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2012.03.02 LIBERO DI LEGGERE
venerdì 2 marzo 2012 Libero di leggere laRegioneTicino 27 a cura di Orazio Dotta e Velia Chiesa L’incipit Il cervello di Moreno è grande come una Zigulì. Quando ero bambino, mi piacevano molto quelle caramelle. Si diceva che fossero caramelle ‘sane’. Ancora oggi le vendono in farmacia e nei supermercati, perché si vede che le mamme continuano a essere contente di fare del bene ai loro figli. Per i più grandi Per i più piccoli L’innocenza delle volpi, di Torey L. Hayden, Corbaccio, 353 p. – «La tenda era soffocante e infestata dai tafani. Dixie sbirciò oltre la barricata che Billy aveva eretto per nascondere il ragazzo, e lo vide che giaceva scompostamente, con le gambe nude divorate dagli insetti». Dixie e Billy vivono nel Montana. Sono due fidanzati squattrinati: lei ha appena perso un figlio di nove mesi, è una donna triste, dimessa, senza i soldi per il funerale del piccolo; lui è disoccupato, mascalzone e violento. Per dare una svolta alla loro vita Billy decide di rapire, all’insaputa della compagna, Tennessee, il figlio di nove anni di una star del cinema la cui famiglia è arrivata da poco in paese. Il progetto di arricchirsi tramite il riscatto non procede però secondo i piani. I tempi si allungano e Dixie, involontaria complice del fidanzato, instaura con il giovane uno speciale rapporto che porterà a sviluppi inattesi. Le 50 domande più toste & strambe sulla fede e sulla religione, Julian Baggini, Vallardi, dai 9 anni – Immagina di essere un extraterrestre che visita la Terra. Troveresti un mondo di una varietà sconcertante. Ampie distese ghiacciate, enormi catene montuose, foreste, pianure, deserti immensi. Ma una cosa troveresti in ogni parte del mondo: la religione. Vedresti luoghi di culto – una chiesa, una moschea, una sinagoga, un tempio – in ogni villaggio, cittadina o città. Vedresti la gente pregare o adorare i loro dèi, alcuni regolarmente, altri solo ogni tanto. Ma che cos’è questa ‘religione’? Anche se è dappertutto, perché è così diversa a seconda dei luoghi? Perché certe persone ci credono e altre la rifiutano? Il mondo sarebbe lo stesso se non ci fossero le religioni? Finché non avrai risposto a domande come queste, non riuscirai a capire davvero i terrestri e il loro vivere. Per capire il mondo in cui viviamo, dobbiamo capire le religioni che vi si affollano. E per farlo, dovremo fare delle domande davvero toste e strambe... Il senso dell’elefante, di Marco Missiroli, Guanda, 235 p. – A che cosa siamo disposti a rinunciare per proteggere i nostri legami? È questa la domanda che sta alla base del quarto romanzo del già Premio Campiello Marco Missiroli. L’autore, che fa di Rimini la città fulcro attorno alla quale ruotano le vicende narrate, tocca qui temi importanti: l’amore, la devozione ai figli, l’eutanasia, il tradimento, il conflitto tra la fede e la dedizione verso l’altro. Pietro da custode di anime, a Rimini era prete, si è trasferito a Milano per fare il custode di una palazzina. Tra i vari condomini c’è il dottor Martini, un giovane medico che lì abita con la moglie e la figlia. È con lui che il taciturno portinaio instaura un rapporto particolare. Pietro che ha le chiavi di tutti gli appartamenti entra in quello di Martini quando in casa non c’è nessuno. Qual è la molla che spinge l’uomo a questo comportamento? Tra quelle mura vi è una verità difficile da confessare; una verità che il lettore scoprirà passo dopo passo. «Il prete giovane la vide una mattina di settembre anche quell’anno e anche quell’anno la ragazza fissò la finestra di lui mentre guidava la bicicletta con il cesto di paglia. Suonava il campanello, drin drin, aveva il vestito alla marinara e nessun imbarazzo per il trillo che faceva voltare le persone davanti alla chiesa». Il profumo della rugiada all’alba, di Edwige Danticat, Piemme, 221 p. – Il romanzo rievoca la triste e travagliata storia del popolo haitiano sotto il dominio dei Duvalier che per anni, dal 1957 al 1986, mantenne il controllo sulla popolazione attraverso la temuta polizia segreta. La giovane scultrice Ka Bienaimé scopre che suo padre, immigrato a Brooklyn per fare il barbiere, non è mai stato un perseguitato del regime, anzi, ha servito i Duvalier uccidendo, incarcerando e torturando i suoi connazionali: «Ad Haiti abbiamo un proverbio. Un giorno per il cacciatore, un giorno per la preda. Ka, tuo padre era il cacciatore, non la preda». I nove capitoli che compongono il romanzo ruotano attorno a questa malefica figura. Il torturatore viene così “raccontato” dalle ex vittime che credono di averlo riconosciuto nelle strade di New York, dalla moglie che lo ha sposato sperando di salvarlo, dalla figlia che ora capisce molte cose che prima le apparivano oscure. L’ultimo hacker, di Giovanni Ziccardi, Marsilio, 367 p. – L’invasività delle nuove tecnologie è al centro di questo dinamico romanzo di Ziccardi, professore di informatica giuridica all’Università di Milano. Il protagonista è Alessandro Correnti, avvocato milanese di diritto penale con un passato da hacker e da difensore delle libertà civili nel ciberspazio. Il suo ritiro dalla scena informatica viene interrotto dalla scoperta di un odioso giro di pedopornografia e di una tratta di cani destinati a esperimenti nell’Europa dell’Est. L’avvocato scenderà nuovamente in campo confrontandosi con la criminalità organizzata ma anche con un nuovo problema: il suo ex mentore lo informa dell’esistenza di un misterioso progetto per il controllo tecnologico delle persone. Il ciclista di Cernobyl, di Javier Sebastián, Guanda, 229 p. – Il libro racconta la vicenda del fisico nucleare Vasilij Nesterenko, membro dell’esercito sovietico all’epoca della tragica esplosione del reattore numero 4 della centrale nucleare di Cernobyl a Pripjat. Nesterenko, chiamato a far parte del gruppo di scienziati incaricati di estinguere l’incendio, viene a conoscenza di molte cose, ed è consapevole delle mezze verità che le autorità rilasciano all’opinione pubblica. Inoltre vive per lungo tempo a stretto contatto con coloro che non hanno mai lasciato il luogo della catastrofe. Per questi motivi le autorità lo ritengono un pericolo, lo minacciano ed è costretto a fuggire. Lo trovano abbandonato e in apparente stato confusionale in un self-service di Parigi. Un romanzo verità che apre le porte a un fatto per niente chiaro. Valigie smarrite, di Jordi Puntì, Mondadori, 442 p. – Cristòfol, Christophe, Christopher e Christof sono nati da quattro madri diverse in quattro paesi diversi. In comune hanno, oltre al nome, anche il padre. Il problema è che nessuno di loro sa dell’esistenza degli altri. Scoprono di essere fratelli solo quando la polizia li contatta per informarli che il loro genitore, il sessantenne Gabriel Delacruz, è inspiegabilmente scomparso dal suo appartamento di Barcellona. Gabriel, di professione camionista, è riuscito per tutti quegli anni a gestire quattro famiglie sparse in giro per l’Europa. Ora però i quattro fratelli, dopo un iniziale e ovvio smarrimento, sono fermamente intenzionati a far luce sulla vita, o meglio, sulle vite di un padre che non conoscevano affatto. Scopriranno un uomo amante dell’avventura, con un’infanzia infelice, dedito al gioco ma dotato di grande umanità. «L’unico elemento in comune era nostro padre, ma ne parlavamo come se per noi fosse un estraneo (e lo era), un anfitrione capriccioso che ci aveva riuniti a sorpresa, e adesso dovevamo scoprire perché». ‘Zigulì’, il dolore di un padre Zigulì (Mondadori – Strade blu) è stato scritto da un padre arrabbiato, meglio ancora, incazzato. Chi non lo sarebbe dopo aver messo al mondo un figlio apparentemente normale e poi scoprire, qualche tempo dopo, di avere a che fare con un bimbo cerebroleso, epilettico e cieco. Il padre in questione è Massimiliano Verga, docente di sociologia del diritto all’Università degli Studi di Milano-Bicocca, che per introdurre il lettore alla vicenda scrive: «Prendete la vostra fotografia preferita, la più bella, quella che più vi emoziona. Poi impugnate un pennarello indelebile (…) Adesso tirate una bella riga sulla fotografia che avete scelto. Ecco, quello che vedete è come mi sono sentito quando mi hanno detto, per la prima volta, che Moreno sarebbe stato come lo conosco adesso». Chi scrive si espone inesorabilmente al pubblico giudizio. Nel caso di Zigulì esprimere un giudizio è però difficile, anzi, impossibile. Nel farlo si correrebbe il rischio di non rispettare il pensiero, il patema, il dolore e il fato che costituiscono la personalità dell’autore. Zigulì è tante cose. Voglia di gridare al mondo la propria frustrazione, voglia di esorcizzare con cinica ironia un ruvido destino, desiderio di trovare aiuto, incazzatura con il mondo, grande amore per la famiglia, immensa tenerezza e impotenza diffusa. È un groviglio di sentimenti che ben sintetizza lo stato d’animo dell’autore; un groviglio nel quale Verga è caduto suo malgrado, senza fare nulla per cercarlo o, peggio, per meritarlo. Ma chi può meritare tale destino? Nessuno, certo. Eppure la vita, che a volte ama giocare brutti scherzi, qui se non ha dato il peggio di sé c’è andata vicina. In sostanza il destino di Massimiliano Verga è indissolubilmente legato a quello di suo figlio Moreno. Ogni gesto quotidiano, ogni ora del giorno e della notte, ogni pensiero non può prescindere dai bisogni del figlio; bisogni immensi che stringono in una morsa il genitore. Moreno ha un cervello grande come una Zigulì (piccola caramella alla frutta) ed è di una bellezza inversamente proporzionale al suo increscioso stato. Ha anche due fratelli normodotati, Jacopo e Cosimo, che nel libro sono raramente citati proprio perché l’urgenza dell’autore è quella di concentrare sulla carta tutto il suo livore contro il destino e la sua tragica condizione. A Jacopo, nato prima di Moreno, fa sapere: «Se sei incazzato con il mondo e con tuo papà, hai dei buoni motivi per esserlo. Abbiamo, però, qualcosa in comune, noi due: anch’io non sono contento. Vedrò di rimediare. Dammi tempo». A Cosimo, nato dopo Moreno, dice: «Non sei venuto al mondo perché eravamo alla ricerca di un secondo infermiere che si occupasse di lui. Non sono così crudele da scaricare anche su di te la sfiga. Insomma, non era questa l’intenzione». Verga tracima parole, aneddoti e aforismi destabilizzanti per il lettore che si trova confrontato con un racconto di vita decisamente inusuale, a tratti cinico, a tratti tragicamente commovente. Ogni capitolo sembra essere buttato lì senza un ordine preciso. Ogni volta si racconta un momento di vita e ogni volta la pelle di chi legge si accappona perché immedesimarsi in questo padre è dolorosamente inevitabile. Pagina dopo pagina la voglia è quella di abbracciare i protagonisti della vicenda e di offrire loro conforto, un conforto che certo è poca cosa rispetto alla realtà delle cose. Verga ha fatto bene a scrivere questo libro per almeno due motivi: uno personale e uno collettivo. Quello personale risiede nel fatto che la scrittura gli ha dato, o così speriamo, la possibilità di scaricare un po’ la tensione quotidiana, quello collettivo sta nel fatto che chi si trova a leggere queste pagine ha la possibilità di lambire i confini di una tragedia e immergersi, in base alle proprie esperienze e alla propria sensibilità, in considerazioni sulla condizione umana. Il libro è scritto bandendo ogni sorta d’ipocrisia e con grande coraggio: «Quando mi alzo alle sei del mattino con la prospettiva non soltanto di pulire tutta la stanza, ma anche di toglierti la cacca dai capelli e da sotto le unghie, il lancio del pannolino non è fra le attività che sarei portato a privilegiare. Questa competenza te la potevi risparmiare, ecco». Il rischio di mettersi alla berlina e di offrirsi ai pensieri perbenisti o politicamente corretti, come si usa dire oggi, è alto. È un rischio che però a Verga non sembra interessare molto. I suoi dilemmi sono altri. Il pensiero della gente o, peggio, il giudizio popolare sono gli ultimi dei suoi problemi. Immaginiamo, perché per fortuna non possiamo fare altrimenti, che il grido di dolore e la “cattiveria verbale” di questo padre verso il figlio handicappato siano anche nelle pieghe nascoste di molte altre persone in condizioni simili; persone che però non osano esternare in modo così plateale la loro rabbia. Nei blog in cui si parla di questo libro la diatriba è alta. C’è chi si indigna dicendo: «No non mi piace. Posso accettare la crudezza di linguaggio, il realismo delle difficoltà, la rabbia dettata dalla disperazione e dall’incapacità di gestire la disabilità. Ma non posso accettare la cattiveria». E chi, di rimando, risponde: «Penso che sei una perbenista e anche di bassa lega. Probabilmente le domeniche le passi a Messa e non conosci determinate problematiche inerenti ad un handicap. Purtroppo chi non è dentro a queste cose non le capisce e tu non fai eccezione». Questo esempio dimostra, se ancora fosse necessario, l’utilità collettiva del racconto che innesta un dibattito intenso e duro, un dibattito utile per la crescita individuale. Zigulì, difficilmente classificabile, a metà tra diario, biografia e “raccolta di epitaffi”, va letto a mente aperta, nel pieno rispetto delle parti coinvolte e del grande amore di un padre: «Amo Moreno. Anche se è handicappato. Non sempre ne sono convinto. Ma, fatti due conti, non riesco a pensare davvero alla mia esistenza senza di lui. ORAZIO DOTTA Nonostante tutto». ZIGULÌ, MASSIMILIANO VERGA, MONDADORI, 186 PP. Lucia e il brigante, Gionata Bernasconi, Einaudi Ragazzi, dai 7 anni – C’era una volta un re buono e generoso, nato probabilmente sotto una buona stella perché, oltretutto, era bello. Amato dai suoi sudditi naturalmente, perché un simile re è merce rara. Ne esisteva uno solo al mondo e, per fortuna, regnava proprio in quel paese. Peccato che nella regione scorrazzasse anche il terribile Otto Krunf, un grosso e feroce brigante che, come se non bastasse, era anche maleducato, villano ed egoista. Ovviamente non era per nulla intelligente. Anzi, aveva proprio un cervello da gallina. Insomma, un brigante perfetto. Poi ecco Lucia, una bambina che corre veloce come il vento, ruba i biscotti, racconta qualche piccola bugia di poco conto, ma ha coraggio da vendere e sia il re che il brigante Otto Krunf se la dovranno vedere con lei... Tico e le ali d’oro, Leo Lionni, Babalibri, dai 5 anni – Non si sa perché, ma l’uccellino Tico nasce senza le ali. Per fortuna che i suoi amici gli vogliono bene e volano di albero in albero per portargli bacche e frutti succosi raccolti dai rami più alti. Ma il suo sogno resta quello di sorvolare villaggi e librarsi nell’immenso del cielo. Tico sogna delle ali d’oro! E una notte ecco l’incontro con l’uccello dei desideri, e la possibilità di esprimerne uno. Un lampo e subito dopo due ali scintillanti gli permettono di spiccare il volo e di volare tutto il giorno, ma quando i suoi amici lo vedono scendere in picchiata lo abbandonano arrabbiati. Era quindi una brutta cosa essere diversi? In fondo tutti siamo diversi, ognuno con i propri ricordi e i propri invisibili sogni dorati. Il gatto dei denti, Mirella Cicala, Caccole e Coccole, dai 6 anni – Non si sa come sia potuto accadere, visto che questo bel gattone di solito sta molto attento a quello che mangia, ma è proprio successo che, visto guizzare un bel topolino bianco e setoso, non ha resistito a spiccare un balzo e a divorarlo in un boccone. Era così buono che non ha nemmeno fatto caso al suono metallico di una monetina sul selciato. Chiaro che si era appena mangiato il topolino dei denti, e altrettanto chiaro che quel piccolo sorcio era diretto da qualche bambino che, avendo perso un dentino, stava aspettando la monetina sotto il cuscino. Beh, trovare il bambino giusto è stato un gioco da gatti. Aveva un cratere davanti, al posto dell’incisivo, e sputacchiava un po’ mentre diceva alla mamma: «Ftafera, quando torno da fcuola metto il dente fotto il cufino!» È così che diventa amico di tutti i bambini del caseggiato. E anche di un dentista! Lagna Melania, Roberto Lauciello, Ed. Lavieri, dai 5 anni – Melania aveva un viso pieno di lentiggini e una montagna di capelli rossi e ricci. Le piaceva giocare, ballare, guardare la tv. Un po’ meno fare i compiti e mettere in ordine la cameretta. Insomma... una bambina come tante, se non fosse che aveva un carattere un po’ particolare: si lagnava sempre per tutto! – La minestra è troppo calda! La carne troppo dura! Il formaggio non mi va! – E non tormentava solo i suoi genitori... Il cane Alfonso, per non sentirla, si metteva a ululare ancora più forte con grande disperazione dei vicini. A scuola i compagni non la sopportavano più; non c’era niente che le andasse bene, era un vero tormento! Stanco, e con mezzi di fortuna, l’intero quartiere costruisce un razzo e la spedisce nello spazio. Ma cosa succede ai bambini che si lamentano sempre? Il pitone nel pallone, Fabrizio Silei, Salani, dagli 11 anni – Crescere, si sa, non è mai facile. Federico è in quinta elementare e, anche se le maestre fanno finta di niente, ha il collo più lungo, un modo di muoversi dinoccolato, come se qualcuno gli avesse sgonfiato le gote mentre dormiva. Un bel cambiamento insomma, ma soprattutto mille domande: Chissà come diventerò da grande? Cosa farò quest’anno? E come se non bastasse, a complicare le cose ci si mettono un nuovo compagno di scuola che sembra sia sceso dal cielo per rovinargli la vita; invincibile in classe e sul campo di pallone. E pure un fratellino in arrivo. Un libro che parla di amicizia e responsabilità, e insegna come non sempre chi è diverso sia anche più fortunato. E che la gelosia, in fondo, non è altro che paura.