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il mito di ulisse: un viaggio verso la consapevolezza

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il mito di ulisse: un viaggio verso la consapevolezza
IL MITO DI ULISSE: UN VIAGGIO VERSO LA CONSAPEVOLEZZA
LILIANA LUCCINI – STEFANIA TURINI
Key words: Ulisse Mito Viaggio Odissea Iliade Jung
Lungi dall'essere unicamente gioielli letterari, i miti sono racconti intelligenti che ci comunicano
informazioni essenziali circa la genesi dello sviluppo, che essi promuovono nel mondo esterno ed
interno. I fatti storici che possono nascondersi nelle origini del mito sono ormai irriconoscibili, e in
ogni modo irrilevanti, poiché hanno costituito lo scheletro primario su cui si è andato formando
progressivamente un contenuto simbolico, che ha reso questi racconti indipendenti dalla storia,
dotandoli di vita propria ed eterna. È proprio la visione primordiale in essi contenuta, fatta di
conoscenza non soltanto umana ma anche cosmica, che permette loro di permanere nel tempo,
offrendoci la possibilità di giungere ad una più profonda comprensione della nostra esperienza
presente, partendo dai processi storici che ci hanno preceduto.
Non sarebbe un'esagerazione affermare che il mito è la porta segreta attraverso la quale, le
inestinguibili energie primordiali si convertono nelle manifestazioni culturali umane. La religione,
la filosofia, le arti, le varie forme e organizzazioni sociali, le più valide scoperte in campo
tecnologico e scientifico, perfino i sogni che popolano il nostro sonno, o la follia, germogliano dal
magico anello dei miti. Soltanto una comunità che abbia una profonda conoscenza dei miti e delle
esperienze ad essi legate è in grado di mediare e rifocalizzare le angosce, le paure, ovvero tutto ciò
che per Jung costituisce "l'ombra". Essa si riferisce agli aspetti repressi e non riconosciuti dell'Io.
Nel momento in cui le nostre paure e angosce, nonché le capacità potenziali sono riconosciute e
riconciliate, avvengono in ognuno di noi delle evoluzioni rilevanti.
Il mito è il risultato di una plasmazione poetica di archetipi. Questi non devono essere visti come
immagini primordiali statiche, quanto come matrici di sviluppo, dalle quali gli individui ricevono il
proprio senso d'essenza e d'esistenza. I primi popoli videro degli archetipi nella natura, nel cielo
stellato, nel Sole, nella Luna, nella Terra e negli oceani, riconoscendo così, implicitamente, che le
nostre origini risiedono in queste entità primarie. I racconti mitici che ne derivano, il matrimonio tra
il Cielo e la Terra, il fragore dell'oceano per creare il nettare della vita, l'azione del vento sulle
acque per estrarre la forma del caos, stanno a dimostrare come i nostri predecessori situassero la
realtà superiore ed i suoi valori in quella collettività, nelle cose di questo mondo, brillanti riflessi
della comunità degli archetipi. Essi percepivano chiaramente che lo schema che connette al mondo
e agli archetipi è il tessuto essenziale che sostiene la vita, e vedevano se stessi come membri più
coscienti e autoriflessivi di una comunità maggiore.
In sostanza gli archetipi stabiliscono la connessione per la quale le cose si evolvono, crescono, si
relazionano e si fanno più complesse, fino ad integrarsi nell'essenza della semplicità. Nel loro
significato migliore, gli archetipi uniscono lo spirito con la natura, il corpo con la mente, l'io con
l'universo. Sono sempre con noi, quali elementi essenziali della struttura della nostra psiche. Senza
di essi, vivremmo in un mondo grigio, in una terra piatta, senza arte, musica, poesia, senza
invenzioni, né immaginazione. In realtà non vivremmo. Per questo, anche se sono repressi,
s'infiltrano in altri regni dell'esperienza umana: sogni, pratiche religiose, visioni, arti, rituali,
amore... e follia. Se simbolicamente immaginassimo la nostra personalità come la casa in cui
abitiamo, gli archetipi sarebbero i mattoni con i quali essa è stata costruita. Questi modelli
primordiali secondo Jung sono sei, ma attraverso i secoli intrecciandosi tra loro, hanno dato origine
a tante varianti.
Grazie a queste peculiarità il mito offre al pedagogista clinico un valido strumento per favorire il
processo d'integrazione: il racconto mitico, infatti, permette di entrare nel mondo dei modelli
ancestrali che abitano in ciascuno di noi, e di stimolare, attraverso associazioni, riflessioni,
emozioni profonde, la nostra memoria, compresa quella corporea, per poi far affiorare alla
coscienza, sotto forma di simboli, le nostre parti incomplete con loro i talenti, favorendo in tal modo
ciò che Jung definisce “individuazione”: un processo di differenziazione che ha per mèta lo
sviluppo della personalità individuale e che fa di noi degli esseri autentici ed unici. Quando
lavoriamo con una figura mitica, essa ci permette di vedere, riflessa e nobilitata nella sua “grande”
vita, l'esperienza della nostra stessa esistenza. In tutte le grandi storie vi sono codificati sia il potere
che lo stimolo, che possono aiutarci a cambiare la nostra vita, e di conseguenza, a cambiare il
mondo. E non esiste forse un’altra storia che abbia più energia trasformativa dell'Odissea: un
viaggio che parte da ciò che l'individuo ha di più fisico e materiale, il corpo, per arrivare a quanto
ha di più elevato, la sua interiorità; un percorso di trasformazione dell'Io profondo. In tal senso i due
poemi omerici, Iliade e Odissea, andrebbero esaminati nel loro insieme, poiché l'uno è il
completamento dell'altro. L'Iliade, racconto della guerra di Troia, rappresenta la caduta vertiginosa
nel mondo della materia, dove albergano gli impulsi più primitivi, dove regna quella parte di Ulisse,
che lo fa agire seguendo l'istinto più brutale, senza un minimo di consapevolezza; l'Odissea invece
costituisce la fase più importante del suo lungo viaggio, quella della riscoperta del Sé più profondo.
L’opera è una metafora della trasformazione e della crescita di ogni essere umano attraverso un
percorso fatto di eventi causali, perdite e vittorie, tragedie e incontri con uno spettro completo di
forme archetipiche: il mondo crudele e primitivo dei Ciclopi o dei Lestrigoni, le sirene con il loro
canto seducente e irresistibile o la tentatrice maga Circe, i mostri antropofagi Scilla e Cariddi, il
mondo delle tenebre e degli ancestri o quello evoluto dei Feaci, gli dei gentili come Atena, Ermete o
Eolo, e quelli ostili come Poseidone.
Ma, fra tutti, è proprio l'incontro con il mondo femminile, rappresentato da personaggi divini come
Atena, Circe, Calipso, o umani come Nausicaa, che permetterà all'eroe di accedere alle profondità
del mondo interno, all'universo delle donne e ai misteri del viaggio interiore, e conoscere così i
poteri della visione profonda, dell'intuizione, dell'immaginazione, di favorire la sua crescita
psicologica e il risveglio spirituale prima di tornare a casa e alla sua famiglia come uomo
consapevole. Nella relazione con questi personaggi, Ulisse vive una delle più importanti esperienze:
amare le potenzialità della parte femminile, l'Anima, che ogni essere umano ha, riappropriarsene
per vivere un'adeguata relazione dinamica, nella quale l'energia maschile e quella femminile
possono congiungersi in una completa quanto perfetta unità.
È interessante osservare che il percorso di trasformazione dell'eroe corre parallelo con quello della
dea protettrice. Anche l’Atena dell'Odissea, infatti, si trova in una fase di transizione: da arcaica
divinità micenea delle cittadelle, riflessa nella dea guerriera dell'Iliade, sta evolvendo in divinità
della saggezza, della cultura e della civiltà. Questo parallelismo fa del viaggio di Ulisse, il nostro
viaggio verso la consapevolezza e l'evoluzione delle possibilità profonde che albergano in ciascuno
di noi; gli dei rappresentano i nostri talenti nascosti e, più in generale, a livello filogenetico, il
percorso di crescita della coscienza umana e universale.
In Rivista Pedagogia Clinica-Pedagogisti Clinici, 15, lug-dic 2006
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