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Rallentare un po` o fare una pausa era fuori
LA S VO LTA Informazioni sulla depressione e sui disturbi d’ansia 1/2007 PA G I N A 3 I B U R N O U T PA G I N A 8 I S U I C I D I O PA G I N A 1 0 I D E P R E S S I O N E «Rallentare un po’ o fare una pausa era fuori discussione» Parlare del tabù del suicidio «Wolf in der Säule»: Art brut nel centro di Zurigo Ritratto di Claudio Minder, ex Mister Svizzera Il dialogo può alleviare una situazione di disagio interiore estremo Uno spazio per artisti particolari Lundbeck (Schweiz) AG Dokument letztmals geprüft: 27.12.2012 «Non facevo più» BURNOUT ce la Da tempo il burnout non è più solo una malattia dei manager. Può colpire chiunque. Anche i giovani. Claudio Minder, Mister Svizzera 2000, ne è stato colpito a 25 anni. Ha messo troppa carne al fuoco, impegnandosi 24 ore su 24 e pretendendo troppo da sé e dal proprio corpo. Le conseguenze: gravi disturbi della concentrazione e del sonno e incubi notturni. I primi segni comparsero nell’autunno 2005: Claudio Minder non riusciva più a concentrarsi. Ad aggravare il quadro si aggiunse anche l’eccessivo lavoro: non sapeva più da che parte cominciare, cosa avesse già sbrigato e cosa e quando fosse ancora da affrontare. «Non ce la facevo più», racconta il giovane, oggi ventiseienne. C’erano i diversi lavori: consulente di comunicazione, conduttore presso Radio Liechtenstein, redattore e produttore di «Fenster zum Sonntag» (SF 2), direttore di una boutique di moda, modello. Far fronte a tutti questi impegni è sicuramente uno strapazzo, non solo per Claudio Minder. «Ho messo troppa carne al fuoco», dice ora. Sommando i diversi lavori part-time, arrivava alla fine a un impegno del 130%. A questa situazione si aggiunse anche un terribile incidente subito poco prima, durante le ferie in Italia. «Mi tuffai in mare da uno scoglio alto 12 metri. Nell’impatto con l’acqua mi si arrestò la respirazione. Non potevo più muovere le gambe e le braccia. Poi non vidi più nulla», racconta Claudio, con orrore, il suo incidente. Quando riprese conoscenza era disteso sulla spiaggia, con suo padre chino su di lui che gli massaggiava il petto. Un medico si trovava per caso nelle vicinanze e potè prestare le prime cure. Claudio riprese lentamente a respirare, anche se i muscoli delle estremità rimanevano ancora completamente contratti. «Se mio padre non mi avesse ripescato dall’acqua, oggi non sarei qui a raccontarlo», afferma convinto Claudio. Il deficit di concentrazione fu solo l’inizio. In breve tempo non potè più dormire, e se riusciva a riposarsi per brevi momenti, subito lo assalivano gli incubi, strappandolo dal sonno. «Spesso mi svegliavo in un bagno di sudore. La testa mi girava come una Profilo personale Claudio Minder è nato a Uster (ZH), nel 1980. Poco dopo la sua nascita, i suoi genitori tornarono in Italia. Trascorse la sua infanzia insieme ai cinque fratelli nelle vicinanze di Avellino. A 16 anni lo mandarono a scuola in Svizzera, dove portò a termine un apprendistato come tecnico doganale, riuscendo anche a recuperare la maturità professionale. Nel 2000 Claudio Minder ha vinto il titolo di svizzero più bello. Dopo l’anno come Mister Svizzera, ha lavorato come consulente di comunicazione, conduttore, direttore di una boutique di moda, redattore e produttore di un programma televisivo, nonché modello. Attualmente Claudio Minder si impegna anche come ambasciatore per un’organizzazione non governativa che aiuta in Malawi (Africa) i meno fortunati. 3 BURNOUT Claudio Minder è senz’altro anche uno dei più giovani di cui esista già una biografia. Dopo il suo anno come Mister Svizzera, un giornalista ha redatto la biografia di Claudio secondo le sue stesse indicazioni: «Gold in Sicht – das Leben als Mister Schweiz» (Oro in vista – la vita come Mister Svizzera). Il libro è stato pubblicato da Brunnen Verlag (Basilea) con una tiratura di 6500 copie. Per salvaguardare la propria salute, Claudio Minder ha abbandonato il lavoro di conduttore radiofonico. 4 «Non riuscire a trottola. Mi chiedevo in continuazione cosa avrei dovuto sbrigare il giorno seguente e se il giorno prima avessi fatto tutto come richiesto.» Ancora oggi Claudio Minder non riesce a capire come abbia potuto cadere in questo circolo vizioso. degli le altri nei nostri confronti è estremamente Nell’ormai lontano 2000 Claudio Minder è stato il più giovane Mister Svizzera di tutti i tempi. L’ex funzionario doganale, originario di Basilea e figlio di un pastore, crebbe con i suoi genitori e i cinque fratelli in Italia, più precisamente a Volturara, presso Avellino, in Irpinia. Suo padre Paul, un pastore riformato, e sua madre Erika lasciarono la Svizzera poco dopo la nascita di Claudio. A 16 anni lo mandarono a scuola in Svizzera, dove portò a termine un apprendistato come tecnico doganale, riuscendo anche a recuperare la maturità professionale. Durante il concorso di Mister Svizzera era nel bel mezzo degli esami finali. «Non avevo molto tempo per stare a scervellarmi sul titolo in palio.» Nel corso dell’indagine TED ricevette la più alta per- centuale di voti da parte del pubblico televisivo. Claudio Minder non solo è stato per un anno lo svizzero più bello, ma sicuramente anche il più dotato dal punto di vista linguistico, visto che conosce perfettamente l’italiano, il tedesco, l’inglese e il francese. È stato anche scritto molto sul suo rapporto con la religione, un legame che egli sintetizza così: «Per me Dio è come il guardrail sull’autostrada: mi guida lungo la mia strada.» Allora le critiche personali lo colpirono molto: «Mi sentivo spesso del tutto a terra.» Se ora però tira le somme, nonostante tutto, i lati positivi della sua esperienza come Mister Svizzera hanno certamente prevalso. soddisfare aspettative logorante» Con i suoi attuali 26 anni, Claudio Minder fa parte quasi sicuramente del circolo delle più giovani vittime del burnout. Dopo che il deficit di concentrazione, le notti insonni e gli incubi lo avevano prostrato per mesi, Claudio si decise ad accettare l’aiuto di uno specialista. «Non riuscire a soddisfare le aspettative degli altri nei nostri confronti è estremamente logorante.» In base ai sintomi riscontrati, lo psicologo diagnosticò subito la sindrome che affliggeva Claudio: burnout. Gli consigliò di prendersi immediatamente una vacanza, di concedersi un po’ di tranquillità. «Rallentare un po’ o addirittura fare una pausa era allora per me assolutamente fuori discussione. Ero nel bel mezzo delle preparazioni per la conduzione del successivo concorso di Mister Svizzera, che si sarebbe tenuto a Chiasso. Per la conduzione della trasmissione dal vivo, insieme alla presentatrice ticinese Carla Norghauer, volevo dare il meglio di me stesso», racconta l’ex svizzero più bello. Dovette trovare un’altra strada. Claudio cominciò a rinunciare a piccoli incarichi. Cercò di praticare sport due volte alla settimana. Per un certo tempo si impose addirittura il divieto di usare il telefono cellulare e la posta elettronica. «Solo così potei proteggermi. Quando si deve rispondere ogni giorno a 100 e-mail, ci si stressa parecchio», dice. Ora ha abbandonato il suo lavoro al 40% come conduttore presso Radio Liechtenstein. «Adesso ho più tempo libero, e me lo godo anche. Mi voglio proprio riguardare. Solo così posso uscire dal circolo vizioso», afferma Claudio convinto. È migliorato anche il sonno. Anche se il suo ritmo veglia-sonno non è ancora ottimale, Claudio ha imboccato la via migliore per gettarsi alle spalle il burnout. «L’utilizzo eccessivo delle proprie energie porta al BURNOUT Burnout» DISTRUTTO, ESAURITO, APATICO. IN SVIZZERA, QUASI UN LAVORATORE SU QUATTRO SOFFRE DI BURNOUT LIEVE O MODERATO. IL TRE A QUATTRO PER CENTO DEGLI OCCUPATI NE È ADDIRITTURA PESANTEMENTE COLPITO. CHE COSA SI CELA DIETRO LA PAROLA BURNOUT? IL MEDICO SPECIALISTA, LA DR.SSA BARBARA HOCHSTRASSER, CI RIVELA QUALI SOGGETTI HANNO UN PIÙ ELEVATO RISCHIO DI BURNOUT. Ci sono persone più soggette al burnout? Diversi atteggiamenti e tratti della personalità sono associati a un rischio elevato, in particolare l’alta disponibilità a dare fondo alle proprie energie, il perfezionismo, la tendenza a dedicarsi anima e corpo a un progetto e la scarsa capacità di tenere le distanze. Parliamo poi di persone che sono relativamente poco aperte ai cambiamenti, evitano i problemi invece di affrontarli di petto, tendono a rassegnarsi in caso di insuccesso e mostrano un comportamento introverso e con scarsa autostima. Gli studi hanno inoltre dimostrato che le persone che vivono sole hanno un rischio elevato di sviluppare un burnout. Il burnout è una malattia maschile oppure sono le donne che reagiscono più precocemente? Sull’incidenza del burnout nei due sessi esistono risultati scientifici contraddittori. «Le persone che vivono sole rischio elevato hanno un di sviluppare un burnout» P RO F I L O P E R S O N A L E La Dr.ssa Barbara Hochstrasser è specialista FMH in psichiatria e psicoterapia. Lavora come primario nella Clinica privata Meiringen (BE), dove ha dato vita a un rinomato reparto per la cura del burnout. Non è quindi possibile affermare che il burnout sia una malattia «tipicamente maschile». Sembrerebbe piuttosto che ben precisi aspetti della personalità, ma anche difficili situazioni in ambito lavorativo, siano responsabili dell’insorgenza del burnout. Quali sono i primi sintomi del burnout? Stanchezza che non si attenua nonostante un congruo periodo di riposo, labilità emotiva, sensibilità alle situazioni stressanti, demotivazione sul lavoro e sentimenti negativi nei confronti degli interlocutori. Inoltre, possono manifestarsi anche disturbi psicosomatici. In che cosa consiste il «pronto soccorso» per un paziente che chiede aiuto al medico? È importante liberare il paziente dalle situazioni gravose e fargli trovare il tempo per il recupero e la rigenerazione. La normalizzazione del sonno è spesso una componente importante. Gli elementi su 5 BURNOUT al burnout? Tornare cui si fonda la terapia sono una moderata attività fisica e l’equilibrio fra lavoro e riposo. È necessario assicurare al corpo la possibilità di rigenerarsi e recuperare. A seconda della situazione, sono indicati anche alcuni medicamenti, a condizione che rientrino in un trattamento medico. E che cosa prevede la terapia a lungo termine? In definitiva si tratta degli stessi elementi visti per il trattamento acuto. Importante è soprattutto un impegno adeguato, disciplina nell’osservare le pause di riposo e rilassamento, ma anche attività fisica, sonno regolare e sufficiente, nonché tempo da dedicare ai rapporti interpersonali e a sé stessi. La cosa essenziale è saper percepire i segnali che ci invia il nostro corpo e reagire di conseguenza. Per lo più, il superamento del burnout porta forzatamente anche a un cambiamento di valori e priorità personali. «Non è consigliabile stessa situazione tornare esattamente alla di lavoro presente prima del burnout.» Come possono essere d’aiuto i famigliari di una persona affetta da Burnout? Mostrando comprensione e pazienza, sgravando e incoraggiando gli interessati e manifestando apprezzamento, anche in assenza di prestazioni. In nessun caso si devono formulare accuse o rimproveri. È necessario mostrarsi aperti a un colloquio, senza essere assillanti. Fare proposte per attività piacevoli e non faticose. Trasmettere senso dell’umorismo e gioia. È possibile una guarigione completa? La possibilità di una guarigione dipende dalla gravità e della durata della sintomatologia del burnout. Nella maggior parte dei casi rimane però una certa sensibilità nei confronti delle situazioni particolarmente stressanti. 6 Dopo aver superato il burnout si può tornare ad affrontare normalmente la vita quotidiana? Sì, ma la quotidianità deve essere riorganizzata, per evitare un nuovo sfruttamento selvaggio delle proprie energie. È un traguardo raggiungibile, a condizione che si mantenga un buon equilibrio tra attività e riposo e si riservi tempo a sufficienza per l’attività fisica, il rilassamento, i rapporti interpersonali e la riflessione su sé stessi. Tuttavia, in genere non è consigliabile tornare esattamente alla stessa situazione di lavoro presente prima del burnout. Si devono adeguare gli impegni onerosi e i ritmi di lavoro in modo che corrispondano alle forze a disposizione. Il più presto pos QUANTO PIÙ A LUNGO I PAZIENTI AFFE MINCIARE. LA NUOVA TENDENZA È CHIA BURNOUT E DEPRESSIONE H A N N O M O LT E C O S E I N COMUNE COSTRIZIONI E MAGARI SOLO PER ALCU Secondo la Dr.ssa Barbara Hochstrasser, il burnout e la depressione hanno molti tratti in comune. È stato per esempio dimostrato che le persone interessate in passato dalla depressione, o con famigliari affetti da depressione, mostrano un rischio elevato di essere colpite dal burnout. Il burnout comprende tre dimensioni: esaurimento emotivo, cinismo e impressione di una riduzione delle proprie prestazioni sul lavoro. Nella depressione manca tuttavia il cinismo, ossia l’atteggiamento negativo e spregiativo nei confronti degli altri (soprattutto sul lavoro). Il burnout si distingue anche per un esaurimento particolarmente imponente sia psichico che fisico e per una ridotta tolleranza allo stress, indipendentemente dal fatto che questo sia dovuto ai ritmi frenetici, ai difficili rapporti interpersonali o a fattori fisici quali la temperatura o il rumore. Dal punto di vista clinico si registra in molte persone con burnout una marcata labilità vegetativa. MODELLO SONO MOLTO POSITIVE. B urnout: e adesso? In Svizzera, sempre più donne e uomini abbandonano la vita lavorativa a causa del burnout: in malattia, spacciati, disperati. La strada per riprendere la vita professionale sembra prima di tutto sbarrata. Emarginati e per lo più licenziati, gli individui colpiti non possono far altro che attendere un miglioramento. Così sono stati trattati fino a non molto tempo fa i pazienti con depressione da esaurimento. Si attendeva che mostrassero condizioni di salute stabili, e solo a quel punto si osava una reintegrazione nel processo lavorativo. L’attesa non giovava certo all’autostima dell’interessato, mentre la crescente durata dell’assenza dal lavoro ingigantiva sempre più il problema della ripresa. «Oggi, dopo un trattamento acuto, cerchiamo di fare in modo che la persona colpita dal burnout torni il più presto possibile al lavoro», spiega Bettina Bärtsch, job coach presso la Clinica Psichiatrica Universitaria di Zurigo. «La cosa migliore sarebbe che tornasse allo stesso posto di lavoro, ma non suicidio: parlare meglio SUICIDIO Il è che tacere IL SUICIDIO CAUSA OGNI ANNO IN SVIZZERA UN NUMERO DI MORTI QUASI TRE VOLTE SUPERIORE A QUELLO DOVUTO A INCIDENTI STRADALI. SPESSO COLPISCE LE FAMIGLIE IN MODO INASPETTATO, LASCIANDO FERITE PROFONDE E TRACCE INDELEBILI. NONOSTANTE LA SUA INCIDENZA, IL SUICIDIO CONTINUA A RIMANERE UN ARGOMENTO TABÙ. I n Svizzera, ogni sei ore una persona si toglie la vita. Annualmente muoiono per suicidio quasi 1500 individui. Per suicidio perdono la vita più persone che per incidenti stradali, abuso di droghe, AIDS e atti di violenza considerati nel complesso. A livello europeo la Svizzera è al nono posto per tasso di suicidio, dopo Paesi come Russia, Ungheria o Austria. Perché così tante persone si tolgano la vita in Svizzera è ancora poco chiaro agli esperti. Fra i numerosi fattori si ipotizza anche la vergogna: dei propri problemi non si parla e in situazioni di crisi non si cerca aiuto. A essere colpite sono soprattutto le persone che vivono una fase di transizione «La suicidalità è ancora oggi un tabù, anche se quasi ognuno di noi ha pensato almeno una volta nella propria vita al suicidio o è venuto in contatto con il problema attraverso conoscenti o famigliari. Importante è quindi soprattutto destigmatizzare il suicidio e i problemi psichici 8 in generale», spiega Barbara Weil, direttrice di «Ipsilon», l’iniziativa per la prevenzione del suicidio in Svizzera. «Il suicidio non trae origine da una libera scelta, bensì dal bisogno di sottrarsi a un fortissimo dolore interiore» Il suicidio è solo l’ultima conseguenza di un processo di sviluppo che ha avuto inizio molto tempo prima. Circa il 90% delle persone che pongono fine alla propria vita soffre di un disturbo psichico al momento di questo gesto estremo. Per lo più si tratta di una depressione (40-70% dei casi) o di alcolismo o tossicodipendenza (2550% dei casi). Alla base del disturbo psi- chico si trovano a loro volta molteplici situazioni gravose che durano da diverso tempo, quali disoccupazione, pensionamento, problemi di coppia, problemi scolastici o nella ricerca di un posto di apprendistato, malattie, nonché cambiamenti delle condizioni di vita quali una gravidanza o il distacco dalla casa paterna. In caso di crisi di lunga durata possono manifestarsi anche disturbi psicosomatici. Si tratta di interazioni fra i sintomi organici e quelli psichici, per esempio disturbi del sonno, depressione, ansia, attacchi di panico, problemi di stomaco, mal di schiena, eccessivo consumo di alcol o disturbi del comportamento alimentare. L’intensità della crisi arriva infine a pesare in modo insopportabile sulla persona colpita. Spesso il paziente non riesce più ad associare il sintomo organico (per es. il disturbo del sonno) alla causa effettiva. Prima o poi le proprie risorse non bastano più. La persona col- SUICIDIO med. Konrad Michel, della Clinica Psichiatrica Universitaria di Berna. In Svezia è stato per esempio dimostrato che tramite mirati corsi di aggiornamento per i medici è stato ridotto il tasso di suicidi. La Clinica Psichiatrica Universitaria di Berna si è quindi attivata direttamente, offrendo un breve intervento specifico dopo un avvenuto tentativo di suicidio. Infatti, le ricerche sul suicidio suggeriscono la possibilità che gli interventi a breve termine, seguiti da un’offerta di contatto prolungata nel tempo, abbiano una grande probabilità di ridurre il rischio di successivi tentativi di suicidio. «Nessuno si toglierà la vita, parla suicido» perché si di «È ragionevole trattenere le persone sconsiderate» dal commettere azioni pita si sente impotente e non ce la fa più a uscire dalla crisi con le proprie forze. Il suicidio viene considerato quale soluzione possibile, mentre il senso di disperazione diventa ossessivo. L’interessamento avrebbe già potuto essere d’aiuto L’interessamento degli amici, dei conoscenti, dei famigliari o del medico avrebbe forse potuto essere d’aiuto nel momento del bisogno. «Il suicidio non trae origine da una libera scelta, bensì dal bisogno di sottrarsi a un fortissimo dolore interiore. La persona colpita si trova quasi in trance», osserva Barbara Weil. Per questo è ragionevole trattenere le persone dal commettere azioni sconsiderate. È tipico anche il fatto che una volta passata la crisi, si guardi la situazione con occhi diversi. Anche l’obiezione che continua a essere sollevata, secondo cui la persona a rischio si toglie la vita perché si porta il discorso sul suicidio, è del tutto infondata. Piuttosto è valido il contrario: «Nessuno si toglierà la vita, perché gli si parla di suicidio. Forse, però, qualcuno potrà commettere suicidio, se non gli si parla dei suoi pensieri di suicidio e delle crisi che lo affliggono», conclude Weil. Aiuto nella crisi Una mano tesa rappresenta un’ancora di salvezza a cui possono aggrapparsi le persone a rischio di suicidio o i loro famigliari preoccupati. «Noi prestiamo ascolto in tutte le crisi di natura psichica e situazioni di vita, cercando di mostrare comprensione e trasmettere fiducia. Questo è un primo passo estremamente importante. Non intendiamo mettere sotto pressione la persona interessata, bensì scoprire risorse attraverso cui poter ritrovare coraggio», spiega Tony Styger, direttore del centro regionale zurighese. Un sostegno a lungo termine riduce i tentativi di suicidio «Purtroppo in Svizzera, rispetto a quanto si fa in altri Paesi in tema di prevenzione del suicidio, si attuano misure molto scarse», commenta dispiaciuto il Prof. Dr. Il primo contatto ha luogo entro due settimane, mentre quelli successivi si succedono a brevi intervalli l’uno dall’altro. In seguito i pazienti ricevono regolarmente, per due anni, lettere in cui vengono ricordati i segni premonitori e le misure di comportamento elaborate di comune accordo. Fonte: «Krise und Suizid» (Crisi e suicidio), documento base per seminari rivolti ai medici, FMH·BAG, Berna 1992; 2a edizione 1995, 3a edizione aggiornata 2000. LIBRI: Suicidio, Psicopatologia e prevenzione Roberto Tatarelli Editore: Il Pensiero Scientifico, 1992 Il Suicidio di Domenico de Mario Compendio storico, clinico, casistico, biologico e terapeutico Editore: Il Pensiero Scientifico, 1997 9 «Wolf Säule»: spazio creatività DEPRESSIONE in der uno riservato alla ALLE PERSONE AFFETTE DA UNA MALATTIA PSICHICA MANCA SPESSO LA POSSIBILITÀ DI DARE LIBERO CORSO ALLA PROPRIA CREATIVITÀ. «WOLF IN DER SÄULE» È UN ATELIER UNICO NEL SUO GENERE, PERCHÉ OFFRE ALLE PERSONE CREATIVE QUESTO SPAZIO E I MATERIALI PER DIPINGERE. R egna un gran viavai indaffarato. Alcuni arrivano solo per un breve colloquio, oppure si accomodano tranquillamente a prendere un caffè. Altri si mettono subito al cavalletto e cominciano a dar forma alle proprie idee sulla tela. Da quasi un anno Andrea Fetz-Thaler guida l’atelier «Wolf in der Säule» e nonostante ciò continua a essere affascinata come fosse la prima volta dall’energia creativa di ogni singolo utente. «La gente scambia spesso il nostro atelier per un’offerta per il tempo libero. Nulla di più falso: qui dipingono artisti veri che a causa della loro malattia non possono mantenere uno studio proprio», spiega. La maggior parte delle persone che usufruiscono di questo spazio sono individui con una malattia psichica quale la depressione o la schizofrenia. Si parla anche della cosiddetta art brut, ossia di quella forma d’arte prodotta da persone che sono scivolate fuori dai normali schemi culturali e sociali del mondo in cui viviamo o che li hanno abbandonati. Nell’atelier «Wolf in der Säule» lavorano ex pazienti di una clinica psichiatrica. Sperimentare con i materiali L’atelier è formato complessivamente da tre stanze. Al pianterreno si trova il lumino- so atelier inondato dalla luce del sole. Sui due tavoli si lavora a diversi progetti, mentre tutto intorno sono a disposizione diversi cavalletti. Ogni artista deve farsi carico di una parte dei costi: un foglio di carta per il cavalletto, ad esempio, costa un franco. Al piano sottostante trova posto un grande tavolo rotondo a cui ci si può sedere tutti insieme. Il piano ancora più in basso è adibito a ripostiglio e stanza computer. Una pila di lavori contiene i quadri del giapponese Massami Ishihara: un vulcano in eruzione. Sebbene dipinga sempre lo stesso motivo, ogni quadro è diverso dal precedente. Abita da circa 20 anni in Svizzera e ha cominciato a dipingere sei anni fa, durante un ricovero ospedaliero. Quando dipinge, Massami «si sente bene e in compagnia». Di fianco si trovano i quadri di Arnold («Noldi») Federle, artigiano vetraio autonomo fino al 1993. Da allora è continuamente in lotta per «funzionare normalMassami Ishihara: quando dipinge si sente bene e in compagnia. 10 DEPRESSIONE diversi individui vengono schizzati, quasi descritti. Oggi si aggira inattivo per l’atelier. Non riesce a concentrarsi, perché lo «tormentano gravi preoccupazioni finanziarie.» Deve consultarsi con il suo curatore e la cosa continua a girargli per la testa. «Se però ha un giorno fortunato», dice Andrea Fetz-Thaler, «dipinge diversi quadri contemporaneamente». Arnold Federle: disegnare, dipingere e ridipingere. Sperimentare a seconda dell'umore. mente». Egli esperimenta volentieri con materiali diversi, disegna, dipinge, distrugge, ridipinge o graffia. A seconda dell’umore. Affinché la vita nell’atelier scorra senza intoppi, cinque giorni alla settimana, dalle 15.00 alle 19.00, sono presenti dei sorveglianti. Lo spettro dei loro compiti è molto ampio, spaziando dal semplice lavoro di pulizia fino alle pubbliche relazioni. Di tanto in tanto è necessario anche appianare una lite, quando per esempio si radunano troppi utenti in una stanza. Nonostante la malattia psichica che lo affligge, Erich fa oramai parte del team di sorveglianza. Anche lui vanta una speciale forma di espressione artistica: a volte si tratta di figure arrotondate; spesso dalle teste fanno capolino moltissimi cerchi e anse. Ogni giorno usufruiscono dell’atelier da 10 a 15 persone. In molti casi si tratta delle stesse persone che continuano a venire da anni. Per esempio André Zehntner, uscito di carreggiata a causa della malattia dopo la formazione professionale e la frequentazione del conservatorio. I suoi quadri ritraggono rapporti interpersonali, talvolta in modo molto espressivo. Con linee spesse i Uno spazio libero fuori dall’istituzione dell’ospedale È stata Karin Mai, nel 1998, a dare vita all’atelier. La ex infermiera psichiatrica aveva già allora fondato un atelier di pittura libero nella Clinica Universitaria Burghölzli. «Der Wolfender Soirler» scrisse allora un paziente sotto un primo quadro creato nella clinica. Questo titolo prestò il nome anche alla raccolta di quadri. L’obiettivo di Mai fu la possibilità di offrire un atelier anche al di fuori dell’istituzione dell’ospedale. Per questo affittò con soldi propri degli spazi nella Rachergasse. Quando un giorno raccontò della raccolta di quadri e l’interlocutore chiese: «Come? Wolf in der Säule?», era già deciso anche il nome dell’atelier. Oggi l’associazione ha quasi 100 membri e si trova al n. 44 della Merkurstrasse. «Per noi è importante che il nostro atelier non venga considerato quale terapia, bensì come laboratorio e spazio libero a disposizione dell’arte», sottolinea Gabi Rosenberg, la presidente. «L’atelier ‘Wolf in der Säule’ offre uno spazio creativo in cui potersi ritirare», le fa eco Andrea Fetz-Thaler, ribadendo il significato dell’atelier. Per questo viene data grande importanza al fatto che gli artisti si rendano indipendenti. Poco tempo fa Pro Mente Sana si è fatta carico dei costi per un corso di informatica. Queste lezioni consentono agli artisti di creare un account di posta elettronica, André Zehntner: dipinge spesso anche diversi quadri contemporaneamente. nonché acquisire informazioni da Internet. Sebbene «Wolf in der Säule» non abbia nulla a che fare con la terapia, l’aiuto reciproco è sempre in primo piano. «Se qualcuno manca per un certo tempo, gli telefoniamo a casa», conferma Andrea Fetz-Thaler. L’atelier integra così in modo perfetto libertà artistica ed espressione della personalità per individui che altrimenti non potrebbero quasi vivere la propria creatività. Anche se in realtà può venire chiunque, molto presto salta all’occhio che qui sono all’opera degli artisti. Diverse mostre, anche all’estero, stanno a testimoniare la qualità dei lavori artistici. Attualmente è già in programma la prossima esposizione presso la Fondazione Züriwerk (2 febbraio – 12 aprile 2007): il materiale non manca certo. AT E L I E R « WO L F I N D E R S Ä U L E » : L’associazione di «Wolf in der Säule» è senza scopo di lucro e non riceve finanziamenti statali. Per questo si cercano sempre nuovi membri e sostenitori. Ulteriori informazioni: Atelier «Wolf in der Säule», telefono: 044 271 78 52, e-mail: [email protected], Internet: wolfindersaeule.ch 11