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3 APRILE 2014 Tosi pensa a un tecnico per la delega all`Urbanistica

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3 APRILE 2014 Tosi pensa a un tecnico per la delega all`Urbanistica
3 APRILE 2014
Tosi pensa a un tecnico per la delega all'Urbanistica Giorlo: non lascio la politica
L'ex assessore: «In procura solo esposti contro di me»
VERONA — Un assessore «tecnico» all'Urbanistica, entro pochi giorni (probabilmente la prossima
settimana), mentre per lo Sport, si va avanti così, con la delega in mano al sindaco, in attesa di decidere una
«rimodulazione» della giunta, magari dopo le elezioni europee. Dopo le dimissioni di Marco Giorlo, è questa
l'ipotesi che sembra prendere corpo, a Palazzo Barbieri, sulle prossime mosse di Flavio Tosi. Il sindaco
continua a tacere su questo tema. Ma qualcosa è trapelato su colloqui che Tosi ha avuto nei giorni scorsi con
alcuni suoi collaboratori. L'assessore all'Edilizia privata e a quella popolare, Pierluigi Paloschi, gli avrebbe
fatto presente la difficoltà di seguire ogni giorno un settore così delicato (e al centro di tante polemiche)
avendo anche l'impegnativa delega al Bilancio. Mentre l'assessore all'Urbanistica, il vicesindaco Stefano
Casali sta assumendo un ruolo sempre più politico (non solo a livello locale) e non farebbe probabilmente un
dramma se venisse affidato a un tecnico un settore che, da trent'anni a questa parte, porta più grane che
soddisfazioni (e voti).Ecco quindi che affidare questi compiti ad un «addetto ai lavori» (architetto, ingegnere
o urbanista) potrebbe essere la via più semplice da seguire.
Le altre possibilità restano sul tappeto, ma avrebbero tutte qualche controindicazione: la nomina di Fabio
Venturi potrebbe scontrarsi con l'esito della vicenda giudiziaria che vede coinvolto il vicepresidente della
Provincia (con sentenza attesa proprio domani) mentre la scelta del presidente del consiglio, Luca Zanotto, al
di là dei rapporti non proprio ottimali tra lo stesso Zanotto e Tosi, innescherebbe una battaglia per la
successione (alla presidenza del consiglio punterebbero infatti Salvatore Papadia, Ciro Maschio ed altri).
Quanto all'assessorato allo Sport, si potrebbe tranquillamente aspettare: il dirigente del settore, Sandro
Vazzoler, gode della fiducia del sindaco, e quel posto potrebbe essere utile per un «movimento di assessori»
più ampio da farsi dopo le elezioni europee, quando la squadra amministrativa dovrà essere rinforzata, in
vista della seconda fase della legislatura ed anche delle elezioni regionali del 2015. Sulle quali circola con
grande insistenza una voce non nuova ma adesso clamorosa: a candidarsi per la Regione sarebbe infatti
intenzionato proprio Marco Giorlo. Che neppure un'ora dopo l'annuncio delle dimissioni, si è affrettato a
rilasciare un'intervista a Telearena che ieri è stata al centro di mille commenti. Nell'intervista, Giorlo spiega
di non avere avvisi di garanzia bensì «purtroppo moltissimi esposti anonimi in Procura contro di me»,
assicurando però di non avere «nulla da temere, non avendo mai partecipato ad appalti o gare pubbliche». In
vista dell'ormai famosa puntata di Report, con le relative voci su cene cui Giorlo avrebbe preso parte insieme
a personaggi legati alla 'Ndrangheta, l'ex assessore a domanda risponde: «Le cene che ho fatto sono state con
la famiglia Tosi, la sua signora e la mia famiglia: mafiosi non ne conosco neanche uno». Giorlo ribadisce
peraltro con molta forza che il suo «obiettivo è di rientrare» in politica rapidamente. Di qui la ridda di
commenti a Palazzo. «L'ennesima prova che, lasciato davanti ad un microfono, Marco non sa trattenersi e si
fa del male da solo», dicevano ieri in coro molti suoi compagni di partito. Spiegando appunto che l'obiettivo
di Giorlo sarebbe quello di candidarsi alle regionali dell'anno prossimo, per non disperdere il consenso
elettorale: proprio lui, infatti, era stato il secondo «supervotato» della Lista Tosi alle Comunali del 2012, con
2.258 preferenze, secondo solo alle 4.128 di Vito Giacino, l'altro assessore della giunta Tosi già uscito di
scena.
Lillo Aldegheri
IL RIMPASTO IN COMUNE. Dopo le ulteriori dimissioni, il sindaco sta valutando altre ipotesi
Giunta, si guarda in Provincia Caso Giorlo: il Pd va all'assalto
Tosi valuta degli assessori dell'ente che si chiuderà L'opposizione: «Maggiore chiarezza sulle scelte»
giovedì 03 aprile 2014 CRONACA, pagina 13
Tosi, oltre che a Fabio Venturi, guarda ad altri assessori provinciali a fine corsa per inserire assessori nella
sua Giunta. E il caso Giorlo accende lo scontro politico, con l'opposizione che considera Tosi al capolinea.
Gli assessori della tavola rotonda nella sala Arazzi di Palazzo Barbieri stavano ancora più larghi, ieri mattina,
nella prima riunione di giunta dopo le dimissioni di Marco Giorlo. Che martedì aveva rimesso il suo mandato
nelle mani del sindaco Tosi. Le seconde dimissioni dopo quelle dell'ex vicesindaco, Vito Giacino, poi
arrestato un mese e mezzo fa nell'inchiesta per concussione e corruzione.
Tosi ha detto di voler procedere al rimpasto — ora gli mancano due assessori sui dieci massimo che aveva
prima delle dimissioni di Giacino — a bocce ferme. Il nome di Fabio Venturi, vicepresidente della Provincia
e presidente della Quinta circoscrizione, leghista ma in prima linea per la Lista Tosi e per la Fondazione
Ricostruiamo il Paese, resta fra i papabili. Anche se è accreditata la voce secondo cui Tosi potrebbe optare
per un esterno al Comune, anche di profilo tecnico. In quest'ottica verrebbe meno il nome del presidente del
Consiglio comunale Luca Zanotto (Lega). Ma potrebbe venire avanti uno degli assessori uscenti della
Provincia, ente che sta per essere soppresso per diventare di secondo livello guidato da un'assemblea di
sindaci. Gli assessori leghisti uscenti oltre a Venturi sono Stefano Marcolini, Marco Ambrosini, Luigi
Frigotto, Carla De Beni, Gualtiero Mazzi e Ivan Castelletti.
Intanto, sul caso Giorlo il Pd, con il segretario cittadino Orietta Salemi (consigliere comunale) e quello
provinciale Alessio Albertini, commentano che «il sindaco del fare è fermo sulle bocce ormai da mesi.
Non sta succedendo nulla, questa settimana non ci sono delibere da portare in Consiglio e l'Amministrazione
è alla paralisi. L'assessore Giorlo ha rassegnato le dimissioni con motivazioni che politicamente sono
inconsistenti. Solo qualche settimana fa annunciò le dimissioni, salvo poi ritirarle dopo un incontro con Tosi.
Allora si disse che la causa scatenante poteva essere stata un'intervista alla trasmissione Report». Ora,
aggiungono, «alla vigilia della messa in onda di tale inchiesta giornalistica, Giorlo rassegna definitivamente
le dimissioni. Che cosa preoccupa così tanto rispetto a tale trasmissione? Perché Tosi non ha mai detto una
parola pubblica a difesa di Giorlo, che è stato tra i più stretti suoi collaboratori, il discepolo più amato
nell'accompagnare il maestro a fare proselitismo, nel sud Italia, per la sua Fondazione nazionale?».
Il sindaco, conclude il Pd, «dovrebbe prendere in mano la situazione e chiarire davanti al Consiglio e alla
città le ragioni politiche delle dimissioni di Giorlo, dimostrare che la sua Giunta è unita e al lavoro per il
bene della città, dissipare le nubi minacciose che si addensano su Palazzo Barbieri».
E Mariangela Fogliardi, coordinatrice di Scelta Civica Verona, dice in una nota che «gli eventi di questi
ultimi mesi impongono anche una riflessione di più ampio respiro: la politica smetta di candidare i “raccatta
voti” e si preoccupi anche delle competenze e del merito».E.G.
Passalacqua, nuovo progetto Niente casa dello studente si allarga il parco urbano
La struttura sarà realizzata in Corte Maddalene
VERONA — Diecimila metri quadri di verde in più, 57mila metri cubi di costruzioni in meno.
Può essere sintetizzata così la modifica al progetto per il recupero dell'ex caserma Passalacqua, a Veronetta,
concordata dopo una trattativa quadrangolare tra il Comune di Verona, la Soprintendente Gianna Gaudini, il
Rettore dell'Università, Nicola Sartor e le imprese, capitanate da Sarmar, che stanno lavorando nella grande
area.
Dopo un ultimo colloquio con la Soprintendente ai Beni Architettonici e Paesaggistici, Gianna Gaudini, il
vicesindaco, Sandro Casali, ha spiegato ieri quali saranno le modifiche.
Sul lotto di terreno accanto alla Santa Marta, finora, era prevista la costruzione della Casa dello Studente e di
una nuova biblioteca.
Il Magnifico Rettore del nostro ateneo, Nicola Sartor, con una lettera al vicesindaco, ha però fatto sapere,
d'intesa col presidente dell'Esu, Domenico Francullo, che la Casa dello Studente sarà realizzata ampliando gli
spazi residenziali per studenti in Corte Maddalene, mentre le strutture per la Facoltà di Economia saranno
concentrate alla Santa Marta, dando quindi parere favorevole alla proposta di ampliare lo spazio adibito a
verde pubblico.
«In questo modo – ha spiegato il vicesindaco Casali - verranno risparmiate risorse importanti da dirottare sul
compendio Santa Marta, dove sarà realizzato un vero e proprio polo universitario e saranno implementati
anche i servizi e gli spazi per il quartiere».
Casali ha poi fatto il punto sui lavori in corso, decisamente in ritardo rispetto al cronoprogramma diffuso in
passato. «Questi ritardi – ha spiegato il vicesindaco – sono in buona parte dovuti ad alcuni ritrovamenti di
reperti archeologici importanti. E' stata trovata una domus romana, ed è stata scoperta anche una zona
funeraria, il che dimostra, detto per inciso, che questa zona della città è legata a questa funzione da millenni,
visto che a poche decine di metri c'è l'attuale cimitero monumentale».
Adesso, comunque, si cerca di stringere i tempi. «Entro la fine di maggio sarà presentato il progetto
definitivo del parco – ha detto Casali - e dopo qualche mese potremo approvare il progetto esecutivo, per
dare il via entro la fine dell'anno ai cantieri per la realizzazione dell'area verde, alla quale abbiamo dato
priorità assoluta. Ringrazio tutti gli enti coinvolti, in particolare la Soprintendente Gaudini, per la sinergia
con la quale hanno portato avanti i lavori e grazie alla quale presto la città avrà un parco pubblico di circa
170 mila metri quadri a distanza di poche centinaia di metri da piazza Bra».
I lavori per la realizzazione del parco saranno a carico delle imprese che hanno ottenuto l'appalto per i lavori
(una Associazione Temporanea d'Imprese guidata da Sarmar) mentre per il progetto complessivo erano stati
ottenuti un contributo di 10 milioni di euro dalla Regione Veneto (destinati ad edilizia abitativa
sovvenzionata e ad housing sociale), nonché un finanziamento europeo, arrivato anch'esso tramite la
Regione, di un milione e mezzo di euro.
Lillo Aldegheri
LA CITTÀ CHE CAMBIA. Decisione congiunta di Comune, Università, Soprintendenza e imprese che
riqualificano il compendio
Ex Passalacqua, svolta nel progetto
Enrico Giardini
Si allarga il parco al posto della casa per studenti e della biblioteca, che andranno alla Santa Marta
giovedì 03 aprile 2014 CRONACA, pagina 13
Svolta nel grande progetto per riconvertire e riqualificare l'ex caserma Passalaqua, a Veronetta. L'area sulla
quale in origine si sarebbe dovuto costruire un edificio per la Casa dello studente e per una bilioteca, sarà
destinata interamente a parco pubblico, su circa 10mila metri quadrati. Si aggiungerà a quello già previsto
all'interno dell'ex complesso militare. I due servizi verranno ricavati all'interno dell'ex caserma Santa Marta,
adiacente, già utilizzata dall'Università.
Sono stati Comune, Università, Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici e all'Associazione
temporanea di impresa per il recupero della Passalacqua e della Santa Marta a prendere la decisione
congiunta di non edificare sul lotto dov'erano previste Casa dello studente e biblioteca, in una palazzina di
60mila metri quadrati. Sulla scia di questa scelta la giunta comunale ha ratificato appunto l'ampliamento di
10mila metri quadri del parco pubblico.
«COSÌ FACENDO, in accordo con tutti i soggetti coinvolti», spiega il vicesindaco con delega all'urbanistica,
Stefano Casali, illustrando anche i contenuti di una lettera inviatagli dal rettore dell'Università Nicola Sartor,
«verranno risparmiate delle risorse importanti da dirottare sul compendio Santa Marta, dove sarà realizzato
un vero e proprio polo universitario e saranno implementati i servizi e gli spazi per il quartiere». Come fa
notare Casali, «rinunciamo così a edificare per 57mila metri cubi, dato che come segnalato dall'Università
sono sufficienti le residenze per gli studenti ricavate in Corte Maddalene, per ampliare il verde e destinare
risorse a ristrutturazioni di immobili militari».
L'OBIETTIVO dell'Università è quello di destinare l'intero compendio della Santa Marta per le attività
dell'ateneo, dove si punta a costruire due aule da 250 posti ciascuna. Ciò, come ha riferito il rettore al
Comune, consentirebbe di trasferire alla Santa Marta tutte le attività che riferiscono all'area economica,
destinando gli attuali edifici universitari di Veronetta alla macro-area Scienze umanistiche. Ciò in aggiunta al
silos di ponente, già utilizzato, e alla Provianda di Santa Marta (cioè l'ex forno asburgico dove ci
producevano pane e gallette) destinati all'ateneo che punta ora anche al silos di levante.
Va ricordato che il megaprogetto Passalacqua prevede la costruzione di case private e di negozi, oltre a
edifici di «housing sociale» (alloggi a prezzi contenuti per chi una reddito medio-basso) che saranno costruiti
e gestiti per metà dall'Agec e per l'altra dall'Associazione di imprese, con un finanziamento regionale di 10
milioni. C'è poi il parco pubblico, che verrà appunto ampliato rispetto al progetto iniziale.
I LAVORI all'ex Passalacqua, però sono andati a rilento. «Rallentati a causa di alcuni ritrovamenti di reperti
romani, una domus e una tomba monumentale», dice Casali, «ma entro fine maggio sarà presentato il
progetto definitivo del parco e dopo qualche mese potremo approvare il progetto esecutivo, per dare il via
entro la fine dell'anno ai cantieri per la realizzazione dell'area verde, alla quale abbiamo dato priorità
assoluta. Ringrazio tutti gli enti coinvolti, in particolare la soprintendente Gaudini, per la sinergia con la
quale hanno portato avanti i lavori e grazie alla quale presto la città avrà un parco pubblico in centro storico
di circa 170 mila metri quadrati».
Resort abusivo da 110 milioni, via la confisca
Case sul Garda, ribaltone in Appello. Condanne azzerate, assolto anche Chincarini
VERONA — La più grande lottizzazione mai finita nel mirino della procura di Verona? Deve
immediatamente tornare nella disponibilità dei legittimi proprietari perché «il reato di lottizzazione abusiva
risulta estinto per intervenuta prescrizione»
.
È un autentico terremoto quello che si è abbattuto sul famigerato e controverso caso de «I borghi di Garda
Resort Village» di Peschiera con la sentenza pronunciata ieri pomeriggio dai giudici della prima sezione
penale della Corte d'appello di Venezia, che hanno disposto «la revoca del sequestro e della confisca disposta
in primo grado» e ordinato «la restituzione dei vari compendi agli aventi diritto».
E non è finita qui, perché in base al verdetto emesso dai magistrati di secondo grado «saltano» anche tutte le
pene che erano state inflitte dal Tribunale collegiale scaligero il 13 marzo 2012. Unico imputato ad essersi
visto infliggere ieri una multa di 250 euro, alla fine, è stato il dipendente comunale Massimo Cristini. Tutte
«salve», invece, le altre persone chiamate a giudizio: in parte «perché il fatto non costituisce reato», in parte
«per intervenuta prescrizione», sono usciti indenni dal processo d'appello sia gli imprenditori che i notai che
gli amministratori e i funzionari del Comune di Peschiera, a cominciare dal sindaco Umberto Chincarini che
è stato assolto «perché il fatto non costituisce reato» dall'accusa di omessa denuncia (che in primo grado gli
era costata invece la condanna a una multa di 250 euro).
Il risvolto più clamoroso della sentenza di ieri, in ogni caso, è l'immediata restituzione ai legittimi proprietari
de «I borghi di Garda Resort Village», il mega complesso finito sotto sigilli a Sermana di Peschiera nel
marzo del 2008, distribuito su svariati ettari di terreno lungo la sponda veronese del lago, ripartito in 375
alloggi unitamente a ristoranti, piscine, campi da tennis, negozi. Oltre ad aver riottenuto gli immobili che si
erano visti porre sotto sequestro sei anni fa, le parti civili (assistite dagli avvocati Paolo Pellicini, Guido
Camera e Antonio Invidia) si sono anche viste assegnare dall'Appello la provvisionale di 5mila euro
ciascuna.
Un «ribaltone», quello andato in scena ieri a Venezia, che ha comunque arriso anche agli imputati: assolti
dall'accusa di omessa denuncia «perché il fatto non costituisce reato», il sindaco Chincarini, i dipendenti
comunali Ottorino Bampini, Cristini e l'assessore Walter Montresor. Per quanto riguarda i quattro notai
chiamati alla sbarra, invece, i magistrati veneziani hanno assolto «perché il fatto non costituisce reato» il
veronese Marcello Liuzzi, il meranese Herald Kleewein e il collega Walter Crepaz, mentre per il
professionista bresciano Eligio Conti gli atti sono stati trasmessi alla procura di Verona per riformulare il
capo d'imputazione a suo carico. In merito al reato di lottizzazione abusiva, inoltre, i giudici di secondo
grado hanno decretato il «non doversi procedere per intervenuta prescrizione» nei confronti di Chincarini,
Bampini, Montresor e dell'allora capo dei vigili urbani Valentino Maimeri. «Salvati» dall'accusa di
lottizzazione abusiva grazie alla prescrizione, infine, anche i soci della Sermana srl di Brescia, Alberto
Silvioli, Giovanni Gelfi ed Emilio Franchi.
Una vittoria su tutti i fronti, dunque, quella incassata ieri a Venezia dagli avvocati difensori Claudio Avesani,
Barbara Bissoli, Lorenzo Picotti, Massimo Galli Righi, Nicola Avanzi, Marco Pezzotti, Simone Bergamini,
Mario Vittore De Marzi. Un vero colpo di scena.
Laura Tedesco
PESCHIERA. In appello modificata la sentenza per i tempi lunghi della giustizia. Revocata la confisca
degli immobili
Sermana, sindaco Chincarini «salvato» dalla prescrizione
Giampaolo Chavan
Cade l'accusa di omessa denuncia della lottizzazione abusiva anche per l'ex assessore Montresor In
primo grado erano stati multati
giovedì 03 aprile 2014 PROVINCIA, pagina 36
La corte d'appello di Venezia, presieduta da Francesco Giuliano, modifica buona parte della sentenza di
primo grado sulla lottizzazione abusiva alla Sermana a Peschiera del Garda, complice i tempi troppo lunghi
della nostra giustizia. E così i soci della Sermana, Alberto Silvioli, Emilio Franchi e Giovanni Gelfi, difesi da
Claudio Avesani e Barbara Bissoli, accusati di lottizzazione abusiva e il sindaco Umberto Chincarini e l'ex
assessore Walter Montresor, finiti in corte d'appello per omessa denuncia, sono stati prosciolti per
l'intervenuta prescrizione. In primo grado i due amministratori erano stati condannati alla multa di 250 euro
mentre ai soci dell'impresa era stata inflitta una condanna ad un anno e sei mesi. Assolti i notai così come era
già successo in primo grado a Verona il 13 marzo 2012. L'unica condanna a una multa di 250 euro è stata
inflitta al dirigente comunale Massimo Cristini, per aver omesso di denunciare in procura la lottizzazione
abusiva.
Questa accusa come ipotizzata dal pm Valeria Ardito, si è, quindi, realizzata anche per i giudici d'appello ma
per la giustizia è trascorso troppo tempo da quel marzo del 2008 quando un centinaio di poliziotti
sequestrarono i 413 appartamenti ai Borghi del Garda Village resort a Peschiera. Tutta la vicenda è ruotata
sulla diversa destinazione d'uso dell'area che doveva essere turistica con residenze alberghiere e si è
trasformata in residenziale con la vendita della seconda casa agli acquirenti.
Chi può sorridere da ieri sono anche i proprietari e la stessa Sermana: la corte d'appello di Venezia ha
disposto la revoca del sequestro preventivo e la confisca disposta in primo grado e ha, quindi, ordinato la
restituzione degli appartamenti ai proprietari. Per tutti e 79 titolari degli immobili, assistiti da Paolo Pellicini,
Antonio Invidia e Guido Camera, i giudici d'appello hanno accordato una provvisionale immediatamente
esecutiva di 5.000 euro ciascuno.
I ritmi troppo blandi dei nostri tribunali hanno, quindi, «salvato» con la prescrizione oltre a Chincarini e
Montresor, difesi da Nicola Avanzi e Marco Pezzotti, i dirigenti del Comune Marcello Ghini, Ottorino
Bampini, difeso da De Marzi, e Valentino Maimeri, difeso da Simone Bergamini e condannato in primo
grado a 4 mesi, dall'accusa di omessa denuncia della lottizzazione abusiva. Resta con il cerino in mano il
solo responsabile dell'edilizia e urbanistica Massimo Cristini per il quale la condanna è stata riformulata con
una multa 250 euro. Il dirigente del Comune in primo grado era stato condannato ad un anno e un giorno
anche per l'omissione d'ufficio perchè insieme al sindaco, assessore e altri due dirigenti comunali (Bampini e
Ghini) non aveva disposto la sospensione dei lavori una volta constatata la lottizzazione abusiva. Per questa
accusa, il tribunale di primo grado aveva già assolto Chincarini, Montresor e Ghini. Un «proscioglimento»
confermato ieri in appello anche per Bampini che in primo grado era stato condannato ad un anno e un
giorno. La fila di assoluzione continua anche per i notai, Walter Crepaz, Herald Kleinwin Marcello Liuzzi,
accusati di aver concorso alla lottizzazione abusiva. Resta in piedi, invece, la posizione del bresciano Eligio
Conti per il quale la corte d'appello ha disposto la trasmissione degli atti alla procura di Verona. I giudici
veneziani hanno annullato l'assoluzione decisa in primo grado.
«Villa Pullè rischia la fine dell'ex Arsenale»
giovedì 03 aprile 2014 CRONACA, pagina 13
«Su Villa Pullé la maggioranza corre il rischio di ripetere gli stessi errori commessi con l'ex Arsenale»,
avverte il Pd per bocca del capogruppo in Comune Michele Bertucco, di quello in Terza circoscrizione
Federico Benini, assieme a Luigi Lazzarelli del comitato Salviamo Villa Pulllè. «Non c'è ancora alcuna idea
di come recuperare il complesso», dice in una nota il partito. «Fin da subito mettiamo in chiaro che i privati
sono i benvenuti, ma secondo un progetto chiaro e condiviso: la città non deve rinunciare alla parte
monumentale della villa e al parco secolare. La delibera errata relativa alla vendita dell'ex ospedale
Fracastoro», aggiungono, «e di una porzione di parco che il Consiglio di circoscrizione di martedì sera ha
rispedito al mittente è sintomatica della confusione e dello smarrimento dell'Amministrazione. Una seria
metterebbe tutti i soggetti interessati attorno a un tavolo: non solo l'Inps, ma anche la Provincia, finora mai
interpellata; la scuola alberghiera Berti, che ha una reale necessità di espandersi, e le realtà del sociale che
già operano nel complesso. Da qui si deve partire per una proposta omogenea che non porti a una
frammentazione eccessiva».E.G.
ULTIMI GIORNI. Mentre la riforma dell'ente approda alla Camera restano in sospeso gli ultimi
adempimenti
Consiglio provinciale addio Ma chi approverà il bilancio?
Martedì 8 aprile prevista l'ultima seduta, ma il voto sul consuntivo è in calendario il 29
Pastorello: «O ci daranno una proroga oppure se ne dovrà occupare un commissario»
giovedì 03 aprile 2014 CRONACA, pagina 14
Consiglio provinciale al capolinea. Alla vigilia della sua cessazione definitiva, dopo oltre sessant'anni di
«servizio». Le Province sono state infatti ripristinate in senso democratico nel'immediato dopoguerra. E
l'attuale amministrazione Miozzi era in scadenza: quest'anno si sarebbe dovuto votare per il rinnovo. Ma la
riforma arriverà prima.
E dunque martedì prossimo, 8 aprile, alla Loggia di Fra Giocondo si svolgerà l'ultima seduta dell'assemblea
destinata a non essere più rinnovata, proprio a causa della riforma in corso di approvazione alla Camera e che
esclude le attuali funzioni delle Province. «Le scadenze sono state rispettate», spiega il presidente del
Consiglio provinciale Antonio Pastorello, «dal momento che bisognava terminare tutti gli adempimenti entro
45 giorni dall'ipotetica scadenza elettorale. L'unica incertezza è l'appuntamento con l'approvazione del
bilancio consuntivo dell'ente che era calendarizzato per il 29 aprile». Il rischio, quindi, è che il Consiglio
provinciale chiuda i battenti senza aver prima approvato i conti finali della gestione.
«E un paradosso che potrebbe realizzarsi», aggiunge Pastorello, «e per avere delucidazioni su tale questione
noi presidenti dei Consigli provinciali siamo stati convocati a Roma». L'incontro si svolge oggi. A
rappresentare i Palazzi Scaligeri ci sarà il segretario generale Giuseppe Giuliano. «Noi da bravi soldati
faremo quello che ci diranno», continua il presidente del Consiglio provinciale scaligero, «ma il rischio è che
la fretta con cui il governo ha affrontato la questione della riforma delle Province lasci delle zone d'ombra.
Quando il Consiglio avrà esaurito la sua funzione, infatti, come potrà il presidente approvare il rendiconto
sul suo stesso operato?».
Le soluzioni, secondo Pastorello, sono due. «O toccherà a un commissario governativo il compito di
esaminare e dare il via libera al consuntivo dell'amministrazione, oppure ci daranno la possibilità di
convocare un'ultima seduta del Consiglio provinciale a fine mese». Ieri a Montecitorio, intanto, sono iniziate
le votazioni sugli emendamenti al disegno di legge sulle Province e le città metropolitane. Il provvedimento è
approdato alla Camera senza modifiche al testo che ha già avuto il via libera del Senato.E.S.
E sul Piano territoriale scoppia l'ira dei 5 Stelle «Nemmeno considerati»
giovedì 03 aprile 2014 CRONACA, pagina 14
«Abbiamo presentato ben 3.500 osservazioni al Piano territoriale di coordinamento provinciale, ma nessuna
è stata presa in considerazione». Simone Grobberio, esperto di viabilità e pianificazione territoriale del
Movimento 5 Stelle e il capogruppo in Consiglio comunale Luca Mantovani denunciano l'indifferenza nei
confronti del documento firmato da 30 eletti del movimento, dai deputati fino ai consiglieri di circoscrizione.
In Consiglio provinciale non ci sono infatti esponenti dei 5 stelle.
«Il Piano», afferma Grobberio, «tiene conto dell'uso del territorio solo per la costruzione di nuove strade o di
progetti come il Motor city, su un ausperficie vasta come il centro storico di Verona, e del Centro logistico di
Isola della Scala. Non c'è», aggiungono, «attenzione per la salvaguardia del territorio, dell'agricoltura, che in
molte zone della provincia è di eccellenza, né per il regime delle acque, un tema delicato soprattutto nella
Bassa veronese e nell'Est dove spesso si verificano allagamenti. E il documento approvato non pone neppure
la dovuta attenzione alla salvaguardia dei centri storici minori, aspetto importante dal punto di vista culturale
ed economico».
Le migliaia di osservazioni, osservano i grillini, «sono state respinte direttamente dagli uffici, senza
nemmeno un passaggio politico in Consiglio». A loro parere, con la decadenza delle assemblee, «i tecnici
avranno sempre più potere, in una situazione in cui non ci sarà più il controllo politico sugli atti. E ciò»,
dicono, «sarà disastroso perché in capo alle Province, oltre alla gestione del trasporto pubblico locale, resterà
la programmazione territoriale, un tema delicatissimo di cui si occuperanno solo burocrati nominati e non più
eletti dal popolo». I 5 stelle criticano pesantemente anche il comportamento dei consiglieri del Pd,
all'opposizione. «Hanno votato contro il Ptcp, a giugno, in fase di adozione e poi, lo scorso 13 marzo, in fase
di approvazione si sono astenuti. Alla faccia della «battaglia» annunciata dal capogruppo Dalai».E.S.
SAN PIETRO IN CARIANO. L'amministrazione incassa il via libera della Regione Veneto per la
riqualificazione dell'area
Ex Lonardi, Venezia dice «sì»
Gianfranco Riolfi
Al Comune andranno 7,1 milioni per realizzare la tangenziale ovest di Pedemonte e poter dare il via
all'allargamento di via Paolo VI
giovedì 03 aprile 2014 PROVINCIA, pagina 28
Area ex Lonardi: c'è il via libera della Regione. L'amministrazione Maestrelli, sulla soglia ormai del fine
mandato, incassa il parere favorevole della Conferenza dei servizi, convocata il 17 marzo scorso alla sezione
urbanistica della Regione Veneto, sulla bozza di accordo sottoscritta tra Comune di San Pietro e immobiliare
Cameri srl, proprietaria della grande superficie industriale dismessa. Una superficie di 134 mila metri
quadrati, che comprende capannoni per 550 mila metri cubi, con una capacità edificatoria pari a 925 mila. La
bozza di accordo sottoscritta la settimana scorsa da Comune, Regione e proprietà, prevede un intervento per
la riqualificazione dell'area con una potenzialità di edificazione massima di 135 mila metri cubi, di tipo
residenziale ed una contropartita di 7,1 milioni a favore del Comune carianese, per la realizzazione della
tangenziale ovest di Pedemonte e l'allargamento di via Paolo VI, da Pedemonte al capoluogo. Perché possa
diventare accordo vero e proprio, dopo le ratifiche di Provincia e Regione, la bozza dovrà ora tornare al
Consiglio comunale carianese. Soddisfatto il sindaco Gabriele Maestrelli, che spiega: «È una questione
spinosa che si trascina da vent'anni. Allora l'area fu acquistata all'asta dalla Cordioli, oggi accorpata Cameri,
per quasi 18 miliardi di lire (9 milioni di euro), che servirono a pagare i dipendenti e i fornitori, dopo il
fallimento della carpenteria metallica Lonardi. È comprensibile quindi che oggi la proprietà possa avere delle
pretese». Maestrelli ricorda inoltre che «quando siamo entrati in Giunta cinque anni fa, sulla ex Lonardi ci
siamo trovati due Piani urbanistici attuativi (Pua) della amministrazione che ci aveva preceduto. Con il primo
si concedevano 300 mila metri cubi a destinazione residenziale, commerciale e alberghiera, con il secondo
200 mila metri cubi a commerciale, trasformabili eventualmente in residenziale dopo cinque anni, con un
parcheggio da 1500 posti auto. Non potevamo accettare quell'accordo e così, dopo tre anni di valutazioni e
trattative con la Cameri, siamo riusciti a trovare la quadratura del cerchio con la bozza che è stata ora
ratificata anche dalla Regione, che prevede 135 mila metri cubi di residenziale di qualità. Non dobbiamo
dimenticare che nel Pat che si andrà a votare, non è prevista alcuna ulteriore capacità edificatoria sul
territorio carianese e che oggi, in quell'area, ci sono 526 mila metri cubi di capannoni fatiscenti coperti da
Eternit, che rappresentano un potenziale pericolo per il nostro ambiente». Dall'opposizione, il consigliere
Carlo Battistella, della civica «Cittadini per San Pietro», annunciando la distribuzione di un volantino sulla
vicenda, sottolinea: «Come cittadini siamo fortemente preoccupati per l'approvazione dell'accordo di
programma. L'ultimo atto di un iter che parte da lontano e che avrà effetti devastanti per il nostro territorio,
in particolare per l'aumento del traffico e per la carenza di servizi, oltreché per l'assoluta inutilità di altre
case, dato che ce ne sono molte di vuote. Siamo anche convinti che gran parte dei partiti e dei rappresentanti
politici di San Pietro in Cariano abbiano delle grosse responsabilità per come si è evoluta negativamente la
vicenda. Da parte nostra, fino ad oggiabbiamo fatto quanto era nelle nostre possibilità per cercare di frenare
questo assurdo progetto, e continueremo la nostra battaglia, a partire dalla presentazione di osservazioni al
verbale della Conferenza dei Servizi».
BRENZONE. Le strutture delle associazioni sportive verrebbero demolite per far spazio all'impianto
di risalita
Nuovo porto e funivia bocciati I circoli nautici votano contro
Emanuele Zanini
I velisti di Castelletto e di Assenza si uniscono alla protesta lanciata da Simonetti che raccoglie le firme
per fermare il progetto
giovedì 03 aprile 2014 PROVINCIA, pagina 37
Non si placano le polemiche a Brenzone sul doppio progetto in project financing della funivia CastellettoPrada e del nuovo porto di Acquafresca ad Assenza. Dopo la ferma opposizione di Oscar Simonetti,
agricoltore di Campo, che sta organizzando una raccolta firme per fermare l'opera proposta dalla Technital
spa e definita dall'allevatore «sproporzionata e impattante dal punto di vista ambientale», arrivano le
preoccupazioni e le perplessità dal Circolo Nautico Brenzone di Castelletto e in parte dallo Yacht Club
Acquafresca di Assenza, due tra le principali realtà sportive del territorio.
Secondo il piano da 57 milioni di euro previsto dal project proprio nell'area di Castelletto dove attualmente si
trova il Circolo Nautico Brenzone dovrebbe sorgere la stazione di partenza della funivia. Le strutture
presentioggi verrebbero demolite per lasciar posto all'impianto di risalita e alle relative attività commerciali e
ad un parcheggio multipiano. L'associazione sportiva dovrebbe quindi lasciare l'area proprio come la
polisportiva Fior d'Olivo, di cui fa parte lo Yacht Club, ad Acquafresca, che si trova proprio negli spazi dove
è previsto il completo rifacimento del porto.
Luca Brighenti, presidente del Circolo Nautico Brenzone, teme per il futuro della propria associazione e di
tutto il mondo della vela, e non solo, del paese, che si affida per gran parte all'attività dei due storici gruppi
sportivi. A turbarlo non è tanto l'unificazione delle due società sportive, ad oggipiuttosto probabile, su cui si
dice pienamente d'accordo, visto che abbatterebbe i costi di gestione e darebbe maggior forza al gruppo, ma
piuttosto le reali garanzie di sopravvivenza delle due società.
«Ad oggi questo project per noi è un salto nel buio, non ci dà certezze. Nei due anni previsti per la
realizzazione dei lavori (che dovrebbero partire nel 2016, ndr) dove opereremo? Dove andranno i nostri
soci?», si chiede Brighenti. Per il presidente del circolo nautico, inoltre, le previsioni di entrate derivanti dal
progetto sono esagerate.
Lo stesso dubbio viene posto da Alessandro Cressotti, presidente dello Yacht Club Acquafresca: «Per il
porto il project può essere un'opportunità. Il luogo prescelto è quello giusto, ma la situazione dal punto di
vista economico-finanziario va approfondita. Inoltre è necessario che venga dato il giusto spazio non solo
alle attività commerciali ma anche alle attività sportive, che per noi rimangono fondamentali».
Il sindaco Rinaldo Sartori cerca di gettare acqua sul fuoco rassicurando i due club: «Le due associazioni, con
cui mi sono incontrato almeno tre volte, avranno i loro spazi e non devono temere per il futuro. Technital,
anche su nostra indicazione, si è resa disponibile a modificare il piano per salvaguardare le esigenze dei due
circoli. Ad ogni modo siamo ancora nella fase iniziale», precisa Sartori, «non siamo al punto finale del
project».
Nei prossimi mesi verrà redatta una determina relativa all'interesse pubblico dell'opera a cui seguirà una
conferenza dei servizi, l'indizione della gara con la successiva scelta del contraente e infine la firma della
convenzione. «Potremmo iniziare prima un'opera e dopo l'altra per consentire alle due società sportive di
riorganizzarsi. Le possibilità di ulteriori modifiche ci sono».
Forconi e venetisti, 24 arresti «Pronti all'assalto armato»
Accuse di terrorismo, nel piano lo sbarco di un «blindato» a San Marco
Alleanza con sardi e lombardi, in manette anche Rocchetta e Chiavegato
BRESCIA — Volevano fare le rivoluzione proprio nei giorni in cui si discute del referendum per
l'indipendenza del Veneto. E volevano farla al più presto. «Perchè abbiamo due nemici: lo Stato italiano e il
tempo che abbiamo a disposizione», spiegava Flavio Contin, il Serenissimo che l'8 maggio del 1997 con altri
sette compagni diede l'assalto al campanile di San Marco. A 72 anni suonati, parlava con l'audacia di un
ragazzino senza sospettare che i carabinieri del Ros potessero spiare ogni sua mossa.
Ieri, diciassette anni dopo quella notte rimasta nel cuore degli indipendentisti, Contin è stato arrestato di
nuovo. E con lui altre ventitrè persone (quindici i veneti), tra le quali l'ex parlamentare e fondatore della Liga
Veneta Franco Rocchetta, il leader dei Forconi veneti e della Life Lucio Chiavegato, e Luigi Faccia, un altro
dei Serenissimi. Sono accusati di reati che vanno dall'associazione con finalità di terrorismo ed eversione
dell'ordine democratico, alla fabbricazione e detenzione di armi da guerra. In pratica, volevano ottenere
l'indipendenza del Veneto, anche con l'uso di pistole e di sei carrarmati costruiti sulla falsa riga del celebre
Tanko che nel '97 fu ricavato da un trattore agricolo. Uno di questi bisonti di metallo era già stato ultimato:
un escavatore della Fiat rivestito di lamiere sul quale era possibile montare un cannone (sequestrato a casa di
Faccia) che spara sfere d'acciaio del diametro di due centimetri.
Una pagliacciata? Gli investigatori sono convinti di no. Per il procuratore di Brescia, Tommaso Buonanno,
gli indagati proponevano «l'indipendenza dallo Stato italiano con il ricorso a metodi violenti e
all'insurrezione popolare». E, per raggiungere il loro obiettivo, il 26 maggio del 2012 in un ristorante del
Bresciano avevano dato vita a «L'Alleanza», un patto che univa alcuni ex rappresentanti di Veneto Stato,
quelli del movimento indipendentista sardo Disubbidientzia e il fondatore di Brescia Patria. Zone
geografiche diverse, ma tutte attraversate da spinte secessioniste.
Secondo i piani del gruppo, la prima battaglia doveva servire a liberare Venezia. L'idea era di organizzare
una grande manifestazione in piazza San Marco, mescolando tra la folla un gruppo di uomini (già ribattezzati
«Veneta Serenissima Armata») dotati di pistole, rimediate grazie a presunti contatti con la malavita albanese.
Al momento opportuno, su una chiatta sarebbero sbarcati anche i Tanko per poi proclamare ufficialmente
l'indipendenza del Veneto.
L'Alleanza pensava in grande. La «liberazione» di Piazza San Marco avrebbe smosso le coscienze,
spingendo all'insurrezione «le popolazioni del nord Italia maggiormente esasperate dalla crisi economica».
Avevano già nominato il «Direttorio» del nuovo governo Serenissimo, con l'incarico di trattare con lo Stato
Italiano, e immaginavano la conferenza stampa da organizzare all'estero e la creazione di ambasciate presso
Paesi amici (Serbia e Svizzera), dai quali speravano di ottenere un formale riconoscimento internazionale.
Raccontata così, possono sembrare - a seconda dei punti di vista - un manipolo di sognatori o solo un gruppo
matti. In realtà, secondo i carabinieri del Ros erano ben organizzati e avevano già raccolto centinaia di
adesioni, anche se pochissimi «simpatizzanti» sapevano fino a che punto i leader dell'Alleanza erano disposti
a spingersi. Avevano anche aperto un conto corrente, nel quale erano confluiti oltre centomila euro: offerte
che arrivavano da artigiani, operai e insospettabili casalinghe. Una delle indagate ha raccontato di aver
venduto la propria collezione di Swatch, pur di devolvere l'intero ricavato alla causa. D'altronde, come
propagandava Contin, «bisogna essere fanatici».
Quando all'alba di ieri sono andati ad arrestarli, i militari hanno requisito - oltre alla bocca di fuoco ritrovata
a casa di Faccia - quattordici fucili e tre pistole. Tutte armi (tranne una pistola) regolarmente detenute. In un
capannone a Casale di Scodosia, nel Padovano, gli investigatori hanno trovato il carro armato, finito sotto
sequestro assieme al «fratello» maggiore: quel Tanko originale che era esposto nel giardino di Flavio Contin,
divenuto testimone inerte di un sogno di indipendenza fallito due volte.
Andrea Priante
Tutti i nomi nel fascicolo della procura di Brescia
PADOVA — Veneti, ma non solo. Ecco i nomi di tutte le persone colpite da ordinanza di custodia cautelare
in carcere: Corrado Manessi nato a Brescia l'11 febbraio 1962; Roberto Abeni, nato a Brescia il 17 dicembre
1963; Angelo Zanardini, nato a Sale Marasino (BS) il 3 settembre 1948; Luigi Faccia, nato a Conselve (PD)
il 30 luglio 1954; Lucio Chiavegato, nato a Bovolone (VR) l'8 febbraio 1965; Patrizia Badii nata a Scandicci
(FI) il 20 novembre 1963; Tiziano Lanza, nato a Bovolone (VR) il 23 settembre 1961; Andrea Meneghelli,
nato a Isola della Scala il 5 marzo 1966; Luca Vangelista, nato a Rivoli (TO) l'11 luglio 1963; Corrado Turco
nato a Isola Rizza (VR) il 24 agosto 1967; Felice Pani, nato a Terralba (OR) il 29 gennaio 1960; Stefano
Ferrari nato a Bergamo il 28 giugno 1969; Renato Zoppi nato a Monteforte d'Alpone (VR) il 16 giugno
1957; Franco Rocchetta nato a Venezia il 12 aprile 1947; Riccardo Lovato nato a Padova il 14 ottobre 1969;
Michele Cattaneo, nato a Brescia il 17 settembre 1979; Maria Luisa Violati nata a Lendinara (RO) il 29
aprile 1964; Erika Pizzo, nata a Badia Polesine (RO) il 5 febbraio 1988; Roberto Bernardelli, nato a Milano
il 31 gennaio 1949; Elisabetta Adami, nata a Villafranca di Verona (VR) l'8 febbraio 1947; Maria Marini,
nata a Volpago del Montello (TV) il 23 agosto 1957; Marco Ferro, nato a Lendinara (RO) il 25 luglio 1966.
Sono finiti invece ai domiciliari: Giancarlo Orini nato a Brescia (BS) il 27 febbraio 1939 e Flavio Contin
nato a Casale di Scodosia (PD) il 5 novembre 1942. Sono state oggetto di perquisizione le abitazioni di
Sergio Bortotto, ex poliziotto di Villorba del Movimento di Liberazione Nazionale del Veneto ed Enrico
Pillon di Maserada sul Piave. Nel Vicentino, risultano poi indagati Gabriele Perucca, Massimo Canevarolo e
Davide Giaretta. Infine, sull'ordinanza del gip vengono citati come persone sottoposte ad indagini anche
Vasco Vertuan, nato Bovolone (VR) il 2 ottobre 1963 e Pietro Pastò, nato a Tribano (Padova) l'8 febbraio
1964.
«Basta salami, ora dinamite» «Poi attacchiamo le banche» «Le armi? Vai dagli albanesi»
I secessionisti, l'amico poliziotto, il siciliano e gli incontri segreti
VENEZIA — «E' arrivato il momento di combattere ragazzo, se aspettiamo qui salta tutto». A parlare è
Giancarlo Orini, che organizza l'Alleanza di Brescia con Veneto e i sardi per spingere alla secessione. Un
amico scettico gli risponde: «Ok ci vediamo, male che vada, ci troviamo da me a mangiare un salame»;
Risposta di Orini: «No più che di salame dobbiamo caricare i candelotti di dinamite». Sul fronte Veneto,
nello stesso periodo, gli animi si scaldano: «Intanto cominciamo a riprenderci quello che abbiamo perso, con
la forza. Verranno a riprenderci le teste di cuoio come hanno fatto nel '97, ma questa volta i mezzi sono
molto più grossi e sparano davvero, volete venire lo stesso? Noi vi dichiariamo guerra». Le parole sono del
veronese Tiziano Lanza, pronunciate davanti a una donna appena «arruolata» tra le file degli indipendentisti.
A SAN MARCO
Siamo nel marzo del 2013: l'inizio dell'indipendenza viene fatto segnare con la «presa» di Venezia. Gli
indagati non sanno che da due anni il Ros di Brescia li monitorizza in ogni spostamento. La strategia viene
dichiarata il 24 marzo. La decidono in auto Tiziano Lanza, Luigi Faccia e Fabio Contin: «Gli obiettivi
individuati sono Piazza San Marco, la sede della Rai e Palazzo Morosini». Quel giorno c'è anche la
formazione del Serenissimo governo. Il piano è questo: si organizza una grande manifestazione, il tanko
«armato» con mitragliatrice sbarca in piazza san Marco (i dettagli dello sbarco non sono specificati) coperto
da un lenzuolo, i «soldati» (armati con pistole) si schierano, invadono gli obiettivi. «La manifestazione
popolare è tale da paralizzare e rendere impossibile la risposta armata delle Forze dell'ordine» questo
desumono gli investigatori dalle intercettazioni fatte durante le indagini. «Generale di campo», responsabile
militare della piazza di Venezia, è il padovano Riccardo Lovato. Quest'ultimo è la seconda scelta. L'incarico
era stato affidato a Lucio Chiavegato, capo dei Forconi, che però ha una diversa visione dell'azione eversiva:
«Si è fissato con i tralicci, vuole far saltare quelli» dicono di lui «ma far saltare i tralicci non serve a niente,
rompi solo le scatole a quelli che stanno guardando la partita». Invece l'obiettivo sono le città. «Ci sarà un
atto dimostrativo – dice Lanza al fratello di ritorno dalla riunione – ci sarà a Venezia una grande imponente
manifestazione che reclamerà l'indipendenza, contemporaneamente in giro per il paese e le altre ci sarà anche
la Toscana, e il Piemonte...è un'alleanza perchè Venezia è amica dei popoli, per farla breve l'unico modo per
reclamare l'indipendenza bisogna che tu fai un atto di forza, bisogna che dimostri che sei in grado di
reclamare». In un'altro dialogo tra Lanza e Faccia, quello stesso 14 marzo, è Faccia chiarisce un concetto
importante: «Dobbiamo bandire il termine che noialtri agiamo in modo pacifico, non esiste, non agiamo in
modo pacifico, noialtri agiamo in maniera pesante». Per fare tutto questo c'è bisogno di armi, e dell'appoggio
di altri popoli europei, che dovranno riconoscere l'indipendenza del popolo veneto (per esempio la Serbia).
LE ARMI E GLI ALBANESI
Il Tanko, per essere operativo, ha bisogno delle telecamere (per poter guidare in modo blindato senza
guardare fuori), di una mitraglietta, e poi servono le «beghette», armi da fuoco. E' Faccia a tenere i contatti
con un progettista moldavo, tale Alexandru Budu, che il 24 aprile 2013 viene incaricato di disegnare l'arma.
E poi sono Lanza e un altro veronese, Vasco Vertuan, a cercare le altre armi. Il 13 ottobre 2013 Lanza parla
con Vertuan: «Bisogna che io e te ci vediamo per il solito discorso, adesso i tempi stringono, dobbiamo
andare dai nostri amici albanesi sai?»; Vertuan: «(...) bisogna che io li trovi e senta quando hanno due
minuti, ci sediamo e parliamo». Il giorno stesso Lanza viene pedinato a bordo di un veicolo al quale sono
state installate finte targhe croate, «con l'intento di evitare di essere identificato da eventuali forze di
polizia». Si progetta un viaggio in Albania per portare a casa delle armi.
IL POLIZIOTTO AMICO
Ma un ruolo importante per trovarle l'ha anche un poliziotto che dapprima si fa conoscere con un nome falso
«Davide», ma che poi si scopre essere un poliziotto padovano, Pietro Pastò, ispettore all'autocentro di
Padova. Pastò che aderisce al movimento nel settembre del 2013, viene nominato spesso dalla banda, e
avrebbe avuto anche il compito di trovare le armi corte. Lanza e Faccia parlano di lui al telefono: «Il
personaggio è molto preso – dice Lanza a Faccia, a proposito di Pastò – lo vedi che è uno dei nostri
insomma, quindi giustamente lo portiamo giù da Flavio (Contin ndr), ha delle Beghette (armi corte, appunto
ndr) da darci lì da mettere a disposizione»; e Faccia: «Gli devi dire che io ne voglio una devastante». Pietro
Pastò ha una storia nota a Padova: lui è imparentato con Maria Pellegrini, una miliardaria trovata morta in
circostanze ancora oscure a casa sua la notte del 13 dicembre 2008. A chiamare i soccorsi fu proprio Pastò.
L'assassino della donna non è ancora stato trovato. Una storia che ha segnato la famiglia, come farà ora
quest'inchiesta che lo vede indagato. Erika Pizzo, una delle attiviste in contatto con Lanza lo cita a proposito
di una riunione: «Il poliziotto, Piero, mi ha detto di stare attenti perchè ci sono quelli della Digos che sanno i
nostri... (movimenti ndr)». Lanza, che ci parla spesso, gli attribuisce queste dichiarazioni: «Gli unici che
avete i coglioni siete voi – avrebbe detto Pastò - quando arriveremo bisogna prendere i posti di comando, i
questori, e non eliminare i terroni, i questori anche se terroni possono essere meglio di certi veneti..». Altri
che aderiscono al movimento: c'è un barista che mette a disposizione il bar per gli incontri, un ristoratore che
fa un «buon prezzo» alle cene. C'è Elisabetta Adami, veronese, reclutata da Faccia, mette a disposizione la
macchina e vende anche la sua collezione di orologi Swatch per finanziare la causa. Diventa depositaria di
documenti segreti, in particolare le schede di adesione.
ASSALTI ALLE BANCHE
Per poter attuare il piano secessionista gli indipendentisti veneti si alleano con i bresciani, con i piemontesi,
con i sardi. Tutti vogliono dire addio allo Stato padrone italiano. I veneti ce l'hanno con Equitalia, che
progettano di assaltare, e con le banche. In un colloquio tra Lanza, Orini (Brescia), Contin e Faccia, si parla
di agguati armati alle banche: Orini: «Bisogna attaccare le banche»; Lanza: «Nell'interregno” (ovvero tra la
presa di Venezia e il riconoscimento dello stato Veneto ndr) uno dei nostri con il mitra va dal direttore tutte
le ore, tutto il giorno, e tutto quello che fa lo fa col mitra puntato qua, non c'è mica tanto da fare! Quando ne
portano uno di ucciso»; Contin: «Via tutti i forestieri, fuori, raus!»; Lanza: «E per forestieri si intende che
non vogliamo più napoletani, via, fuori dai coglioni».
I «TERONI»
I «teroni» fanno comodo però quando vengono dalla Sicilia per fare i lavoretti sporchi. Il 26 febbraio scorso
infatti Lanza chiama Rosa Cassata, dei forconi siciliani. «Un siciliano sarebbe stato cooptato dai serenissimi
per compiere un'aggressione violenta in Veneto», ma non ci sono soldi per pagarlo. Cassata: «Lui (il
siciliano ndr) vorrebbe sapere come siete messi»; Lanza: «Bisogna che ci aggiustiamo coi fondi.. perchè lui
farà questo per soldi...».
Roberta Polese
Nel paese che sorride ai (due) tanko «Lo Stato qui viene solo per tassare»
Casale di Scodosia, tutti in fila: «Saranno mica pericolosi?»
CASALE DI SCODOSIA (Padova) — Un appartamento di quasi duecento metri quadri costa 30 mila euro,
una villetta con garage meno di 80 mila e un terreno edificabile che sembra una piazza d'armi non arriva a
superare i 60 mila. Casale di Scodosia è un paese all'asta. Le aziende del mobile artistico lungo la strada
provinciale 18, nota come strada dei mobilieri, sono vuote ormai da qualche anno. E il resto lo hanno fatto
gli ufficiali giudiziari che hanno messo i sigilli e affisso cartelli ovunque.
«Prima della crisi passavano ottanta, novanta camion al giorno e lavoravamo tutti. Adesso non passa più
nessuno. Un solo tanko? Di più devono costruirne, qui lo Stato non si è mai visto». E va detto che qui in via
Veneto dove c'è il capannone in cui era custodito il tanko («Non xe un trattore, xe na scavatrice»)lo Stato
non si è visto quando le cinquecento aziende del distretto del mobile sono diventate meno di trecento. «Qui
vengono a rubare un giorno sì e uno anche - aggiungono - Le aziende sono chiuse e i ladri portano via quello
che resta nei capannoni». A sentire questi artigiani, «qui Roma arriva solo quando ci sono da pagare le
tasse». E infatti, nessuno ha visto o sentito niente, nonostante il via vai di macchine e uomini e i rumori
prodotti dai lavori di questi mesi per trasformare la scavatrice Fiat Allis in un tanko. «Mi non digo niente, mi
non fasso nomi», risponde secco un vicino. Gli altri allargano le braccia, sorridono guardando la distesa di
aperta campagna rotta solo dalla forma dei capannoni in cui regna il silenzio. «È vero: qui si vede tutto, si
sente tutto, anche le coppiette che si appartano in auto la notte, ma del carro armato non sapevamo nulla». Né
del nuovo tanko né del vecchio, quello che è arrivato fino in piazza San Marco allo scoccare della
mezzanotte dell'8 maggio 1997 e che poi è stato ricomprato a un'asta giudiziaria nel 2006 e riportato nel
giardino di casa del serenissimo Flavio Contin proprio a Casale di Scodosia. Eppure ieri notte anche il
Marcantonio Bragadin (questo il nome del tanko originale) è ritornato sotto i riflettori della procura di
Brescia. I carabinieri di Este (Padova) lo hanno sequestrato dal giardino di Contin (che ultimamente lo
portava in giro per le sagre tra gli applausi di affezionati venetisti e semplici curiosi) e inviato ai colleghi del
Ros insieme al nuovo tanko da quaranta tonnellate. «Purtroppo in questi ultimi anni Casale ha subito una
forte depressione economica - interviene l'ex primo cittadino del paese Renato Modenese, dimessosi qualche
tempo fa in protesta con il governo che obbliga i sindaci a riscuotere l'Imu - È comprensibile che possano
accadere cose di questo tipo, quando c'è malumore e malcontento può succedere di tutto». E così dicono
anche tutti gli altri abitanti di Casale. Nessuno muove accuse verso i presunti irredentisti veneti, tutti
giustificano. «Al massimo si può dire che hanno fatto una carnevalata, con quei tanko non fai certo una
rivoluzione», scuotono la testa al bar Duca dove a fare da padrone sono il gioco della briscola, il dialetto
veneto e lo sguardo attento del gestore cinese. In effetti il tanko sequestrato in via Veneto ieri mattina ha
fatto perfino fatica ad andare in moto. «Io, se fossi negli arrestati, denuncerei i giudici: quello non è un carro
armato, è una normale scavatrice blindata per lavorare nelle cave, sono tutte fatte così». E la staffa per
montare il cannone? E il piano per assaltare San Marco? «Cavolate! Qui c'è troppo rispetto per Venezia per
andare sui masegni con i cingoli di una scavatrice».
Alessio Antonini
Zaia: «Un'inchiesta a orologeria» I leghisti vanno in piazza a Verona
Tosi: «Provvedimenti esagerati» I leghisti vanno in piazza a Verona
Bandiere alle finestre e raccolta fondi per le spese legali
VENEZIA — L'eurodeputato Mario Borghezio, con la consueta verve, ha interrotto la seduta dell'assemblea
di Strasburgo: «Bruxelles non può ignorare che Roma sta attuando nei confronti dei patrioti veneti
comportamenti simili a quelli che condanna in tutte le altri parti del mondo... Chiedo al parlamento europeo
di intervenire per difendere la libertà di opinione degli irredentisti veneti». Il capogruppo al Senato Massimo
Bitonci ha chiesto a tutti i veneti di esporre alle finestre la bandiera col leone di San Marco, come segno di
vicinanza «a chi è stato ingiustamente incarcerato» e come testimonianza di lotta contro uno Stato che «non
riuscirà a fermare la nostra marcia pacifica verso l'indipendenza». Di più: l'assessore regionale all'Agricoltura
Franco Manzato propone che sia il partito a regalare i vessilli ai gazebo, dove «si potrebbe avviare una
raccolta fondi per pagare le spese legali degli indagati». I parlamentari tutti, nessuno escluso, hanno iniziato
a tempestare le redazioni di comunicati, facendosi fotografare alla Camera con la maglietta marciana (come
Emanuela Munerato), lanciando su Twitter l'hashtag #arrestatecitutti e #orgogliosamenteveneti, sbottando
rabbiosi: «Non è più possibile riconoscersi in questo Stato» (Roberto Caon); «Ci vogliono trasformare in
servi muti ma non ci riusciranno» (Marco Marcolin); «A Roma si mettano l'anima in pace, non ci
fermeranno» (Mara Bizzotto); «In Italia non esiste più la democrazia» (Patrizia Bisinella) e non andiamo
oltre, anche se si potrebbe proseguire per altre cento righe.
La Lega Nord non coltiva dubbi, non esita, non tentenna: sposa sin dal mattino la tesi innocentista (con
svariate incursioni in quella complottista) già dalla letture delle prime agenzie in arrivo da Brescia, quando
ancora i magistrati e i vertici del Ros non hanno spiegato i perché di questa vicenda (da subito, peraltro, verrà
escluso qualunque collegamento tra gli indagati ed il Carroccio, accusato anzi dai venetisti di essere troppo
«morbido» con Roma). La linea la detta via Facebook il segretario federale Matteo Salvini, che da settimane
sta cavalcando le rinate spinte indipendentiste del Veneto. Il lumbard va giù piatto: «Liberano i mafiosi con
lo svuotacarceri, aiutano i clandestini eliminando il reato di immigrazione clandestina e processano le idee di
chi vuol trasformare un trattore in un carro armato. Se lo Stato pensa di far paura a qualcuno si sbaglia,
siamo alla follia». Poi ironizza: «Mi auto denuncio: ho ancora un coltellino svizzero dei tempi dei boy scout,
arrestatemi!». Quindi recupera una bandiera di San Marco e si fa immortalare ad uso e consumo dei social.
Infine, a «Porta a Porta», postilla: «La politica con i carri armati e i fucili a noi della Lega Nord non
interesserà mai. Combattiamo pacificamente una battaglia lecita in democrazia, quella per l'indipendenza.
Francamente ci troviamo di fronte ad accuse che fanno ridere». Il climax padano va avanti per ore e
raggiunge il suo culmine nella chiamata a raccolta partita da via Bellerio: «Domenica alle 18 tutti in piazza
per protestare contro gli arresti e l'indagine anti-indipendentista». La risposta è immediata, con una gara di
solidarietà che parte da Bergamo («Saremo tantissimi» promette il segretario Daniele Belotti) all'Emilia
Romagna («Voi fate come vi pare, io sarò a Verona» dice il deputato Gianluca Pini)
Dai vertici del partito ai militanti in rivolta sul web, non c'è n'è uno che vacilli. Neppure il
segretario nathional e sindaco di Verona Flavio Tosi, che pure in passato ha più volte dimostrato di saper
andare controcorrente: «Il provvedimento della procura di Brescia è assolutamente sproporzionato rispetto ai
fatti reali. Conosco personalmente Franco Rocchetta da più di 20 anni, la sua pericolosità sociale è
inesistente. Le procure - conclude Tosi - dovrebbero perseguire la verità e la giustizia mentre l'impressione è
che in questo caso l'operazione sia di tipo politico». Proprio l'arresto di Rocchetta, fondatore della Liga «la
madre di tutte le Leghe», storico indipendentista che ha visto crescere praticamente tutti i leghisti di qui,
sembra aver particolarmente colpito i padani. «Non farebbe male ad una mosca» lo difende l'assessore
regionale al Bilancio Roberto Ciambetti mentre l'assessore alla Viabilità della Provincia di Padova Roberto
«bulldog» Marcato lancia su Twitter l'ennesimo hashtag della giornata: #francotieniduro.
Durissima anche la presa di posizione del governatore Luca Zaia, tra l'altro tirato in ballo dall'intercettazione
di una degli arrestati, Patrizia Badii, ma subito scagionato da ogni sospetto dagli stessi inquirenti: «La
signora Badii l'ho vista una volta sola, quando è venuta sotto casa mia per protestare. I rapporti tra noi erano
zero. Ciò detto, la tempistica di questa inchiesta fa pensare male, in un momento in cui c'è questa istanza dal
Veneto sull'indipendentismo e l'autonomia (giusto martedì la commissione Affari istituzionali del consiglio
regionale ha approvato le due proposte di legge per l'istituzione dei referendum sul tema, ndr.). C'è stato un
uso sproporzionato delle forze dell'ordine e insomma, tempi e modalità sembrano quelli di un elefante in una
cristalleria. Stavano seguendo da tre anni la costruzione di quella ruspa e se ne sono usciti con gli arresti solo
adesso, ad orologeria. Indipendenza non fa rima con violenza - ha concluso il governatore - e vedremo come
si chiuderà questa inchiesta. Secondo me finirà a pacche sulle spalle e solo un gran guadagni per gli
avvocati».
Marco Bonet
Zardini: «Il sindaco adesso fermi la manifestazione pro-secessionisti»
«Tosi dice nulla di Verona e critica la procura di Brescia»
VENEZIA — «Appare evidente che l'attività eversiva dei gruppi secessionisti è stata alimentata dalla
propaganda a favore dell'indipendenza del Veneto, che è stata promossa in modo irresponsabile anche da
alcune istituzioni locali e da gruppi politici che da tempo soffiano sul fuoco della secessione per nascondere i
propri fallimenti». L'interrogazione firmata da tutti i parlamentari veneti del Partito democratico non lascia
dubbi. Basta sostituire alle parole «alcune istituzioni locali» e «alcuni gruppi politici» i termini «Regione
Veneto» e «Lega Nord» e il gioco è fatto. In concreto, il Pd ha chiesto al ministro dell'Interno Angelino
Alfano come «intenda adoperarsi per prevenire e contrastare la formazione di organizzazioni che
programmano e realizzano azioni anche violente per promuovere la secessione e l'indipendenza del Veneto
dallo Stato italiano», cioè come voglia procedere nei confronti di palazzo Balbi e del Carroccio. Non basta?
Ecco allora che il deputato veronese Diego Zardini (Pd) ricorre a uno-due via Twitter per affondare il colpo.
«Anche chi ha votato in Regione a favore di un referendum eversivo che mina l'unità nazionale per me
profila fattispecie di reato» e «No a manifestazioni pro-secessionisti a Verona. Il sindaco (Flavio Tosi) non
autorizzi un reato collettivo per associazione a delinquere con gli eversivi».
Sugli indipendentisti arrestati invece i toni sono decisamente più morbidi. Anche se i democratici veneti non
fanno trapelare alcuna simpatia per i Chiavegato, i Contin, i Faccia e i loro serenissimi soci, ribadiscono
citando apertamente i redivivi padani di Matteo Salvini che il problema «è la necessità e l'urgenza di
cambiare atteggiamento di fronte alle finalità eversive di alcuni movimenti» (Floriana Casellato) e di porre
fine «all'atteggiamento assolutamente inadeguato della Lega e della stessa Regione» (Diego Crivellari). A
sentire il capogruppo del Pd in Consiglio regionale Lucio Tiozzo (che in commissione Affari Istituzionali è
uscito dall'aula con gli altri consiglieri del Pd per non votare i due referendum regionali sull'indipendenza e
sull'autonomia) «non è il momento di scherzare con il fuoco. Vista la decisione della magistratura di
procedere agli arresti, il quadro è preoccupante». Per tutti gli esponenti democratici c'è infatti un'inevitabile
legame tra il malumore crescente e l'aria indipendentista che soffia sul territorio regionale. Anche se il
sindaco di Venezia Giorgio Orsoni tende a liquidare «l'eversione indipendentista» come «una cosa
pittoresca», non nasconde che «questo territorio sta dimostrando sempre di più la seria volontà di essere
responsabile per quello che fa». Secondo il sindaco lagunare non sarebbe quindi una voglia di indipendenza
che coinvolge una minoranza ristretta di veneti «ma un segnale che, al di là delle pagliacciate, il governo non
avrebbe dovuto sopprimere il comma III dell'articolo 116 della Costituzione. Quello andava riscritto per dare
maggiore spazio a un'autonomia locale differenziata». Il Pd locale non sta facendo mistero in questi giorni
delle difficoltà e degli imbarazzi che sta vivendo a causa delle spinte centripete dell'attuale governo tanto che
in diverse occasioni gli stessi parlamentari che ieri hanno firmato la dura interrogazione al ministro degli
Interni hanno preso le distanze dai disegni di legge dell'esecutivo. «Il tema in discussione è proprio il Titolo
V della Costituzione», interviene la senatrice Laura Puppato criticando l'opportunismo della Lega Nord che
cercherebbe di mettere un cappello sul malessere diffuso che ha contribuito a creare «governando per più di
dieci anni». Dello stesso parere anche la collega Simonetta Rubinato che in attesa della conclusione delle
indagini della procura di Brescia chiede al governo di «dare una risposta concreta al disagio dei veneti». A
rincarare la dose arrivano anche le dichiarazioni del sindaco di Treviso Giovanni Manildo che pur ritenendo
«giusto che queste esagerazioni folkoloristiche vengano fermate» chiede che «vengano date risposte a questo
Nordest in crisi: serve maggiore autonomia sulle finanze locali per rispondere alle necessità delle comunità».
Per Manildo il governo dovrebbe quindi prendere in considerazione almeno la proposta presentata qualche
giorno fa da Luca Antonini che suggerisce di aggregare il Veneto al Trentino Alto Adige e al Friuli Venezia
Giulia per dare vita a un «Nordest a statuto speciale». La stessa ipotesi di un «Nordest speciale» è stata
riprersa anche dal consigliere regionale dell'Italia dei Valori Gennaro Marotta che però sui secessionisti va
giù durissimo: «Sono schegge impazzite da fermare».
E se il parlamentare Udc Antonio De Poli parla di «grave strumentalizzazione lega che offre una sponda
politica a indipendentisti eversivi», l'ex ministro Fabrizio Sacconi (Ncd) ricorda che «assicurare libertà di
opinione ed essere garantisti è la miglior forma di prevenzione contro ogni violenza»
Al.A.
EMERGENZA CASA. Bimbo malato in un condominio senza ascensore
Morosità incolpevole, l'Agec non fa sconti
Manuela Trevisani
Sfratti, il 10 aprile vertice con l'azienda sul «fondo»
giovedì 03 aprile 2014 CRONACA, pagina 21
Il giorno dopo le dimissioni dell'assessore alle Politiche della casa Marco Giorlo, gli attivisti della Rete
sociale per il diritto alla casa si sono riuniti sotto i gradini di Palazzo Barbieri. Perché proprio ieri, peraltro, è
stato eseguito uno sfratto nei confronti di un inquilino Agec in via Scuderlando. «Dopo tutte le trattative
avviate con l'azienda di via Noris, siamo riusciti a far convocare il 10 aprile un tavolo di discussione sulla
morosità incolpevole, a cui parteciperanno l'assessore ai Servizi sociali Anna Leso, i dirigenti del settore e il
presidente di Agec Massimo Galli Righi», ha fatto sapere Roberto Malesani, legale della Rete sociale per il
diritto alla casa. «Verona è la città con il più alto numero di sfratti in percentuale rispetto alla media
nazionale, segno che esiste una vera e propria emergenza abitativa».
Lo scorso novembre il governo aveva avanzato una proposta di legge per istituire un fondo a livello locale
per la morosità incolpevole. «Noi chiediamo che questo meccanismo venga avviato subito», ha spiegato
Malesani. «Sono tre, in particolare, le istanze che presenteremo: chiederemo una moratoria degli sfratti, la
revisione delle spese condominiali dell'Agec e la definizione dei criteri di "morosità incolpevole", che
includano non solo le persone che hanno perso il lavoro, ma anche quelli che hanno avuto una riduzione del
reddito».
Tra i manifestanti era presente anche Giorgio Beso, l'inquilino Agec sfrattato ieri mattina dalla forza
pubblica per morosità, dopo aver ottenuto quattro-cinque proroghe. Padre separato, 54 anni e disoccupato da
due, da quando la coop per cui lavorava come operaio ha chiuso i battenti. «Per i prossimi giorni il mio
vicino di casa si è offerto di ospitarmi, e dopo?», ha spiegato ieri Beso. «I Servizi sociali mi hanno fornito
l'indirizzo del dormitorio pubblico di via Silvestrini: loro la risolvono così».
Ancor più complessa la vicenda di Vilham Bouziani, madre di due bambini originaria del Marocco ma a
Verona da 17 anni. «Mio figlio più piccolo, di sei anni, è gravemente disabile, al punto che non parla e non
cammina, ma nel condominio Agec in cui vivo non c'è l'ascensore e, ogni volta che usciamo, devo portarlo in
braccio fino al terzo piano», racconta Vilham. «Da due anni abbiamo fatto richiesta all'Agec per il cambio di
alloggio, ma ci rispondono sempre che non ci sono altre sistemazioni disponibili». Nel marzo 2013 la donna,
accompagnata dal suo consulente legale Guido Longo, ha incontrato l'assessore Leso, che ha inoltrato la
segnalazione ad Agec. «Siamo in attesa che ci venga fornita la documentazione sulla situazione familiare e
reddituale, necessaria per ottenere il cambio di alloggio e da noi più volte richiesta», ha risposto il presidente
Galli Righi. «In novembre la signora Bouziani ha inoltrato la domanda di alloggio per un bando regionale e
pare che per lei ci siano buone possibilità di giungere all'assegnazione di una nuova abitazione».
CAVA SPEZIALA
Un confronto pubblico in via Sogare
giovedì 03 aprile 2014 CRONACA, pagina 19
Tutti sul ring di cava Speziala. Sul futuro dell'ex giacimento di ghiaia a San Massimo, nell'ultimo consiglio
della terza circoscrizione si sono confrontati consiglieri, rappresentanti della proprietà e comitato civico.
Ma due ore di discussione non sono bastate a trovare un denominatore comune , così si è deciso di convocare
una commissione mista, convocata per lunedì 14 alle 20.30, nella sede della circoscrizione in via Sogare.
Sono invitati, oltre ai rappresentanti della ditta stessa, gli esponenti di Provincia, Arpav, Ulss 20, Corpo
forestale dello Stato e Servizio forestale regionale, Coordinamento ambiente, e comitato civico di San
Massimo, guidato da Domenico Bonvicini.
L'ex cava Speziala, ricordiamo, è una delle più grandi del quartiere e dell'intera città. Si estende per circa 200
metri quadrati fra le vie Brigata Aosta, Lugagnano, Ferrari e Marche, con un "cratere" fondo venti metri.
Dopo la dismissione per esaurimento, trent'anni fa, la natura si è ripresa l'enorme spazio, oggi ricoperto in
buona parte da un bosco spontaneo.
Il comitato civico di San Massimo, che teme si voglia trasformare l'ex cava in discarica, si è sempre battuto
per la conservazione degli alberi e la proclamazione del parco pubblico. La ditta Area srl, invece, è
determinata a recuperare quel capitale congelato, e ora propone un accordo: il Comune otterrebbe gratis metà
dell'estensione, in cambio del permesso a riconvertire e utilizzare l'altra porzione. Per farne cosa, però,
ancora non si sa. L.CO.
PESCANTINA. È scontro fra Ambiente & vita e Comitato sul futuro dell'impianto, al centro della
campagna elettorale
Discarica, riaprire o coprire? Il «fronte del no» si è spaccato
Lino Cattabianchi
Girelli: «Il punto cruciale che ci divide è la ripresa dei conferimenti con rifiuti speciali» Ferrari: «Non
ci potete accusare di volerla riattivare, dovrà decidere la nuova Giunta»
giovedì 03 aprile 2014 PROVINCIA, pagina 27
Il destino della discarica accende il confronto elettorale
Spaccatura nel fronte antidiscarica a Pescantina: tra il movimento Ambiente & vita e il risorto Comitato
discarica ora è scontro aperto. Il dato è emerso nella serata informativa di Balconi che doveva essere, nelle
intenzioni del presidente di Ambiente & vita, Matteo Pontara, l'occasione per fare il punto del lavoro svolto e
a livello istituzionale in questi ultimi due anni e mezzo, dalla presentazione del primo progetto di bonifica e
messa in sicurezza di Ca' Filissine.
E tutto questo in preparazione alle elezioni comunali del 25 maggio «quando finalmente», ha commentato
Pontara, «un nuovo sindaco e una nuova giunta si dovranno occupare di Ca' Filissine».
La posizione assunta dal movimento Ambiente & vita, tesa a una limitazione dell'intervento in discarica «con
la sola bonifica del lato est» (dove sembra concentrarsi l'origine dell'inquinamento che ha dato luogo al
sequestro, nell'agosto 2006) e la successiva ripresa dei conferimenti con rifiuti speciali fino a raggiungere il
livello sufficiente per espellere le acque piovane dall'impianto, è stata contestata dai membri del Comitato
discarica.
«Non condividiamo l'obiettivo», ha osservato Gianni Pasetto: «se, al posto di questa operazione, viene fatto
il capping, cioè la copertura, secondo le indicazioni del professor Gianni Andreottola dell'Università di
Trento, poi in discarica non va più dentro niente».
Ha rincarato la dose Nino Pevarello: «Voi, in questo modo, siete per la riapertura della discarica. Durante la
prossima campagna elettorale faremo volantinaggio giorno e notte contro tutti i partiti che vogliono aprire la
discarica. Basta con questo impianto».
«Il punto cruciale che ci divide», ha aggiunto Giuseppe Girelli, storico oppositore della discarica, «è la
ripresa dei conferimenti con rifiuti speciali e industriali. Ci sono rischi di due tipi: si possono generare
fenomeni di corruzione e di cambiamento per via amministrativa dei codici dei rifiuti. E' già accaduto in altre
realtà. Non posso accettare e dare l'assenso al progetto del commissario Machinè e a questi rifiuti
industriali».
La discussione ha assunto toni molto accesi. «Stiamo cercando di rimarginare la ferita», ha obiettato
Francesca Ferrari di Ambiente & vita. «Non ci potete accusare di voler riattivare la discarica. Il movimento
non è per linea apriamo un po'». «D'accordo su tutto, ma che facciamo?», ha continuato il vice presidente del
movimento, Paolo Pezzo. «Possiamo passare il testimone: adesso toccherà alla nuova amministrazione».
«Non si può essere irriconoscenti in questo modo», ha commentato Mauro Frison. «Rinnovo il grazie per
quello che Ambiente & vita ha fatto dal 2011. E' stata una grande opera». Subito è scattato un applauso, ma il
Comitato discarica non si è aggregato.
«Con questa sera», ha concluso Pontara, «pausa nei lavori del movimento. Ci penserà la prossima
amministrazione che, però, non deve essere lasciata sola come la precedente. Il nostro movimento tiene la
porta aperta. Ma si deve dire no alla guerra tra poveri: per bene che vada la discarica la subiamo tutti. Stiamo
cercando di fare dei passi avanti».
«Siamo riusciti a evitare l'ampliamento dell'area»
giovedì 03 aprile 2014 PROVINCIA, pagina 27
Da fine settembre 2011, quando è stato presentato il primo progetto, che prevedeva l'ampliamento della
discarica con un conferimento di 1,9 milioni di metri cubi di rifiuti speciali e almeno altri 14 anni di
conferimenti, «siamo riusciti ad evitare l'estesione dell'area della discarica fino alla proprietà Galtarossa nel
cuore della Valpolicella e nel 2013 abbiamo ottenuto il risultato fondamentale di svincolare l'area dell'ex
vigneto Ferrari dal quadro degli interventi previsti dal progetto di Ca' Filissine». Questo ha sottolineato il
presidente di Ambiente & vita Matteo Pontara nella sua relazione. «Grazie ai tecnici pagati dal Comune e
non dalla società di gestione Daneco, ora non si parla più di ampliare il perimetro dell'attuale insediamento
della discarica». Ma c'è il problema dell'inquinamento: «I dati dell'Arpav di febbraio 2014, riferiti ai
campioni di dicembre 2013, evidenziano una diffusione specifica di ammoniaca e questo, in particolare, nel
pozzo M7, dove si era riscontrata la prima anomalia che aveva portato al sequestro dell'impianto. Secondo i
tecnici di Sinergeo la perdita viene dalla discarica e non dal vigneto Ferrari, dove i rifiuti cristallizzati della
vecchia discarica poggiano su una base sostenuta da limi di marmo», ha spiegato Pontara. Come uscire
dall'attuale situazione di stallo? Pontara ha ripreso le soluzioni proposte nelle linee guida per la bonifica
dall'ingegner Quintilio Napoleoni e Pietro Sirini che prevedono delle iniezioni di sostanze
impermeabilizzanti dall'esterno e una rete di pozzi per i controlli. «Si tratta di dimostrare l'assoluta necessità
dell'escavazione», ha precisato Pontara: «possiamo evitare uno scavo totale? Non si può ancora dire.
Chiudere Ca' Filissine presenta problemi di varia natura: il progetto iniziale deve essere ancora completato
con 350mila metri cubi e si devono evitare infiltrazioni. Rimane anche il nodo Daneco, dopo i fatti che
hanno portato all'arresto dei vertici della società. Noi abbiamo percorso una strada parallela a quella del
commissario Rose Maria Machinè». Ultimo: la sostenibilità economica. «Da Regione e governo», ha
concluso Pontara, «non arriveranno fondi per Ca' Filissine: di suo il Comune ha impiegato 160mila euro per
l'asportazione del percolato».L.C.
SAN BONIFACIO - MONTEFORTE - MONTECCHIA - SOAVE. «Mappa» completa degli interventi
per la sicurezza idraulica
Val d'Alpone cantiere aperto
Paola Dalli Cani
Previsti lavori per 3,2 milioni di euro: dalla confluenza nell'Adige al ponte della Motta dai ponticelli ai
Mulini all'invaso Colombaretta, «odiato» dai proprietari dei terreni
giovedì 03 aprile 2014 PROVINCIA, pagina 31
Sicurezza idraulica, cantiere aperto. La fine delle piogge ha riattivato i cantieri che era stato necessario
sospendere causa maltempo e la primavera fa cominciare il conto alla rovescia per altri lavori.
Il «sorvegliato speciale», da parte della Sezione difesa idrogeologica e forestale di Verona (cioè l'ex Genio
Civile integrato dall'ex servizio Forestale regionale) nel veronese orientale è sempre il torrente Alpone.
C'è un milione di euro da investire a partire dalla confluenza in Adige verso monte fino al ponte della Motta,
a San Bonifacio.
«L'intervento, per lo più in comune di Arcole, prevede la ricostruzione degli arginelli cedevoli erosi nel
tempo che sono essenziali alla sicurezza idraulica, se combinati alle botti sifone che, in caso di piena
funzionano da briglie». Così il dirigente Umberto Anti che nella sua rassegna dei prossimi cantieri si spinge
verso monte: «A valle della regionale 11, dove un anno fa cedette l'argine in destra Tramigna, dopo
l'approvazione dell'ulteriore finanziamento della parte residua, riprendono i lavori di completamento della
banca di rinforzo dell'argine».
Cantiere in vista anche a Soave, «per il rinforzo ed il recupero del franco di sicurezza sui ponticelli in località
Mulini»; e va avanti, intanto, anche il bacino di San Lorenzo. «Non appena sarà nominata la nuova
Commissione tecnica regionale ambiente», spiega Anti, «il progetto definitivo, che è già stato approvato
dalla Commissione di valutazione di impatto ambientale, sarà al vaglio per poi procedere all'esecutivo e alla
gara d'appalto».
Ma torniamo sulle sponde dell'Alpone: «Nella zona degli impianti sportivi di Monteforte d'Alpone, va verso
la conclusione il rinforzo, con sovralzo, dell'argine in destra idraulica: l'intervento interessa il tratto fino al
ponte Drio Piazza. Salendo ancora», prosegue il tecnico, «stiamo sistemando alcuni tratti di sponde erosi. Poi
si andrà a completare il progetto complessivo lungo l'Alpone a monte, intervento che comprende anche la
realizzazione di briglie e la sistemazione definitiva dell'alveo. Sono previsti lavori per 1,2 milioni di euro a
Montecchia di Crosara e per 1 milione di euro a San Giovanni Ilarione».
E poi c'è Colombaretta, l'invaso di Montecchia di Crosara osteggiato dai proprietari dei terreni riuniti nel
gruppo «No al bacino in Valdalpone». Secondo loro il bacino è superfluo: basterebbe «pulire gli alvei e
rimuovere le piante che ci sono cresciute dentro, allargare gli argini al Ponte della Motta, portare a livello
strada la condotta del ponte della Rezzina, eliminando dove possibile i pilastri centrali dei ponti».
Gli agricoltori propongono di «alzare l'argine destro dell'Alpone all'altezza dei centri abitati di Costalunga e
Monteforte e alzare quello sinistro nel centro abitato di San Bonifacio, abbassare i sifoni in località Zerpa,
visto che il livello dell'Alpone, alla confluenza in Adige, si è abbassato di 4 metri». In parte, dunque,
suggerimenti che sono già interventi previsti. Per il resto, però, Anti (che prima di diventare capo dell'ex
Genio civile ha progettato Colombaretta) definisce «improbabili» gli innalzamenti arginali e chiarisce: «Il
problema è un altro: da Costalunga al ponte della Motta l'acqua non ci sta: ecco perchè Colombaretta invasa
a 60 metri cubi al secondo, è essenziale alla sicurezza».
BORGO MILANO. Inaugurato tre anni fa in via Meneghetti con parata di autorità, non può essere
utilizzato dai residenti
Il giardino fantasma da 85mila euro
Bartolo Fracaroli
Non è chiaro a chi tocchi fare la manutenzione e così il cancello è sempre chiuso. E le piante seccano
giovedì 03 aprile 2014 CRONACA, pagina 14
In Borgo Milano la strada che corre parallela a corso Milano, in direzione sud ovest, si chiama via
Meneghetti e fronteggia una prateria di campi sportivi e la chiesa in cemento armato a vista dei Salesiani,
San Domenico Savio, che hanno la propria grande scuola professionale proprio in testa alla strada, sotto i
ruderi di forte San Massimo.
A lato dell'edificio sacro, un piccolo giardino, chiuso. Proprio dove, un tempo, c'era una pozza con le rane
che, una gettata di ghiaia, ha trasformato in un vasto sterrato. Recinzione robusta, 230 centimetri di altezza,
11 alberelli tra frassini, aceri e carpini, cinque alberti morti (350 euro l'uno), misure di 30 passi per 40, un
pioppo d'angolo superstite della vecchia albereta (un secondo è stato abbattuto per mettere la rete), stradello
sul prato (non falciato) serpentiforme, in giallo stabilizzato, fino a un disco centrale, vuoto, affrontato da
quattro panchine. Una visione surreale. Cancello perennemente chiuso.
Gli abitanti di via Meneghetti - solo di fronte ha due palazzi con 40 e 25 famiglie - erano lusingati tre anni fa,
qualcuno andò all'inaugurazione e vide una passerella di autorità. Costo globale di 85mila euro. Poi basta.
Tutto sempre chiuso.
Solo l'estate scorsa si chiesero i buoni uffici del Servizio Gestione Verde dell'Amia (il coordinatore Marco
Magnano) che, solerte pur non avendo competenza, intervenne a far aprire l'irrigazione automatica notturna.
Intanto erano già morti cinque alberi sui 3 metri. Il cancello rimase chiuso. Non l'acqua che sgorgava anche
quest'inverno sotto le pioggia torrenziali.
Il fatto è che non si sa a chi affidarlo. È del Comune, dicono in circoscrizione - dopo uno scambio con
un'impresa edile - e, all'adiacente canonica della chiesa di San Domenico Savio, aspettano un protocollo
dall'economato comunale che precisi le condizioni dell'affido, e le responsabilità. Intanto tutto chiuso.
La sera i vasti parcheggi di fronte all' edificio sacro (niente su cui sedersi) sono luogo di ritrovo giovanile
serale, talvolta rumoroso. Di giorno c'è sempre qualche mendicante che aspetta i fedeli. Ieri era di mezza età,
apparentemente sano ma provato, padano con accento della Bassa veronese, senza lavoro, chiedeva una
moneta. E non aveva neppure una panchina dove riposarsi anche dall'umiliazione. Però le vedeva. Su 85mila
euro del giardinetto fantasma.
UNIVERSITÀ E AMMISSIONE. Il governatore: «La vera selezione la devono fare gli esami e non
una raffica di crocette»
«Atenei, no al numero chiuso» Zaia si schiera con gli studenti
Elisa Pasetto
L'anticipo delle prove ai corsi di medicina non piace neanche ai presidi: «Gli studenti sono tesi, sospese
le verifiche in classe»
giovedì 03 aprile 2014 CRONACA, pagina 18
La vera selezione la devono fare gli esami e le valutazioni dei docenti, che dovrebbero mettere i ragazzi sotto
pressione per far emergere i migliori».
Non serve il numero chiuso per limare il numero dei futuri camici bianchi secondo Luca Zaia, il governatore
del Veneto, che in vista dell'appuntamento nazionale con l'esame di ammissione ai corsi di laurea in
Medicina e Chirurgia e Odontoiatria previsti per martedì 8 aprile ribadisce la sua contrarietà sul sistema,
schierandosi a fianco delle iniziative poste in atto anche a Verona dagli studenti, in primis l'Udu, il sindacato
studentesco, per tentare di abolirlo.
«Ogni nostro giovane ha il sacrosanto diritto di essere messo nelle condizioni di poter dimostrare sul campo
il proprio valore», prosegue il governatore. «Una raffica di crocette non è una selezione seria, è una tagliola
infida».
Ma nonostante le iniziative «contro», per quest'anno il test s'ha da fare. E pure in anticipo. Ad aprile anziché,
come da tradizione, per i primi giorni di settembre. Anche se la decisione, presa dall'ex ministro Maria
Chiara Carrozza «nell'interesse degli studenti, perché possano programmare la loro vita e studiare in
parallelo con la maturità», ha sollevato un polverone.
Da un lato, gli atenei tirano un respiro di sollievo, certi di poter garantire un via regolare delle lezioni a
ottobre. Dall'altro, sbuffano i docenti delle scuole superiori.
«Gli insegnanti mi hanno descritto la forte tensione che vivono i ragazzi in queste settimane», conferma
Luciano Carazzolo, dirigente del liceo scientifico Galilei. «Non è stato necessario variare la normale
programmazione delle nostre attività, ma certamente gli studenti sono decisamente assorbiti da questo
appuntamento», continua il preside dell'istituto che da anni organizza, proprio in vista dei test, corsi
extracurricolari per approfondire le principali materie scientifiche.
Corsi che anche il Maffei metteva a disposizione degli iscritti durante l'estate, quando l'esame di ammissione
era a settembre. Ora non più. «Ma non avevano avuto molto successo», ammette il dirigente Mauro Murino,
che spiega come oggi lo strumento principe sia un simulatore dei test, realizzato nell'ambito di un progetto di
cui il liceo classico veronese è capofila, a disposizione di qualsiasi studente italiano che ne faccia richiesta.
«I ragazzi, dopo la maturità, evidentemente hanno bisogno di staccare. In questo senso trovo più adeguato il
test in aprile anche se, certamente, in questo periodo i ragazzi sono sovraccarichi e non possono mollare,
perché anche la media dei voti è importante per accumulare crediti».
Al liceo scientifico Copernico, invece, il dirigente Sandro Turri ha suggerito ai docenti di sospendere le
verifiche in classe per una decina di giorni per venire incontro agli studenti. «Non trovo necessario
appesantire i ragazzi con due esami, quello di stato e i test di ammissione all'università, così impegnativi e
per di più concomitanti: per valutare le competenze potrebbero bastare i crediti accumulati nel corso del
triennio della scuola superiore».
Padri separati, appartamenti in affitto low cost
VERONA — Una casa per i padri separati, ma non solo. Assieme al tetto arrivano anche le consulenze
psicologiche, se richieste, e un aiuto per trovare lavoro, qualora mancasse. «Un progetto che affronta una
vera e propria emergenza del nostro tempo» secondo gli ideatori, la cooperativa Energia Sociale, le
fondazioni La Casa e San Zeno e il sindaco Flavio Tosi. Il primo cittadino ha firmato ieri, assieme
all'assessore ai Servizi sociali Anna Leso e al direttore di Agec Maria Cristina Motta il protocollo per la
gestione dell'iniziativa «Servizi di accompagnamento all'autonomia per padri separati». La partecipata del
Comune metterà a disposizione tre appartamenti a Santa Lucia, in grado di ospitare in tutto otto persone, che
saranno riservati a padri soli, separati, divorziati o anche mai sposati, ad un canone di 250 euro mensili,
comprensivo delle spese. Un contratto previsto per dodici mesi, rinnovabili. «Uno dei vantaggi - spiega
Chiara Castellani, presidente di Energie Sociali - è che gli inquilini potranno condividere la casa con persone
che si trovano in situazioni simili e devono affrontare gli stessi problemi». Con la firma del protocollo,
precisa Tosi «termina la fase progettuale e si dà il via a questa nuova esperienza: sarà possibile, per i padri
separati avere uno spazio in cui incontrare i figli, visto anche l'aumento dell'affido condiviso. Siamo solo
all'inizio, se il progetto funzionerà l'obiettivo sarà quello di implementarlo in modo da rispondere a più
domande possibili». Allo stato attuale non ci sono dati precisi sul numero di persone che si trovano in questa
situazione e in difficoltà economica. «Quel che è certo - avvisa Leso - è che si tratta di un fenomeno in
aumento, del resto è stato necessario prevedere anche interventi mirati ad aiutare le madri sole». «Il
problema abitativo è il più grave - è il commento di Riccardo Milano, consigliere della San Zeno, che con un
investimento ha reso possibile il rinnovo dell'arredamento negli appartamenti - ma sempre più spesso i padri
soli devono fare i conti con la disoccupazione».
D.O.
In carcere la banda dei Sinti che derubava i fotografi
In manette membri delle famiglie più note al campo nomadi
VERONA — Lo avevano promesso alle decine di fotografi professionisti che ormai da un anno e mezzo
facevano la spola con l'ufficio denunce. «E ogni promessa è debito», ha commentato ieri il dirigente della
squadra mobile Roberto Della Rocca. L'hanno mantenuta, quella promessa, gli uomini della sezione reati
contro il patrimonio della Mobile scaligera. Facendo finire in galera la banda che razziava quelle
apparecchiature costosissime e vitali per i fotografi. Tanto che più di qualcuno, dopo quei furti, aveva dovuto
smettere di lavorare. Gli è stato contestato anche l'articolo 416, vale a dire l'associazione a delinquere, alla
banda delle macchine fotografiche. Undici arresti, tra cui un minore e quattro donne, tre delle quali ai
«domiciliari», che hanno praticamente dimezzato i residenti di un luogo alquanto noto alle cronache: il
campo nomadi di La Rizza. Quel campo dove di «nomade», a parte la merce rubata che vi «transitava per
prendere altre strade, non ha nulla. Con residenti «stanziali» sia in quelle roulotte che in via San Michele 1.
L'indirizzo del carcere di Montorio. Con le due famiglie più «note» del campo, quella degli Hudorovich e
quella dei Viviani a gestire il giro di furti che compivano in tutta la provincia. Quattro membri della prima:
Adriano, detto Beppe, 45 anni, uno dei capi del campo, Gesuel di 27 anni, Samantha, 20 anni appena
compiuti ai domiciliari perchè mamma di un bimbo di un anno e Adriano, il cui cognome si scrive
Hodorovich per uno sbaglio di trascrizione all'anagrafe, 21 anni. Quattro anche della seconda: Lucia, 42 anni,
il figlio Derek, 21 anni, Cristin di 23 anni e Marylin, 25 anni.
Il galera anche un altro «residente» del campo, Lorenzo Fulle, 23 anni, un minorenne - L. M. - e e il
ricettatore di tutto quel bendiddio che la banda rubava dalle auto dei fotografi ma anche di cittadini
qualunque. E' stato a casa di Anatolie Feghiu, detto Tavarisc, 58 anni, che durante la perquisizione ieri
mattina gli agenti della squadra mobile hanno trovato altre «valigie». Quelle che contengono tutto
l'apparecchiatura fotografica dei professionisti. Le vendeva a 6mila euro l'una, Tavarisc. Ma il loro reale
valore era più del doppio. Le mandava nel suo Paese d'origine, la Moldavia. Da lì prendevano la strada degli
Stati Uniti, dove venivano rivendute. E stato un lavoro di mesi, quello degli agenti della Mobile. Fatto di
pedinamenti, riprese, intercettazioni, controlli. E nato dalla descrizione di una donna e dalla targa di un'auto
data da una delle prime vittime della banda, che agiva quasi sempre con lo stesso modus operandi. Due
coppie, una che distraeva il malcapitato di turno. L'altra che frantumava i finestrini dell'auto e la depredava.
Sono stati messi a segno così decine di furti. Hanno scritto un rosario di colpi in tutta la provincia, i Sinti di
Forte Azzano. Gli impianti sportivi erano il luogo prediletto: lo stadio Bentegodi, i palazzetti dello sport, le
piscine dove si tenevano anche eventi di carattere nazionale. Lì dove vanno o fotografi sportivi, quelli che
usano macchine e attrezzature tra le più costose. «Avevano - è scritto nell'ordinanza di custodia - un sistema
delinquenziale programmato». Una volta messo a segno il colpo, tutto veniva portato al campo de La Rizza.
E lì arrivava Tavarisc a «prelevarlo». Accorti, gli Hudorovich e i Viviani. Anche per ovvie esperienze
pregresse. Tanto da evitare di parlarsi al cellulare in italiano, ma utilizzando quell'idioma Sinto che cambia di
zona in zona, da campo a campo. Ma la loro scaltrezza non aveva fatto i conti con la tenacia dei poliziotti,
che sono tornati a studiare. Un libro, in particolare. Quel «vocabolario Sinto delle Venezie», scritto dal
professore universitario Giulio Soravia, tramite il quale sono riusciti a «tradurre» i dialoghi della banda. Ieri
in questura hanno chiamato decine di fotografi, derubati negli ultimi tempi. E qualcuno chiedendo di
quell'attrezzatura recuperata, si è messo a piangere ringraziando di quella promessa mantenuta.
Angiola Petronio
Fallimento evitato Ofv torna a sperare nella rinascita
Sì all'amministrazione straordinaria
VERONA — Le Officine Ferroviare Veronesi sono state ammesse all'amministrazione straordinaria. Con
decreto, depositato ieri nella cancelleria del Tribunale di Verona, il giudice Fernando Platania ha dichiarato
aperta la procedura che riguarda l'azienda veronese specializzata nella realizzazione di carrozze ferroviarie.
Si allontana così lo spettro del fallimento e, per i 204 dipendenti, ritorna la speranza di poter continuare a
lavorare nello storico sito produttivo. Una volta che la comunicazione ufficiale sarà giunta al Ministero dello
Sviluppo economico, spetterà allo stesso Mise nominare, entro 5 giorni, il commissario straordinario che
avrà il compito di gestire l'azienda e di redigere il piano industriale. Lo scopo è quello di arrivare prima
all'affitto e poi alla vendita di Ofv.
La legge prevede 60 giorni per la prima presentazione del piano al Mise, prorogabili di altri 60. Spetterà,
quindi, al commissario straordinario, che potrebbe essere sempre Giovanni Bertoni fino ad oggi custode
giudiziale, valutare le due manifestazioni di interesse presentate lo scorso mese. Entrambe le proposte
prevedono l'acquisto di Ofv dopo un anno di affitto ma sono però diverse nell'offerta economica messa in
campo. Da una parte c'è Sitav spa, azienda già attiva nel settore ferroviario ed operante nel campo della
manutenzione e del revamping di materiale rotabile, che propone un contratto d'affitto di 360 mila euro per
un anno. Dall'altra c'è F2M, società di nuova costituzione e cordata di imprenditori veronesi rappresentata
dall'avvocato Riccardo Cinti, che ha avanzato una proposta d'affitto, sempre per 12 mesi, di 60 mila euro.
Sitav spa ha capitale sociale di 650 mila euro, F2M di 30 mila. Tra queste due opzioni, tenendo conto anche
della capacità di assumere al proprio interno i dipendenti di Ofv, sarà chiamato a decidere il nuovo
commissario.
Le organizzazioni sindacali, per adesso, non si sbilanciano sugli esiti della decisione del commissario,
prendono atto, però, con soddisfazione, della decisione assunta dal Tribunale. «La sentenza che tanto
attendevamo è arrivata – ha detto Massimiliano Nobis, segretario Fim Cisl Verona – e siamo contenti che il
Tribunale abbia allontanato il fallimento, confermando che alle Ofv si può lavorare, non perché ci devono
fare la carità, ma perché ci sono le condizioni per farlo. È il giusto premio alla costanza e all'impegno di
questi 204 lavoratori». Ovviamente si guarda già alle prossime settimane: «Ora – sottolinea Stefano
Zantedeschi, segretario Fiom Verona – dobbiamo cominciare a ragionare su due punti: sulle garanzie
occupazionali e sulla ripresa, nei tempi più rapidi possibili, delle attività». Così Antonio Veneri, segretario
Uilm Verona ribadisce: «L'amministrazione straordinaria dà una speranza in più. Ci attiveremo al più presto
per la proroga della cassa integrazione straordinaria».
Samuele Nottegar
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