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«Ho sparato, volevano solo i miei soldi»
Primo Piano l'Adige L’OMICIDIO DI RONZO L’ASSASSINO mercoledì 15 agosto 2007 33 Sequestrata anche una mitraglietta. Questura e Prefettura di Cremona hanno avviato gli accertamenti Denunciato ma aveva ancora le armi È stato lo stesso Claudio Soresinetti, poco dopo essere stato fermato e ammanettato all’Ice Cafè Garda di Mori, ad indicare ai carabinieri dove custodiva la 38 Special con la quale ha ucciso la moglie e ferito il cognato e il figlioletto disabile di appena 6 anni. Un borsone di colore blu, all’interno del quale i militari dell’Arma hanno trovato un piccolo arsenale da guerra. La 38 Special, appunto, una Beretta calibro 9x21 e una 765 modificata, all’apparenza una piccola mitraglietta. «La presenza in auto di quelle armi - affermava ieri il colonnello dei Carabinieri Stefano Lupi - sarà un elemento molto pesante ai fini della prova della premeditazione». Di certo Claudio Soresinetti quelle armi le deteneva legalmente, erano tutte denunciate. Facevano parte del suo vecchio lavoro di guardia giurata. Un lavoro, però, che aveva abbandonato ormai da dieci mesi. E allora perché le aveva ancora con sé? Perché, soprattutto alla luce di una denuncia presentata nella primavera scorsa dalla moglie ora morta per maltrattamenti? Interrogativi sui quali per adesso gli inquirenti roveretani preferiscono sorvolare. Ma la Questura e la Prefettura di Cremona, dove sono stati rilasciati porto d’armi e licenza, ha già avviato una serie di verifiche per appurare se qualcuno ha sottovalutato qualcosa. Le pri- me cose da appurare sono se al momento del cambio di lavoro Soresinetti ha restituito il porto d’armi e se ha comunicato le proprie dimissioni. Se dovesse averlo fatto (ma è ancora tutto da verificare) e se le armi fossero rimaste in suo possesso nonostante una denuncia penale per maltrattamenti, allora qualcuno dalle parti di Cremona probabilmente ha sottovalutato il pericolo. P.L. Le armi sequestrate «Ho sparato, volevano solo i miei soldi» La difesa gioca la carta dell’«infermità di mente» RONZO CHIENIS - La sua vita rischia di essere finita. Nella peggiore o nella migliore delle ipotesi. Tra le mura di una cella di un carcere o in una stanza di una casa di cura qualora dovesse essere dimostrata la sua totale infermità mentale. Perché è proprio su questo aspetto che nelle prossime ore potrebbe puntare giocando molte delle sue carte la difesa di Claudio Soresinetti, il camionista cremonese (guardia giurata sino alla fine dell’anno scorso) protagonista della tragedia di Ronzo Chienis. Nella tarda mattinata di ieri l’omicida di Ronzo ha nominato come legale di fiducia l’avvocato Stefano Trinco di Rovereto, che oggi rientrerà a Rovereto per recarsi in carcere, parlare col proprio assistito e pianificare la propria linea difensiva, non prima, ovviamente, di aver preso visione degli atti ai quali per il momento è consentito l’accesso. Poi domani mattina l’appuntamento davanti al gip di Rovereto Riccardo Dies per la convalida dell’arresto e l’interrogatorio di garanzia, al quale dovrebbe presenziare per conto della Procura il sostituto procuratore Valerio Davico, pubblico ministero di turno sino all’inizio di settembre. Domani è anche il giorno dell’autopsia, che verrà effettuata dalla professoressa Bortolotti e dal professor Franco Taliaro di Verona, ai quali il pubblico ministero ha conferito anche l’incarico per una perizia medicolegale finalizzata ad accertare l’en- tità delle ferite riportate dal figlio (che è fuori pericolo) e dal cognato. Le contestazioni mosse dal titolare del fascicolo, il pm Fabio Biasi, vanno dall’uxoricidio premeditato aggravato dai futili motivi al duplice tentato omicidio, con l’aggravante di averlo commesso a danni di un proprio discendente diretto, il figlioletto di 6 anni. Aggravanti che nel migliore dei casi si potrebbero compensare con le attenuanti generiche qualora la pubblica accusa dovesse riconoscergliele per la collaborazione dimostrata immediatamente dopo il suo arresto, senza mai negare l’evidenza, fornendo tutti i chiarimenti che gli inquirenti volevano avere. Roba da ergastolo, se verrà dimostrata la premeditazione. Tuttalpiù, nel migliore dei casi, da trent’anni di galera, se Soresinetti e il suo legale sceglieranno (com’è possibile se non probabile) il rito abbreviato. Per il momento il legale roveretano non vuole scoprire le proprie carte, ma è verosimile, e lo stesso avvocato lo fa intendere, che una delle prime richieste potrebbe essere proprio quella di una perizia psichiatrica con incidente probatorio, per capire con certezza se Claudio Soresinetti era capace di intendere e di volere. In generale o, e in questo caso sarebbe seminfermità mentale, nel momento in cui ha esploso i quattro colpi che hanno ucciso la moglie Aurelija Paunku e ferito il co- ACCUSA E DIFESA. A sinistra gli esperti della scientifica sul luogo del delitto;qui sopra l’avvocato Stefano Trinco di Rovereto L’avvocato Stefano Trinco oggi incontra l’omicida Domani l’autopsia Soresinetti: «Non ho visto il bimbo, sono distrutto» gnato e il piccolo di sei anni. L’altra notte, assistito dal legale d’ufficio Emanuela Ceschini di Riva, Claudio Soresinetti ha risposto per oltre due ore, sino alle tre e mezza del mattino, alle domande del pubblico ministero Fabio Biasi e degli inquirenti. Ha ammesso di aver sparato, ha detto di non aver visto il bambino in braccio alla mamma e di essere distrutto al pensiero che sia rimasto ferito, ha detto che era stressato dalle loro continue richieste di denaro per la suocera e dai presunti mal- trattamenti da parte del cognatoPreda Viorel. «Quando mi hanno cacciato di casa e minacciato per l’ennesima volta - ha detto il camionista cremonese - ho perso il lume della ragione». Ha fatto fuoco e poi, altra ammissione che risulta a verbale, se n’è andato a bersi una birra a Mori. Durante le due ore di pressing da parte degli inquirenti, nel cuore della notte, non ha mai versato una lacrime, è rimasto freddo e tranquillo, lo sguardo però perso nel vuoto mentre ricostruiva quei dramma- tici momenti fornendo la sua versione dei fatti. Ma ha sempre negato che ci sia stata premeditazione, che sia salito da Cremona per uccidere. Cosa plausibile dopo la giornata trascorsa tranquillamente in compagnia dei suoi cari a fare acquisti a Trento e Rovereto. Anche perché, lui stesso lo avrebbe ammesso come riferiscono gli inquirenti, quel borsone con le armi lo portava sempre con sè. Tutte armi peraltro legalmente denunciate e detenute. P.L. Le sue uniche passioni: gli uccelli in gabbia e le Alfa Romeo di lusso AL PAESE «Qui faceva paura a tutti» Castelleone: «Prendeva a calci la figlia in strada» che - racconta una vicina - dava l’impressione di essere una persona tranquilla. Schiva, ma tutto sommato normale. Poi, in casa, si trasformava. Noi sentivamo tutto: le grida, le scenate e anche gli insulti. Io stessa, una volta, l’ho visto prendere a calci una delle sue figlie intimandole di entrare. di MATTEO BERSELLI CASTELLEONE (CREMONA) - Dicono che amasse le auto e gli uccelli più delle persone. Dicono che in casa (a fianco, l’abitazione sotto sequestro) si sia sempre fatto rispettare a suon di minacce e percosse. E dicono anche che, dopo l’ultima separazione, il suo carattere già burrascoso fosse ulteriormente degenerato. In via Ragazzi del ’99 nel paese del cremonese, l’Alfa 166 nera di Claudio Soresinetti metteva paura solo a vederla. E non certo dall’altro ieri. Sono anni che i vicini assistono alle intemperanze dell’ex guardia giurata e col tempo, soprattutto nelle sere più movimentate, hanno imparato a chiudere le finestre e a farsi gli affari propri. Il giorno dopo l’omicidio della seconda moglie, a Castelleone emerge un ritratto univoco del killer. Nei racconti di chi lo conosce da una vita, le sfumature sono solo accennate. E, sostengono tutti, anche prima dei cinque minuti di follia di lunedì, il giudizio sarebbe stato lo stesso. «Fuori dalle mura domesti- Carabinieri e servizi sociali erano al corrente della situazione, sono intervenuti più volte, ma lui non ha mai cambiato abitudini». Soresinetti non socializzava molto, ma le sue passioni erano note. Le auto (le Alfa: una vera e propria fissazione) e gli uccelli. Nel giardino del- PARLA LA SUA PRIMA MOGLIE «È un violento, con lui anni d’inferno» CASTELLEONE - Il ricordo la fa ancora tremare. A parte le due figlie, entrambe maggiorenni, di quei dieci anni trascorsi insieme, non vuol neanche sentire parlare. Ha buttato tutto: foto, documenti e regali. Sugli scaffali e nei cassetti non è rimasto niente. Ma nel cuore, e nello sguardo, sì: un’immensa paura. Tiziana Trentarossi è la prima moglie di Claudio Soresinetti. L’ha sposato nel 1982, e l’ha lasciato dopo dieci anni di violenze e privazioni. «Il mio matrimonio è stato un incubo. Per tutto il tempo. Subivo minacce a non finire, e durante la separazione il mio ex marito ha anche cercato di buttarmi fuori strada con l’auto». Quando ha saputo del delitto? «Stamattina (ieri): il compagno di mia figlia ha letto il giornale e ha chiamato per avvisarmi». Poi il ricordo dell’incubo: «Mi picchiava, e negli ultimi anni del rapporto esercitava forme di violenza anche peggiori. Io e le bambine non potevamo neanche uscire di casa, eravamo soltanto "sue". I litigi scoppiavano per diversi motivi, ma alla base di tutto c’era sempre la gelosia. Era ossessionato». E con le figlie? «All’epoca erano piccole, ma certo non si faceva tanti scrupoli. Ricordo che se salivano in macchina con in bocca una caramella, era pronto ad alzare le mani. L’auto, per lui, doveva essere linda, immacolata. E se solo qualcuno di noi sbagliava a sporcargliela, diventava una furia». Dopo il divorzio, che rapporto avete mantenuto? «Nessuno. Dopo una fase molto tribolata di insulti e minacce, ci ha esclusi dalla sua vita. Sia me che le figlie: per lui non siamo più esistite». L’ha visto di recente? «No, però camminando per strada vedevo i suoi figli e la sua attuale compagna». E cosa provava? «Per le bimbe tanta tenerezza, anche perchè crescendo assomigliavano sempre di più alle mie; per Aurelija, una profonda tristezza. I suoi occhi, e il suo volto, mi ricordavano il mio di quindici anni fa. E non ho dimenticato cosa significa quello sguardo». la sua abitazione (una bifamiliare dipinta con colori accesi: l’opposto della sua personalità) c’è un’enorme voliera con dentro volatili di tutti i tipi. Era l’assassino a nutrirli. Tutti i giorni e con particolare cura. E quando si assentava, affidava l’incarico a un amico con casa lì di fronte: «I nostri rapporti si limitavano solo a questo - si affretta a chiarire l’uomo -; mi consegnava le chiavi, mi indicava dove trovare il mangime e stop. Adesso, con l’abitazione sotto sequestro, i carabinieri mi hanno autorizzato a scavalcare il cancello e a portargli da mangiare. Non è giusto che muoiano di fame». Ultimamente, le assenze si erano fatte più frequenti perché Soresinetti, dieci mesi fa, dopo aver restituito il distintivo da vigilantes, aveva trovato lavoro come camionista in una ditta di Castelnuovo del Garda. Ogni tanto saliva a Ronzo Chienis per incontrare i figli e per portare soldi alla famiglia (pagava regolarmente anche l’affitto del nuovo alloggio). Chi non incontrava mai erano le figlie nate dal precedente matrimonio. Con loro, aveva tagliato i ponti da tempo.