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CAPITOLO SEDICESIMO LA MONARCHIA ASSOLUTA (O
CAPITOLO SEDICESIMO LA MONARCHIA ASSOLUTA (O DOMINATO) ED IL PERIODO GIUSTINIANEO (270 d.C.-568 d.C.) Sommario: 1. Dal Principato alla monarchia assoluta. - 2. Le diverse fasi della monarchia assoluta (Dominato). - 3. Diocleziano (285-305 d.C.). - 4. Costantino (312-323 e 324-337 d.C.). - 5. La fine dell’Impero romano. - 6. I fermenti culturali tra Occidente e Oriente. Il cristianesimo ellenizzato. - 7. I rapporti tra Chiesa e Stato. - 8. Il generale Stilicone e l’invasione dei «barbari». - 9. Romanità e mondo germanico. - 10. Giustiniano. 1. DAL PRINCIPATO ALLA MONARCHIA ASSOLUTA A) La fine dell’anarchia militare Con la fine della dinastia dei Severi, ebbe inizio un’epoca di anarchia, durante la quale gli imperatori investiti dall’esercito si susseguirono ad un ritmo frenetico. Per ritrovare un certo ordine dovettero trascorrere circa cinquanta anni: nel 270 d.C. le truppe elevarono al comando il capo della cavalleria Lucio Domizio Aureliano, e i suoi cinque anni di potere possono essere definiti di «restaurazione dell’ordine imperiale» (GUARINO). Dopo mezzo secolo di disordini si tentò di restaurare l’Impero (vedi cap. 14, par. 6, lett. D) nel segno della concordia; durante tale fase i principi: — si ispirarono ad una concezione democratico-militare del comando; — seguirono una politica di agevolazioni sociali per gli humiliores; — si considerarono i restitutores (restauratori) dell’unità dello Stato; — costituirono due distinte gerarchie fra loro indipendenti, quella civile e quella militare, entrambe facenti capo ad un unico vertice, l’Imperatore; — ridimensionarono le autonomie provinciali. B) Le cause della crisi del Principato Il regime che caratterizzò il III sec. d.C. fino all’ascesa di Diocleziano (285) fu profondamente diverso dal Principato classico. Le trasformazioni, già visibili verso la fine della dinastia dei Severi, si attuarono completamente nel periodo successivo, nel quale le istituzioni repubblicane scomparvero del tutto (anche dal punto di vista formale), per far posto ad un Impero dai tratti assolutistici. I motivi di questa evoluzione furono molteplici: — la prima causa è nella struttura stessa del Principato: la situazione di compromesso tra prìncipi ed organi repubblicani, inaugurata da Augusto e dai 142 Capitolo Sedicesimo suoi successori, era destinata a non durare all’infinito. La burocrazia imperiale, infatti, effettiva detentrice del potere politico e militare, andava inevitabilmente a sovrapporsi agli organismi costituzionali e in particolare al Senatus, nel quale sopravvivevano gli ultimi resti della Repubblica. Il Senato vide progressivamente compressa la sua autonomia, esercitando le sue funzioni per lo più in binari precostituiti dal princeps (ad esempio, votando le leggi volute dal princeps), e comunque in modo sempre più sporadico, fino a scomparire definitivamente. Anche alcune magistrature sopravvissero (il consolato, la pretura), ma ebbero, per lo più, un contenuto meramente simbolico: il consolato, infatti, era ambito solo perché il console continuava a dare il nome all’anno in corso, mentre i pretori si ridussero principalmente ad organizzare i pubblici spettacoli. Sulla scena politica rimase solo il princeps forte del suo naturale sostegno, l’esercito. Dalle milizie, infatti, provennero le migliori figure di imperatori del III sec.: nacque così la figura dell’imperatore-soldato scelto dai soldati stessi; — la decadenza economica e la contrazione demografica del III sec. ebbe un ruolo molto rilevante, perché determinò la decadenza dell’Italia e di Roma, non più rifornite di ricchezze dalle province, ma costrette ad acquistare i beni necessari altrove. Il crescente fabbisogno economico dell’impero costrinse i principi a coniare monete adulterandone la lega con metalli poveri: così ai denari in argento furono sostituiti denari di rame ricoperti d’argento imponendo alla moneta un valore legale molto più alto del valore reale (si pensi che nelle monete ai tempi di Settimio Severio il metallo pregiato era già ridotto al 50% che scese all’1,50 durante il regno di Galleno) (GARBARINO). L’Italia divenne un peso nella economia dell’Impero e non poté risollevarsi perché, mentre Roma era affollata da circa un milione di cittadini, la penisola era disabitata, divisa in latifondi scarsamente coltivati e, quindi, totalmente improduttiva (1). La susseguente contrazione demografica divenne inevitabile; — la decadenza del sistema schiavista: terminate le guerre di conquista era venuta meno la più grande fonte di reclutamento di schiavi. L’esaurimento della mano d’opera servile provocò un’ingente diminuzione di produttività delle campagne e una forte urbanizzazione. Si dovette, pertanto, ricorrere al lavoro libero, che comunque non fu valorizzato adeguatamente: la posizione di alcuni lavoratori liberi non differiva da quella degli schiavi. Infatti lo Stato interveniva autoritariamente per vincolare determinate categorie di cittadini all’esercizio di particolari attività trascurate o dismesse, stabilendo che i figli e i discendenti dovessero proseguire l’attività del padre. Ne sono un esempio peculiare i coloni, destinati alla coltivazione del loro terreno fino alla morte; (1) Mentre l’Italia e le province occidentali si impoverivano, quelle d’Oriente — grazie alla buona tenuta del lavoro artigianale — accrescevano la loro produzione e i loro guadagni (v. infra cap. 6, par. 5, lett. E). La monarchia assoluta (o Dominato) ed il periodo giustinianeo (270 d.C.-568 d.C.) 143 — la decadenza culturale dell’Occidente: mentre l’Italia e la Grecia erano in crisi nuove culture — la capta, la siriaca, la punica — cominciarono a penetrare nella civilitas classica dando luogo ad una grande democratizzazione culturale che permise l’affermarsi di scrittori, filosofi, movimenti culturali e religiosi dell’Oriente (elioteismo, filosofia neoplatonica, etc.) nell’impero (vedi cap. 16, par. 5); — la provincializzazione dell’esercito e della pubblica amministrazione: il primo ambiente occupato dai provinciali fu quello delle forze armate; progressivamente l’Italia e Roma contarono sulle risorse provinciali non solo per la difesa militare, ma per ogni necessità di vita. Tale provincializzazione determinò tendenze autonomistiche nell’esercito e una diffusa anarchia nell’ambito dell’Impero, legate però anche ad altri fattori: — la diffusione del cristianesimo: l’imperatore era tradizionalmente considerato espressione terrena della divinità e padrone dello Stato, cioè dominus et deus. A tale visione si contrappose il cristianesimo, che si diffuse tra le classi sociali deboli facendosi portavoce di nuovi valori etico-religiosi, molto diversi da quelli tradizionali. Tutto ciò comportò necessariamente la separazione fra i due poteri: politico e religioso. Tale separazione implicava che là dove le leggi dello Stato erano contrarie alle leggi cristiane, i seguaci della nuova religione erano portati a seguire le seconde. Questo atteggiamento era inconciliabile con la concezione sacrale dell’imperatore: per tale motivo i cristiani furono duramente perseguitati. Sebbene ostacolato dalle classi dirigenti e dagli stessi imperatori il cristianesimo cresceva e portava con sé «il sentimento della decadenza e dell’imminente catastrofe» (ARANGIO-RUIZ); — la disgregazione politica ed economica: l’Italia, non potendo più reggere le sorti dell’intero Impero, dovette gradatamente riconoscere autonomia politica a molte province. A questa disgregazione politica fece riscontro una «paurosa rovina economica» determinata dalle resistenze delle province a versare i tributi a Roma, dallo sfruttamento irrazionale delle residue risorse, dalle pestilenze che decimavano intere regioni dell’Impero e, infine, dalla minaccia sempre più pressante delle popolazioni germaniche. C) Il nuovo regime politico e sociale L’evoluzione politica di Roma nel II - III sec. d.C. dal Principato alla monarchia assoluta e non fu il frutto di una trasformazione improvvisa: molti degli elementi nuovi erano già presenti allo stato embrionale all’epoca del Principato. Dal punto di vista sociale, la monarchia assoluta (Dominato) può essere considerata come il frutto dell’esigenza sempre più pressante di un dominio forte 144 Capitolo Sedicesimo ed accentrato in grado di frenare gli innumerevoli elementi di dissoluzione che si presentavano all’esterno e all’interno dell’Impero romano. D) La riorganizzazione delle classi sociali Fra i cives romani fu conservata la distinzione, già affermatasi durante il Principato, fra honestiores ed humiliores. 1) Rientravano nella categoria degli honestiores i seguenti ordini: — l’Ordine Senatorio: si trattava dell’ordine di gran lunga più privilegiato. Vi si accedeva per nomina imperiale, per aver ricoperto determinate cariche pubbliche, nonché, come del resto avveniva già durante l’età del Principato, per nascita, in virtù della trasmissione ereditaria del titolo. A seconda della diversità di rango, gli appartenenti all’ordo venivano distinti in illustres, spectabiles e clarissimi: diversamente i membri dell’ordo per diritto ereditario ricevevano tutti indistintamente il rango più basso di clarissimi; — l’Ordine Equestre: durante l’impero di Diocleziano aveva goduto di notevole autorità in campo politico, perse invece di importanza con Costantino; — i militari, i funzionari dell’amministrazione centrale e periferica, gli esercenti le professioni liberali (es. avvocati), il clero e i decurioni. In questa categoria (fatta, ovviamente, eccezione per il clero) tende ad affermarsi il principio della ereditarietà della carica o della professione. 2) Rientravano, invece, nella categoria degli humiliores i negozianti, gli artigiani, gli operai della città ed i lavoratori dei campi. Rientravano altresì nella categoria i «coloni vincolati alla terra»: si tratta di una nuova classe la cui nascita era la diretta conseguenza della riduzione del numero degli schiavi. La condizione dei coloni (pur essendo uomini liberi), nella sostanza fu molto simile alla schiavitù. A differenza dello schiavo, però, il colono non può essere manomesso, né il proprietario può allontanarlo dalla terra. Il colono, infine, è tenuto nei confronti del proprietario al pagamento del canone di fitto ed alla prestazione di servizi personali. La distinzione tra Principato e monarchia assoluta si basa diversi fattori: — il Principato poggiava le sue basi politiche sulla indiscussa supremazia di Roma (ed in genere, dell’Italia) su tutte le altre province dell’Impero; al contrario, nel periodo della monarchia assoluta il rilievo e l’influenza delle province extra-italiane dell’Impero aumentò grandemente (e molti imperatori furono di estrazione non italica); — il Principato si collegava idealmente, alle istituzioni della tradizione repubblicana; la monarchia assoluta, al contrario, si fondava essenzialmente sulla potenza militare dell’imperatore (e, quindi, sul suo legame con l’esercito) e sulla sua consacrazione religiosa, sotto l’influsso, per quest’ultimo profilo, delle monarchie orientali. La monarchia assoluta (o Dominato) ed il periodo giustinianeo (270 d.C.-568 d.C.) 145 2. LE DIVERSE FASI DELLA MONARCHIA ASSOLUTA (DOMINATO) Con la conquista del potere da parte di Diocleziano (285 d.C.) si aprì il periodo di decadenza della civiltà romana. Dal IV al VI sec. d.C. l’Impero attraversa un lento processo di dissoluzione scandito da diverse fasi: — fase dell’Impero unico (285-395 d.C.); — fase dell’Impero duplice (395-527 d.C.) nella quale si delinea la distinzione tra parte orientale e parte occidentale; — fase Giustinianea (527-565 d.C.) nella quale si verificò il grandioso, ma effimero, tentativo di Giustiniano I di restaurare l’unità dell’Impero e ripristinare i valori tipici della romanità. Con il fallimento di questo disegno la storia di Roma può considerarsi conclusa. 3. DIOCLEZIANO (285-305 d.C.) A) L’opera di Diocleziano Nel 285 d.C., salì al trono imperiale Gaio Aurelio Valerio Diocleziano, generale di origine dalmata (2) che mantenne il potere fino al 305 d.C. Diocleziano, nei suoi venti anni di regno (un periodo lunghissimo se lo si confronta con quelli dei suoi predecessori), fu allo stesso tempo difensore della tradizione e profondo innovatore. Cercando la sintesi tra vecchio e nuovo egli ricostruì l’unità dell’Impero romano e del suo ordinamento giuridico e politico; tale obiettivo non si sarebbe potuto realizzare con il ripristino delle istituzioni repubblicane, ma solo mettendo il potere nelle mani di una istituzione fortemente accentrata ed autoritaria, per superare, una crisi che avrebbe potuto essere fatale per l’impero. Con l’avvento di Diocleziano, tradizionalmente, si ritiene abbia inizio il periodo della monarchia assoluta. Secondo molti studiosi, Diocleziano sarebbe stato il primo monarca di tipo orientale e avrebbe dato al suo potere un fondamento teocratico. Di certo dalle monarchie orientali egli ereditò il gusto per la fastosità dei cerimoniali. Viceversa, secondo altri, Diocleziano mirò alla restaurazione dell’Impero e alla difesa della romanità costituendo una monarchia su base militare per un periodo di emergenza (DE MARTINO). Nonostante la sua attività riformatrice la politica di Diocleziano era ispirata ad un ideale conservatore, cioè la restaurazione di uno Stato romano e pagano. (2) Si noti che gli immediati predecessori di Diocleziano erano anche essi di origine balcanica (Claudio II, Aureliano, Probo, Caro che si alternarono al potere dal 268 al 283). 146 Capitolo Sedicesimo B) Le riforme di Diocleziano Diocleziano attuò un piano di riforme tendenti a rafforzare organicamente la stabilità militare, politica ed economica dell’Impero (FREZZA). Tra le principali riforme dioclezianee, ricordiamo: — la riforma militare, per adeguare la struttura dell’esercito alla difesa dei confini: alla pluralità di eserciti Diocleziano sostituì un unico esercito mobile, detto «exercitus praesentalis»; — la riforma tributaria per distribuire equitariamente su tutte le regioni il carico tributario. La nuova imposta fondiaria (annona) gravava su ciascun iugum (unità fiscali in cui fu diviso il territorio, di estensione diversa in ragione del tipo di coltura a cui erano destinati). L’imposta teneva conto di ciò che era stanziato sui fondi: gli animali, gli schiavi e i coloni. Coloro che non possedevano fondi pagavano un’imposta personale (capitatio plebeia), in denaro. L’ammontare dell’imposta era determinata in modo molto semplice. Era stabilita e accertata la quantità di denaro di cui aveva bisogno lo Stato; tale somma era poi divisa per le unità fiscali e ripartita tra le diocesi e le province dell’Impero; — l’imposizione di un prezzo di calmiere su tutti i beni, attraverso l’emanazione di un edictum de pretiis rerum venalium (c.d. editto sui prezzi) nel 301 d.C., che comminava pene gravissime per i trasgressori. Ciò comportò conseguenze disastrose: le merci scomparvero dal mercato ufficiale, la produzione diminuì, i prezzi salirono e prosperò un ampio mercato nero; — il riordinamento delle gerarchie centrali della burocrazia imperiale, attuato raccogliendo in una sorta di «gabinetto di ministri» una serie di funzionari che formarono il Consistorium sacrum, organo consultivo del principe. Tale opera fu proseguita e completata da Costantino, che diede all’amministrazione un assetto rimasto inalterato nell’Impero d’Oriente fino alle riforme del sec. VII; — riforma delle province (vedi par. seguente). C) La riorganizzazione dell’Impero Nella riorganizzazione territoriale dell’Impero fu evidente l’applicazione dei principi gerarchici e la tendenza accentratrice del nuovo regime, che creò una forte, fedele ed unitaria burocrazia imperiale a scapito delle forme di autonomia locale. Caratteristiche essenziali della organizzazione furono: — uniformità del regime interno: l’intero territorio venne diviso in circoscrizioni territoriali uniformemente governate da funzionari dell’unica gerarchia burocratica dello Stato. La funzione guida dell’Italia tramontò e fu abolita la distinzione tra province imperiali e senatorie; La monarchia assoluta (o Dominato) ed il periodo giustinianeo (270 d.C.-568 d.C.) 147 — divisione delle province in distretti minori: al fine di frenare eventuali sedizioni i territori provinciali furono ridimensionati e frazionati in quattro prefetture; ogni prefettura conteneva più diocesi (12 in totale); ogni diocesi costituiva una circoscrizione di province; — riduzione dei poteri dei governatori provinciali: essi, privati dei loro poteri militari, furono ridotti al rango di semplici funzionari (rectores), mentre la difesa militare fu affidata a nuovi funzionari (duces) fedeli all’imperatore; In particolare, a capo delle prefetture furono posti i prefetti del pretorio, mentre a capo delle diocesi, i vicarii praefectorum praetorio. L’Italia fu una delle quattro prefetture dell’Impero (Gallia, Italia, Illirico, Oriente) e venne divisa in vicariati (vicariatus urbis Romae e Italia annonaria). Solo Roma rimase sottoposta ad un regime speciale e fu governata dalle magistrature repubblicane, ridiventate meramente municipali, come nella loro lontana origine (FREZZA). — l’istituzione dei curatores civitatis: la necessità di controllo sulle amministrazioni condusse alla creazione del curator civitatis, controllore governativo dello stato delle finanze imperiali. Tale curator, divenuto un magistrato municipale, fu dapprima eletto in seno all’ordo decurionum, in seguito, essendo la carica meramente onoraria e molto onerosa (in quanto i curatores erano addetti alla riscossione delle imposte ed erano garanti del pagamento globale), si sancì una rotazione annuale obbligatoria tra gli iscritti all’ordo. Per evitare la diserzione dalla carica nel basso Impero si giunse a configurare come un obbligo l’appartenenza all’ordo decurionum, si sancì la trasmissione ereditaria dell’obbligo e furono previste sanzioni contro le evasioni fraudolente. La politica di Diocleziano, in linea con la concezione sacrale che l’imperatore ebbe della propria persona, si caratterizzò anche per le feroci persecuzioni dei cristiani. Con l’aiuto di Cesare Galerio, Diocleziano promulgò quattro editti tra il 303 e il 304 attuando una intensa, feroce e sistematica politica di persecuzione contro i cristiani, ritenuti inoltre la causa scatenante della crisi economica perché contrari al sistema schiavistico; il cristianesimo, tuttavia, non poteva essere sradicato né con le stragi né con il terrore. Ciò spinse proprio Galerio, convintosi di tale realtà, ad emanare nel 311 un editto di tolleranza verso i cristiani. — il trasferimento della Capitale da Roma a Nicomedia (vicino Bisanzio). D) La tetrarchia L’aspetto più importante del regime di Diocleziano fu la riforma della stessa carica imperiale, che egli volle costituire come tetrarchia. In particolare Diocleziano nominò un collega (Massimiano), dotato di par potestas, a cui fu attribuito il titolo di Augustus, affidandogli il governo delle prefetture occidentali, e tenendo per sé quelle orientali. Accanto ai due augusti furono nominati anche due Caesares (filii Augustorum, successori designati): 148 Capitolo Sedicesimo Galerio e Costanzo, anch’essi provenienti dalle file dell’esercito, con il potere di governare determinate regioni. Prima di diventare troppo vecchi, i due Augusti avrebbero lasciato volontariamente il potere e abdicato ai successori già designati (Caesares), i quali a loro volta, assunto il titolo di Augusti, avrebbero cooptato due nuovi successori. Scopo della tetrarchia era essenzialmente: — rendere il supremo comando presente ovunque fosse necessario per la difesa e il controllo delle province; — assicurare una soluzione precostituita alla successione al trono, sottraendo la scelta dei capi all’arbitrio dei soldati e sostituendo il criterio della trasmissione ereditaria familiare. La riforma ideata da Diocleziano tuttavia non funzionò. Nel 305 d.C. egli abdicò, così come Massimiano, ma il loro esempio non fu seguito dai successori. Morto Costanzo, il successore che Diocleziano aveva cooptato come Caesar, l’esercito non rispettò la designazione operata dai nuovi Augusti, acclamando come imperatore il giovane figlio di Costanzo, Costantino. Conclusioni Il governo di Diocleziano è stato caratterizzato da un lungo periodo di stabilità, da attenta amministrazione e tutela dalla sicurezza dei confini; tuttavia le riforme (soprattutto il sistema tetrarchico ed il frazionamento delle circoscrizioni) che avevano consentito tali risultati, si riveleranno instabili e causa di disgregazione alla scomparsa della figura carismatica del loro ideatore. 4. COSTANTINO (312-323 e 324-337 d.C.) A) Il regime di Costantino Costantino era salito al potere insieme a Licinio e nei primi due anni di regno il trono imperiale fu regolarmente tenuto da entrambi, secondo le regole della “tetrarchia”; presto, però, i rapporti si inasprirono e ne derivarono forti conflitti: Licinio fu costretto all’abdicazione e fu poi assassinato. Costantino si trovò così a governare da solo un impero con due capitali: Roma e la cd. «Roma nova» (Costantinopoli, l’antica Bisanzio). Costantino, rispetto al suo predecessore, ebbe una concezione più assolutistica del dominio imperiale: introdusse definitivamente il dispotismo orientale con i suoi fasti esteriori e affermò definitivamente il principio dinastico. La monarchia assoluta (o Dominato) ed il periodo giustinianeo (270 d.C.-568 d.C.) 149 Mentre Diocleziano si era illuso di poter mediare l’opera di rafforzamento dell’autorità imperiale con la restaurazione dei valori tradizionali della civiltà romana, Costantino impresse all’Impero un carattere esclusivamente monarchico. B) L’attività di Costantino e l’ascesa del Cristianesimo Quanto all’organizzazione burocratico-amministrativa dell’Impero, Costantino continuò l’opera accentratrice di Diocleziano. Grazie all’opera riformatrice dei due imperatori si formò un’organizzazione burocratica che divenne forza di governo autonoma subentrando al disorganico governo senatorio-repubblicano. Costantino, in particolare, introdusse nel consistorium: — i due capi dell’amministrazione finanziaria imperiale: il comes sacrorum largitionum per l’erario e il comes rerum privatarum per il patrimonio della corona; — il capo dei servizi della casa imperiale: il magister officiorum (funzionario di creazione costantiniana); — il capo del tribunale imperiale: il quaestor sacri palatii. Costantino allontanò dal consistorium i praefecti praetorio e vi accolse una serie di funzionari detti comites consistoriani. La periferia e il governo centrale rimasero collegati attraverso i prefetti e attraverso una complessa rete di organismi burocratici, detti comites Augusti. Allo scopo di fissare una carriera e un trattamento economico uniforme per i burocrati, la politica dioclezianeo-costantiniana fissò definitivamente gerarchia, onori, stipendio e carriera dei funzionari. Dove, invece, l’opera di Costantino si distaccò, differenziandosi nettamente da quella del suo predecessore, è nel campo religioso. Infatti, mentre Diocleziano era stato spietato e instancabile persecutore dei cristiani, Costantino tentò di attirare verso l’orbita statale l’immensa forza politica che il Cristianesimo potenzialmente rappresentava: pur avendo abbracciato molto più tardi la fede cristiana, il suo atteggiamento pubblico fu chiaramente filocristiano. Momento di avvio di tale politica fu l’Editto di Milano del 313 d.C., con cui l’imperatore rese libero il culto cristiano, sancendo il principio della tolleranza in materia religiosa: in tal modo il Cristianesimo veniva equiparato a tutte le altre professioni religiose. Tuttavia interventi imperiali successivi mirarono ad attribuire al Cristianesimo una condizione privilegiata: Costantino effettuò ricche donazioni alle comunità cristiane, favorì la costruzione di chiese, riconobbe la giurisdizione dei Vescovi ingraziandosi a tal punto i cristiani che sua madre, Elena, fu santificata. Al contrario, i pagani e il paganesimo furono colpiti da numerose limitazioni: furono vietate le cerimonie sacrificali in case private, così come fu vietato di prendere auspici in casa di estranei, mentre alcuni templi furono demoliti. 150 Capitolo Sedicesimo Sempre più penetrante si fece l’intervento imperiale in materia religiosa e nelle questioni interne della Chiesa (Cesaropapismo). Preoccupato per le fratture che colpivano la Chiesa cristiana a causa delle dottrine eretiche che potevano turbare la pace sociale, Costantino dispose inoltre la convocazione di alcuni concili, al fine di riconfermare i dogmi fondamentali e l’unità della Chiesa stessa. Di importanza fondamentale fu proprio il Concilio di Nicea del 325 d.C., convocato per combattere l’eresia ariana, diffusasi ormai largamente in Oriente, ed affermare la dottrina “ufficiale” della Chiesa di Roma. 5. LA FINE DELL’IMPERO ROMANO A) I successori di Costantino (337-379 d.C.) Alla morte di Costantino, che pure aveva già diviso l’Impero tra i suoi figli Costanzo e Costante, nominati entrambi Caesares, si aprirono le lotte per la successione aggravate da una fosca sequela di delitti e di discordie familiari. Particolarmente grave si presentava, inoltre, il problema della difesa dei confini sottoposti ad una sempre più insistente pressione barbarica. Dotati di pari autorità e tutt’altro che animati da sentimenti fraterni, Costanzo e Costante regnarono adottando politiche di governo differenti. Morto Costante a causa di una congiura, Costanzo designò come suo Augustus, Gallo. Il regno di Gallo durò ben poco; avendo abusato dei poteri attribuitigli, fu destituito da Costanzo e giustiziato: Costanzo nominò al suo posto il proprio fratellastro, Giuliano. Nel 361 d.C., morto anche Costanzo, e già acclamato Augustus dalle truppe, Giuliano rimase unico detentore del potere imperiale; oltre ad essere un buon condottiero, fu un assennato imperatore: tentò di ridurre le spese pubbliche, ridusse il numero dei funzionari di palazzo e le imposizioni fiscali. Essenzialmente Giuliano è ricordato per la sua politica religiosa sfavorevoli ai cristiani: la religione cristiana fu messa in second’ordine e si tentò di restaurare i tradizionali culti pagani. Durante il suo regno, infatti, furono abolite tutte le concessioni elargite in precedenza ai cristiani in materia fiscale e giurisdizionale; fu per questo che fu denominato l’Apostata, ossia il «rinnegatore» della fede. Ma anche il suo regno ebbe breve durata: nel 363 d.C., dopo la vittoriosa campagna militare contro i Persiani, fu ucciso durante uno scontro ai confini dell’Impero. La sua morte provocò un nuovo periodo di anarchia, durante il quale ancora una volta furono le truppe ad eleggere i nuovi imperatori. Valentiniano e Valente, entrambi militari, assunsero un atteggiamento di favore verso l’esercito, ammettendo alle più alte cariche dell’Impero soprattutto gli ufficiali. Al pari di Giuliano, Valentiniano e Valente cercarono di risolvere la grave crisi economica che aveva colpito l’Impero e di annullare l’enorme divario sociale tra le classi più abbienti e meno abbienti. Vari furono i provvedimenti emanati al fine di proteggere coloro che appartenevano ai ceti più umili dalle vessazioni dei potenti: tra essi, va ricordata la creazione di un funzionario apposito (defensor plebis o civitatis). Intanto ai confini dell’Impero sempre più frequenti si facevano le incursioni barbariche: i Goti, sotto la spinta delle orde degli Unni, erano giunti fino alla penisola balcanica. Molte furono, quindi, le campagne belliche condotte, durante il regno di Valentiniano e Valente, per arginare l’avanzata dei barbari. In una di queste trovò la morte nel 375 d.C. lo stesso Valentiniano; tre anni più tardi ad Adrianopoli anche Valente fu ucciso, dopo esser stato sconfitto dagli Unni. La monarchia assoluta (o Dominato) ed il periodo giustinianeo (270 d.C.-568 d.C.) 151 Graziano, figlio di Valentiniano, nominato Augustus dal padre prima della sua morte, designò come suo collega lo spagnolo Teodosio (379 d.C.) dimostratosi valoroso generale nella guerra contro i Goti. B) L’opera di Teodosio il grande (379-385 d.C.) Proveniente dalle file dell’esercito, Teodosio dimostrò di essere innanzitutto un abile e brillante stratega: grazie alle sue capacità l’esercito imperiale sconfisse i Visigoti, riuscendo a salvare la stessa Costantinopoli, quasi assediata. Fu il primo, peraltro, a consentire l’arruolamento di Visigoti nell’esercito, soprattutto nelle postazioni di frontiera, dando luogo alla cd. barbarizzazione dell’esercito, che fu una delle cause del crollo dell’Impero romano. A Teodosio si deve, inoltre, la definitiva e ufficiale proclamazione della religione cristiana come «religione di Stato», con l’Editto di Tessalonica del 380 d.C. e l’interdizione del culto pagano, la chiusura dei templi ed il divieto di celebrazione dei sacrifici nonché la condanna dell’arianesimo nel Concilio di Costantinopoli (381). Con la sua morte, avvenuta nel 395 d.C., la frattura fra Oriente e Occidente divenne insanabile, tanto che egli è considerato l’ultimo imperatore dell’impero unificato (3). I figli di Teodosio, Arcadio e Onorio, a cui spettarono, rispettivamente, l’Oriente e l’Occidente, adottarono politiche indipendenti e spesso ostili; per la prima volta nella storia dell’Impero si giunse ad un conflitto armato tra le due parti. C) L’Impero d’Occidente Le convulse vicende dell’Impero di Occidente portarono quest’ultimo in meno di un secolo alla fine (476 d.C.). Le cause di tale dissoluzione furono molteplici, ma fra le principali vanno annoverate la dissoluzione economica, morale, sociale e politica, nonché la mancanza di un legame culturale, romano o non romano, tra le varie parti dell’Impero. Il conflitto fra i due imperi si concluse con la morte di Onorio nel 432 d.C., in seguito alla quale l’Impero d’Occidente iniziò il suo inarrestabile declino, a causa della cattiva amministrazione e delle continue invasioni barbariche. Nel 476 d.C., con la deposizione di Romolo Augustolo l’impero «chiuse per sempre il suo ciclo vitale» (GUARINO). Il titolo di imperatore d’Occidente fu assunto formalmente dagli imperatori d’Oriente; in realtà l’Occidente era ormai dominato dai barbari ed ebbe, da quel momento in poi, una storia del tutto autonoma. (3) L’insanabilità della frattura Oriente-Occidente è legata soprattutto a motivi religiosi: mentre l’Occidente continuava ad essere cristiano, in Oriente prevalse l’arianesimo. Ciò determinò il distacco definitivo tra le due parti dell’Impero. 152 Capitolo Sedicesimo D) L’Impero d’Oriente Il distacco dall’Occidente, che era stato un gravoso peso economico e politico per l’Oriente, consentì a questa parte dell’Impero una apprezzabile ripresa. Dopo essersi staccati da Roma gli imperatori d’Oriente diedero vita ad una nuova organizzazione politica, legata alla tradizione ellenistica e chiamata «Impero bizantino». Anche in Oriente, peraltro, gli imperatori dal 395 al 527 d.C. si susseguirono senza compiere alcuna significativa azione politica fino al 527, anno dell’incoronazione di Giustiniano. 6. I FERMENTI CULTURALI TRA OCCIDENTE E ORIENTE. IL CRISTIANESIMO ELLENIZZATO Come detto innanzi, le diversificazioni economiche e culturali tra Oriente ed Occidente divennero sempre più evidenti in quanto l’Oriente godeva di una situazione economica più fiorente, basata soprattutto sull’artigianato, con la quale si riuscirono a fronteggiare le esigenze dell’impero. Sul piano culturale, mentre l’Italia e la Grecia assunsero ruoli secondari, l’Africa, l’Egitto, la Siria e la Pannonia divennero le culle di origine dei più importanti movimenti letterari, filosofici e religiosi del secolo III. «Queste nuove culture si collegano quasi sempre a motivi “religiosi e mistici”, come nel caso dell’ermetismo, della filosofia neoplatonica, dell’elioteismo, dell’astrologia. Inoltre, alla crisi definitiva della tradizionale cultura greco-romana, si accompagna nelle province, tra gli strati inferiori della società presso i quali la romanizzazione si era diffusa assai meno che presso i gruppi dirigenti, una rinascita di stili di vita, lingue, cerimonie· religiose, forme artistiche anteriori alla conquista romana. Culture popolari regionali, quali la copta, la siriaca, la punica, la celtica, cominciano a penetrare nella civilitas classica, trasformandola in un gioco complesso di relazioni e di interrelazioni, dando luogo a quel grandioso processo che è stato definito democratizzazione della cultura». (GARBARINO). Contro i cristiani, accusati di minare l’unità dell’impero e di rifiutare il culto della persona dell’imperatore, alcuni principi, come Massimino, Decio, Valeriano e Diocleziano, indirizzarono feroci persecuzioni ma la nuova religione resistette. Essa anzi, nelle province orientali (Asia Minore, Siria, Egitto), passò da una repulsione quasi totale verso la cultura classica ad un atteggiamento di apertura. I membri delle gerarchie ecclesiastiche tentarono infatti una difficile sintesi tra cristianesimo e paganesimo, presentando gli elementi principali di quest’ultimo come anticipazioni della verità compiutamente rivelata dai vangeli. «Ciò spiega perché il cristianesimo si diffuse, nel III sec. in vari contesti sociali: tra gli strati più umili della popolazione, ai quali continuava a offrire un concreto aiuto morale e materiale, ma anche tra le classi abbienti, la cui adesione alla nuova fede non presupponeva più un rifiuto totale della propria esperienza passata e della propria cultura, ma anzi la loro piena valorizzazione alla luce della nuova dottrina» (GARBARINO). La monarchia assoluta (o Dominato) ed il periodo giustinianeo (270 d.C.-568 d.C.) 153 7. I RAPPORTI TRA CHIESA E STATO Con la nascita dello Stato confessionale, che prese le mosse dall’età di Costantino e venne formalizzato con l’editto di Tessalonica, divenne copiosa la legislazione riguardante gli ecclesiastici. A questi furono concessi privilegi di varia natura, dai donativi in denaro all’esonero dai tributi. Venne anche riconosciuta dal III secolo una giurisdizione esclusiva del tribunale ecclesiastico, formato da vescovi (episcopalis audientia), che li sottraeva alla giurisdizione comune anche per materie di carattere non religioso. Inoltre, in virtù di una legge emanata da Onorio nel 408, le decisioni emanate dal vescovo avevano la stessa efficacia di quelle del prefetto del pretorio. «Dinanzi all’ordinamento giuridico, il chierico acquista uno status privilegiato in quanto ministro di una fede il cui rispetto è posto a fondamento delle fortune dello Stato. Assai radicato era nell’età tardoantica il convincimento di una interdipendenza tra lo spirituale e il temporale e che il bene dell’impero dipendesse dalla religione. L’identificazione degli interessi dell’impero con quelli della fede cattolica fa sì che vengano condannati gli eretici. Eretico è chi attenta non solo all’integrità di una fede religiosa che è stata riconosciuta come unica religione dello Stato, ma anche agli interessi di tutta la società. L’eresia è dunque un crimine pubblico» (AMARELLI). 8. IL GENERALE STILICONE E LE INVASIONI DEI «BARBARI» A) I Goti entrano a Roma (410) Le invasioni barbariche divennero in Occidente più massiccie già dagli inizi del V sec. Nel 401 i Visigoti, capeggiati da Alarico, penetrarono in Italia e dilagarono nella pianura padana. Furono però sconfitti da Stilicone prima a Pollenzo, nella valle del Tanaro, e poi a Verona. In quell’occasione Onorio trasferì la capitale da Milano a Ravenna, più facilmente difendibile. Nel 405 penetrarono in Italia altre popolazioni barbariche, guidate dal re ostrogoto Radagaiso, ricacciate (ancora una volta da Stilicone) al di là delle Alpi. Nel 406 una nuova ondata di popoli (Alamanni, Alani, Burgundi e Vandali), sospinti dagli Unni dilagò ovunque mentre nelle Gallie si accendevano tumulti. Stilicone non affrontò subito questi popoli, ritenendo necessario acquisire le risorse finanziarie per salvare l’impero. Gli oneri di tali operazioni belliche ricaddero soprattutto sui grandi proprietari e sui senatori che, per questo, lasciarono solo Stilicone, accusandolo di tradimento e premettero presso Onorio per la sua decapitazione. Alla morte di Stilicone, Alarico invase nuovamente l’Italia, giungendo fino a Roma nel 410 e saccheggiandola per tre giorni. Proseguì poi verso sud, con l’intenzione di raggiungere l’Africa ma morì nei pressi di Cosenza. Il suo successore, Ataulfo, risalì la Penisola e occupò la Gallia meridionale. Nel 418 i Visigoti ottennero dal governo romano il permesso di insediarsi stabilmente, come federati, nella regione dell’Aquitania, che si estendeva da Tolosa all’Oceano Atlantico. Ebbe in tal modo origine il primo stato romano-barbarico. 154 Capitolo Sedicesimo B) I «barbari» dilagano nell’Impero. La caduta dell’Occidente La dissoluzione dell’Impero era ormai inevitabile. Nel 422 la Britannia fu invasa da Angli e Sassoni. Nel 438 gran parte della Spagna fu occupata dagli Svevi. Nel 443 i Burgundi si stanziarono a sud del lago di Ginevra, come federati del governo romano. Frattanto, nel 429, i Vandali di Genserico erano penetrati in Africa, conquistando la Mauretania, la Numidia e l’Africa proconsolare. In seguito si stanziarono lungo le coste del Mediterraneo occidentale e conquistarono la Sardegna e la Corsica. Nel 455 saccheggiarono Roma. Il dominio dei Vandali fu particolarmente duro: la vecchia classe dirigente fu completamente esautorata e le terre furono requisite totalmente. Nel 475 il goto Oreste depose l’imperatore d’Occidente Giulio Nepote e fece eleggere il proprio figlio tredicenne Romolo. Nel 476, tuttavia, quest’ultimo fu deposto dal re degli Eruli Odoacre. A differenza degli altri generali barbari, Odoacre non nominò un successore a Romolo, ma inviò le insegne imperiali all’imperatore d’Oriente Zenone rivendicando per sé il titolo di “patrizio dei romani”. Il titolo imperiale, dunque, restava in Oriente; la parabola dell’Impero romano d’Occidente si era definitivamente conclusa. 9. ROMANITÀ E MONDO GERMANICO «La storia europea, che ha inizio dalla caduta dell’impero d’Occidente e dalla formazione dei nuovi regni è soprattutto la storia di un grande incontro tra popoli. Si trattò, tuttavia, di un’integrazione particolarmente difficile e complessa, che spesso sfociò in episodi di intolleranza e di odio» (AMARELLI). I Germani, discendenti dei popoli ariani e originari dell’Asia, si erano stanziati nel cuore dell’Europa, nei territori al di là dei fiumi Reno e Danubio. Erano divisi in uomini liberi (arimanni, componenti gli eserciti), semiliberi o aldii, a cui era vietato l’uso delle armi e il possesso di schiavi, addetti al lavoro dei campi. Gli arimanni si riunivano in assemblea per decidere la pace e la guerra, per discutere i problemi, eleggere i capi, decidere le controversie. Dopo il loro stanziamento nei confini dell’impero, tale assemblea perse d’importanza e fu sostituita da riunioni periodiche (Diete). I Germani non avevano il concetto di proprietà privata della terra, considerata patrimonio comune della collettività. Essi conoscevano tre forme di raggruppamento: la· familia (sippe) il vicus o villaggio e il pagus, che costituiva l’insieme delle varie sippe. La soluzione delle controversie avveniva in forme per lo più private, attraverso la faida, ossia la vendetta di sangue; il guidrigildo, ossia una somma di denaro da pagarsi, come risarcimento, dall’offensore; l’ordàlia (o giudizio di Dio), per cui i due contendenti dovevano affrontare prove particolarmente pericolose e solo chi ne usciva indenne era considerato innocente. «Già queste brevi osservazioni ci fanno comprendere quanto ampia fosse la distanza tra le popolazioni germaniche e la società e le istituzioni romane. Malgrado ciò, tuttavia, e sia pure attraverso La monarchia assoluta (o Dominato) ed il periodo giustinianeo (270 d.C.-568 d.C.) 155 un processo storico lento e tutt’altro che lineare, questa situazione di stallo cominciò a sbloccarsi per una serie di ragioni. In primo luogo, i barbari ebbero la lungimiranza di conservare il prezioso patrimonio delle strutture aniministrative romane. In secondo luogo, sul piano più specificamente economico, la redistribuzione delle terre tra vinti e vincitori non ebbe un impatto dirompente, essenzialmente perché, nei vari regni, gli invasori rappresentavano una quota minoritaria della popolazione. In terzo luogo, la Chiesa, in linea con la sua vocazione universalistica, cominciò a svolgere un ruolo di primo piano nell’avvicinare i popoli» (AMARELLI). 10. GIUSTINIANO Il lungo impero di Flavio Giustiniano (527-565 d.C.) segnò «l’ultima ripresa della romanità nella storia del mondo antico» (ARANGIO-RUIZ). Dal punto di vista militare, Giustiniano riuscì a ripristinare l’unità dell’Impero, unificando Oriente e Occidente sotto il suo dominio e determinando, attraverso un concilio indetto a Costantinopoli, la pacificazione religiosa all’insegna del cattolicesimo. L’Impero d’Oriente, al contrario di quello d’Occidente ebbe vita molto più lunga: Costantinopoli, infatti, assediata dai Turchi cadde solo nel 1453, circa mille anni dopo Roma. La durata dell’impero d’Oriente è dovuta a diversi fattori: la posizione geografica, la «tenuta» dell’economia di fronte alla crisi che aveva affamato l’Occidente, l’efficienza della burocrazia e il prestigio dell’imperatore che impersonò equamente sia il potere civile che quello religioso (cesaropapismo). A cementare questa opera si aggiunse la compilazione di quelle raccolte giuridiche (le Institutiones, il Codex Iustiniani, i Digesta Iustiniani Augusti) che i posteri, in segno di ammirazione, chiamarono Corpus Iuris Civilis (vedi cap. seguente). Nonostante i notevoli successi, l’opera di Giustiniano non fu duratura per molteplici motivi: — la riunione delle due parti dell’Impero si rivelò fragile a causa delle pressioni barbariche sulle regioni occidentali; — la pace religiosa si rivelò effimera; — il ritorno alle tradizioni genuinamente romane si rivelò impossibile dato l’influsso sempre più profondo, in Occidente, degli elementi germanici. Tre anni dopo la morte di Giustiniano (568 d.C.) l’Italia inoltre fu invasa dai Longobardi: l’Impero d’Occidente si dissolse definitivamente. Bisanzio, formalmente capitale imperiale e romana, si allontanò sempre più dall’eredità culturale dell’antica Roma e dal suo Impero, divenendo il centro da cui si irradiò una nuova cultura (non più romana, ma orientale).