è più possibile ignorarne i vantaggi e le opportunità e che porta inevitabilmente la Scuola a ridisegnare il proprio ruolo nel nostro tempo. Certipass promuove la diffusione della cultura digitale e opera in linea con le Raccomandazioni Comunitarie in materia, che indicano nell’innovazione e nell’acquisizione delle competenze digitali la vera possibilità evolutiva del contesto sociale contemporaneo. Poter anche soltanto raccontare a una comunità così vasta com’è quella di Bimed delle grandi opportunità che derivano dalla cultura digitale e dalla capacità di gestire in sicurezza la relazione con i contesti informatici, è di per sé una occasione imperdibile. Premesso che vi sono indagini internazionali da cui si evince l’esigenza di organizzare una forte strategia di ripresa culturale per il nostro Paese e considerato anche che è acclarato il dato che vuole l’Italia in una condizione di regressione economica proprio a causa del basso livello di alfabetizzazione (n.d.r. Attilio Stajano, Research, Quality, Competitiveness. European Union Technology Policy for Information Society IISpringer 2012) non soltanto di carattere digitale, ci è apparso doveroso partecipare con slancio a questo format che opera proprio verso la finalità di determinare una cultura in grado di collegare la creatività e i saperi tradizionali alle moderne tecnologie e a un’idea di digitale in grado di determinare confronto, contaminazione, incontro, partecipazione e condivisione. Promuoviamo, insieme, la cultura digitale e la certificazione delle I-Competence per garantire competenze indispensabili per acquisire a pieno il ruolo di cittadino attivo nella società della comunicazione e dell’ informazione. Partecipiamo attivamente alla diffusione della cultura digitale, perché essa diventi patrimonio di tutti e di ciascuno, accettando la sfida imposta dalle nuove professioni che nascono e dai vecchi mestieri che si trasformano, in modo profondo e radicale. Tutti noi abbiamo bisogno di rigenerare il pensiero accettando nuove sfide e mettendo in gioco tutto quanto imparato fino adesso, predisponendoci al cambiamento per poter andare sempre più avanti e un po’ oltre. Il libro che hai tra le mani è la prova tangibile di un lavoro unico nel suo genere, dai tantissimi valori aggiunti che racchiude in sé lo slancio nel liberare futuro collegando la nostra storia, le nostre tradizioni e la nostra civiltà all’innovazione tecnologica e alla cultura digitale. Certipass è ben lieta di essere parte integrante di questo percorso, perché l’innovazione è cultura, prima che evoluzione tecnologica! Il Presidente Domenico PONTRANDOLFO INCIPIT LUCA RAGAGNIN La contemplazione L’ultima volta che ci siamo parlati, io e mia moglie, c’era questo vecchio con le rughe indiane che piangeva sommessamente in primo piano mentre dietro di lui il fondale argentato slittava e dalla quinta arrivava di corsa ma zoppicando una donna molto anziana. La donna ululava e singhiozzava, a intermittenza. Poi, i due si parlavano in una lingua che tutti facevano finta di capire. La commozione passava dagli occhi luccicanti di alcuni, prontamente ripresi, alle mani dell’intero pubblico. Il pubblico si era prodotto in un applauso da brivido. Io e mia moglie stavamo seduti a un metro dallo schermo, le nostre poltrone allineate ma discoste. Fino al mese prima le poltrone erano in un altro angolo della casa. Noi ci distendevamo sul tappeto con una coperta di lana e i cuscini delle poltrone sotto le teste, anche se molte volte la nuca di mia moglie sceglieva me come appoggio, come quella volta che il bambino uscito dal fondo dello schermo era stato preso in braccio dalla ragazza e mentre la ragazza piangeva e rideva, pian- 16 geva e rideva, il bambino si era addormentato sulla sua spalla. Il pubblico non aveva applaudito, per non disturbare, però si era alzato in piedi, l’intero pubblico sull’attenti si era prodotto in un silenzio da brivido. Mia moglie non si addormentava mai, prima, nemmeno durante la pubblicità. Molte volte, anzi, il corpo di mia moglie veniva a svegliare il mio, anche quando le immagini toglievano davvero il fiato. A me, il più delle volte, sono le parole che tolgono il fiato. Non riesco a capire perché usano quelle che usano e non altre. Forse, lì dentro, non ci sono parole possibili, non ci sono mai state, proprio come tra me e mia moglie, qui dentro. Perché non arriva un essere umano davanti alla telecamera a dichiarare, in smoking, che lì dentro le centinaia, le migliaia di persone al lavoro per alimentare la vita sognante degli spettatori hanno terminato tutte le parole possibili? Erano di questa specie i pensieri che avevo, all’epoca in cui mia moglie smise di pensare alla nostra vita comune. Lei aveva iniziato a incantarsi persino durante i messaggi promozionali e io, nei tre minuti della pausa, cercavo di immaginare che cosa potesse succedere là dietro, al vecchio e alla vecchia, al bambino, alla ragazza, al conduttore e al pubblico. Non riuscivo a spremere una sola idea, allora mi alzavo e andavo in 17 cucina a preparare la cena. Bisogna essere dei pazzi a credere di poter portare veramente il sentimento davanti a una telecamera. Sì, non c’è altra conclusione possibile, dicevo tra me e me. Non ci si abbraccia così, non si ride così sguaiatamente, non si piange così oscenamente dalle parti del mondo. Bisognerebbe contemplarlo in silenzio, il mondo. E basta. Il sentimento non ride e non piange, pensavo ancora porgendo in silenzio il piatto di pasta a mia moglie, che senza voltarsi allungava la mano e lo afferrava. Mi sono seduto anch’io e c’è stato un attimo in cui ho pensato di avere ragione e torto marcio allo stesso tempo. Siamo dei morti che guardano dei morti. Mia moglie si è alzata per prendere il sale. Io ho provato ancora per un po’ a inseguire un pensiero, uno qualunque. Poi ho lasciato perdere. E, lì davanti, è partito il balletto... 18 CAPITOLO PRIMO Un uomo, una donna E tutte quelle ragazze, quelle bambine, ballerine vestite di nuvole luccicanti, sgambettavano, costumi ridicoli che sembravano volessero incantarli tutti e fermarli davanti allo schermo. Non erano le immagini che mi turbavano, ma il coro dietro di loro. Le parole mi tormentavano. Prendevo il telecomando cercando di abbassare il volume, ma i gesti di mia moglie me lo impedivano. Ma eravamo davvero arrivati a tanto: comunicavamo ormai solo a gesti. Siamo rimasti lontani l’uno dall’altro senza sfiorarci né con lo sguardo, né con la mente, eravamo lì, vicini eppure distanti, la solitudine che ci separava era incommensurabile. Eravamo in uno stato di piena contemplazione, ma non di noi stessi, del nulla, forse di una scatola vuota priva di senso. La nostra mente era rivolta a una realtà immateriale. Non è stato sempre così. Un tempo era diverso, un tempo noi contemplavamo solo noi stessi. Non esisteva nient’altro al mondo che lei per me e io per lei. Non trascorreva giorno in cui non raccontavamo di noi: non vi era niente di più bello per me che 20 Un uomo, una donna ascoltare le sue parole che sembravano toccare le corde del mio cuore e suscitare emozioni ogni volta nuove e appaganti. Amavamo condividere ogni singolo pensiero, ogni singola gioia della vita. Erano quelli momenti magici, e niente avrebbe potuto rompere quell’incantesimo, quell’armonia. Le emozioni vere sono profonde, manifestano i nostri stati d’animo al mondo e non è né semplice né inutile come può sembrare. Siamo stati privati o forse ci siamo privati della comunicazione classica, delle parole, perdendo così la libertà di tradurre i sentimenti, le sensazioni in parola. Abbiamo smarrito quella facoltà, esclusivamente umana, di svelare ai nostri simili, attraverso il linguaggio, angoli e meandri della nostra interiorità. Chiudo gli occhi e penso a quanto avrei voluto combattere contro la realtà circostante che per niente corrisponde a quella da me agognata. Più di ogni altra cosa al mondo desideravo ribellarmi a chi ci stava lentamente annebbiando la mente. Avrei voluto risvegliare mia moglie da quell’incubo, avrei voluto abbracciarla, stringerla, correre via con lei, riappropriarci delle nostre vite, dei nostri pensieri, dei nostri sentimenti. Eppure eccomi qua, riapro gli occhi e il mio sguardo ormai vuoto si perde nella contemplazione e nei ricordi. Capitolo primo 21 Presi il cappotto, uscii. Di rado uscivo dopo cena. Lo facevo sempre da piccolo con mio padre, in estate. Scendevamo giù al bar a comprare un gelato. Accesi una sigaretta lungo il viale e intanto con i piedi trascinavo una lattina di coca cola vuota, mi piaceva il suo rumore sull’asfalto. Castagne, c’era odore di castagne, il profumo della mia infanzia. Ne comprai un sacchetto e mi avviai verso casa. Mentre salivo le scale cercavo frettolosamente le chiavi dell’appartamento nelle tasche della giacca. Quando finalmente le trovai ero arrivato davanti alla porta. Cercai di entrare senza fare rumore, immaginando di trovare mia moglie che dormiva in soggiorno, ma non la trovai. La coperta era stesa sulla poltrona accanto al piatto vuoto. Stanco e assonnato mi diressi verso la stanza da letto e aprii la porta. Era lì, guardava il televisore; sfilai la giacca e sbottonai i polsi della camicia, sentivo solo i profumi della mia infanzia. Mi distesi sul letto e volgendole le spalle le diedi la buonanotte. Il mattino seguente, era una domenica, non una di quelle in cui è l’odore del caffè a svegliarmi, quel caffè amaro, addolcito però dalla premura con cui Nicole lo preparava; non una di quelle in cui passeggiando nelle piazze del paese restavamo colpiti dallo 22 Un uomo, una donna spettacolo dei bambini che giocavano a pallone e avevano sul volto l’innocenza propria della loro età. Era una domenica di quelle in cui mi accorgo più che mai di essere solo. Mi voltai verso Nicole e al suo posto trovai una lettera. La testa era affollata da pensieri vani, eppure erano lì a colmare quel vuoto che da giorni mi uccideva. Presi la mia Fiat rossa e portai con me quelle poche righe. Dovevo scappare. Ma dove? Ma soprattutto, perché? Quella mattina il cielo era cupo, partecipava al mio stato d’animo, avevo quasi paura di andare, così solo, senza una meta, finché i ricordi cominciarono ad assalirmi. Intanto, una voce dentro di me mi impose di andare verso quel luogo, in cui tanto tempo prima l’avevo incontrata. Lì c’era ancora la panchina di pioppo dove l’avevo vista quel giorno nella luce fioca del primo mattino, era sola, per la prima volta le avevo stretto la mano mentre scorgevo sul suo volto una terribile aria triste. Fu lì che tra i ricordi più belli iniziai a pensare al perché di tanto cambiamento. Io e Nicole ci sposammo giovanissimi, lei aveva terminato il liceo, io già aiutavo mio padre nel lavoro. Avevo deciso di non proseguire gli studi, desideravo subito una vita libera e indipendente. Capitolo primo 23 Un pomeriggio di ottobre Niky, è così che allora la chiamavo, bussò alla mia porta e felice la accolsi; ma rimasi attonito, silenzioso, il tono della sua voce mi spaventava. «Sono incinta» mi disse. Gioia e dolore mi invasero. Non riconoscevo più i miei sentimenti, ricordo solo che con un cuore palpitante la strinsi al petto e le sussurrai: «Fidati di me amore, starò accanto a te per tutta la vita». Nei giorni seguenti prendemmo una decisione, quella di scappare. Il seguito non voglio nemmeno farlo affiorare nei miei ricordi perché ancora oggi provo rancore e strazio per ciò che accadde. Non avevo mai guidato sull’autostrada, so solo che il giorno seguente mi svegliai in ospedale. Questo mi spinse a leggere la lettera. Tutto era ancora legato a quel giorno in ospedale. 24 Un uomo, una donna CAPITOLO SECONDO Io, Nicole Ora ero solo, davanti a quella panchina, la nostra panchina. Stringevo fra le mani la busta bianca che fino a poco prima era stata appoggiata, inconsapevole, sul cuscino. La osservavo, per la prima volta, veramente, poi alzai lo sguardo al cielo, alle nuvole che, incuranti del mio affanno, lasciavano filtrare timidi raggi di sole. Sospirando, aprii la busta mentre il gelo scendeva sulla mia anima. Quasi a farmi forza, trattenni bene il foglio con entrambe le mani. “Caro Luca…” Una lacrima iniziò a scendere sul mio viso... “So che speravi in una vita diversa per noi due, ma il nostro rapporto è diventato insostenibile. Non riesco a dimenticare o, forse, a perdonare”. Mentre scrivevo, la mia mano tremava, le parole che io stessa avevo scritto mi spaventavano, eppure era quello che provavo. Posai la lettera sul cuscino, presi frettolosamente il borsone, lo riempii con il minimo indispensabile, uscii e mi chiusi la porta alle spalle. 26 Io, Nicole Mentre mi allontanavo dalla nostra casa, ripensai agli avvenimenti della sera prima. Non capivo tutta quella fretta, era iniziato il nuovo programma di cui avevo tanto sentito parlare, avevano appena incominciato a ballare con le gonne che sembravano calle mosse dal vento, lui si era alzato d’impulso, come preso da un pensiero improvviso, giusto il tempo di prendere la giacca ed era uscito senza salutare, senza dire dove stesse andando. Non capivo, un tempo era tutto diverso, eravamo diversi. Un tempo, mentre guardavamo la televisione, mi sentivo protetta, il mio corpo era sempre proteso verso di lui. La mia guancia poggiava sulla sua spalla sicura, sentivo battere il suo cuore. I miei capelli attorcigliati tra le sue dita. Era un’abitudine, mi rilassava, chiudevo gli occhi per sentire meglio quel gesto a cui ero tanto affezionata. Talora lo sorprendevo a contemplarmi e, quando incontravo il suo sguardo, mi sorrideva come se mi vedesse per la prima volta. Una notizia al tg di mezza sera mi sottrasse ai miei pensieri. “Donna incinta perde la vita in un incidente sull’autostrada A1, fra Roncobilaccio e Mugello”. Capitolo secondo 27 Il mio sguardo si pietrificò di fronte a quelle parole, un brivido mi percorse la schiena e antichi ricordi cominciarono ad affiorare nella mia mente. Lo schianto. Il buio. L’ospedale. Quando avevo riaperto gli occhi la luce mi era sembrata accecante, li avevo richiusi immediatamente e in quel momento avevo ricordato tutto: Luca accanto a me, le nostre voci concitate, di colpo un boato fortissimo, poi il nulla. Non riuscivo a capire dove mi trovassi, attorno a me un assordante silenzio, la mia mente era affollata da interrogativi a cui non riuscivo a dare una risposta. Dove mi trovavo? Dov’era Luca? Un rumore improvviso aveva interrotto i miei pensieri. «Luca?» avevo chiesto quasi istintivamente. Non era lui, ma un’infermiera che si era avvicinata al mio letto; un misto di delusione e preoccupazione mi aveva invaso il petto. «Lui sta riposando, stia tranquilla, appena starà meglio verrà a trovarla». L’infermiera, dopo essersi assicurata che io stessi bene, era uscita dalla stanza e io mi ero riaddormentata. Al mio risveglio avevo intravisto una sagoma a fianco del mio letto, l’avevo messa a fuoco e avevo scorto Luca, che mi guardava con occhi tristi. 28 Io, Nicole «Luca, da quanto sei qui?» «Da poco, stai tranquilla». Quelle parole, che volevano essere rassicuranti, non erano riuscite a calmarmi, avevo scorto negli occhi di Luca un velo di preoccupazione che lui prontamente aveva cercato di nascondere con un sorriso forzato, che però non mi aveva ingannata. «Niky, senti, ho parlato con il medico che ti segue, devo dirti alcune cose, ma tu...» Mi era mancata l’aria nei polmoni e qualcosa mi era esploso nel petto, avevo spalancato gli occhi e non avevo chiesto nulla, come quando da bambina avevo paura di fare domande. Luca non era riuscito a terminare la frase, ma ciò che aveva detto era stato sufficiente a farmi comprendere. Mio figlio era morto. Quel piccolo frammento di futuro nel mio ventre era già diventato un ricordo. Nei mesi seguenti il dolore della perdita aveva accompagnato ogni ora della mia giornata, anche se Luca aveva cercato di confortarmi con il suo amore, con i suoi sogni, con i suoi progetti. Ci eravamo sposati ed eravamo partiti per un viaggio di nozze che parve essere la nostra cura. Ogni luogo visitato era stato una scoperta; avevo osservato tutto con occhi stupiti e curiosi e Luca Capitolo secondo 29 aveva partecipato alla mia forsennata ricerca di colmare quel vuoto. Sembrava essere tornato tutto come prima di quel maledetto incidente… E io mi sentivo come rinata. Ma non potevo sapere e nemmeno minimamente immaginare che il ritorno a casa sarebbe stato l’inizio della nostra fine. Quella favola stava man mano svanendo e il colpo di grazia lo avrebbe dato l’esame che facemmo dal ginecologo. Appena tornati a casa, mi ero sentita euforica, avevo ritrovato la spensieratezza di una volta, di quando ci eravamo trovati, noi così giovani e inesperti, con quel peso di responsabilità che avremmo dovuto sostenere, ma che ci era sembrato quasi una ricompensa, per la profondità del nostro amore. Ecco, contemplavamo insieme il nostro futuro e decidemmo di riprovare ad avere un figlio. Ma ogni nostro tentativo risultò vano e alla fine decidemmo di rivolgerci a uno specialista. Eravamo seduti in uno studio austero, le cui pareti erano però illuminate dai tanti sorrisi di cuccioli d’uomo che l’illustre luminare aveva aiutato a venire al mondo. Davanti a noi, su un’ampia scrivania di mogano, un foglio, con l’esito dell’ultimo esame, di cui già conoscevamo il contenuto. Noi lo fissavamo impietriti, come se 30 Io, Nicole quel maledetto esito avesse potuto magicamente cambiare. Avevo stretto la mano di Luca mentre il battito del mio cuore accelerava. Il medico ci aveva fissato, sgomento, in attesa di una nostra reazione, pronto a recitare le sue battute da copione: “Avete ancora una vita davanti…”, “Esistono molti altri modi…” e “Ci rivedremo per un’altra visita…”. Io attendevo quelle parole, che già sospettavo di sentirmi dire. Spazientito, Luca mi aveva presa per mano e mi aveva portata fuori da quel maledetto studio. Eravamo tornati a casa e avevo visto il suo sguardo triste e rassegnato. Da quel giorno ci allontanammo a poco a poco. Ci parlavamo solo a gesti. Avevamo esaurito le parole. Oramai vivevamo una vita apatica. Ogni giorno, meccanicamente, appena alzata, accendevo il televisore, sperando che quella scatola urlasse più forte dei miei pensieri, del mio dolore. Lasciavo sempre che le immagini mi catturassero e mi proiettassero in un mondo nuovo, diverso, in cui non dovevo essere io a compiere scelte difficili, o sopportare dispiaceri, dovevo solo stare a guardare... e questo non era impegnativo. Quelle storie, quei sentimenti comuni riuscivano a coinvolgermi e ad appassionarmi molto più della mia vita reale, spesso mi conCapitolo secondo 31 vincevo che fosse proprio quella la vita vera perché quando guardavo la televisione per lungo tempo svanivo nella vita degli altri, in quel mondo oltre lo schermo. Mi accorgevo anche di non aver più voglia di parlare, di descrivere le mie emozioni, né di contemplare in silenzio; sentivo, al contrario, il bisogno di non pensare, di non riflettere e quello schermo sembrava propormi la soluzione più facile, sembrava riempire le mie giornate, riempire quel vuoto che portavo dentro. Eppure una cosa sola non riusciva a restituirmi, una cosa, forse la più bella, la meraviglia: ecco, urlava più forte dei miei pensieri ma non riusciva a meravigliarmi, a stupirmi davvero e forse era per questo che, quando la spegnevo, il vuoto che portavo dentro tornava a inghiottirmi. Il giornalista continuava a descrivere la meccanica dell’incidente. Il mio istinto mi spinse a spegnere la televisione, intorno a me ritrovai quel silenzio che da tempo non percepivo. Ero stanca di tutti quei pensieri, volevo che quel silenzio si allargasse anche dentro di me e andai in camera. Quelle parole però continuavano a rimbombarmi in testa. Spinta dall’abitudine accesi il televisore della camera da letto. La scena era cambiata, l’ennesima replica della solita fiction, a far da sottofondo a una notte che sarebbe stata lunga e insonne. 32 Io, Nicole CAPITOLO TERZO Al di là del sipario Mi sveglio di soprassalto. È già mattino? Mentre mi guardo intorno, per un attimo credo di essere ancora a casa nostra e che Luca comparirà sulla soglia con la tazzina di caffè… Tutto, quel giorno, è accaduto così velocemente: la lettera, il vagabondaggio per la città, e poi qui, da Marco. Quando ho bussato alla porta, quella sera, mi ha accolto senza fare domande. Sa bene che parlare di me mi mette a disagio. Me ne starò un altro po’ a letto. Un raggio di luce filtra dagli spiragli delle persiane: mi incanto a seguire i piccoli vortici di pulviscolo, una galassia in miniatura. Frattanto in casa regna una profonda quiete, interrotta solo dallo scroscio d’acqua della doccia. Improvvisamente sento una voce alle mie spalle. «Ehi, ti sei svegliata finalmente!» esclama Marco uscendo dal bagno. «Un caffè?» mi chiede. «Sì, grazie» rispondo abbozzando un sorriso. Marco mi fissa e ricambia, ha già capito tutto. È sempre stato così, per lui sono un libro aperto. 34 Al di là del sipario «Oggi ho le prove con la compagnia!» «Ancora?!» chiedo così, tanto per prenderlo un po’ in giro. «Sì, certo. La sola medicina di questi tempi è evadere dalla realtà…» aggiunge. «Non serve a niente rifugiarsi nei sogni e dimenticarsi di vivere» lo rimbecco senza troppa convinzione. Lui quasi sussulta: «E lo dici proprio tu che… non importa». Va nella sua camera a vestirsi e io ne approfitto per guardarmi intorno. La casa consiste in un piccolo bilocale molto accogliente, le pareti color salmone, l’arredamento spartano... Mi stiracchio sotto le coperte, avvertendo, come sempre nelle ultime settimane, che qualcosa manca. In casa di Marco non c’è traccia di televisione! Quella scatola che ha condizionato la mia esistenza negli ultimi mesi… ora ho di fronte solo il vuoto, e questo silenzio che mi mette spalle al muro. Però c’è uno specchio al centro della parete del salotto, in una cornice dorata. Mi ci metto proprio davanti e guardo la mia immagine riflessa, con curiosità. Magra, quasi scheletrica, i capelli neri mi coprono il volto trascurato. Ho bisogno di una doccia. Marco rientra. «Come ti dicevo, oggi ci sono le prove generali dello spettacolo Casa di bambola, ricordi? Vuoi venire, così magari ti distrai un po’?» Capitolo terzo 35 Era il suo sogno recitare e un tempo, al liceo, era anche il mio. Non posso proprio mancare. «Sì, certamente» rispondo sbadigliando. «Perfetto! Preparati, scendiamo tra un’oretta». Era da tempo che non mi dedicavo a me stessa, che non sceglievo quale abito indossare, che tipo di acconciatura dare ai capelli, ma ora so che è il primo passo da fare per riappropriarmi di me stessa, del mio tempo. In macchina tra me e Marco c’è un timido scambio di parole. «Adesso, Niky? Credo che ormai dovresti parlare con Luca, gli devi una spiegazione. Gli hai solo lasciato quella lettera. È... brutale!» Cerco di sfuggire al discorso, così gli chiedo cosa siano tutti quei fogli in disordine sul sedile posteriore. «Casa di bambola, te l’ho detto. È il mio copione». I suoi occhi si illuminano mentre mi racconta ancora della sua vita. «Il teatro mi ha cambiato profondamente, Niky. Perché non provi a riprendere anche tu?» Rido. Proprio una bella battuta ad effetto! Era tempo che non entravo in un teatro. Ai tempi del liceo era una mia grande passione, poi… Scelgo una poltrona a caso e ci affondo dentro. Mi sembra di essere tornata a casa. Sulla scena ini- 36 Al di là del sipario ziano a muoversi e a parlare gli attori. Come mi sento viva! Erano mesi che non provavo altro che apatia, indifferenza. Luca. Come sembra lontana, la nostra passione! E invece qui, nel buio di questa platea, mi sembra tutto vicino, possibile e nuovo. Così buio, così lento. Io qui sola, e non ho paura del vuoto, non ho voglia di stordirmi con il chiacchierio banale della televisione. L’ambiente sembra fatto per farmi riflettere. Su ciò che ero, ciò che mi manca, su come sono cambiata... su quell’incidente… Mi sembra di vedermi dall’esterno, quasi fossi la protagonista del dramma, Nora. Tutto comincia dopo che il marito, Torvald, la lascia a causa di un equivoco; allora lei cade nella disperazione. Tutte le sue illusioni sono state tradite e le sue certezze infrante. Ma alla fine è lei che decide, che sceglie di andare via. «Stammi a sentire, Torvald...» È incredibile: la storia cui sto assistendo mi appartiene! Rabbrividisco. Mi sento percorrere da uno strano tremito, mentre osservo Marco in scena. Lui è il protagonista e il regista: affronta tutto con grande serietà, gentile con gli attori più giovani. C’è un bel rapporto tra di loro, li unisce una passione. Quanto ne vorrei un assaggio anch’io! Ma so che purtroppo è una finzione. Pensandoci, tutto nella mia vita è stato finto, negli ultimi tempi. Capitolo terzo 37 «Quando una donna abbandona la casa del proprio marito…» queste le parole di Nora, così simili ai miei pensieri… Sento che non sono pronta a tornare a casa. Ormai mi sarebbe difficile anche guardarlo negli occhi. Torno a concentrarmi solo sullo spettacolo. È una magia: la giovane attrice sulla scena sembra leggere ad alta voce la mia lettera per Luca. «In ogni caso, ti sciolgo io da ogni obbligo. Non devi sentirti legato da nulla, Torvald, come d’altra parte voglio essere io. Dovrà esserci libertà da tutte e due le parti. Ecco, riprendi il tuo anello. Dammi il mio». Più volte, nelle ultime settimane, ho letto e riletto quelle righe, sperando di trovare un sostegno alla sensazione di smarrimento. Eccomi ancora qui, sulla solita panchina. Il rumore del vento fa da cornice alla mia solitudine. Sul tronco di un albero attirano la mia attenzione i colori accesi di un volantino teatrale, Casa di bambola di Ibsen. Nella mia mente riemergono un’infinità di ricordi di cui la protagonista è sempre Nicole. Un abito color cipria, il colorito dorato della sua pelle. Quella sera doveva interpretare un ruolo secondario ma la tensione di Nicole era quella di una protagonista. Il suo fascino coinvolgente impediva che restasse nell’ombra e forse non ero l’unico che rimaneva affascinato dalla sua pas- 38 Al di là del sipario sione. Che ne era di quella intensità? In quale soffitta polverosa aveva abbandonato il suo mondo, il suo sorriso e la sua solarità? Eppure la stessa persona, così distante, fredda, è la donna che ha scritto quella lettera. Il suo atteggiamento negli ultimi mesi era peggiorato ma non mi sarei mai aspettato che avrebbe potuto prendere una decisione così. Intanto fisso nuovamente il volantino e mi domando se le sarebbe piaciuto andare a vedere quell’opera a teatro. Di sicuro avrebbe fatto bene a entrambi fare qualcosa di diverso. Magari, ricordando il teatro, le sarebbe tornata la voglia di vivere che da tempo in lei non vedevo. Il sole sta calando, le nuvole sembrano accompagnarlo nella discesa. Metà è già inghiottito dal mare. Alcune barche rientrano nel porto come un volo dei gabbiani. Sono su questa panchina ormai da diverse ore e non riesco ad alzarmi. Un peso indicibile, dentro, mi trattiene. Resto immobile. So che tu non passerai qui, davanti a me, ma resto fermo comunque. Tra le mani giro e rigiro questo pezzo di carta, ormai sgualcito, l’unica cosa che mi resta di te. Se solo potessimo tornare indietro, rimettere insieme tutti i tasselli della nostra vita. Con quell’amore avremmo potuto cambiare il Capitolo terzo 39 mondo, ma poi, quell’amore ha cambiato te. Rancori sotterranei, inesplosi, taciuti, bisognerebbe avere il coraggio di non nasconderli. Noi non l’abbiamo fatto, non abbastanza. Sento la vita scivolarmi tra le mani, veloce, impotente perché non riesco più a sentirla mia. È che non c’è più tempo, non c’è più storia. Forse ora capisco come ti sentivi tu, Niky. «Mi scusi…» bisbiglia qualcuno, facendomi distogliere lo sguardo da quell’ultimo scorcio di sole. «Eh…?» rispondo assente. «Potrebbe farmi un po’ di spazio?» «Ah sì, scusa». Sono ore che non parlo con nessuno. Giro piano la chiave nella serratura, entro in casa e la trovo come l’ho lasciata, residui di cibo sul divano, il letto disfatto ma soprattutto la sua mancanza. L’unico mio conforto è il suo profumo che ancora impregna tutto. La casa è fredda, vuota, come da tempo. Ho bisogno di una doccia calda. Ancora in accappatoio, accendo la tv cercando di distrarmi un po’; questo silenzio senza di lei è snervante. Mi manca la sua guancia sulla spalla, i suoi silenzi... Cosa farei per averla qui, ora, solo per stringerla una volta ancora tra le braccia… 40 Al di là del sipario Rumori provenienti dalla porta attirano la mia attenzione: il tintinnio delle chiavi. Forse è tornata! La vedo entrare, il mio cuore si gela per un attimo, mi manca il respiro. Un tuono rimbomba nell’appartamento e mi sveglio di soprassalto. È già mattino, ed era solo un sogno! Sento come se mi avessero portato via l’anima. Mi ero ripromesso di non farlo, ma il suo numero già compare sul display del cellulare. Non ce la faccio proprio senza di lei. La chiamo? Si chiude il sipario, la prova è finita. E io ho deciso di far riaprire il sipario della mia vita. Capitolo terzo 41 CAPITOLO QUARTO Futuro Anteriore «Niky!» sento la voce di Marco che mi chiama, mi riporta nel corridoio del liceo, quando ci preparavamo per le prove della rappresentazione. Lui Ulisse, io Circe, seduttrice, libera, fatata. Quanto lo adoravo, il teatro. Le rappresentazioni erano la parte migliore: nell’ambiente c’era un’aria ricca di spontaneità, di unità, di passione, cose che il tanto acclamato futuro consuma e disgrega così rapidamente come io trasformavo guerrieri in maiali con la mia bacchetta. Marco era una spanna sopra gli altri, non gli stava dietro nessuno. Vedo Niky distratta che sorride fuori dal teatro. Lo stesso identico sorriso della maga Circe che illuminava il palcoscenico, che rendeva magica la nostra inesperta interpretazione. Un sorriso ormai segnato dagli anni vissuti, passati. A quel tempo le ore al teatro trascorrevano nella contemplazione di quegli occhi pieni di vita e di quel sorriso che mi incantava come per magia. Ogni giorno mi sedevo là, in quell’angolo nascosto e buio, dove nessuno poteva vedermi. Lei si accorgeva sempre della mia presenza, del mio 42 Futuro Anteriore sguardo su di lei. Impassibile. Un corpo immobile di ragazzo giaceva là per ore e ore a contemplarla, mentre il tempo trascorreva inesorabilmente. Di solito al teatro una forza mi catturava. Forse era l’incanto dello sfondo drammatico, forse l’emozione che mi suscitava un semplice testo da interpretare, fatto sta che a volte rimanevo in un assente stato di gioia. Mi cullavo nel vuoto, astratto dai rumori circostanti. Spesso fissavo Niky: il movimento del suo corpo sembrava così delicato, invece era pieno di energia, vitalità ed emozioni che ormai sono sparite dalla sua persona. Avevo l’unica certezza che passare il tempo a guardare quelle cose, una figura, un palco, il sipario, mi rinfrancasse il cuore, mi rasserenasse; anzi, credo proprio che mi rendesse più forte. In seguito a queste riflessioni fiorì l’idea di iscrivermi al corso di teatro. Fu facile per me, del resto avevo assistito a tutte le prove e conoscevo ormai bene il copione. Ebbi inoltre la fortuna di prendere il posto di Ulisse nello spettacolo. Questo favorì il mio rapporto con Niky: ci incontravamo spesso, sia per prepararci alla rappresentazione, sia per altre questioni di minor importanza. Alla fine dell’anno lo spettacolo fu un grande successo, ma purtroppo lei finì il liceo e si sposò. Capitolo quarto 43 Io proseguii gli studi, decisi di seguire una carriera teatrale e mi iscrissi così a un’Accademia di Teatro. Sinceramente ero diventato bravo, per lo meno abbastanza da entrare in una compagnia. Passarono gli anni e di lei non ebbi più alcuna notizia. Solo alcuni giorni fa si presentò al teatro durante le prove e sentii una voce familiare, che non udivo da tanti anni, ma con un tono spento, debole e tremolante, che mi fece girare di scatto. La vidi là, in fondo alla sala, ferma con lo sguardo fisso su di me. Stava passando un periodo orribile e aveva bisogno di una casa dove dormire, così decisi di ospitarla. «Niky! Niky! Mi senti?! Ti va di andare a mettere qualcosa sotto i denti? Conosco un bel posto sul lungomare». Ritorno alla realtà. Marco mi fissa in attesa di una risposta. Pronuncio un “sì” svampito e ci avviamo. Il ristorante si affaccia su una spiaggia abbracciata da un mare color del vino, proprio come quello della mitica isola di Enea. «Allora, come ti sono sembrate le prove?» «Mi sembra che non sia cambiato niente, Ulisse!» Marco scoppia in una risata quasi infantile e con il sorriso ancora stampato in faccia mi chiede se mi piacerebbe tornare a recitare. 44 Futuro Anteriore Rimango in silenzio, pensando a tutto ciò che è successo negli ultimi tempi; mi ritorna alla mente il momento in cui sono scappata, mentre osservo il suo viso, la sua sigaretta accesa e, a tratti, l’orizzonte. Marco ha i capelli lunghi mossi color castano scuro, gli occhi verde smeraldo e una barba incolta che gli conferisce il tipico aspetto da artista un po’ trascurato. Passano pochi secondi prima della mia risposta affermativa e, ancora immersi nell’entusiasmo, paghiamo il conto e ci avviamo verso casa. Per strada non riusciamo a proferire parola per l’emozione di questo nuovo avvenire. Sono ancora qua, su questo dannato divano. Non l’ho chiamata, non ce l’ho fatta, non ho avuto il fegato. I secondi, davanti a questa scatola stupida, sembrano ore. Cerco la pace, canale dopo canale, ma non la trovo; adesso capisco come si sentiva Niky. Sono stanco, ho bisogno di dormire. Mi sveglio, sono le undici e mezza, vorrei farmi una doccia e mangiare qualcosa, come quando lei era qui, ma non ce la faccio. Mi infilo pigramente le scarpe e, sospirando, varco la porta. Devo tornare su quella panchina, è l’unico luogo dove riesco a zittire i miei pensieri. Quel maCapitolo quarto 45 nifesto teatrale è ancora lì, fisso come quella bambola di cui porta il titolo. Lo spettacolo è tra un mese... potrei anche andare a vederlo... il teatro mi è sempre piaciuto grazie a Niky, magari mi potrebbe rinfrescare le idee. Marco mi sta chiamando, è l’ora delle mie prime prove, la preoccupazione e la tensione sono alla stelle. Tra poco sarei tornata su un palcoscenico, la mia tana, il mio piccolo angolo di serenità che avevo dimenticato. Ancora non ci posso credere! Presa dall’ansia e a tratti dall’allegria, mi avvio con Marco verso il teatro. Un’onda di euforia si scatena dentro di me fino ad arrivare alla gola, come quando da ragazzi si stava sdraiati a guardare il soffitto e si pensava a come avrebbe potuto essere fantastico il domani. Si è definitivamente chiuso il sipario del mio passato, è il momento di aprire quello del futuro e incrociare le dita! Passano le giornate e io non mi sono schiodato dalle rotaie che mi portano da casa alla solita lugubre panchina; in un certo senso ci assomigliamo, io e la panchina: sporchi, malandati, il tempo ci scorre addosso e noi restiamo immobili, impassibili. Ormai non mi 46 Futuro Anteriore importa più nulla, tuttavia, non so perché, non riesco a levarmi dalla testa quel maledetto manifesto. Ho deciso! Andrò a vedere lo spettacolo. Capitolo quarto 47 CAPITOLO QUINTO Frammenti riflessi Entro nel teatro e cerco un posto, il più lontano possibile dal palco, così da mettere ordine nei miei pensieri confusi. Il sipario si apre e il mio cuore si ferma. Mia moglie è lì, ma non è quel fantasma con gli occhi e l’anima intrappolati nel televisore. Il suo sguardo brilla di una luce nuova. Non le tolgo gli occhi di dosso per tutta la durata dello spettacolo, non riesco neanche a seguire la trama: sono completamente rapito dai suoi movimenti, dal suono della sua voce, delicata ma decisa. Per me quella Niky non è una sconosciuta: è la Niky di cui mi sono innamorato. Devo parlarle. Ho indugiato fin troppo, non posso lasciar scivolare così il nostro rapporto. Conclusa la rappresentazione, mi alzo e vado nel camerino a cercarla. È intenta a struccarsi. Lo spettacolo è stato un successo: sono felice, finalmente, mi sento viva e anche lui se n’è accorto. Sta lì fermo davanti a me; mi fissa assorto, con un’aria incredula e forse un po’ perplessa. 48 Frammenti riflessi «Complimenti. Gran bello spettacolo»... inizio così. Non so cosa dire. «Grazie... Non pensavo mi sarebbe venuto naturale recitare dopo tutto questo tempo». «Beh, il palco è sempre stato il tuo ambiente naturale». «Allora qualcosa te la ricordi ancora!» «Alcune cose preferirei poterle dimenticare...» Per un momento lei abbassa lo sguardo, è infastidita. «Senti, che sei venuto a fare?» «Non vedo posto migliore del teatro per riflettere su di noi...» «Su di noi? Non so! Sicuramente mi sta facendo riflettere su di me...» «Smettila con questa commedia, Nicole! Non sei più in scena. Parliamo da adulti». Il suo silenzio risponde per lei. «Dove sei stata?!» «Credevo non t’importasse; non ti sei preso neanche il disturbo di chiamarmi». «La tua lettera diceva già troppo, no? Io non sapevo cosa fare». «Non hai mai saputo cosa fare con me, non mi hai mai capita davvero». «Sono qui proprio perché voglio capire! Parliamone». «Avremmo dovuto parlarne quando era il momento». Capitolo quinto 49 «Il momento è adesso! Smettila di girarci intorno». Sento che non posso più reggere il suo sguardo e tutte quelle verità non dette che stanno tornando a galla. Lui mi poggia la sua mano su un braccio, e questo mi tranquillizza un po’. «Cos’è che non andava Niky?» «Sai cosa non andava, sapevi benissimo di cosa avevo bisogno». «Lo volevamo entrambi, ma non è così che si salva un rapporto». «Non puoi capire cosa vuol dire per una donna sapere di non poter più diventare madre». «Forse hai ragione, ma io ero lì accanto a te per aiutarti». «L’unico modo in cui avresti potuto aiutarmi sarebbe stato darmi il tuo appoggio!» «Ancora con questa storia dell’adozione! Non siamo stati in grado di badare a noi, come credi che avremmo potuto badare a un bambino?» Mi sento ribollire di rabbia, ripensando a tutto ciò che ho passato: la gravidanza, l’aver abbandonato i miei sogni, l’incidente, l’aver perso il bambino e i vani tentativi di riappropriarci del nostro futuro, la morte di ogni speranza dopo l’esito degli esami e, infine, quel suo NO, che mi negava la maternità, il NO che mi negava 50 Frammenti riflessi una speranza, il NO che mi intrappolava nella mia sterile prigione. Mi sento ancora senza passato e senza futuro; il presente mi sembra passare davanti come una miriade di possibilità che non riesco ad afferrare. Io, protagonista sul palco, mi sono ritrovata a essere spettatrice della mia vita. E adesso? «Continui a non capire quanto tutto ciò sia stato difficile per me, convivo con la sensazione di smarrimento dal giorno dell’incidente». «Ho sempre pensato che io e te fossimo abbastanza, completi, l’uno perso nell’altro. Invece questo bambino per te è diventata un’ossessione, io sono scomparso. Tu non vuoi avere un figlio, vuoi un bambino solo per riempire il vuoto, per dare un senso alla tua vita. Sei legata così morbosamente all’idea di questo figlio che non vedi altro, non esiste niente, non esistiamo noi! Questo mi ha portato a rifiutare l’adozione!» «È colpa mia, è questo che stai cercando di dire?! Stronzo!» «Sto cercando di farti capire che...» «...arriva al punto!» a stento mi accorgo che sto urlando. «La verità è che tu non sei pronta per essere madre!» Colpisce il mio volto tanto violentemente quanto violente devono essere state le mie parole per lei. Forse ho esagerato, ma era tutto Capitolo quinto 51 quello che dovevo dirle. Non c’è altro da aggiungere, me ne vado. Gli ho tirato uno schiaffo; non riesco a tollerare quello che mi ha appena detto, che pronunciato da lui sembra ancora più brutale. Lo vedo stringere i pugni e girare sui tacchi con la rabbia che traspare nei suoi passi. L’euforia provata poco prima per lo spettacolo si è completamente dileguata, lasciando posto al grande vuoto che mi ha accompagnata nell’ultimo periodo della mia vita. Mi siedo, mi guardo allo specchio e vedo una donna delusa da un uomo; e dietro di lei il riflesso di quello stesso uomo che esce dal camerino e, probabilmente, anche dalla mia vita. Scoppio in lacrime. Marco entra nella stanza e il sorriso, per l’esito dello spettacolo, gli muore sulle labbra quando mi vede in quello stato. «Niky, ma cosa è successo?!» «Luca è stato qui» gli dico, alzandomi in piedi e girandomi verso di lui. Rimango in silenzio, incapace di capire se c’è qualcosa da poter dire senza frantumare quel fiore di cristallo, già così fragile. 52 Frammenti riflessi La abbraccio. Non le chiedo niente, dopo qualche minuto lei inizia a parlare. «È un egoista; quando l’ho visto pensavo fosse venuto per recuperare il nostro rapporto, invece questo è tutto ciò che è riuscito a fare». Urla fra i singhiozzi, mostrandomi il suo volto. Ancora una volta non sono in grado di intervenire in quel dolore così intimo, così profondo da colmare. «È arrivato al punto di dire che è stata colpa mia... che sono ossessionata... che non sono pronta... che anche lui...» Molte parole si perdono tra le lacrime. «Niky calmati. Mi vuoi spiegare di cosa stai parlando?!» In quel momento si dà un contegno, fa un profondo respiro, decisa a rivelarmi i suoi pensieri. «Quando ho scoperto che non ero più in grado di avere figli, proposi a lui di provare ad adottarne uno...» Fa una piccola pausa. «Lui mi ha negato il suo appoggio e oggi è arrivato a dire che non sono pronta per una cosa del genere... Non riesco a capire!» D’istinto le dico: «Nicole, nessuna donna potrà mai essere certa di quale sia il momento giusto, ma di sicuro può capire quale non lo è...» Capitolo quinto 53 «È così che la pensi anche tu?» Si sente attaccata anche da me, allora faccio ciò che mi viene più naturale: la metto seduta e le giro il viso verso lo specchio. «È questa la madre che vuoi essere per i tuoi figli?» Mi gira il viso verso lo specchio, lo stesso che oggi ha raccolto frammenti fugaci della mia vita. Vedo una donna distrutta, inerte. “Ho desiderato quel figlio con tutta me stessa, ma ora mi rendo conto che il punto da cui ripartire sono io”. 54 Frammenti riflessi CAPITOLO SESTO Dalla solitudine all’incontro I muri bianchi e il frigo vuoto rispecchiano pienamente la mia anima in questi giorni: bianca e vuota. La mia è una continua stasi a mezz’aria tra la scatola farneticante e i miei tentativi falliti di cacciare parole dalla testa. Quanto tempo è passato dall’ultima volta che ho parlato con qualcuno? Ore? Mesi? Giorni? Forse settimane. Non lo so. Il tempo ha perso significato per me. Le persiane, la porta, il mio cuore: tutto è sigillato, imprigionato da una chiusura ermetica. La tv è sempre accesa e ora sono io a cercare negli altri le parole che non trovo più. Le immagini e le emozioni di quegli uomini che piangono o ridono a comando sembrano quasi esprimere quell’incertezza di sentimenti che provo in questo momento: guardando loro mi sento meno solo. In ogni conduttore ritrovo me stesso e le mie parole, in ogni attrice ritrovo il suo sguardo arrabbiato: nella tv ritroviamo noi stessi. Ora capisco il comportamento di Nicole, lei cercava se stessa, nello stesso modo in cui cercava salvezza nei miei occhi mentre mi guardava, pochi istanti prima dell’incidente. Eppure, continuando a guardare in quello schermo, rimaniamo spettatori della nostra 56 Dalla solitudine all’incontro vita che lasciamo vivere agli altri e non protagonisti dei nostri gesti, delle nostre azioni e dei nostri sentimenti. Siamo immobili, pronti a nascondere le nostre più grandi paure, i nostri sbagli e a giudicare le parole degli altri perché noi non ne abbiamo più! Sento ancora le cinque dita di Nicole colpirmi il volto e le parole da me pronunciate rimbombarmi in testa, come il ronzio di una zanzara che anche dopo essersene andata continua a darti fastidio. La scatola nera mi guarda ancora, propina piagnistei inconsistenti e riceve la stessa quantità di sostanza in cambio: zero. Perché anche le mie critiche infinite verso di loro, verso la madre in apprensione, la ragazza violentata e il conduttore ammiccante, si sono ormai ridotte al mio silenzio e alla mia immobilità. Perché è questo che fanno adesso le mie paure: congelano. E le stalattiti di ghiaccio senza il sole non hanno scelta se non quella di fracassarsi a terra dopo aver ceduto. Ora basta. Io conosco le mie paure ed è proprio da lì che devo ricominciare. Sento il bisogno di uno sguardo, ma senza telecamera che ci separi. Ci vuole un vero incontro, un vero contatto. «Nicole se n’è andata». Siedo su una poltrona di pelle nera, davanti al caminetto dello studio di mio padre, nella mano reggo la tazza piena di caffè nero appena preparato. Capitolo sesto 57 Papà non dice niente, il suo sguardo fisso nel vuoto. Bevo un sorso. Prendo fiato. Ricomincio: «Abbiamo litigato… Le ho addossato la colpa della nostra crisi, dicendo che, dall’incidente in poi, è stata lei a non volermi vicino. Le ho detto che, con quell’atteggiamento infantile, non sarebbe mai stata una buona madre. Ho detto alla donna che amo che non sarebbe in grado di dare l’amore che dà una madre…» Mi fermo. Aspetto una sua reazione. Nulla. «Mi rendo conto solo ora che, forse, quello che veramente non è pronto sono io…» Mio padre mi guarda, picchiettando nervosamente con le dita sulla sua tazza di caffè. Cerco di trovare le parole per continuare. Nel frattempo mi guardo attorno: tutto è rimasto com’era, nulla è cambiato in questo studio dalla mia infanzia, è rimasto tutto uguale. Nulla, a parte me. «In fondo, eccomi qui. Ho quasi trent’anni, e fino a ora non ho mai realizzato di aver fallito: ho fallito come marito, arrivando a urlare contro Nicole, ho fallito come padre, non accettando a priori di diventarlo, perché…» Mi faccio coraggio: «…perché sapevo che sarei stato pessimo, come sono stato un pessimo figlio…» 58 Dalla solitudine all’incontro Nessuna reazione, solo un’espressione vuota dipinta sul volto di quello che un tempo era stato il mio supereroe, quello che tornava a casa la sera con lo sguardo stanco, ma che sempre si riempiva di vita al solo vedermi, e dal quale mi sono allontanato troppo in fretta. «So che ti ho deluso. So che da me ti aspettavi che continuassi gli studi, che mi realizzassi nella vita lavorativa, occupando forse un posto di prestigio in una qualche grande società, e io invece ho preferito buttar via i libri e seguirti, sebbene in fondo non sia andata male l’idea di portare avanti la libreria di famiglia… Il mio sogno, anzi, era di farla crescere, tanto da far sembrare la Feltrinelli una nostra succursale!» Un sorriso sciocco mi affiora sul viso, mesto e rassegnato a quel silenzio. Davanti a me c’è un uomo prossimo all’anzianità. Mi guarda. Mi guarda e basta. Perché non dice niente? Sospira. Mi affaccio fuori la finestra, e il mio sguardo si perde nella brulicante massa dei passanti… «Luca…» la sua voce alle mie spalle «Forse credi che io non ti capisca, che mi hai deluso. Sappi però che non è così. È vero, volevo che studiassi, che trovassi un posto di lavoro ben pagato, Capitolo sesto 59 volevo il massimo per te. Ma, come hai detto adesso tu, il tuo massimo aveva un nome, Nicole, e un dove, la libreria di famiglia, e non c’è stata cosa più bella che rendermi conto che eri veramente felice. E se divenissi padre, ora, ti prenderesti cura di tuo figlio in tutto e per tutto, non trascurando nulla, consapevole di ogni piccolo frammento della sua vita… Io credo in te, e credo anche che, in fondo, tu sappia come porre rimedio a questa situazione, a come riconquistare Nicole e a come riaccendere il fuoco che vi ardeva dentro quando avete sistemato le valigie nel portabagagli e siete scappati… Ora però l’autostrada non sarà un problema per te!» Mio padre riesce sempre a stupirmi: poche parole, un occhiolino e un sorriso, e i pezzi del mio mondo in frantumi cominciano a riallinearsi. Vago per una buona mezz’ora senza meta, cercando di scansare i pensieri che mi affollano la mente. Non so nemmeno io come, ma mi ritrovo ancora una volta seduto su quella panchina così carica di ricordi, con lo sguardo rivolto a quell’immensa distesa azzurra, resa variopinta dai raggi dorati del sole. I pensieri mi vorticano nella mente. Nicole. Mio padre. Me stesso. La mia mente è un uragano di emozioni, un groviglio imperscruta- 60 Dalla solitudine all’incontro bile che non posso sciogliere. Ormai ho acquistato la consapevolezza che nessuno può salvarmi, all’infuori di me. L’uragano si ferma. Silenzio. Solo l’infrangersi rassicurante delle onde e le risate spensierate dei bambini che giocano in lontananza. A interrompere questo silenzio che si trova solo nella mia mente non è un suono o una parola, ma un gesto. Sento un leggero tocco sulla spalla. Torno alla realtà bruscamente, e mi ritrovo accanto una bambina di circa sette o otto anni. È esile, e ha dei grandi occhi neri che mi scrutano, curiosi. Per un po’ mi guarda in silenzio, con sguardo spontaneo, mentre il vento fa ondeggiare i suoi lunghi capelli castani. «Ti sei persa?» domando, mandando in frantumi quel tacito equilibrio. Lei scuote la testa. Senza nessun timore, si siede accanto a me accostando le ginocchia al petto. «Tu sei sempre qui?» chiede lei di rimando. Il suo tono confidenziale mi rasserena, nonostante io non capisca come faccia lei a saperlo. Ma non serve chiederglielo ché subito mi precede. «Anche l’altro giorno eri su questa stessa panchina, ti ho visto». Il fatto che questa bambina si ricordi di me mi fa sentire, per un Capitolo sesto 61 breve istante, risollevato. La sua voce delicata mi tranquillizza e placa il tumulto assordante della mia anima. «Sì, hai ragione. Vengo spesso in questo posto». Accenno un sorriso. «Ti ricordi di me? Un po’ di tempo fa mi ero seduta qui vicino a te». Annuisco. «È bello qui, vero? Il sole, il mare… e poi vendono i gelati laggiù. Mi ci portano quando faccio la brava». Adesso la bambina tace. Sembra stia riflettendo su qualcosa di importante: lo sguardo rivolto al mare, le gambe altalenanti. Io assecondo il suo silenzio, e ritorno in balia dei miei pensieri. D’un tratto mi dimentico quasi della sua presenza, tanto è taciturna. Ce ne stiamo per un po’ a fissare quel frammento d’universo intorno a noi, e nessuno sente la necessità di riempire quel momento con parole superflue. «Perché sei sempre solo?» Mi giro di scatto verso di lei. La vedo in attesa di una risposta, con quella naturalezza tipica della sua età. Aver sentito quelle parole è stato come subire una doccia fredda, e sento tutto il mio torpore spazzato via. È davvero così evidente, se anche una bambina può capirlo? Eppure una volta non era 62 Dalla solitudine all’incontro così. C’era lei, e c’ero anch’io. Un io diverso da quello attuale. Ora mi appare tutto così chiaro. Prima mio padre, poi questa bambina. «Come ti chiami?» le domando. «Sofia. Tu?» «Luca. Grazie, Sofia. Grazie davvero!» Non mi soffermo sui suoi occhi perplessi, perché mi alzo e mi allontano a passo svelto. Devo riappropriarmi della mia vita, solo io posso farlo. Anzi, io e lei. Andrò da Nicole e le dirò che finalmente potremo realizzare il suo desiderio. Capitolo sesto 63 CAPITOLO SETTIMO Un sogno verso il futuro “La verità è che tu non sei pronta per diventare madre”. La pioggia scrosciante, l’euforia, il brivido della velocità: rivivo il mio solito incubo. Luca mi stringe la mano e mi guarda negli occhi con complicità. Il volante gli sfugge, una leggera sbandata, ma lui con maestria riprende il controllo della macchina. Ridiamo insieme della paura che mi ha fatto urlare. Presi dall’ilarità, non ci rendiamo conto che un tir si è immesso bruscamente nella corsia di sorpasso. Ruota su se stesso, ci travolge. I suoi abbaglianti mi feriscono gli occhi, e poi? E poi il nulla. Una stanza spaventosamente bianca e vuota. Il mio primo pensiero è quello di sfiorarmi il ventre e accertarmi di sentire i movimenti del mio bambino, ma niente, solo un vuoto incolmabile. Mi alzo di scatto, Luca è di fronte a me e ha il nostro bambino tra le braccia. Sto per prenderlo, il cuore in gola, gli occhi umidi di pianto. Ma a un certo punto quella piccola creatura tanto desiderata, svanisce; tra le mie mani soltanto sangue, rosso, caldo, denso. Sangue sulle mie mani. 64 Un sogno verso il futuro Mi crolla il mondo addosso, i miei occhi diventano fiumi in piena, non riesco più a trattenermi. Le guance sono rigate da lacrime salate. Dopo aver soffocato un urlo, mi ricordo che Luca è di fronte a me. Ha il viso contratto in un ghigno. Mi fa paura. La sua bocca inizia a pronunciare parole incomprensibili; pian piano suoni senza senso si trasformano in parole taglienti, quelle pronunciate in teatro. La rabbia nei suoi occhi, la tristezza nei miei. “La verità è che tu non sei ancora pronta per diventare madre… la verità è che tu non sei ancora pronta per diventare madre… non sei ancora pronta... non sei ancora pronta…” Con un rapido cambiamento di scenario mi ritrovo sul palco nelle vesti di Nora. Ho i riflettori puntati addosso e mi sento pronunciare con sicurezza le sue battute. “Ma sì; avevi perfettamente ragione. Non sono all’altezza del compito. C’è un altro motivo che devo risolvere prima. Devo tentare di educare me stessa. E tu non sei l’uomo che possa aiutarmi a farlo. Bisogna che io m’industri da sola. E perciò sto per lasciarti”. Non sento la battuta di Helmer e continuo: “Devo esser sola per rendermi conto di me stessa e delle cose che mi circondano. Quindi non posso più rimanere con te”. Capitolo settimo 65 66 Mi sveglio di soprassalto, cerco di calmarmi, accendo automaticamente la radio. Vedo entrare un raggio di luce dalla finestra. La apro. È piovuto stanotte. A quanto pare è stata una notte d’inferno come la mia. Le voci mi rimbombano nella testa, come se avessi preso un colpo. Mi sento uscita da una tempesta, vado in bagno. Quando esco c’è Marco, sveglio. Accenno un sorriso di convenienza, lui mi risponde. Sembra cercare di capire cos’ho guardandomi negli occhi. «C’è il caffè, l’ho appena fatto». Meccanicamente tendo la mano verso la tazzina, la afferro. Evidentemente i miei occhi non hanno soddisfatto i suoi dubbi, così mi chiede: «Hai pensato a quello che ti ho detto ieri sera?» «Sono stanca di pensare» rispondo scontrosa. Mi sento stranamente combattiva e risoluta, qualcosa in me improvvisamente è cambiato. Fino a pochi giorni fa ero sempre davanti al televisore, come se cercassi una soluzione in quella scatola piena di immagini e voci. L’effetto narcotizzante dello schermo mi rassicurava, condannandomi però all’isolamento. La sua assenza mi ha restituito a me stessa. Il silenzio intorno a me mi ha costretta ad ascoltare i miei pensieri. Un sogno verso il futuro «Mi hai detto che devo smettere di rifugiarmi nei sogni; io in realtà di sogni non ne ho più. Negli ultimi mesi ho visto la mia vita come attraverso uno specchio. Scivolava via, senza che potessi afferrarla per farla mia. «Ho deciso: devo ricominciare, devo trovare una soluzione a questo incubo, attribuire un’identità alla mia anima grigia, anonima, e restituirle colore, collezionare nuove cose, nuovi ricordi, nuove passioni. Ho fatto un sogno questa notte, mi ha dato coraggio: devo cominciare una vita degna di essere chiamata tale. Devo ripartire dall’incidente, dal giorno in cui ho smesso di vivere per ricostruire tutto ciò che gradualmente e dolorosamente ho disfatto. Devo lasciare le macerie di me stessa alle spalle, andare incontro a un nuovo avvenire». Minuti di silenzio. Marco non parla, io non lo guardo, ma sento i suoi occhi scrutarmi, chiedermi cosa penso di fare. Non riesco a sopportare il suo sguardo. Vado nella camera. Ho bisogno d’aria, aria nuova, non quella piena di cose familiari che non mi danno tregua e che mi ricordano costantemente gli errori che ho fatto. Apro l’armadio. Tiro fuori la valigia che mi ha regalato mia madre. La apro. Ci infilo disordinatamente tutti i miei vestiti. La richiudo in fretta. Respiro. È stato un attimo, ma scandito da mille pensieri. Capitolo settimo 67 68 Marco mi guarda quasi spaventato: «Dove pensi di andare?» mi chiede. «Ricordi Giulia, mia cugina? Quando eravamo bambine sognavamo di andare a vivere insieme, lontano da casa. Ora è a Firenze, ogni estate mi implora di raggiungerla. Forse è arrivato il momento di farlo. Mi aiuterà a ricordare come ero». Marco mi abbraccia per darmi coraggio. Usciamo di casa, mi accompagna alla stazione. Il terminal è affollato come al solito; il frastuono dei treni, la corsa dei ritardatari, gli altoparlanti dalla voce metallica mi stordiscono. Tengo stretto tra le mani il biglietto e guardo con ansia il binario. «Sei proprio sicura di voler partire prima di aver chiarito con Luca?» Fingo di non aver sentito, ma Marco mi costringe a guardarlo, sollevandomi con dolcezza il mento. «Sai che in questo modo potresti perderlo per sempre?» Rimango in silenzio, stanca di dover spiegare le mie ragioni. «Niky, mi ascolti?» «Sì, sì, ho capito. So cosa sto facendo. Non ha più senso parlare adesso. Qualsiasi cosa diremmo sarebbe sbagliata, perché ormai abbiamo smesso di ascoltarci». Un sogno verso il futuro Mi libero dalla presa e continuo quasi parlando a me stessa. “Le sue parole hanno tutte lo stesso suono, raccontano il mio dolore”. L’arrivo del treno mi fa sentire sollevata, strappo con decisione la valigia dalle mani di Marco e mi confondo tra la gente che si accalca davanti alle porte. Non mi volto indietro, provo un senso di insofferenza e fastidio. Il torpore che mi fiaccava ha lasciato il posto a una smania e a un’ansia di ricominciare che mi rendono ingrata nei confronti del mio caro amico. Spero che capisca le mie ragioni, che comprenda che il mio non è il capriccio di una bambina viziata, ma un atto consapevole di una donna adulta che per superare la fase di stallo in cui è caduta deve voltare pagina. Nessun futuro con Luca è possibile se prima non ricostruiamo il nostro presente: per stare bene insieme, dobbiamo imparare a stare bene con noi stessi. Salgo sul treno e finalmente parto. Il solito odore dei treni, la solita gente, nulla di strano. Ho lo sguardo fisso nel vuoto, ho la mente vuota. Di tanto in tanto qualcosa mi richiama alla realtà, un passeggero irrequieto, un annuncio di servizio, una risata sonora. Il finestrino è sporco, riesco a intravedere appena delle montagne, un gruppo di piccole case, forse un paese. Capitolo settimo 69 Non mi sono girata una volta di più verso Marco, non voglio più voltarmi indietro. Nessun ripensamento, nessun pentimento, solo la certezza di dover andare. Il treno sta per imboccare una galleria, il buio improvviso e poi di nuovo la luce. Corro verso il mio futuro. 70 Un sogno verso il futuro CAPITOLO OTTAVO Salto nel vuoto “Niky è partita” mi ripeto febbrilmente. Questa frase asettica e lapidaria di Marco mi rimbalza nella testa... il nulla, il caos, l’inferno. Salgo in macchina, come un automa, guido senza una meta precisa: non voglio pensare, ma non pensare a niente è molto difficile. Ci provi, ti strizzi le meningi e ti metti a pensare che non devi pensare a niente e ti sei già fottuto perché questo è un pensiero. Non voglio pensare, ma mi ritorna in mente l’ultimo incontro con Nicole, la mia brutalità: “Non sei pronta a diventare madre...” Sapevo invece che a non esser pronto ero io perché ho paura, paura di amare e di deludere il figlio che diventerà la ragione della mia vita, paura di soffrire come aveva sofferto mio padre per un figlio lontano, inaccessibile. Non posso scappare dalla sofferenza, non devo dimenticare, il dolore è una parte importante di me, di noi, un mattone della nostra vita impossibile da sfilare. Eliminare le tracce degli errori e del dolore sarebbe come stracciare pagine di un romanzo, del romanzo mio e di Nicole, la lettura non sarebbe più la stessa. 72 Salto nel vuoto Ripenso al nostro passato; un’onda di emozioni si infrange sugli scogli dei miei ricordi, quegli scogli emersi da quel maledetto giorno in cui tutto era finito prima ancora di cominciare. «Ti ricordi, Giulia quando da bambine fantasticavamo che saremmo venute a studiare insieme a Firenze? Tu ce l’hai fatta, fai ciò che ti piace, sei un bravo architetto; del resto sei sempre stata stravagante e originale, sempre tenace nel rincorrere i tuoi sogni e realizzarli. Io invece...» ingoio le lacrime, soffoco la mia invincibile sofferenza soffermandomi a contemplare il fiume che, rapinoso, scorre trascinando via i miei pensieri, le mie aspettative, i miei sogni. Frotte di turisti vocianti mi passano accanto, i miei occhi si soffermano su una coppia felice, che stringe fra le mani quelle del proprio bambino. “Non sei pronta a essere madre”. Giulia interrompe i miei pensieri: «Niky, ma non hai fame?» È sorprendente come Giulia sappia leggermi dentro, sa che se ora mi chiedesse qualcosa non riuscirei a risponderle, mi conosce fin troppo bene. Ceniamo in un bel ristorantino: ricordiamo la nostra infanzia, le nostre aspettative, i nostri progetti, le prime cotte, poi lui, Luca. Mi irrigidisco, ho bisogno di una boccata d’aria: devo uscire. Capitolo ottavo 73 Una leggera brezza mi accarezza il viso, un brivido inaspettato mi percorre la schiena: improvvisamente mi sento pronta a voltare pagina, a scrivere un nuovo capitolo della mia vita, anzi no, a cambiare libro. Riprendo in mano la mia vita, mi fermo qui. Provo a ricomporre il puzzle della mia esistenza dove manca, forse, il pezzo più importante: devo ritrovare me stessa, forse né moglie né tantomeno madre, semplicemente una donna che vuole urlare al mondo la sua urgenza di ripartire, anche da sola. Riprendo la strada di casa, con Giulia silenziosa al mio fianco. Vado nella mia stanza, comincio a disfare i bagagli, sicuramente Giulia sarà felice di ospitarmi qui da lei qualche altro giorno in attesa di una mia sistemazione definitiva. Firenze è una grande città, troverò qualcosa da fare, magari riprenderò i miei studi di Storia dell’arte. Forse Firenze è il mio futuro, forse Luca ha tarpato le mie ali, annientando le mie ambizioni e azzerando la mia voglia di esplorare il mondo e fare nuove esperienze: eravamo troppo giovani, inconsapevoli. Siamo cresciuti percorrendo strade divergenti. Per molto tempo siamo stati apparentemente vicini, fino a quel fatidico giorno in cui quella maledetta notizia di cronaca ha riportato 74 Salto nel vuoto a galla i nostri rancori, le parole non dette, i rimpianti; come se la nostra vita, fino a quel momento, avesse seguito un copione prestabilito: quello di una farsa... Il peso dei pensieri e della solitudine mi è diventato insopportabile, accendo la radio, canzoni incolori e sbiadite si rincorrono una dietro l’altra, cambio freneticamente stazione sperando di trovare qualcosa che dia tregua alla valanga dei miei pensieri. L’autostrada è vuota come la mia anima. Nella mia mente i ricordi si affastellano l’uno sull’altro senza darmi tregua, infiniti fotogrammi di un film in bianco e nero il cui finale sta a noi scriverlo. Mi accorgo solo ora di essere arrivato allo svincolo per Firenze: ho paura, adesso ce l’ho davvero. E se dovesse respingermi? Come darle torto? L’ho ferita addossandole tutte le mie insicurezze e frustrazioni. Prendo coscienza che questo viaggio, forse, non ha alcun senso, che potrebbe rivelarsi un fallimento, per entrambi. Scavo negli archivi della mia memoria alla ricerca dell’indirizzo di Giulia, presentarmi là sarebbe come fare un salto nel vuoto, ma del resto la nostra vita lo è sempre stato. Da incoscienti abbiamo sempre corso troppo: il nostro amore precoce, la sua gravidanza inattesa, la Capitolo ottavo 75 fuga, un matrimonio che avrebbe dovuto unirci nella comune sofferenza, ma che ha messo a nudo le nostre fragilità e le nostre incomprensioni. Mi ritrovo sotto casa di Giulia, mi scoppia la testa e ho il battito del cuore accelerato. Il portone è aperto e salgo lentamente le scale, le gambe mi tremano, poi all’improvviso la porta davanti a me: è quella giusta. Che faccio? Busso. Giulia, fra la sorpresa e lo stupore, mi sorride imbarazzata e mi invita a entrare. È ora di confrontarmi con il mio passato, il mio presente e il mio futuro. Giulia annuncia il mio arrivo a Nicole. «Nicole, c’è Luca!» 76 Salto nel vuoto CAPITOLO NONO Il momento della verità 78 «Nicole, c’è Luca!» Capisco che deve essere Giulia, la cugina di cui Nicole mi ha tanto parlato. L’avevo immaginata diversa, magari più simile a Nicole: invece mi trovo di fronte una donna che non le assomiglia affatto. Ha lunghi capelli castani tenuti su da una matita, grandi occhi verdi nascosti da sottili lenti da vista che lasciano intravedere la sua sorpresa nel vedermi. Giulia mi rivolge un sorriso nervoso. «Scusala, deve essere sotto la doccia». Mi fa cenno con la mano di entrare. «Accomodati, Luca». Io la seguo all’interno della casa. L’atrio è illuminato: una luce chiara e dorata rischiara la moquette del pavimento e fa risaltare i pannelli di legno delle pareti. Mi guardo attorno incuriosito, osservando il piccolo tavolino con sopra un grazioso elefante d’argento che sembra scrutarmi mentre passo. È una casa particolare e accogliente, penso, mentre Giulia mi fa strada fino a un soggiorno dello stesso colore del resto Il momento della verità dell’appartamento. Al centro della stanza c’è uno squisito divanetto in cotone morbido, alle spalle una libreria colma di volumi ben ordinati. Sul tappeto decorato con motivi orientali è poggiato un tavolino di legno con un piano di vetro, mentre di fronte al divano si trova il televisore. Alla vista di quest’ultimo oggetto sussulto, mente nella mia mente si fa strada l’immagine di Nicole seduta lì, davanti al televisore, lo sguardo incantato, quasi fuori dal mondo... «Gradisci qualcosa da bere?» La voce di Giulia mi distoglie dai miei pensieri. Scuoto lentamente il capo e la ringrazio con voce tirata, mentre mi osserva attentamente. «Nicole sarà qui a momenti» dice infine «probabilmente non avrà sentito». “Probabilmente invece ha sentito e non ha alcuna intenzione di venire da me” rifletto, mentre tutti i miei dubbi, le mie incertezze mi assalgono e mi impediscono di pensare lucidamente. All’improvviso il rumore di un phon irrompe violentemente dal piano di sopra, soffuso e persistente come le fusa di un gatto. «Come avevo pensato» dice Giulia scrollando le spalle con un sorriso di incoraggiamento «vado sopra, resta pure qui». Capitolo nono 79 La seguo con lo sguardo mentre si avvia lungo una scala di legno che conduce al piano superiore. Attendo per qualche secondo, poi sospiro e mi lascio cadere sul divano. È comodo, morbido, nulla a che vedere con quello duro nella mia cucina. Eppure, da qualche parte dentro di me, sento che preferirei che invece di un divano si fosse trattato di una panchina... Mi guardo attorno per ingannare il tempo, cercando di evitare di soffermarmi sullo schermo nero proprio davanti a me. Mi pare di udire una voce proveniente dal piano di sopra, poi il phon si spegne. Silenzio. Cerco di captare qualcosa, qualsiasi cosa, un sussurro, una parola... Come sta reagendo Nicole? Che cosa sta pensando? Scenderà? Spero lo faccia. Devo dirle della mia decisione, devo dirle che voglio cambiare per lei, che sono pronto a qualsiasi cosa purché lei sia con me. Poi sento dei passi scendere le scale, ma è il suono di un solo paio di piedi. “Avresti dovuto immaginarlo...” penso “Dopo quello che le hai detto, lei...” «Luca!» Apro gli occhi di scatto per posarli sulla figura di Nicole e quasi salto dal divano. È proprio lì, davanti a me, i capelli ancora umidi che le ricadono in ciocche scomposte attorno al viso pallido. Sem- 80 Il momento della verità bra stanca ma è sempre bellissima per me, e nei suoi occhi posso notare una luce nuova. «Nicole, io...» Ho provato quella frase, quel discorso migliaia di volte nella mia testa, eppure in questo momento non so cosa dire. Deglutisco, notando che mi guarda senza astio, ma anche senza affetto. «Ti prego» riesco a dire alla fine «ascoltami». «Non voglio ascoltare, Luca» mi dice, con voce appena tremante «devi lasciarmi in pace». «Ma Nicole, io devo parlarti! C’è una cosa che...» «Abbiamo parlato abbastanza, mi pare» stringe le labbra «e tu hai detto chiaramente cosa pensi di me». Mi sento come se una mano gelida mi abbia afferrato il cuore. «Ma non è così! Nicole, non sei tu il problema, sono io! Sono sempre stato io...» «Smettila» Nicole si copre per un attimo le orecchie con le mani «basta, non voglio più sentirti». «Ho fatto tanta strada per arrivare qui, da te» mi avvicino a lei «capisco quel che provi, ma ti prego...» «Tu non capisci niente!» il tono della voce di Nicole si è alzato «Tu non sai come mi sono sentita!» Capitolo nono 81 «Credi di essere l’unica ad aver sofferto?» adesso anche il mio tono di voce si è alzato. Sono turbato, spaventato. Non volevo litigare con lei, ma sembra che ogni nostra conversazione debba finire così. «Ho scelto di prendermi cura di me stessa!» grida lei di rimando «Voglio ricominciare a vivere!» «Ascoltami» faccio per avvicinarmi a lei, ma Nicole indietreggia. «Nicole, ti prego, ricordi quel bambino? Quello che volevi adottare? Possiamo farlo, possiamo adottarlo insieme!» Non era questo il modo in cui volevo dirle della mia decisione, non lo avevo immaginato così. I suoi occhi si assottigliano. «Cosa?» la sua voce si fa più acuta «Questa è la tua scusa per avermi raggiunta qui? Cosa vuoi fare, prendermi in giro?» «No, io...» «Nicole, Luca» La voce di Giulia ci coglie entrambi di sorpresa e sussultiamo nel vederla apparire. «Mi dispiace di dovermi intromettere, ma qui di fianco abita una vecchia signora e a quest’ora dorme sempre. Sapete, è molto suscettibile e non gradisce i rumori forti...» dice, mordendosi le labbra, imbarazzata. 82 Il momento della verità Capisco che è meglio che usciamo e ne sono sollevato, perché quella casa mi sta soffocando. «Usciamo» propongo a Nicole, che indugia. All’inizio sembra voler rifiutare, ma con uno scatto si avvia fuori, così io la seguo. Mentre camminiamo in silenzio, rifletto su quanto è cambiata: non è più la mia Nicole, la donna che si incanta davanti al televisore, è diventata più sicura di sé, più combattiva. «Mi dispiace» dico, rompendo il silenzio. Nicole non mi guarda e continua a camminare, così io prendo il suo mutismo come un invito a continuare. «Ho commesso tanti errori, Nicole, e mi dispiace di essermene reso conto solo ora. Sono stato sciocco, ipocrita e... Mi dispiace». Nicole si ferma e, girandosi verso di me, dice: «Dispiace anche a me, ma avevi ragione nel dire che non ero pronta». È come se mi avessero dato un pugno allo stomaco. «Per quello che ti ho detto...» «Lascia stare» mi dice sorridendomi leggermente «eri ferito e hai detto quello che pensavi. Ma negli ultimi tempi sono cambiate tante cose. Mi trovo bene qui a Firenze e vorrei restarci, costruirmi una nuova vita, ricominciare daccapo». Capitolo nono 83 «Anche io ho intenzione di ricominciare, Nicole, ma ho bisogno di te per farlo perché sei l’unica persona che amo davvero e senza la quale non potrei mai vivere». Nicole resta in silenzio per un po’, poi mi chiede con voce flebile: «Quello che hai detto prima, riguardo all’adozione...» «Sì?» «Dicevi sul serio?» mi chiede, mentre mi guarda dritto negli occhi. «Sì!» mormoro «Ora sono pronto, pronto a ricominciare. Voglio adottare un bambino e voglio crescerlo con te. Voglio addormentarmi ogni notte accanto a te, voglio svegliarmi ogni mattina accanto a te, voglio invecchiare accanto a te. Voglio andare a casa, Nicole, e se la nostra non ti piace più ne troveremo un’altra. Voglio tutto questo e lo voglio con te». La guardo negli occhi, prendendole la mano. «Ora devo chiederti solo una cosa: vuoi quello che voglio io?» 84 Il momento della verità CAPITOLO DECIMO Itaca 86 «Sei felice, Luca?» mi chiede d’un tratto mio padre. Accenno un sorriso, mentre gira tra gli scaffali con aria divertita e incuriosita da quelle che probabilmente gli sembrano delle stramberie moderne. Non voglio deluderlo proprio adesso che ho realizzato il mio sogno, ora che le pareti della mia nuova libreria in centro sono spettatrici di incontri, discussioni, storie d’amore nate tra le pagine di un libro, tra gli odori di cibi e bevande provenienti da ogni angolo del mondo. Tutta l’amarezza che in questi mesi ho celato nel mio animo ormai stanco, in attesa di quella risposta tanto desiderata, riemerge prepotentemente in un sospiro. Non riesco a dimenticare il nostro ultimo incontro. “Ora devo chiederti solo una cosa: vuoi quello che voglio io?” “Non così, non adesso…” La delusione e la rabbia mi hanno spinto lontano da lei, da noi. «E Nicole?» mi chiede mio padre a bruciapelo, interrompendo il ricordo di lei che cerca di prendermi il volto tra le mani mentre io mi ritraggo e la lascio sola sotto casa di Giulia. Itaca «Sta ricominciando a vivere da qualche parte, senza di me» sibilo a denti stretti con rabbia. «Ti manca, vero?» Non rispondo e lascio che quelle parole mi scivolino via di dosso per poi dirigermi verso gli ultimi scaffali ancora da sistemare. La nostalgia è un dolore sordo, una compagna silenziosa che implacabilmente mi riporta a lei. Sì, mi manca, e non faccio altro che ripeterlo a me stesso da quella sera in cui ancora una volta l’ho delusa. Mi mancano il suo viso, i suoi occhi cerulei, il sapore delle sue labbra sottili, le sue movenze un po’ goffe, persino quella malinconia che si trascinava dietro dal giorno di quel maledetto incidente. Il tonfo di un libro scivolato improvvisamente dalle mani di mio padre mi distrae dalla moltitudine dei miei pensieri. Mi chino per raccoglierlo e lo sguardo cade sulla pagina aperta. ”Quando ti metterai in viaggio per Itaca/ devi augurarti che la strada sia lunga/ fertile in avventure e in esperienze”. Leggo la poesia di Kavafis d’un fiato: ”Sempre devi avere in mente Itaca/ raggiungerla sia il pensiero costante. / Soprattutto non affrettare il viaggio […] / Itaca ti ha dato il bel viaggio/ senza di lei mai ti saresti messo sulla strada: / che cos’altro aspetti?” Capitolo decimo 87 88 È notte fonda, sono inquieto, non riesco a dormire, tanto vale che mi alzi. Dalla finestra del soggiorno vedo le luci accese dell’appartamento di fronte, un’ombra passa davanti alla finestra che poco dopo si apre. Riconosco il bagliore intermittente di una sigaretta accesa. A quanto pare, non sono l’unico a stare sveglio a quest’ora. Accendo la tv, cercando inutilmente un film decente da vedere. Ritorno a letto ma non riesco a riaddormentarmi; le parole di quella poesia mi tormentano. ”Che cos’altro aspetti?” mi ripeto in modo ossessivo; non vedo l’ora che si faccia mattino per telefonare a Giulia e chiederle notizie di Nicole. «Nicole è andata a Taormina a trovare del materiale per la sua tesi di laurea in Storia dell’arte» mi dice Giulia. A stento riesco a ringraziarla perché la voce mi si blocca in gola come quando da bambino sognavo di essere in pericolo e cercavo di gridare per chiedere aiuto, ma dalla mia bocca contratta non usciva altro che un flebile suono soffocato dalla paura. Non riesco neanche a chiederle se adesso abbia qualcuno accanto a sé. Trascorro due giorni in completa prostrazione. Itaca Sul letto disfatto c’è ancora il libro con quella poesia che è diventata come un tarlo nella mia mente. La rileggo: ”E se la troverai più povera/ non per questo Itaca ti avrà deluso”. Decido di raggiungere Nicole, non mi rimane altro da fare, non voglio trascorrere il resto dei miei giorni a rimpiangere di non aver almeno tentato di sapere cosa voglia adesso dalla sua, dalla nostra vita. Appena scendo dalla nave sono investito da un vento caldo che asciuga il mio viso madido di sudore. L’azzurro del mare mi rasserena, mentre il profumo dolciastro degli oleandri quasi mi stordisce. Appoggio i gomiti sulla ringhiera della piazza che domina dall’alto la baia. M’infastidisce il brulichio dei turisti che si affannano a fare foto che probabilmente non rivedranno mai, invece di guardare con i propri occhi quei luoghi e di sentirne gli odori e i suoni. Ci siamo trasformati in uomini-vedenti. Un cinquantennio di televisione ci ha reso più poveri, rubandoci l’esperienza reale delle cose. Il mio sguardo è attirato nuovamente dal mare leggermente increspato. Mi riapproprio della bellezza che mi circonda. La trovo ovunque e anch’io, dopo tanto tempo, sento di far parte di quel tutto. Rimango lì quasi un’ora, fermo, leggero, quasi sospeso, fin Capitolo decimo 89 quando la sirena di una nave mi riporta a Nicole. Vado a cercarla nell’antico teatro greco-romano, dove Giulia mi ha detto che probabilmente l’avrei trovata. Il teatro è quasi vuoto data l’ora che volge al tramonto. La vista è spettacolare da quassù. Salgo sul palcoscenico e guardo gli scranni. Chissà quanti uomini hanno lasciato lì i loro pensieri, le loro paure o hanno riflettuto sul senso della propria vita, una volta tornati a casa. Sento dei passi avanzare dietro di me, mi giro. So che è lei. Il suo viso minuto, il collo bianchissimo attraversato da una vena pulsante di vita, il suo sguardo dolce come un tempo, diverso da quello del nostro ultimo incontro, la bocca aperta e sorridente al tempo stesso per lo stupore... Respiro profondamente e questa volta, come un fiume in piena, la voce mi esce. Faccio per accarezzarle il viso, ma la mano esita. «Il tempo non ti ha cambiata affatto in questi ultimi anni». «Invece lo ha fatto, Luca. Ho finalmente ritrovato me stessa e ora non sono più disposta a guardarmi vivere». «Nicole, in questi due anni di lontananza non ho fatto altro che ripensare a quanto sia stato vigliacco a fuggire via da te quella sera. Mi sono rifiutato di comprendere le tue ragioni perché ho 90 Itaca avuto paura di perderti. Il pensiero che avresti potuto vivere anche senza di me mi ha spezzato l’anima». «No, Luca…» mi interrompe con voce decisa «non ho mai pensato alla mia vita senza di te, ma avevo bisogno di ritrovare me stessa, senza il filtro dei tuoi occhi. Ti ho seguito da lontano, attraverso tuo padre. È stato importante per me averlo accanto. Pur vedendoti soffrire, ha sostenuto la mia scelta perché sapeva che saremmo stati felici solo se ognuno di noi avesse visto nell’altro ciò che effettivamente siamo e non noi stessi. Ti stavo aspettando. Non sapevo quando saresti venuto a cercarmi, ma ero certa che lo avresti fatto prima o poi. Adesso anch’io voglio quello che volevi tu». La bacio dolcemente come feci la prima volta. Il cuore sussulta nel mio petto proprio come allora. Siamo di nuovo insieme, io e lei, pronti a ricominciare. Il mio nome è Itaca. I miei genitori mi hanno chiamata così perché rappresento la meta a cui sono approdati dopo tanto vagare alla ricerca di un nuovo senso da dare alle loro vite. Sono stata affidata a loro appena tre giorni dopo la mia nascita. Le pratiche per l’adozione sono state Capitolo decimo 91 lunghe e a volte scoraggianti, ma i miei genitori hanno resistito, hanno lottato per avermi. Sono cresciuta tra i libri di mio padre e le cure affettuose, forse po’ soffocanti, di mia madre che insegna nella mia stessa scuola. I momenti più belli sono quelli che trascorriamo noi tre da soli. Ogni anno scegliamo un luogo da visitare, cercandolo su un vecchio mappamondo di papà. È un oggetto orribile a vedersi e per di più si illumina, ma troneggia, come un totem dell’infanzia paterna, sulla mensola del soggiorno, impavido di fronte alle spolverate maldestre di mia madre. Solitamente scegliamo mete poco affollate. Papà odia essere intruppato in turbe chiassose, perché sostiene che ogni viaggio dovrebbe considerarsi come una sospensione nella quale il corpo e la mente si incontrano, generando emozioni nuove o perdute. Mamma fa delle cose stranissime, come abbracciare gli alberi. Dice che così sente la linfa che scorre dentro un’opera d’arte. Io non sono mai riuscita a sentirla, a dire il vero, forse ho bisogno ancora di affinare l’orecchio. Oppure sta per ore a cercare fiori che non coglie mai perché le sembra crudele porre fine alla loro bellezza per un piacere effimero. Preferisce fotografarli, così le pareti della nostra casa sono sempre fiorite. 92 Itaca Papà una volta ha stampato una di quelle sue foto e l’ha esposta in libreria dove ha riscosso un grande successo. Quando tocca a lui scegliere andiamo in montagna, la sua grande passione. Non l’ho mai seguito fin sulla vetta perché ho paura di non riuscire più a scendere. Mi dice sempre che non bisogna temere nulla, perché la paura paralizza, congela la vita, proprio come era accaduto a lui e alla mamma, e che invece la montagna bisogna salirla per poterla contemplare dall’alto nella sua bellezza, ma anche nei suoi rischi, con l’animo pronto a ridiscenderla, con la voglia di scalarne un’altra. Un giorno lo farò. Ho bisogno anch’io di tempo… Capitolo decimo 93 APPENDICE 1. Un uomo, una donna Istituto d’Istruzione Superiore “Assteas” di Buccino – Classi V B/D, IV B, III C Dirigente Scolastico Anna Rizzo Docenti responsabili dell’Azione Formativa Catia Citroni, Teresa D'Acunto, Maria Cammardella Gli studenti/scrittori delle classi V D - Vito Stiuso, Ilaria Avino,Chiara Zarrillo, Agnese Vicinanza IV B - Pasquale Policastro, Antonietta Saggese, Federica Barberio, Rita Stiuso, Michela Policastro, Eleonora Pacelli, Mariacristina Paglia V B - Maria Adriana Carbone, Piero Policastro, Lucia Fresolone, Giuseppe Perna, Maurizio Casciano, Mariantonietta Elia III C - Carmela Trimarco APPENDICE 2. Io, Nicole Liceo Artistico “Felice Faccio” di Castellamonte – Classe IV A Sezione Architettura e Ambiente Dirigente Scolastico Ennio Rutigliano Docente referente della Staffetta Marcella Restagno Docente responsabile dell’Azione Formativa Marcella Restagno Gli studenti/scrittori della classe IV A Sara Capuzzo, Rossella Carvelli, Luca Cherubini, Martina Diliberto, Alessandro Fava, Giulia Ferrero, Francesca Ferrero Merlino, Arianna Freisa, Lucia Freisa, Martina Freisa, Francesca Garda, Emanuela Gjomarkaj, Alessandro Guidotti, Anca Cristina Isaila, Stefania Maffa, Eva Michieletto, Federica Nigretti, Giulia Pane, Giuditta Alevtina Pini, Selene Sacco, Edoardo Sciarappa, Erika Tuberosa Hanno scritto dell’esperienza: “… L'esperienza di quest'anno è stata più difficile rispetto all'anno passato, per la difficoltà di districarsi fra i piani temporali della storia, che abbiamo trovato molto stimolante, ma altrettanto complessa. La classe si è divisa in tre gruppi. In ogni gruppo ognuno ha potuto esprimere le proprie idee, che poi sono state integrate nel lavoro finale. Essendo stati scelti per scrivere il secondo capitolo, non avevamo una traccia ben avviata da seguire, ma nonostante questo siamo riusciti a seguire tre filoni narrativi, elaborati da ogni gruppo, e infine ad assemblarli nel testo definitivo“. APPENDICE 3. l di là del sipario Liceo scientifico “Elio Vittorini” di Napoli – Classi I I, III H Dirigente Scolastico Rosanna Videtta Docente referente della Staffetta Loredana Troise Docente responsabile dell’Azione formativa Marina Buonincontro Gli studenti/scrittori delle classi I I - Serena Carlone , Mattia Carrino, Martina Izzo, Giada Ruggiero, Giuseppe Ruggiero, Giovanni Vecchione III H - Andrea Castiello, Giorgia Cioffi, Chiara Coppola, Antonia D’Angelo, Antonia Esempio, Francesco Esposito, Giovanni Gentile, Ilaria Ippolito, Giancarlo Marna, Simone Matafora, Luca Orsolillo, Marika Papi, Pierluigi Pellone, Alessia Russo, Marco Schiattarella, Antonio Tafuri Hanno scritto dell’esperienza: “… L’esperienza è stata entusiasmante, sia per i ragazzi sia per la docente: dal punto di vista dei primi, è emerso il piacere del lavoro in gruppo e in sinergia con alunni di altra classe; inoltre è risultato interessante coniugare la tecnologia quotidianamente utilizzata dai ragazzi (facebook, chat) per scopi non solo relazionali ma anche organizzativi e per un’esperienza piacevolmente creativa. La docente ha preso atto con soddisfazione delle energie fresche dei ragazzi, collaborativi e responsabili, nonché della particolare atmosfera creatasi in classe, con la ‘presenza fantasmatica’ dei personaggi della fiction come ospiti ormai a tutti familiari”. APPENDICE 4. Futuro Anteriore Liceo Scientifico “E. Amaldi” di Barcellona – Classe III A Dirigente Scolastico Cristino Cabria Docente referente della Staffetta Raffaella D’Alessandro, Donatella De Grassi Docente responsabile dell’Azione Formativa Raffaella D’Alessandro Gli studenti/scrittori della classe III A Francesco Bigolin, Atila Carmona, Riccardo D’Angelo, Marco Fabris, Gianluca Gaspari, Michele Gaspari, Adrian Licciardo, Valentina Munteanu, Luca Pacifici, Enrico Santamaria, Valentina Scapusio, Claudia Vannucchi Hanno scritto dell’esperienza: “… L’esperienza è stata intensa ed estremamente interessante e coinvolgente. Ci ha costretti a lavorare in tandem, arricchendoci dei punti di vista degli altri compagni. Abbiamo fatto leva su un momento della nostra vita scolastica che ci ha segnati profondamente, la rappresentazione teatrale dell’odissea di Omero. Speriamo di poter ripetere presto questa esperienza”. APPENDICE 5. Frammenti riflessi Istituto d’istruzione Secondaria Superiore “G. B.Vico” di Laterza – Classi IV C, V C/D/G Dirigente Scolastico Francesco Cristella Docente referente della Staffetta Corrado Ciulli Docenti responsabili dell’Azione formativa Annunziata Carrera, Daniela Fiore Gli studenti/scrittori delle classi IV C - Stefania Francavilla, Rossana Mastrodomenico, Luisa Natile, Maristella Petrera, Veronica Rizzi V C - Viviana Bruno, Vitamaria Papa, Regina Scalone V D - Giusy Fanelli, Marta Paradiso V G – Michele Bitetti, Giuseppe Falcone, Salvatore Leo, Michele Cardinale Hanno scritto dell’esperienza: “… L’esperienza della Staffetta è stata, come gli anni precedenti, un’occasione utile per confrontarci sia con altri modi di pensare, sia con differenti modi di scrivere. Inoltre ci ha permesso di affrontare nuovi temi su cui riflettere. Scrivere questo capitolo è stata un’esperienza ardua ma costruttiva, perché è difficile cercare di conciliare le diverse idee nel rispetto di tutti i punti di vista. Il tema era insolito, ma particolare: abbiamo cercato di non banalizzarlo, ma di renderlo più interessante e più stimolante possibile non solo per il lettore, ma anche per coloro che dovranno continuare l’impresa. Auguriamo ai prossimi scrittori… BUONA STAFFETTA!”. APPENDICE 6. Dalla solitudine all’incontro Liceo “Chris Cappell College” di Anzio - Classi III B/C/D, IV E,V D Dirigente Scolastico Perla Fignon Docente referente della Staffetta Francesca Tornatore Docente responsabile dell’Azione Formativa Francesca Tornatore Gli studenti/scrittori delle classi III B/C/D, IV E,V D Roberta Chiarello, Elettra De Santis, Giorgio Cerroni, Lydia Kolaparambil Varghese Johnson, Samantha Musolino, Chiara Proietti, Giulia Valenti, Camilla Restaneo, Giuseppe Gioia Hanno scritto dell’esperienza: “… L' idea di una collaborazione interscolastica ci è parsa affascinante, seppur per certi versi complicata. Sicuramente è stata interessante la fusione di idee e la collaborazione tra noi studenti con un conseguente lavoro di squadra -un buon lavoro di squadra - che ci auguriamo possa piacere ai lettori. Di certo è stata un'esperienza per la maggior parte di noi nuova e stimolante: mentre leggevamo e scrivevamo, ci appassionavamo alle vite di Luca e Nicole, immedesimandoci nei due protagonisti. Alla fine ci è sembrato un lavoro tutto sommato riuscito bene, che ha portato con sé anche nuove conoscenze e interessanti spunti di riflessione. In poche parole siamo orgogliosi e soddisfatti di aver vissuto questa esperienza così intensa”. APPENDICE 7. Un sogno verso il futuro ISIS “V. Cuoco - O. Fascitelli” di Isernia – Classi II A/B, III B Dirigente Scolastico Franco Capone Docente referente della Staffetta Giuseppina Faralli Docente responsabile dell’Azione Formativa Giuseppina Faralli Gli studenti/scrittori delle classi II A - Francesca Cinone II B - Giulia Fuschino, Carmen Armenti, Adriana Basti, Brunilde D’Agostino, Francesca De Pinto, Agnese Mancini, Lucrezia Matticoli, Francesca Melaragno, Giulia Menna, Eliana Orlando, Alessia Tonti III B - Sara Angiolilli, Paolo Celima, Eliana Cerrato, Antonio Del Riccio, Anna De Vanno, Loriana Di Bello, Alessandra Di Tomaso, Chiara Esposito, Chiara Fantini, Anna Massaro, Pierluigi Paolino, Alessia Tedeschi, Martina Tedeschi, Francesca Terreri, Pierluca Visco Hanno scritto dell’esperienza: “… La Staffetta è stata indubbiamente un’esperienza formativa sotto ogni punto di vista. Avere nelle proprie mani la possibilità di gestire le vite di due personaggi è stata una nuova entusiasmante avventura, che ha permesso il confronto e la crescita di noi alunni. Abbiamo sperimentato nuove tecniche di scrittura, fuso insieme idee diverse, ci siamo emozionati immedesimandoci nella storia”. APPENDICE 8. Salto nel vuoto Liceo Classico “P. Galluppi” di Catanzaro - Classe I A Dirigente Scolastico Elena Defilippis Docente referente della Staffetta Maria Brutto Docente responsabile dell’Azione Formativa Paola Ferragina Gli studenti/scrittori della classe I A Michela Amerato, Alessandro Bagnato, Paolo Bove, Marcello Carvelli, Maria Vittoria Cavigliano, Giorgia Chiappetta, Manuel Citraro, Giulia Colosimo, Teresa Cristofaro, Antonio Durante, Manuela Lardieri, Emilio Lupia, Matteo Mangone, Martina Mercurio, Tarquinia Palmieri, Letizia Pirrò, Antonietta Procoipio, Clara Punturiero, Sara Rotella, Andreabruno Rullo, Sasha Russolillo, Gaia Santavaterina, Guido Saracco, Levely Paola Silipo, Mattia Sorrentino, Elisa Squillace, Marzia Talarico, Francesca Traversa Hanno scritto dell’esperienza: “… L’esperienza si è rivelata per i ragazzi altamente coinvolgente e interessante. Essa, infatti, ha consentito a discenti di primo anno del liceo di confrontarsi e di conoscersi meglio, in una dimensione collettiva che ha permesso loro di misurarsi con una tematica sicuramente non banale né scontata. Pertanto, si sottolinea la duplice ricaduta dell’attività sia sul piano relazionale e conoscitivo, sia su quello più meramente didattico che ha impegnato i giovani scrittori in un esercizio non sterile e astratto della fantasia creatrice, attraverso una ricerca formale e lessicale lontana dall’ovvietà del linguaggio quotidiano”. APPENDICE 9. Il momento della verità Liceo Scientifico Statale “Alfonso Gatto” di Agropoli - Classe II A Dirigente Scolastico Pasquale Monaco Docente referente della Staffetta Angelo Mantione Docente responsabile dell’Azione Formativa Rita Roca Gli studenti/scrittore della classe IIA Sofia Conforti, Giorgia De Angelis, Sara Meola, Antonella Papa, Caterina Passaro, Mariachiara Petillo, Lucia Primicino, Giovanna Romeo, Ludovica Scalzone, Chiara Stromilli, Francesca Vitolo, Margherita Volpe Hanno scritto dell’esperienza: “… È il secondo anno che partecipiamo alla Staffetta Bimed ma l’esperienza di quest’anno è stata sicuramente più intensa. L’incipit del nostro racconto, infatti, appare suggestivo e anche molto complesso per la pluralità di voci narranti e per l’alternanza di punti di vista che hanno permesso uno sviluppo teatrale e, pertanto, più dinamico della narrazione. L’invito a ritornare al teatro, alla cultura per sconfiggere l’alienazione derivante dalla teledipendenza ha dato vita ad un interessante dibattito che ci ha fatto appassionare ulteriormente alla storia rendendoci protagonisti del capitolo”. APPENDICE 10. Itaca Istituto Magistrale ‘’G. Guacci’’ di Benevento – Classi III VC Dirigente Scolastico Giustina Anna Gerarda Mazza Docente referente della Staffetta Romilda Lombardi Docente responsabile dell’Azione Formativa Romilda Lombardi Gli studenti/scrittori delle classi IIIC Linguistico - Giorgia Aprea, Francesco Cornacchione, Alessandra Maria D’Agostino, Rosa D’Agostino, Anna Chiara D’Amelio, Viviana D’Arienzo, Milena D’Oro, Federica De Minico, Emanuele Fabozzi, Giuseppina Ferrara, Erica Frattolillo, Maria Federica Gianquitto, Marianna Iannace, Anna Lonardo, Vanessa Morrone, Ilenia Orlacchio, Marika Pennino, Martina Porcaro, Asia Quarantiello, Martina Raffio, Ilaria Ranaldo, Roberta Rupe, Angela Russo, Fausta Salvatore, Pellegrino Sordi VC Linguistico - Sara Cella, Stefania Petrone, Rossella Rivellini, Marta Antonella Savoia, Clara Scialò Hanno scritto dell’esperienza: “… Abbiamo strutturato il capitolo conclusivo cercando di raccordare i diversi elementi emersi nello sviluppo della storia. Il capitolo inizia con un salto temporale in avanti rispetto al finale del precedente, che viene ripreso durante la narrazione attraverso un flashback, per poi narrare l’evolversi della vicenda. Abbiamo introdotto un nuovo personaggio: Itaca, la figlia adottata dai protagonisti, per dare al testo una struttura circolare e un lieto fine. La staffetta è stata un’occasione di crescita sia dal punto di vista umano che culturale, in quanto gli alunni delle due classi hanno avuto la possibilità di interagire, di confrontarsi e di potenziare le tecniche di scrittura e soprattutto di sviluppare le singole capacità creative”. INDICE Incipit di LUCA RAGAGNIN ............................................................................pag 16 Cap. 1 Un uomo, una donna ................................................................................» 20 Cap. 2 Io, Nicole ......................................................................................................» 26 Cap. 3 Al di là del sipario ......................................................................................» 34 Cap. 4 Futuro Anteriore ..........................................................................................» 42 Cap. 5 Frammenti riflessi ........................................................................................» 48 Cap. 6 Dalla solitudine all’incontro ....................................................................» 56 Cap. 7 Un sogno verso il futuro ............................................................................» 64 Cap. 8 Salto nel vuoto ..........................................................................................» 72 Cap. 9 Il momento della verità ............................................................................» 78 Cap. 10 Itaca ............................................................................................................» 86 Appendici ..................................................................................................................» 94 Finito di stampare nel mese di aprile 2014 da Tipografia Fusco, Salerno