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«Volevo sparare a lui, non a mia moglie»

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«Volevo sparare a lui, non a mia moglie»
30
Rovereto
venerdì
17 agosto 2007
L’OMICIDIO
DI RONZO
LE INDAGINI
l'Adige
Ieri l’udienza di convalida. Trinco: «È molto confuso, meglio se non risponde»
In silenzio di fronte al giudice
Si è avvalso della facoltà di non
rispondere Claudio Soresinetti,
comparso ieri mattina di fronte al
giudice per l’indagine preliminare Riccardo Dies (assente la collega titolare Dieni). Una scelta certo condivisa e suggerita dal suo legale di fiducia, il penalista Stefano Trinco, che ce ne spiega le motivazioni all’uscita dal carcere:
«L’ho trovato molto confuso, disorientato. Non è certo in queste condizioni che può far chiarezza con
le sue dichiarazioni su quanto accaduto lunedì sera. Per questo abbiamo scelto di non rispondere
all’interrogatorio di garanzia».
Trinco ha già mosso i primi passi nella sua strategia difensiva.
«Partirà subito la richiesta per una
perizia psichiatrica - dice - ma vorrei anche visitare al più presto il
luogo della sparatoria, ci sono
troppe cose da chiarire sulla dinamica dell’episodio, soprattutto
dal punto di vista balistico. Ma pri-
ma dovrò trovare un esperto balistico».
L’udienza di ieri, svoltasi in carcere, è durata mezzora. Trinco,
nominato legale di fiducia martedì, dovrà tornare ad incontrarlo
per costruire assieme al suo assistito una linea difensiva in grado
di respingere la premeditazione
e di avvallare, se possibile, l’ipotesi dell’incapacità, anche momentanea, di intendere e di volere.
D.P.
Stefano Trinco intervistato dopo l’udienza di convalida
(Pivetti)
«Volevo sparare a lui, non a mia moglie»
Le «verità» di Soresinetti
nei verbali di quella notte
RILIEVI. La scientifica al lavoro
a Ronzo. A sinistra Claudio
Soresinetti, 51 anni, arrestato
per l’omicidio della moglie
di DAVIDE PIVETTI
«Quel giorno mi
avevano fatto
spendere mille
euro: pantaloni,
scarpe, il pranzo
al Billa. Mio
cognato prima
mi ha detto che
potevo restare, poi
mi ha allontanato
da casa, ma
l’affitto a Ronzo
lo pago io...»
poi sulla questione economica, racconta agli inquirenti di
quei versamenti periodici
(«cifre sempre dai 200 ai 500
euro») che inviava in Serbia,
ai familiari di Aurelija. Ripete
R7080701
È un fiume in piena Claudio
Soresinetti poche ore dopo
l’omicidio. Ha addosso tutta
l’adrenalina accumulata in
una serata assurda, lui dice
imprevedibile, soprattutto
non premeditata.
Tre ore di interrogatorio
nella caserma dei carabinieri alla presenza degli inquirenti che l’hanno appena arrestato e del suo legale. Risponde alle domande, non
sembra pentito per quanto è
accaduto, ma ripete in continuazione una cosa: «Ce l’avevo con mio cognato, non mi
dispiace per lui, mi dispiace
per mia moglie e il bambino,
a loro non volevo sparare».
Soresinetti insiste a più riprese su questo passaggio. Ricorda di aver sparato a Preda Viorel, precisa di aver voluto sparare soltanto a lui e
dice di non essersi neppure
accorto di aver colpito Aurelija Paunku e il piccolo. Sono
gli inquirenti a dirgli che sua
moglie è morta, che il piccolo è gravissimo all’ospedale.
«Mi dispiace, mi dispiace - ripete lucido e quasi eccitato non volevo colpirli».
Dal lungo interrogatorio
dell’altra notte, concluso solo all’alba, emergono altri dettagli interessanti per completare il quadro di quanto è accaduto a Ronzo e di cosa è
successo nelle ore, nei giorni
precedenti.
Claudio Soresinetti ricorda
bene quella giornata. «Mi sono alzato alle cinque del mattino per venire a Ronzo e passare una giornata con mia moglie - racconta nei verbali - ed
è quello che è successo. Ricordo che siamo andati a
Trento, che abbiamo mangiato al ristorante del "Billa", che
abbiamo fatto acquisti al centro commerciale: un paio di
pantaloni per il bambino, un
paio di scarpe per una delle
gemelline». Soresinetti torna
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L’ACCUSA A MOGLIE E COGNATO
«Non curavano mio figlio»
Tra i motivi di attrito con la moglie Claudio Soresinetti porta, nel suo lungo interrogatorio, diversi esempi. Centrale nella sua ricostruzione la frequente richiesta di denaro, così come la volontà espressa dalla moglie l’anno scorso perché lui cambiasse lavoro, a causa dei turni notturni tipici del mestiere di guardia giurata.
Ma tra le altre cose Soresinetti agli inquirenti ha anche riferito che quel bimbo, così gravemente malato,
a suo modo di vedere non riceveva le cure necessarie:
«Io davo i soldi e loro non lo curavano» si legge nei
verbali dell’interrogatorio. Le condizioni del bimbo,
intanto, sono ulteriormente migliorate, anche se certo non lo attende un futuro sereno.
Le sue sorelline, uscite incolumi dalla sparatoria di
lunedì sera, sono ora ospiti del «Centro per l’infanzia»
di Trento. La procedura per decretarne l’adottabilità
è appena avviata, ci vorranno settimane perché l’iter
sia concluso.
che era lui a pagare l’affitto
dell’appartamento di Ronzo
e di aver anche «versato una
caparra di 1.200 euro per la
casa, anche se poi mia moglie
ha voluto che il contratto fos-
se intestato a suo fratello».
Molte le cifre che gli tornano
in mente, compresa una difficilmente giustificabile e verificabile che riguarda proprio
quel lunedì di shopping: «Quel
«Sono tornato
in casa per riavere
la mia carta
d’identità. Mio
cognato mi aveva
già picchiato e
quando l’ho visto
sull’uscio...
E non volevo
fuggire, stavo
andando a Mori»
Al «Garda» l’ultima
birra in libertà
giorno mi hanno fatto spendere mille euro prima di tornare a casa».
Ed eccolo il momento tragico, che ha deciso la sorte di
Aurelija, che segnerà per sem-
pre il destino di suo figlio, delle gemelline, e anche di chi ha
sparato. «Il giorno prima - racconta l’omicida - mio cognato mi aveva telefonato. Mi disse che potevo venire a Ronzo, che potevo anche restarci. Ma quella sera non è andata così. Mi hanno detto di andar via, che non potevo restare con loro». Quello che è successo dopo è cronaca, ma anche qui emerge dai verbali
qualche dettaglio in più: «Mio
cognato mi aveva già picchiato. Ho sporto una denuncia
contro di lui e la tengo in macchina. Mi aveva colpito con
due pugni una volta che era
venuto a casa a Cremona con
mia moglie a prendere dei vestiti. Io chiesi dove stavano
andando, e lui scese dalla
macchina per tirarmi quei
due pugni in faccia».
Per questo Claudio Soresinetti è sceso in macchina e ha
preso la pistola: «Non solo,
volevo tornare in quella casa
anche per riprendermi la carta d’identità. Era rimasta lì da
una precedente visita e la rivolevo. Ma quando sono tornato alla porta mio cognato
mi ha respinto dicendomi "sei
ancora tu, vattene..."».
Poi la porta si è aperta ed è
successo tutto in un secondo: «Nella stanza c’erano anche mia moglie e il bimbo, ma
non volevo sparare a loro,
non volevo. Ce l’avevo solo
con mio cognato. L’ho visto
con la scopa in mano... Mi
aveva già malmenato».
Soresinetti non ricorda
quanti colpi ha sparato, non
ricorda di aver visto cadere
moglie e figlio. Ma della sua
fuga dà una versione curiosa:
«Non volevo fuggire, volevo
fermarmi a Mori». Agli inquirenti avrebbe spiegato che la
sua intenzione era quella di
costituirsi, che per questo si
sarebbe fermato all’«Ice Café
Garda», un’ultima birra in libertà prima di andare dai carabinieri. Che sono stati più
veloci. Sono andati loro da lui.
Una delle ogive avrebbe anche attraversato il bimbo che aveva in braccio. Nella «38 Special» due proiettili inesplosi
L’autopsia, letale la ferita all’aorta
Due colpi su di lei e due contro il cognato, al torace e all’addome
La sequenza dei colpi sparati e la tempistica della loro esplosione sarà decisiva, in sede giudiziale,
per accertare le responsabilità di Claudio Soresinetti.
Per questo l’autopsia compiuta ieri mattina sul
corpo di Aurelija Paunku risulterà forse decisiva.
Per due ore il professor Tagliaro, anatomopatologo
veronese, assieme alla dottoressa Bortolotti, ha esaminato con grande attenzione il corpo della povera donna serba uccisa lunedì sera.
Non molto è trapelato dall’esame autoptico, eseguito nella sala autopsie dell’ospedale Santa Maria,
con tanto di carabinieri della compagnia roveretana impegnati a presidiare il luogo. Sembra confermato che i colpi sparati ad Aurelija siano due, uno
quello letale che ha reciso l’aorta. La donna è stata
trovata dai soccorritori con le mani strette al cuore, ma la sua è stata un’agonia di pochissimi secondi. L’altro avrebbe colpito la spalla, qualche centimetro più in là. Tutti i proiettili sono entrati ed usci-
ti dal corpo della donna e le relative ogive sono state rinvenute dalla squadra scientifica dei carabinieri nella stanza dove è avvenuta la sparatoria.
Sembra quindi confermato che l’omicida avrebbe colpito il figlio casualmente, perché il bimbo, sei
anni e disabile, era in quel momento in braccio alla madre.
Quattro i colpi sparati in totale. Elemento che sarebbe confermato sia dal fatto che nel tamburo della «38 Special» sono stati rinvenuti altri due proiettili inesplosi (e il tamburo ne contiene sei in totale)
sia dal fatto che Preda Viorel, fratello della vittima
e cognato di Soresinetti, è stato raggiunto dagli altri due: uno al torace, ha perforato il polmone, l’altro più pericoloso all’addome, che avrebbe trapassato milza e intestino.
Gli esiti dell’autopsia di ieri saranno trasferiti nei
prossimi giorni al sostituto procuratore Davico, che
nel frattempo ha già rilasciato il suo "nulla osta" per
la sepoltura della donna.
Aurelija Paunku, la vittima
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