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Edith Stein e la riflessione sull`empatia
Edith Stein e la riflessione sull'empatia L’empatia in Husserl Edith Stein, seguendo il seminario di Husserl del semestre estivo del 1913 sulla natura e lo spirito, rimane colpita dalla tesi di Husserl riguardante il problema della conoscenza oggettiva del mondo esterno. Questi ritiene che tale conoscenza sia conseguibile solo in maniera intersoggettiva, cioè da un numero di individui che si trovano fra loro in uno scambio reciproco di conoscenze. Husserl, rifacendosi al lavoro di Theodor Lipps, chiama empatia (Einfühlung) l’intuizione che ha come oggetto gli altri individui. La ricerca della Stein La Stein, nella sua tesi di laurea, decide perciò di studiare approfonditamente l’atto di empatia. Lo spiega come quell’atto attraverso il quale si coglie un vissuto estraneo in modo non-originario. Per illustrare l’empatia, fa l’esempio seguente: «Un amico viene da me e mi dice di aver perduto un fratello e io mi rendo conto del suo dolore. Che cos’è questo rendersi conto?» (Il problema dell’empatia, pp. 71-72). Nell’esempio l’empatia consiste nel cogliere il dolore dell’amico, come il suo dolore, cioè appunto come un dolore non originario rispetto al proprio vissuto. Gradi dell’empatia L’autrice distingue tre gradi di attuazione dell’empatia: 1) l’emersione del vissuto; 2) la sua esplicitazione riempiente; 3) l’oggettivizzazione comprensiva del vissuto esplicitato. Il primo grado consiste nella lettura di un’espressione emotiva sul volto di qualcuno; il secondo consiste nel dirigersi intenzionale dell’attenzione verso lo stato d’animo dell’altro. L’oggetto del vissuto non è più l’espressione emotiva, quanto piuttosto lo stato d’animo dell’altro, con il quale ci si immedesima. Il terzo grado pone attenzione al dolore dell’altro, colto, a questo livello, come oggetto, come vissuto altrui. Se il secondo grado era un «essere presso» il vissuto altrui, questo grado comporta una riguadagnata distanza, arricchita però dalla consapevolezza conseguita nel grado precedente. Va, in ogni caso, tenuto presente che l’empatia non consiste necessariamente nel raggiungimento del livello più alto ma, anzi, spesso si limita all’attuarsi del livello più basso. Empatia, co-sentire e unipatia Una caratteristica importante del vissuto empatico consiste nel suo non essere originario quanto al contenuto. Il contenuto non sgorga dall’Io che empatizza, ma si origina in un altro. Se l’esperienza empatica è originaria in quanto avviene nel soggetto che la vive, il suo contenuto non è originario perché si origina nell’Io altrui. Si tratta di una specificazione non scontata. Sarebbe, infatti, possibile un sentimento non empatico di gioia in occasione della gioia di un altro: entrambi i vissuti sarebbero allora altrettanto originari. Si immagini, ad esempio, che qualcuno concordi con un amico di compiere un viaggio con lui, dopo che questi abbia superato un esame. Quando egli lo supera, entrambi gli amici gioiscono, e lo fanno per lo stesso motivo, ma non si tratta di empatia, piuttosto di un con-gioire (genericamente cosentire), un vissuto egualmente originario in entrambi i soggetti. I tre gradi dell’empatia sopra riportati consentono di evitare un grave errore e la confusione dell’empatia con l’unipatia. Quanto all’errore, esso è presente nella teoria di Lipps, secondo cui nell’empatia un io si fonde con l’altro. Ma, obietta Stein, la teoria di Lipps dimentica l’esperienza della connessione psicofisica, secondo cui la connessione con il corpo che dico mio non è né casuale, né contingente. L’Io dunque non si unisce a un altro io, ma rimane sempre se stesso. Quanto all’unipatia, in essa l’Io scopre nell’altro lo stesso sentimento che egli sperimenta. La Stein fa l’esempio secondo cui alcuni concittadini gioiscono alla notizia che una fortezza nemica è capitolata. Ciascuno di loro si accorge che anche gli altri provano la stessa gioia. Nell’unipatia si forma, tra l’Io e il Tu, un Noi. È proprio questa forma di unità superiore che manca al co-sentire. Tre considerazioni conclusive La teoria della Stein si comprende meglio alla luce di tre considerazioni. In primo luogo, va detto che trarre delle conclusioni a partire dalla conoscenza empatica dell’altro può condurre all’errore. La Stein sottolinea però che il metodo per accorgersi dell’errore è proprio l’apertura empatica all’altro: attraverso un più profondo atto di empatia è possibile comprendere qualcosa che prima, magari a motivo di un’inconsapevole proiezione sull’altro di attese o preconcetti, era sfuggito. In secondo luogo, l’empatia non implica necessariamente l’insorgere originario nel soggetto di sentimenti corrispondenti a quelli empatizzati. L’empatia non va cioè confusa col contagio emotivo. Il soggetto che empatizza può non rispondere al messaggio emotivo che riceve, ma ciò non toglie che comprenda pienamente lo stato emotivo comunicato dall’altro. Infine, l’empatia non avviene necessariamente a prescindere dalla comunicazione verbale; al contrario, dice la Stein, è difficile che dalla sola osservazione dell’atteggiamento corporeo sia possibile comprendere l’emozione che l’ha diretto. Il pensiero plurale, vol. IV, pp. 424-5