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Fenomenologia, metafisica e religione. La lezione di Edith

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Fenomenologia, metafisica e religione. La lezione di Edith
Fenomenologia, metafisica e religione. La lezione di Edith Stein.
Religione e filosofia
Storicamente, la religione è nata prima della filosofia. Ma ben presto, sullo stesso terreno
della religione, è sorta la filosofia, anche come esigenza irrinunciabile di riflettere sulla verità delle
credenze e della prassi religiose. In questo senso non c’è dubbio che la filosofia abbia reso preziosi
servizi alla religione, mettendola in guardia dal rischio di derive irrazionali e di comportamenti
aberranti. Allo stesso tempo, la religione ha dovuto spesso tutelarsi dall’insidia di sopraffazioni
filosofiche, più precisamente razionalistiche, come è accaduto nei primi secoli del Cristianesimo
con lo gnosticismo (peraltro mai estinto) e soprattutto nell’epoca moderna con le variegate forme di
razionalismo. Emblematici tentativi di espropriazione razionalistica della religione sono il deismo
illuminista, con la sua critica spietata delle religioni storiche, qualificate come impostura, o il
positivismo scientista comtiano e i suoi epigoni. Ancor più pervasivo è l’idealismo hegeliano, che
“salva” la verità della religione all’interno del processo di sviluppo dialettico dello spirito, come il
momento della rappresentazione simbolica destinato a inverarsi in modo pieno e definitivo nel
sapere assoluto dell’autocoscienza filosofica. Una religione che nella vulgata storicista di
derivazione hegeliana risulta “vera” più che altro come reperto storico, come pezzo di museo, non
privo di interesse, ma inattuale, superato, inutile, tranne forse per gli ingenui e gli ignoranti.
Più recentemente, nella cornice del disincanto scettico postmoderno, per il quale le pretese
fondazionaliste della metafisica sarebbero definitivamente crollate sotto i colpi delle ben note
“decostruzioni” alla Heidegger o alla Derrida, la religione sarebbe solo una parte della grande
ermeneutica con cui l’uomo tenta di dare significato alla propria vita e alle relazioni con gli altri.
Per Rorty è un bene che la religione sia stata definitivamente allontanata, grazie alla scienza,
dall’arena epistemica e dalla scena pubblica, perché solo così può svolgere una funzione di
equilibrio psicologico nella solitudine di ciascuno, dove «credere che qualcosa esista realmente e il
credere che non esista non entrano in conflitto»1. Nonostante che il revival religioso dei due ultimi
decenni abbia già fatto avanzare a qualcuno l’ipotesi di una eclissi della secolarizzazione, anche per
l’innegabile incidenza del fattore religioso nelle dinamiche sociali, economiche e politiche, vi è
ragione di ritenere che l’attuale contesto socio-culturale sia disposto ad accogliere solo quella forma
di religione o di religiosità che accetti di spogliarsi delle cosiddette “rigide impalcature dogmatiche”
e di divorziare da qualunque filosofia con pretese metafisiche. Una religione che si proponga come
1
R. RORTY-G. VATTIMO, Il futuro della religione. Solidarietà, carità, ironia (a cura di S. ZABALA), Garzanti, Milano
2005, p. 45.
elemento consolatorio, fonte di buoni sentimenti, di comprensione, di solidarietà e di pacificazione
sociale. In fin dei conti, una religione che non opprima con ortodossie od ortoprassi, ma che
soddisfi, sia pure in modo illusorio, vari bisogni psicologici (di senso, di sicurezza, di legami
umani, ecc.) e che possa offrire un tocco di mistero in un’esistenza tendenzialmente piatta e banale.
Vengono in mente, di fronte a questa abdicazione scettica dalla questione della verità della
religione, le parole con cui Agostino contesta l’opinione di Varrone, secondo cui è opportuno
lasciare che i cittadini siano ingannati in fatto di religione: «Bella religione questa, a cui il debole si
rivolgerebbe per esser liberato e mentre cercherebbe la verità che lo liberi, dovesse credere che gli
conviene essere ingannato»2. Una religione ridotta a sentimento e illusione è un surrogato che non
soddisfa nessuno, e uno dei compiti odierni della filosofia della religione è certamente quello di
offrire al credente un robusto impianto epistemologico e metafisico per non scivolare verso
posizioni eclettiche o relativiste. È necessario però che la filosofia ritrovi la fiducia nella capacità
della ragione umana di conoscere la verità, e in questo senso mi sembra interessante riproporre la
lezione di vita e di pensiero di Edith Stein. È in continuo aumento la letteratura sulla fenomenologa
ebrea allieva di Husserl divenuta poi cattolica e carmelitana, che offrì la vita per il suo popolo
condividendone l’olocausto ad Auschwitz. In questa sede mi limito solo a tratteggiare alcuni aspetti
della sua avventura esistenziale e teoretica che ritengo importanti per la filosofia della religione3.
La vicenda della sua conversione è una chiara smentita esistenziale della tesi che riduce la
religione a sentimento. Come la stragrande maggioranza dei convertiti, da Giustino ad Agostino, a
Newman, a Maritain, anche la Stein approda alla conversione al termine di un percorso in cui la
ricerca della verità gioca un ruolo decisivo. Attorno ai quindici anni una crisi spirituale la rende
religiosamente agnostica, ma la giovane Edith si riprende ben presto sul piano intellettuale con una
grande sete di conoscenza e di verità. Una tappa decisiva del suo percorso intellettuale fu la lettura
delle husserliane Logische Untersuchungen, che risultò per la studentessa dell’Università di
Breslavia, delusa dallo scarso rigore speculativo della psicologia sperimentale, una sorta di colpo di
fulmine filosofico. Trasferitasi a Gottinga per seguire le lezioni di Husserl, fu subito conquistata dal
suo stile filosofico che, soprattutto in quegli anni e a prescindere dal dibattito sulla successiva
ripresa del trascendentale kantiano, si centrava su una rinnovata attenzione all’intelligibilità delle
2
Città di Dio, IV, 27.
Non si trovano, nella pur ampia produzione steiniana, lavori specifici sulla filosofia della religione, anche se non resta
che rammaricarsi che appartenga al novero delle dottrine non scritte una lunga conversazione tra il fondatore della
fenomenologia e i due giovani allievi che stavano passandosi il testimone dell’assistentato, e i cui percorsi esistenziali e
filosofici stavano per divergere in modo radicale: «In serata sono andata da Husserl, per parlargli del Suo lavoro, ma
sulla soglia ho incontrato il piccolo Heidegger, e così tutti e tre abbiamo fatto una passeggiata — tra l’altro molto
deliziosa — discutendo di problemi filosofico-religiosi, che si è protratta fino alle 23,45» (Lettere a Roman Ingarden,
(1917-1938), LEV, Città del Vaticano 2001, p. 100 (lettera dell’8 giugno 1918).
3
2
“cose stesse”, da cui occorre lasciarsi istruire, e su un’apertura alla realtà libera dagli sbarramenti
dei tanti a priori imposti dalle filosofie post-cartesiane sul cammino della conoscenza.
«È merito storico delle Ricerche logiche di Husserl... di aver elaborato l'idea della verità
assoluta e della conoscenza oggettiva, ad essa corrispondente, in tutta la sua purezza, e di
aver regolato i conti fino in fondo con tutti i relativismi della filosofia moderna, con il
naturalismo, con lo psicologismo e con lo storicismo. Lo spirito trova la verità non la
produce»4.
Si avverte in queste parole la profonda riconoscenza della Stein per il suo primo maestro,
analoga a quella espressa da Hans Jonas, che ascoltò le lezioni di Husserl a Friburgo nel 1921:
«riconosco con gratitudine che la fenomenologia è stata una straordinaria scuola di artigianato
filosofico. Il rispetto per i fenomeni, l’esercizio dell’intuizione, il culto rigoroso della loro
descrizione offrono un criterio superiore al cui appagamento ciascuno di noi aspira»5.
Fenomenologia e religione
La fenomenologia husserliana, insieme ad altre correnti di pensiero, tra cui la riflessione
diltheyiana sulle scienze dello spirito e le filosofie vitaliste, ha certamente contribuito a superare il
positivismo che nella seconda metà del XIX secolo condizionava fortemente la scienza delle
religioni, imponendo una sorta di dogma evoluzionistico che vedeva nello sviluppo storico della
religione una successione di stadi sempre più perfetti di emancipazione della ragione dal mito.
Senza alcuna pretesa di stabilire immediate dipendenze (Van der Leeuw tuttavia non esita a
riconoscere il proprio debito nei confronti di Husserl) occorre riscontrare che a cavallo tra
l’Ottocento e il Novecento l’approccio fenomenologico consentì alle scienze della religione un netto
progresso speculativo, che consisteva nel porsi di fronte al fenomeno religioso, non solo senza
pregiudizi, ma anche con un intento metodico di comprensione empatica, ben diverso dai
procedimenti di semplice descrizione e catalogazione adottati fino a quel momento dalla storia
comparata delle religioni: di qui il fiorire di studi e discussioni che miravano a definire l’essenza
della religione e a indagare i temi del sacro.
La fenomenologia fu per la Stein una scuola di comprensione del mondo, come ebbe a
scrivere nell’Introduzione alla filosofia, dove s’impara a passare dall’atteggiamento naturale
dell’uomo “comune”, che si muove con indifferenza superficiale in mezzo alle cose senza scoprirne
4
Che cos’è la fenomenologia, in La ricerca della verità. Dalla fenomenologia alla filosofia cristiana, a cura di A. Ales
Bello, Città Nuova, Roma 1993, p. 58.
5
La filosofia alle soglie del Duemila, una diagnosi e una prognosi, Il Melangolo, Genova 1994, p. 31. «Quando nel
1921, diciottenne, iniziai i miei studi di filosofia a Friburgo, la facoltà era dominata dalla figura di Edmund Husserl, alle
soglie della vecchiaia. La “fenomenologia” da lui predicata con tanta passione era un programma di autoriflessione
della coscienza intesa come il palcoscenico del mondo in cui si manifesta tutto ciò che può essere in generale oggetto di
pensiero. Una fenomenologia “pura” della coscienza “pura” doveva diventare la scienza fondamentale della filosofia»
(Ibidem, pp. 29-30).
3
la ricchezza noetica, a quell’attenzione teoretica che approfondisce e vaglia tutta la gamma dei
vissuti, riverbero delle cose nella variegata esperienza umana, fino a cogliere l’eidos, l’idea,
l’essenza, il verum. Una scuola di apertura a tutta la realtà: la natura inanimata, gli animali, le
piante, la persona in tutta la sua integrità, la storia, la società. Una scuola di onestà intellettuale (il
motto di Edith diventerà l’esortazione di san Paolo: esaminate tutto, tenete ciò che è buono6) che
difende il rigore della filosofia in opposizione ai suoi detrattori positivisti. Il rispetto del fenomeno
implica non solo un’approssimazione all’oggetto che si sforzi di superare punti di vista superficiali
e preconcetti, ma anche la ricerca di un’intelligenza del contenuto noetico, un intus legere che possa
condurre a una autentica comprensione. Come testimonia la sua autobiografia, fu proprio questo
atteggiamento intellettuale applicato al “fenomeno religioso” che consentì alla Stein di registrare e
vagliare tante manifestazioni della peculiare irruzione della dimensione trascendente nella psiche e
nella vita: il foglietto con una preghiera nella tasca di un soldato ucciso, la silenziosa testimonianza
di un’orazione vissuta come dialogo personale, la forza misteriosa con cui una giovane moglie
riusciva a sopportare la morte del marito in guerra. Ascoltando poi le lezioni di Scheler, la Stein si
rese conto che in virtù dell’impostazione fenomenologica non poteva trascurare di dare risposta alle
manifestazioni della vita di fede.
«Ciò non mi condusse ancora alla fede, tuttavia mi dischiuse un campo di “fenomeni”
dinanzi ai quali non potevo più essere cieca. Non per niente ci veniva continuamente
raccomandato di considerare ogni cosa con occhio libero da pregiudizi, di gettare via
qualsiasi tipo di “paraocchi”. I limiti dei pregiudizi razionalistici, nei quali ero cresciuta
senza saperlo, caddero, e il mondo della fede comparve improvvisamente dinanzi a me»7.
Senza escludere la dimensione dell’interiorità affettiva ed emotiva, mi sembra che la
dimensione veritativa fu costantemente in primo piano nella vita religiosa della Stein, anche e
soprattutto dopo la sua conversione, che come è noto ricevette il “colpo di grazia” attraverso
l’autobiografia di santa Teresa d’Avila, che lesse tutta d’un fiato, in una notte, e che la condusse a
concludere con la convinta asserzione: «Questa è la verità»8. Negli anni successivi la Stein avvertì
profondamente il bisogno di nutrire la pratica religiosa con una solida formazione teologica, che
includeva anche un’attenta verifica del mondo filosofico a cui era appartenuta fino a quel momento
e a cui restò sempre legata, seppure con una nuova e personale impostazione. Questo travaglio
speculativo è ampiamente documentato nell’epistolario a Roman Ingarden, dove sono registrate ad
esempio le “fatiche” della traduzione delle tommasiane Quaestiones disputatae de veritate, che
implicò per la Stein un notevole sforzo filologico e al contempo un fruttuoso ripensamento
6
1 Ts 5,21.
Storia di una famiglia ebrea, Città Nuova. Roma 1992, p. 238.
8
Cfr. J. BOUFLET, Edith Stein. Filosofa crocifissa, Paoline, Milano 1998, p. 28.
7
4
filosofico della fenomenologia, e la grande sintonia concettuale avvertita nella traduzione,
certamente più agevole, di alcuni scritti di Newman. Assai eloquente è anche il modo in cui la Stein
corresse un commento di Ingarden che denigrava con una certa sufficienza l’apparato dogmatico
del cristianesimo:
«Come è possibile che un uomo con una formazione scientifica, che rivendica l’oggettività
rigorosa e che senza un esame approfondito non emetterebbe un giudizio in merito alla più
insignificante questione filosofica, possa sbarazzarsi del problema più importante di tutti
con una frase che ricorda lo stile di un qualsiasi periodico di bassa levatura?»9.
Fenomenologia e metafisica
L’analisi dell’esperienza religiosa conduce inevitabilmente a interrogarsi sulla natura del
sacro e della divinità, sulla sua trascendenza, personalità, bontà, ecc. Se la religione tende, come
dice Scheler, all’assoluto come salvezza mentre la filosofia vi tende come fondamento e causa, la
filosofia della religione non può eludere la domanda sulla natura di fondamento di quell’assoluto da
cui la religione attende la salvezza. Pertanto la riflessione filosofica sulla religione non può
arrestarsi al momento meramente fenomenologico ma deve oltrepassarlo verso il momento
ermeneutico e metafisico.
Edith Stein, per la quale la filosofia è “scienza rigorosa”, intende certamente la
fenomenologia come via per giungere all’intuizione dell’essenza e quindi alla comprensione,
seppure sempre incompleta e sempre perfettibile, del contenuto noetico della realtà. D’altra parte, il
passaggio dalle giovanili ricerche fenomenologiche alla grande ontologia della maturità, e l’essersi
cimentata in un attento confronto tra l’impianto concettuale della filosofia della coscienza e quello
del pensiero metafisico classico, dimostrano, al di là di un giudizio sui risultati raggiunti, che la
Stein avvertì chiaramente i limiti di una filosofia priva di tensione metafisica. Ella lo asserisce anzi
esplicitamente, sia pure in un ambito diverso da quello che stiamo trattando, quando scrive che non
si possono separare pedagogia e metafisica, perché una particolare concezione pedagogica dipende
dall’antropologia che vi è sottesa10.
L’epistolario a Ingarden registra con frequenza le reazioni e le considerazioni della Stein
riguardo al problema della svolta idealista di Husserl. Dilucidare l’alternativa tra realismo e
idealismo risulta per la Stein una questione cruciale, a un tempo gnoseologica e metafisica, che si
configura in modo estremamente complesso proprio all’interno dell’impostazione fenomenologica
husserliana, dove l’assunzione dell’epoché come sospensione del giudizio di esistenza o di realtà
rende problematico il rapporto tra mondo, fenomeno e coscienza. Nell’Introduzione alla filosofia
9
Lettere a Roman Ingarden, cit., p. 206. La lettera dell’8 novembre 1927 (pp. 257-259) è particolarmente interessante
per i risvolti intellettuali dell’itinerario di conversione della Stein.
10
Cfr. La struttura della persona umana, Città Nuova, Roma 2000, pp. 38-ss.
5
ella dichiara esplicitamente di non essere pervenuta a risolvere la questione metafisica sottesa al
problema del rapporto tra essere reale ed esperienza, pur affrettandosi a precisare che non ritiene
definitivo tale non liquet11. Non è questa la sede per vagliare le tesi della Stein: quel che m’interessa
sottolineare è che in tutti i suoi scritti si ritrovano segni abbondanti di una decisa impostazione
realista del filosofare, dal primato dell’evidenza come criterio veritativo alla funzione fontale della
conoscenza sensibile. È sufficiente a tale proposito ricordare quanto scrive nell’autobiografia a
proposito delle perplessità suscitate nel circolo fenomenologico dalla pubblicazione del primo
volume delle Idee per una fenomenologia pura:
«Tutti avevano in mente la stessa domanda. Le Ricerche logiche avevano suscitato
scalpore, soprattutto perché apparivano come un distacco radicale dell’idealismo critico di
impronta kantiana e neokantiana. Vi si rintracciò una “nuova Scolastica”, poiché lo
sguardo si distoglieva dal soggetto per rivolgersi alle cose: la conoscenza apparve di nuovo
un accogliere che riceve la sua legge dalle cose stesse, non – come nel Criticismo – un
determinare che costringeva le cose ad accettare la sua legge. Tutti i giovani fenomenologi
erano realisti convinti. Tuttavia, dalle Idee sembrava che per certi aspetti il maestro volesse
tornare all’Idealismo. La spiegazione che ci diede a voce non bastò a cancellare i dubbi.
Era l’inizio di quella evoluzione che condusse sempre di più Husserl a vedere in ciò che
egli stesso chiamava “Idealismo trascendentale” (che non corrisponde all’Idealismo
trascendentale delle scuole kantiane), l’autentico nocciolo della sua filosofia e ad
impiegare tutte le sue energie per la sua fondazione: una strada, questa, su cui i suoi vecchi
allievi di Gottinga, con loro e con suo rincrescimento, non poterono seguirlo»12.
Non c’è dubbio a mio avviso che l’esperienza religiosa della Stein giochi un ruolo
importante di fronte all’alternativa teoretica realismo-idealismo. Non poteva certamente sfuggirle
che una ripresa dell’impostazione kantiana implicava la chiusura in un immanentismo gnoseologico
e metafisico che finiva per alienare all’uomo la trascendenza, con la conseguente ripercussione
agnostica nell’ambito della religione, con un evanescente Dio noumenico semplice postulato della
ragion pratica. In non poche occasioni la Stein manifesta la convinzione che nell’assunzione di una
configurazione filosofica realista o di una idealista influisca un’opzione anteriore. Già nel 1924
scriveva:
«L'idealismo è, secondo la mia convinzione, una concezione fondamentalmente personale
e metafisica, non il risultato di ricerche fenomenologiche inconfutabili»13.
E in una lettera del 1927 a Roman Ingarden osserva:
11
Introduzione alla filosofia, Città Nuova, Roma 1998, p. 114. Nella pagine successive leggiamo espressioni di chiara
indole realista: «In ogni conoscenza ci si apre qualcosa», «ogni presa d’atto è presa d’atto di qualcosa, di una
oggettualità; ognuna si dirige su un oggetto e lo considera dotato di un determinato patrimonio di senso. Essa lo
considera come ente e nello stesso tempo come ente fatto in un certo modo» (p. 118-119).
12
Storia di una famiglia ebrea, cit., p. 228.
13
Che cos’è la fenomenologia, in La ricerca della verità. Dalla fenomenologia alla filosofia cristiana, a cura di A. Ales
Bello, Città Nuova, Roma 1993, p. 60.
6
«Non credo che i problemi riguardanti la costituzione (che certamente non sottovaluto)
debbano o possano condurre all’idealismo. Non mi sembra che tale questione si possa
decidere una volta intrapresa una direzione filosofica, ma è già stabilita quando si inizia a
filosofare. E poiché in ultima analisi vi partecipa un’attitudine personale, è chiaro che per
Husserl questo punto sia per lui indiscutibile»14.
Ancor più rilevante è un’osservazione della Stein che appare nel suo contributo per il
Festschrift husserliano, pubblicato nel 1929, dedicato al confronto tra Husserl e san Tommaso. La
differenza più profonda che a parere della Stein distingue le due filosofie, pur affini per molti
aspetti, è l’orientamento egocentrico della fenomenologia husserliana, soprattutto dopo quella che si
può chiamare la svolta trascendentale, che finisce per
«porre il soggetto come punto di partenza e mezzo della ricerca filosofica. Tutto il resto è
riferito al soggetto. Il mondo, che esso costruisce nei suoi atti, rimane sempre un mondo
per il soggetto. Per questa strada non può uscire dall’immanenza»15.
In questo testo steiniano ho trovato una notevole sintonia con le tesi che Carlos Cardona ha
esposto nel saggio Metafisica dell’opzione intellettuale16. Condividendo l’interpretazione fabriana
del cogito cartesiano come punto di partenza della deriva immanentistica assunta in tanti sistemi
filosofici moderni, Cardona attesta che nell’affermazione teoretica dell’assolutezza del soggetto
gioca un ruolo decisivo l’orientamento della volontà: il cogito non è l’inizio assoluto, esso è
preceduto da un volo, e più precisamente da una volontà di potere. In altri termini si può dire che
Cardona scorge nell’“egocentrismo teoretico” – per riprendere l’espressione steiniana – il riflesso di
un amore “egolatrico”, che vuole fare dell’io l’arbitro del bene e del male: un’aspirazione
all’autonomia morale, una volontà di potere. Ricordando il celebre verso dantesco “amor che nella
mente mi ragiona”17, Cardona afferma che solo con un buon amore si avvia un buon sapere. La
ricerca filosofica della verità ha profonde radici esistenziali e morali, perché il «cuore non è mai
estraneo alla verità»18.
Se ciò è vero per qualunque ambito di indagine filosofica, lo è particolarmente per le
questioni religiose. La riflessione filosofica su problemi come l’esistenza di Dio, la spiritualità e
immortalità dell’anima, il destino ultimo dell’uomo, implica un profondo coinvolgimento
esistenziale. Affiora qua e là, anche nelle opere della Stein, l’affermazione che nella ricerca
filosofica della verità gioca un ruolo importante il nucleo più intimo della personalità. Cornelio
Fabro ha fatto rilevare che la Stein già a partire dalla tesi dottorale Sul problema dell’empatia
14
Lettere a Roman Ingarden (1917-1938), cit., p. 253.
La fenomenologia di Husserl e la filosofia di san Tommaso d’Aquino: tentativo di confronto, in La ricerca della
verità, a cura di A. ALES BELLO, Città Nuova, Roma 1993, p. 75.
16
Metafísica de la opción intelectual, 1969; 2ª ed. corregida y ampliada, Rialp, Madrid 1973 (traduzione italiana:
Metafisica dell’opzione intellettuale, a cura di M. Porta, EDUSC, Roma 2003).
17
Convivio, Trattato III, Canzone II.
18
Metafisica dell’opzione intellettuale, cit., p. 88. Cfr. Etica del lavoro educativo, Ares, Milano 1991, pp. 11-12.
15
7
accenna al ruolo della libertà nella ricerca filosofica, con una acuta osservazione di carattere
gnoseologico, sulla dimensione di “credenza” che accompagna l’atto dell’intelletto nell’apertura
alla realtà, e di carattere psicologico, sul ruolo della volontà nella formazione del nucleo della
personalità19. Nelle ricerche fenomenologiche sulla causalità psichica ebbe modo di approfondire
ulteriormente il tema della libertà. Ad esempio nella Struttura ontica della persona si trova una
raffinata analisi del ruolo della libertà umana nella tensione fra natura e grazia. In questo saggio,
giudicato dallo stesso Fabro “un gioiello di riflessione teologica”, oltre a mettere in rilievo che la
fede non è un atto puramente teoretico, la Stein dichiara esplicitamente che «nell’atto religioso
fondamentale la conoscenza, l’amore e l’azione sono uniti»20.
Fede e ragione
Un ultimo aspetto dell’opera filosofica della Stein che merita di essere messo in evidenza
nella prospettiva della filosofia della religione è la sua peculiare concezione del rapporto tra la
Rivelazione e la filosofia. Come è noto, Edith Stein è citata nel n. 74 dell’enciclica Fides et ratio tra
i pensatori moderni occidentali che hanno saputo filosofare in armonia con la parola di Dio, e che
possono costituire un punto di riferimento per raccogliere la sfida “di saper compiere il passaggio,
tanto necessario quanto urgente, dal fenomeno al fondamento” (n. 83). L’esperienza maturata in un
universo filosofico tendenzialmente agnostico, e che comunque teneva del tutto separate la fede e la
ragione21, servì alla Stein per comprendere in modo originale l’esigenza di riaprire il dialogo tra la
filosofia e la Rivelazione, e di istituire una circolarità tra la fede e la ragione che prefigura la
posizione della Fides et ratio.
Lo studio di san Tommaso risultò decisivo per convincerla che la Rivelazione
soprannaturale non sopprime il piano della razionalità filosofica come via autonoma e affidabile di
ricerca della verità. Ritrovando nella speculazione tommasiana diverse affinità con il pensiero di
Husserl (la fiducia nella ragione, il carattere rigoroso del sapere filosofico) ella scoprì che per la
19
«In fondo allora l’accettazione o il rifiuto di una “presa di posizione” (Stellungnahme) sul reale si richiama ad un
“atto libero” (ein freier Akt) ch’è il “proposito” (Vorsatz) e perciò dipende dalla volontà e dall’atteggiamento etico del
soggetto (pp. 49-ss). Lo spazio per la “scelta” della fede sembra quindi ammesso e giustificato. Questo è confermato
dall’affermazione categorica che il “nucleo della personalità” (Persönlichkeitskern) non è il risultato dello sviluppo, ma
viceversa esso prescrive il “corso dello sviluppo” e dipende soprattutto dalla volontà (I, p. 84). Osservazione profonda
che rivendica alla sfera della libertà – contro il principio dell’immanentismo moderno – la distinzione della sfera noetica
e la responsabilità nella formazione della persona» (Linee dell'attività filosofico-teologica della Beata Edith Stein,
«Aquinas» My-Ag 89, 32(2), p. 197).
20
La struttura ontica della persona e la problematica della sua conoscenza, in Natura, persona, mistica. Per una
ricerca cristiana della verità, a cura di Angela Ales Bello, Città Nuova, Roma 1997, p. 108.
21
«Il filosofo moderno, già rispetto alla filosofia della religione, insiste assolutamente sul fatto che essa, come materia
della ragione, non ha niente a che fare con la fede» (La fenomenologia di Husserl e la filosofia di san Tommaso
d’Aquino: tentativo di confronto, cit., p. 66).
8
Scolastica la Rivelazione viene incontro alla ragione che cerca seriamente e spassionatamente una
verità che sempre la eccede.
«La verità nella sua totalità esiste, c’è una conoscenza che la comprende interamente, che
non consiste in un processo senza fine, ma in una pienezza che rimane uguale a se stessa
all’infinito; questa è la conoscenza divina»22.
Non vi sono ragioni, secondo la Stein, per tenere lontana la luce della fede dal lavoro
filosofico. Una buona filosofia è in grado di accogliere tale luce senza smarrire la propria formalità
aletica e di compiere un autentico progresso filosofico grazie al dato che la Rivelazione le offre.
Forse talvolta la terminologia che utilizza la Stein non è estremamente accurata (ciò che lei stessa
riconosce in più di una occasione) e ha subìto qualche oscillazione semantica per l’evoluzione del
suo pensiero. Ad esempio, la distinzione tra ragione naturale e ragione soprannaturale, come pure
quella di una dipendenza materiale e formale della filosofia dalla fede, richiedono ulteriori
approfondimenti. Tuttavia il grande merito della Stein è proprio quello di mantenere la verità della
fede nell’ambito della razionalità. All’interno di un’epistemologia fondamentalmente realista, che
fonda la verità sull’essere, la Stein riafferma la convinzione che le verità della Rivelazione
appartengono all’essere, e quindi alla sfera dell’intelligibilità. Si tratta di un’intelligibilità che
eccede le capacità della ragione naturale, ma che preserva la fede dall’essere un salto nell’assurdo.
Ricorre con frequenza l’idea della Rivelazione come ausilio e completamento di una ricerca
filosofica che congiunge rigore e apertura: il rigore per non assumere nel ragionamento filosofico la
formalità aletica della verità rivelata, l’apertura per attingere dalla Rivelazione contenuti noetici, per
esempio la nozione di peccato originale, che possono indicare alla ragione nuove via di ricerca.
Come ha opportunamente suggerito Mario Filippa a conclusione di un pregevole studio sul
problema della filosofia cristiana in E. Stein, le verità della fede si rapportano alla sua indagine
filosofica secondo una variegata modalità di intervento che si può riassumere in quattro funzioni:
stimolo, criterio, excursus e complemento23.
A buon diritto quindi la Stein è stata annoverata tra quei pensatori che hanno saputo
distinguere senza separare e unire senza confondere la fede e la ragione, evitando che si
impoveriscano e divengano «deboli l’una di fronte all’altra»24. Ben diversamente dalla sdegnosa
esclusione heideggeriana della fede dall’ambito della filosofia, la Stein richiama l’esempio di san
Tommaso, il quale
«non riteneva assolutamente la fede come qualche cosa di irrazionale, cioè come qualche
cosa che non avrebbe nulla a che fare con la verità e la falsità. Al contrario essa è una via
22
Ibidem, p. 65.
M. FILIPPA, Edith Stein e il problema della filosofia cristiana, Edusc, Roma 2001, p. 236.
24
Fides et ratio, 48.
23
9
verso la verità e precisamente in primo luogo una via per la verità, che altrimenti ci sarebbe
preclusa»25.
Marco Porta
Roma 2006
25
La fenomenologia di Husserl e la filosofia di san Tommaso d’Aquino: tentativo di confronto, cit., p. 67.
10
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