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L`effetto preclusivo dello scudo fiscale
Diritto tributario italiano L’effetto preclusivo dello scudo fiscale Nicola Daina Dottore in Giurisprudenza Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano Praticante avvocato – Studio Legale Tributario Tesauro, Milano I presupposti in virtù dei quali il contribuente può opporre l’effetto preclusivo all’accertamento tributario 1. Introduzione L’articolo 13-bis del Decreto Legge (di seguito D.L.) del 1. luglio 2009, n. 78, convertito dalla Legge del 3 agosto 2009, n. 102, ha istituito e regolato il cosiddetto “scudo fiscale-ter”, consentendo l’emersione, mediante il pagamento di un’imposta straordinaria, delle attività finanziarie e patrimoniali che risultavano irregolarmente detenute all’estero da soggetti residenti in Italia al 31 dicembre 2008. L’effettivo pagamento dell’imposta straordinaria produce gli effetti di cui agli articoli 14, 15 e 17 D.L. del 25 settembre 2001, n. 350, convertito dalla Legge del 23 novembre 2001, n. 409 (cioè le norme del precedente scudo fiscale). In particolare, al contribuente che ha presentato la dichiarazione riservata delle attività rimpatriate sono garantiti i seguenti effetti premiali[1]: 1) la preclusione di ogni accertamento tributario e contributivo per i periodi di imposta per i quali non è ancora decorso il termine per l’azione di accertamento[2] limitatamente agli imponibili rappresentati dalle somme o dalle altre attività costituite all’estero e oggetto di rimpatrio; 2) l’estinzione delle sanzioni amministrative, tributarie e previdenziali e quelle previste dall’articolo 5 D.L. del 28 giugno 1990, n. 167, relativamente alla disponibilità delle attività finanziarie dichiarate; 3) l’esclusione della punibilità per alcuni reati[3] , relativamente alla disponibilità delle attività finanziarie dichiarate. nanziarie oggetto di “rimpatrio”, il contribuente è legittimato ad opporre gli effetti preclusivi ed estintivi del cosiddetto “scudo fiscale”. In altre parole, il contribuente, con riguardo agli imponibili accertati relativi (anche in via del tutto astratta) alle attività “rimpatriate”, non può subire alcun accertamento tributario. Vanno pertanto identificati i presupposti in virtù dei quali è possibile opporre all’Agenzia delle Entrate l’effetto preclusivo del cosiddetto “scudo fiscale”. A tal fine occorre che: ◆ ◆ ◆ le attività finanziarie o patrimoniali indicate nella dichiarazione riservata devono esser state effettivamente detenute all’estero, fino al 31 dicembre 2008[4]; l’imposta straordinaria sia stata regolarmente versata[5]; l’accertamento non derivi da accessi, ispezioni o verifiche o altre attività di accertamento fiscale iniziate prima della presentazione della dichiarazione riservata[6]. La portata del’effetto preclusivo dello “scudo fiscale” è stata oggetto di chiarimento da parte dell’Agenzia delle Entrate. In particolare, essa ha precisato che “la preclusione opera automaticamente, senza necessità di prova specifica da parte del contribuente, in tutti i casi in cui sia possibile, anche astrattamente ricondurre gli imponibili accertati alle somme oggetto di rimpatrio”[7]. Merita di essere approfondito il primo effetto premiale sopra citato. 2. L’effetto preclusivo Nel caso in cui al contribuente venga notificato un avviso di accertamento, con il quale l’Agenzia delle Entrate accerti un maggior reddito (astrattamente) riconducibile alle attività fi- Lo “scudo fiscale”, quindi, comporta l’inibizione dei poteri di accertamento del Fisco ogni qualvolta sia possibile, “anche astrattamente”, ricondurre gli imponibili accertati alle somme oggetto di rimpatrio. Superfluo precisare che, per poter 9 10 Novità fiscali / n.09 / settembre 2012 opporre l’effetto preclusivo all’accertamento subìto, vi debba comunque essere una riconducibilità quantitativa tra le somme “rimpatriate” e l’imponibile oggetto dell’accertamento[8]. 3. L’onere probatorio Con riguardo alle modalità a cui il contribuente deve uniformarsi per avvalersi dell’effetto preclusivo dello “scudo fiscale”, il Legislatore ha espressamente stabilito che “in caso di accertamento, gli interessati possono opporre agli organi competenti gli effetti preclusivi e estintivi di cui al comma 1 con invito a controllare la congruità della somma di cui all’articolo 12, comma 1, in relazione all’ammontare delle attività indicato nella dichiarazione riservata”[9]. Il dato normativo è chiaro: il contribuente, che vuole opporre l’effetto preclusivo dello “scudo fiscale” all’accertamento subìto, è chiamato ad esibire la sola dichiarazione riservata. Nessun’altro adempimento a carico del contribuente è previsto dalla normativa in questione. In merito all’onere probatorio gravante sul contribuente, l’Agenzia delle Entrate, in un primo momento[10], ha affermato che la preclusione opera automaticamente senza necessità di prova specifica. Successivamente, l’Agenzia delle Entrate, discostandosi da quanto in precedenza affermato, dichiara che “la carenza di prove che le attività dichiarate non fossero già detenute in epoca antecedente al periodo d’imposta oggetto di controllo determina l’inutilizzabilità dell’effetto preclusivo” [11]. Giova pertanto analizzare l’orientamento della giurisprudenza di merito con riguardo ai casi in cui sia possibile far valere l’effetto preclusivo e, soprattutto, in ordine all’onere probatorio che il contribuente è chiamato a soddisfare. La Commissione Tributaria Provinciale di Massa Carrara ha affermato che il contribuente può far valere l’effetto preclusivo del cosiddetto “scudo fiscale” pur avendo depositato, sin dalla costituzione in giudizio, solo la dichiarazione riservata di rimpatrio[12]. Di opinione differente è stata la Commissione Tributaria Provinciale di Varese, la quale ha affermato che “la preclusione opera solo in tutti i casi in cui sia possibile ricondurre gli imponibili accertati a somme o attività, costituite all’estero, oggetto di rimpatrio”. In questo caso, il Giudice non ha ritenuto sufficiente la presenta- zione della dichiarazione riservata al fine di rendere opponibile l’effetto preclusivo dello scudo fiscale all’accertamento[13]. La questione posta è stata trattata anche dalla Commissione Tributaria Provinciale di Rimini, la quale ha chiarito che il cosiddetto “scudo fiscale” è opponibile all’accertamento tributario anche se il contribuente non prova che le attività “scudate” non fossero già detenute all’estero in epoca antecedente al periodo di imposta oggetto del controllo[14]. In particolare, la Commissione Tributaria Provinciale di Rimini, analizzando la ratio della norma, afferma che l’interesse dello Stato era che emergessero quante più attività era possibile e per ottenere questo non poteva non prevedere la preclusione anche per attività antecedenti all’anno accertato. L’unico limite temporale previsto dalla normativa in questione è “quello finale del 31 dicembre 2008 in quanto non si poteva consentire che le esportazioni successive all’inizio della prospettazione dello scudo potessero venire ugualmente sanate”. Va rilevato che l’Amministrazione finanziaria ritiene che la preclusione non opera, nei casi in cui il ricorrente non provvede ad informare l’Ufficio dell’avvenuto scudo fiscale e ad esibire entro “il termine di 30 giorni dalla notifica dell’avviso di accertamento (ovvero dall’inizio della verifica fiscale)” [15] la dichiarazione riservata. Al contrario, la giurisprudenza di merito è conforme nel ritenere che non sussiste per il contribuente alcun obbligo di opporre all’Ufficio in sede di inizio accessi o entro i trenta giorni successivi gli effetti preclusivi ed estintivi dello “scudo fiscale”. In altre parole, il contribuente può opporre lo scudo per la prima volta anche in fase contenziosa. In questi termini, si è espressa la Commissione Tributaria Provinciale di Livorno, secondo cui “l’introduzione di un termine per il riconoscimento degli effetti dello scudo non è legittima, […] ma rappresenta un addendum che il legislatore non ha evidentemente voluto, nulla essendo disposto al riguardo né nel decreto istitutivo né nella legge di conversione” [16]. Invero, come visto, la normativa dello “scudo fiscale” prevede che, da un lato, il contribuente è chiamato ad esibire all’Ufficio la sola dichiarazione riservata[17] , da cui emergono tutti i dati per poter opporre lo scudo fiscale; dall’altro lato, l’Agenzia delle Entrate, dotata di un potere/dovere di controllo, verifica la congruità delle somme indicate nella dichiarazione riservata con quanto effettivamente versato dal contribuente, a titolo di imposta straordinaria. 4. Conclusioni In conclusione, è da ritenersi che il contribuente possa sempre opporre l’effetto preclusivo dello “scudo fiscale” all’accertamento tributario con il quale l’Agenzia delle Entrate accerti un maggior reddito (astrattamente) riconducibile alle attività finanziarie oggetto di “rimpatrio”, producendo, a tal fine, la sola dichiarazione riservata di rimpatrio senza dover depositare ulteriore documentazione probatoria. Novità fiscali / n.09 / settembre 2012 Elenco delle fonti fotografiche: http://w w w.ilsole24ore.com/ar t/SoleOnLine4/ARCH_Immagini/ Norme%20e%20Tributi/scudo-fiscale-324x230.jpg?uuid=8d5fe406-af5711de-8eb6-bc81f22a436d [24.09.2012] http://intermarketandmore.finanza.com/files/2009/10/scudo_fiscale_ ter.jpg [24.09.2012] [1] Ex articolo 14, comma 1, D.L. del 25 settembre 2001, n. 350. [2] Gli avvisi di accertamento delle imposte dirette, ai sensi dell’articolo 43 del Decreto del Presidente della Repubblica del 29 settembre 1973, n. 600, devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione. Attualmente, quindi, gli accertamenti dell’Agenzia delle Entrate riguardanti somme riconducibili a quelle “rimpatriate”, ai quali è possibile opporre l’effetto preclusivo dello “scudo fiscale” sono quelli relativi ai periodi di imposta 2007 e 2008, fatto salvo il raddoppio dei termini di cui al comma 2-bis della citata disposizione. [3] È esclusa la punibilità per i reati di cui agli articoli 4 (dichiarazione infedele) e 5 (omessa dichiarazione) del Decreto Legislativo del 10 marzo 2000, n. 74. [4] Ex articolo 13-bis, comma 6, D.L. del 1. luglio 2009, n. 78. [5] Ex articolo 13-bis, comma 4, D.L. del 1. luglio 2009, n. 78. [6] Ex articolo 14, comma 7, D.L. del 25 settembre 2001, n. 350. [7] Agenzia delle Entrate, Circolare del 10 ottobre 2009, n. 43/E. [8] Ex articolo 14, comma 1, lettera a, D.L. del 25 settembre 2001, n. 350. [9] Ex articolo 14, comma 6, D.L. del 25 settembre 2001, n. 350. [10] Agenzia delle Entrate, Circolare del 10 ottobre 2009, n. 43/E. [11] Agenzia delle Entrate, Circolare dell’8 ottobre 2010, n. 52/E. [12] Commissione Tributaria Provinciale di Massa Carrara, Sentenza del 24 gennaio 2012, n. 64, in: www.fiscoonline.it [24.09.2012]. [13] Commissione Tributaria Provinciale di Varese, Sentenza del 16 aprile 2012, n. 17. [14] Commissione Tributaria Provinciale di Rimini, Sentenza del 29 giugno 2011, n. 237, in: www.dirittobancario.it [24.09.2012]. [15] Così come indicato nella Circolare del 10 ottobre 2009, n. 43/E. [16] Commissione Tributaria Provinciale di Livorno, Sentenza del 18 ottobre 2011, n. 187, in: www. dirittobancario.it [24.09.2012]. Si veda altresì la Commissione Tributaria Provinciale di Massa Carrara, Sentenza del 24 gennaio 2012, n. 64. [17] Ex articolo 14, comma 6, D.L. del 25 settembre 2001, n. 350. 11