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la responsabilità degli stati membri per violazione del
“LA RESPONSABILITÀ DEGLI
STATI MEMBRI PER
VIOLAZIONE DEL DIRITTO UE”
PROF.SSA MARIA TERESA STILE
Università Telematica Pegaso
La responsabilità degli Stati membri per
violazione del diritto UE
Indice
1
IL PRINCIPIO DELLA RESPONSABILITÀ DEGLI STATI MEMBRI PER VIOLAZIONE DEL
DIRITTO UE --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3
2
LA RESPONSABILITÀ DELLO STATO-GIUDICE ------------------------------------------------------------------ 5
3
L’INCOMPATIBILITÀ DELLA L. N. 117/1988 CON LE REGOLE UE ------------------------------------------ 6
4
IL PROBLEMA DELL’INTANGIBILITÀ DEL GIUDICATO ------------------------------------------------------ 7
5
REGOLE NAZIONALI NON IN LINEA CON REGOLE UE: IL PROBLEMA DELLA
COMPATIBILITÀ DELLA L. N. 117/1988 ------------------------------------------------------------------------------------- 10
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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La responsabilità degli Stati membri per
violazione del diritto UE
1 Il principio della responsabilità degli Stati
membri per violazione del diritto UE
La responsabilità degli Stati per violazione del diritto UE trova la sua fonte nella
giurisprudenza della Corte di giustizia, che a partire dalla nota sentenza Francovich del 1991
affermò il principio risarcitorio dello Stato in caso di violazione del diritto comunitario.
Secondo la Corte, infatti, gli Stati membri sono tenuti a risarcire i danni arrecati ai singoli in forza
di violazioni del diritto comunitario, altrimenti ne andrebbe compromessa la stessa efficacia.
Al fine di garantire l’osservanza dei Trattati da parte degli Stati membri, l’UE prevede la possibilità
di attivare il meccanismo della procedura d’infrazione. Tuttavia, di fronte all’evidente inidoneità del
ricorso per inadempimento a soddisfare le aspettative dei singoli lesi nei loro diritti dall’infrazione
statale, soprattutto per l’impossibilità di attivare un procedimento esecutivo, è intervenuta la Corte
di Lussemburgo, elaborando il principio risarcitorio.
La Corte nella sentenza indica le condizioni in presenza delle quali può essere esperita, da parte del
singolo leso, l’azione risarcitoria dinanzi al giudice nazionale:
- la norma di diritto comunitario (nella specie direttiva) deve essere idonea ad attribuire diritti in
capo ai singoli;
- il contenuto di tali diritti deve poter essere individuato sulla base delle disposizioni della
direttiva;
- deve sussistere un nesso causale diretto tra la violazione dell’obbligo a carico dello Stato e il
danno subito dai soggetti lesi.
La Corte di giustizia con la giurisprudenza Brasserie du Pêcheur e Factortame (5 marzo 1996) ha
chiarito il carattere della violazione ai fini della risarcibilità: deve trattarsi di una violazione
“sufficientemente caratterizzata” ovvero grave e manifesta.
Anche nella quasi coeva sentenza British Telecommunications (26 marzo 1996), la Corte chiarisce
altresì che: - la responsabilità degli Stati membri sussiste anche nel caso di inadempimento
derivante dalla violazione del diritto primario ( disposizioni dei Trattati) e non solo da violazioni del
diritto derivato (atti posti in essere dalle istituzioni);
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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- il risarcimento può essere naturalmente accordato anche in caso di direttive self executive
(direttamente efficaci);
- le condizioni per il sorgere della responsabilità sono ancorate al sistema del Trattato e, cioè, sono
quelle stesse necessarie per il sorgere della responsabilità extracontrattuale;
- il danno risarcibile deve essere reale e comprende il danno emergente e il lucro cessante;
- l’azione di responsabilità è intentata dinanzi ai giudici nazionali, secondo la tradizionale
ripartizione di competenze tra giudice ordinario ed amministrativo, ed è indipendente da
un’eventuale pronuncia della Corte di giustizia di infrazione dello Stato membro.
La Corte nella successiva sentenza Konle (1° giugno 1999), statuisce che il risarcimento -in
presenza delle condizioni necessarie- è accordato ai singoli, lesi da violazioni degli Stati membri al
diritto comunitario (oggi UE), indipendentemente dall’organo statale che ha commesso l’infrazione.
Gli Stati non possono, dunque, sottrarsi a responsabilità, invocando la ripartizione di competenze
tra gli enti locali del proprio ordinamento: è solo lo Stato che risponde nella sua unità.
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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2 La responsabilità dello Stato-Giudice
Solo, tuttavia, con la sentenza Köbler, (30 settembre 2003) la Corte ha dato attuazione al
principio della responsabilità dello Stato-Giudice, secondo cui non può negarsi la responsabilità
dello Stato allorché la violazione di cui trattasi derivi da una decisione di un organo giurisdizionale
di ultimo grado, che interpreti la normativa interna in termini incompatibili con il diritto
comunitario, stabilendo, altresì, i requisiti necessari affinché la violazione, posta in essere dallo
Stato nell’esercizio del potere giudiziario, sia considerata di gravità tale da comportare, in favore
del soggetto leso, il risarcimento danni.
Principi questi ultimi ribaditi nella successiva sentenza Commissione c. Italia (9 dicembre 2003), in
cui si fa leva, per affermare la responsabilità dello Stato-Giudice, anche sulla sistematicità della
violazione da parte dell’organo giurisdizionale.
Il problema della immodificabilità di provvedimenti divenuti ormai definitivi viene ancora
affrontato dalla Corte di Lussemburgo nella sentenza Kühne & Heitz (13 gennaio 2004), a seguito
di rinvio pregiudiziale del giudice nazionale.
La pronuncia ribadisce il dovere di tutte le autorità degli Stati membri di garantire la piena
attuazione del diritto comunitario nell’ambito delle loro competenze, sempre però che ciò non
comporti una violazione del principio della intangibilità del giudicato, a meno che non sia lo stesso
diritto interno a consentire una sua rivisitazione.
La Corte indica le condizioni in base alle quali un organo giurisdizionale, che abbia statuito in
maniera definitiva, possa ritornare sulla questione allorché:
- la decisione sia in contrasto con il diritto comunitario (oggi, UE);
- il provvedimento abbia assunto il carattere della definitività/immodificabilità;
- le norme procedurali interne ne consentano la rivisitazione.
La conferma dell’esigenza di rispettare il principio in questi termini, la si rinviene nella decisione
Kapferer ( 16 marzo 2006), ove la Corte di giustizia, ha sostenuto con vigore la prevalenza delle
sentenze interne passate in giudicato sul principio di leale collaborazione stabilito dall’art. 10 TCE
(attuale art. 4, par.3, TUE), richiamando il consolidato orientamento in materia.
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violazione del diritto UE
3 L’incompatibilità della L. n. 117/1988 con le
regole UE
Nel caso Traghetti del Mediterraneo (13 giugno 2006) la Corte di giustizia ha stabilito che: la legge italiana sulla responsabilità civile dei magistrati (L. n. 117/1988) è incompatibile con il
diritto comunitario (oggi UE); - la legge italiana subordina la responsabilità civile dei magistrati ai
casi di dolo e colpa grave e la esclude totalmente nei casi in cui l’attività del giudice sia diretta
all’interpretazione delle norme di diritto; - tale disciplina nazionale si pone in contrasto con il diritto
Ue in materia di responsabilità dello Stato, la cui applicazione verrebbe fortemente limitata dalla
più garantista e restrittiva disciplina nazionale.
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4 Il problema dell’intangibilità del giudicato
La Corte di giustizia, nel noto caso Lucchini (8 luglio2007) stabilisce che la disposizione
contenuta nell’art. 2909 del codice civile italiano, volta a sancire il principio dell’autorità di cosa
giudicata, va disapplicata nei limiti in cui la sua applicazione impedisce il recupero di un aiuto di
Stato erogato in contrasto con il diritto comunitario e la cui incompatibilità con il mercato comune è
stata dichiarata con decisione della Commissione divenuta definitiva .
Queste conclusioni, senza dubbio, si pongono in conflitto con le precedenti decisioni. La Corte,
tuttavia, cerca di superare il conflitto facendo, in buona parte, leva sulla peculiarità della fattispecie
realizzatasi in un settore, quale quello degli aiuti di Stato, fondamentale nell’ordinamento
comunitario, rispetto al quale la valutazione della compatibilità con il mercato comune di misure di
aiuto o di un regime di aiuti è di competenza esclusiva della Commissione .
La cosa giudicata è inefficace, nella sentenza Lucchini, perché il giudice nazionale ha invaso un
settore di competenza propria della Commissione. Ma l’impressione che si ricava dalla sentenza è
che, procedendo su questa linea, l’orientamento sia nel senso di una non applicazione dell’art. 2909
c.c. non solo quando è in gioco la ripartizione delle competenze fra la Comunità e gli Stati membri.
Nel caso Kempter (12 febbraio 2008), la Corte, riunita in Grande Sezione, dopo aver fatto il punto
della situazione sulla propria giurisprudenza circa il problema del riesame delle decisioni
amministrative e giurisdizionali divenute definitive e rivelatesi in contrasto con il diritto
comunitario, ha tenuto a chiarire che il principio della certezza del diritto e, per ciò stesso,
l’esigenza di stabilità delle situazioni giuridiche, non esigono che un organo amministrativo sia, in
linea di principio, obbligato a riesaminare una decisione amministrativa che ha acquisito carattere
definitivo.
Vi sono, però, circostanze particolari, che possono imporre ad un organo amministrativo nazionale,
in applicazione del principio di leale collaborazione, di riesaminare una decisione amministrativa
divenuta definitiva in seguito all’esaurimento dei rimedi giurisdizionali interni, al fine di tener
conto dell’interpretazione della disposizione pertinente di diritto comunitario nel frattempo accolta
dalla Corte; ciò può accadere quando la sentenza del giudice di ultima istanza risulti determinata da
un’interpretazione errata del diritto comunitario adottata senza che la Corte di giustizia sia stata
adita in via pregiudiziale alle condizioni previste dall’art. 234, 3° c., TCE (attuale art. 267 TFUE).
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Tuttavia, la Corte ribadisce, in applicazione della giurisprudenza Kühne & Heitz, che, accanto alla
condizione della definitività della decisione amministrativa ed a quella del contrasto della stessa
con il diritto comunitario, perché sia possibile modificare l’atto nazionale definitivo, occorre in
primis che l’organo amministrativo interno disponga, in base al diritto nazionale, del potere di
ritornare sulla decisione, ed inoltre che l’interessato si rivolga all’organo amministrativo
immediatamente dopo essere stato informato della giurisprudenza della Corte a sé favorevole.
Occorre, quindi, che le modalità procedurali dei ricorsi giurisdizionali interni, diretti a garantire la
tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza delle norme di diritto comunitario, non siano, per un
verso, meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna (principio di
equivalenza) e, per altro verso, non rendano praticamente impossibile o eccessivamente oneroso
l’esercizio dei diritti attribuiti dall’ordinamento giuridico comunitario (principio di effettività),
come nel caso di fissazione di termini oltremodo ristretti.
La Corte di giustizia, nel caso Olimpiclub ( 3 settembre 2009), su rinvio pregiudiziale della Corte
di Cassazione, era stata chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità di una norma del codice civile
italiano, art. 2909, che sancisce il principio dell’autorità di cosa giudicata, applicata in una
controversia vertente sull’IVA, afferente ad un’annualità fiscale per la quale non si era ancora avuta
una sentenza definitiva, allorché impedisca al giudice del rinvio di prendere in considerazione le
norme di diritto comunitario in materia di pratiche abusive legate a detta imposta, in virtù
dell’orientamento del 2006 delle Sezioni Unite della Suprema Corte, secondo cui gli effetti esterni
del giudicato si estendono anche a un diverso periodo d’imposta (e, quindi, a rapporti differenti sul
piano temporale, se, tuttavia, coincidenti sul piano contenutistico e soggettivo con quello accertato).
L’oggetto della controversia nella causa sottoposta al giudice nazionale era concernente il rapporto
impositivo IVA, caratterizzato da una dimensione temporale avente carattere durevole e non
istantaneo.
Proprio siffatta connotazione del rapporto ha indotto la Corte di Cassazione, preoccupata di
legittimare un possibile contrasto tra la decisione da prendere e la giurisprudenza UE in materia di
IVA, a sottoporre alla Corte di giustizia una questione pregiudiziale formulata nei seguenti termini:
“Se il diritto comunitario osti all’applicazione di una disposizione del diritto nazionale, come quella
di cui all’art. 2909 c.c., quando tale applicazione venga a consacrare un risultato contrastante con il
diritto comunitario, frustrandone l’applicazione, anche in settori diversi da quello degli aiuti di Stato
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violazione del diritto UE
[…] e, segnatamente, in materia di IVA e di abuso di diritto posto in essere per conseguire indebiti
risparmi d’imposta”.
Al quesito la Corte di giustizia ha dato riscontro statuendo che il diritto comunitario osta
all’applicazione, in circostanze come quelle della causa principale, di una disposizione del diritto
nazionale, come l’art. 2909 del codice civile.
La Corte afferma che l’ampia l’interpretazione dell’art. 2909 c.c., presupposta dal provvedimento di
rinvio, urta contro il principio di effettività, senza poter essere ragionevolmente giustificata dal
principio della certezza del diritto. Infatti, una siffatta applicazione del principio dell’autorità di
cosa giudicata avrebbe la conseguenza –non accettabile- che, laddove la decisione giurisdizionale
divenuta definitiva sia fondata su un’interpretazione delle norme comunitarie relative a pratiche
abusive in materia di Iva in contrasto con il diritto comunitario, tale scorretta applicazione si
riprodurrebbe per ciascun nuovo esercizio fiscale, senza possibilità di correzione.
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5 Regole nazionali non in linea con regole UE: il
problema della compatibilità della L. n. 117/1988
La Corte di giustizia UE nella sentenza Commissione europea c. Repubblica italiana (24
novembre 2011), riproponendo la problematica prospettatasi nel caso Traghetti del Mediterraneo,
ha condannato l’Italia per violazione del diritto UE. Nel caso di specie ha, infatti, statuito che: “la
Repubblica italiana, escludendo qualsiasi responsabilità dello Stato italiano per i danni arrecati ai
singoli a seguito di una violazione del diritto dell’Unione imputabile a un organo giurisdizionale
nazionale di ultimo grado, qualora tale violazione risulti da interpretazione di norme di diritto o da
valutazione di fatti e prove effettuate dall’organo giurisdizionale medesimo, e limitando tale
responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave, ai sensi dell’art. 2, commi 1 e 2, della legge 13
aprile 1988, n. 117 […], è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del principio
generale di responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto dell’Unione da parte di uno
dei propri organi giurisdizionali di ultimo grado”.
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