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“il carattere “politico” della comunicazione didattica

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“il carattere “politico” della comunicazione didattica
LEZIONE:
“IL CARATTERE “POLITICO” DELLA COMUNICAZIONE
DIDATTICA”
PROF. NICOLA PAPARELLA
Il carattere “politico” della comunicazione didattica
Indice
1 Il carattere “politico” della comunicazione didattica --------------------------------------------- 3 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Il carattere “politico” della comunicazione didattica
1 Il carattere “politico” della comunicazione
didattica
L’aggettivo “politico”, collegato alla comunicazione educativa, non fa certamente
riferimento ai partiti o alle campagne elettorali. “Politico” identifica l’insieme di quegli elementi
che in qualche modo si riverberano nell’idea di appartenenza alla polis, si tratta cioè di tutti quegli
elementi che in qualche modo caratterizzano la vita nella città, l’appartenenza ad un gruppo sociale,
e la partecipazione alla vita sociale. L’obiettivo di questa lezione è quello di far presente che la
comunicazione didattica non si realizza soltanto nei contesti scolastici e non si svolge unicamente
tra l’insegnante e l’allievo, ma coinvolge la persona dell’insegnante e quella dell’allievo nella
interezza delle relazioni che li riguardano.
La comunicazione è alla base della relazione interpersonale e può avvenire soltanto
attraverso linguaggi adeguati ai livelli di elaborazione cognitiva del gruppo culturale cui ci si
riferisce1.
E. Mounier affermava che la comunicazione è l’ “esperienza fondamentale” della persona, e
se è vero che nello scambio interattivo la persona costruisce la propria identità, è evidente che
proprio nella comunicazione troviamo il veicolo principale della integrazione del Sé. Si tratta allora
di capire quale modalità di comunicazione e quale esperienza sia possibile in una situazione
didatticamente caratterizzata.
Si tratta di capire ed interpretare la “posizione” che si assume nello scambio comunicativo e
l’iniziativa che vi si manifesta.
La prima è l’esperienza – per così dire - del proprio posto; non è ancora un dialogo, ma
un’accettazione dell’altro, che già comporta però l’esigenza di coordinare le proprie iniziative con
quelle degli altri.
La seconda esperienza è quella della proattività, l’a chi e il per chi dell’azione, la
considerazione del possibile altrui vantaggio, l’apertura della persona all’esperienza della
valorizzazione dell’altrui iniziativa sino all’esperienza del donare e della gratuità del dono2.
1
A. PERUCCA, Norma e variabilità nell’istituzione, in La Famiglia, n. 69 – 70, La Scuola, Brescia, 1978, p. 884.
Si veda E. MOUNIER, Personalismo, tr. it., Ave, Roma, 1964. Si veda pure N. PAPARELLA, Integrazione del Sé,
fondamenti, In AA. VV. L’Io, il Sé, l’Altro. Autonomia, Integrazione, Relazione, La Scuola, Brescia, 1993 pp. 65 – 66.
2
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Il carattere “politico” della comunicazione didattica
C’è però da aggiungere che sempre la comunicazione, compresa la comunicazione didattica,
produce una eco, a volte impercettibile, ma comunque molto ampia e significativa, e con questa eco
raggiunge l’intero gruppo di appartenenza e predispone la persona a rendersi attivamente
disponibile ai messaggi di ritorno che possono giungere dal medesimo gruppo sociale. Anche se nel
corso degli scambi comunicativi, possono pure prodursi degli ostacoli e dei fraintendimenti che
vanno poi ad interferire con la piena efficacia della comunicazione.
E’ necessario prendere atto di questo carattere politico, Purché all’operazione venga dato il
giusto senso. Non si tratta, ad esempio, di ipotizzare che la comunicazione è tenuta a lasciare delle
eco, quasi che nella relazionalità si debba tener conto di implicazioni implicite e forse possibili,
come potrebbe essere il caso del bambino che potrebbe essere obbligato ad andare a riferire a casa
quello che ascolta a scuola; si tratta se mai di tener conto che nel dialogo che l’insegnante intesse
con quel bambino sono implicati tutti gli altri allievi e l’intero gruppo di appartenenza. Non c’è mai
un parlarsi a due, escludendo il mondo, perché anche quando gli interlocutori sono soltanto due ed
anche quando può apparire che il mondo non c’è, se non come contesto silenzioso e lontano, nella
relazione e quindi nella comunicazione entrano comunque gli altri, la cultura, la storia, le vicende
umane, le situazioni di vita…
Da questo collegamento si ricavano facilitazioni, ma anche inibizioni o interferenze di
ordine comunicativo.
L’obiettivo di questa lezione è proprio quello di andare a comprenderle più da vicino queste
possibili interferenze offrendo qualche accorgimento didattico. Ci limitiamo a poche considerazioni
di metodo, prima però dobbiamo fornire qualche piccola annota introduttiva.
La prima annotazione può essere così condensata: la comunicazione ha sempre un carattere
sistemico. La comunicazione didattica non è soltanto tale, e non riguarda la singola lezione o la
specifica informazione trasmessa, ma si ripercuote ed interessa tutta la persona. Il gruppo di
appartenenza dell’insegnante e di ciascun allievo è presente nel vissuto di chi comunica e nel
vissuto di chi riceve il messaggio. Questa situazione è sicuramente più tangibile nell’ambito della
comunicazione interculturale: quando si ascolta l’altro, non si presta attenzione soltanto a lui, ma
anche ad una serie di echi che provengono dal suo gruppo di appartenenza.
La seconda annotazione è strettamente correlata alla prima. L’appartenenza cui ora si faceva
cenno, deriva in qualche modo da quella che i sociologi chiamerebbero posizione. In sociologia, la
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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Il carattere “politico” della comunicazione didattica
nozione di posizione mette insieme il concetto di status e quello di ruolo3. Ci si può liberare dal
tecnicismo dei concetti ed affermare che, quando si parla di appartenenza, non si sottolinea soltanto
il dato (la condivisione di un gruppo sociale, di una famiglia, di una nazione, di una organizzazione,
ecc.) ma che, all’interno di questa appartenenza, è previsto un ventaglio di comportamenti attesi ed
uno di comportamenti resi4. Lavorare in un istituto scolastico, ad esempio, significa anche
ricordarsi che l’organizzazione, il preside, l’Ente gestore si attendono alcune prestazioni alle quali
l’insegnante è tenuto: c’è dunque un fascio di comportamenti attesi cui corrisponde un fascio di
comportamenti effettivamente resi dall’insegnante (nel nostro esempio). Esattamente questo è la
posizione: l’insieme delle prestazioni attese e di quelle rese.
Senza dimenticare queste due annotazioni generali, vedremo, in rapida sintesi, alcuni degli
ostacoli che si frappongono alla comunicazione educativa.
1. “L’ostilità di posizione”: il docente, che ha da espletare una serie di compiti attesi
dall’istituzione rendendo alcune prestazioni, potrebbe registrare una certa ostilità
proprio nel confronto tra le attese suscitate e le prestazioni effettivamente rese. Di
conseguenza, la comunicazione educativa potrebbe risultare falsata da questo gioco
del dare e dell’avere, dell’attendere e del rendere in termini di non sempre chiara
equità. Può accadere, ad esempio, che il gruppo in formazione attenda dal docente
che è stato annunciato con grande enfasi una serie di contributi che poi, invece,
vengono meno. E’ evidente che questo finisce con il frastornare, o con il creare
impedimento o disturbo per la comunicazione successiva. Ma può anche
semplicemente accadere che il gruppo non riesca ad accogliere il messaggio che
viene da qualcuno che viene percepito come totalmente estraneo all’intero assetto
della situazione in questione.
2. “Il gioco degli specchi”: si tratta dell’interferenza prodotta dai vissuti. Accanto a chi
si trova a vivere una situazione in termini di grande esaltazione, potrebbe trovarsi
3
Per approfondimenti di natura sociologia sul concetto di posizione cfr. A. BIANCHI, P. DI GIOVANNI, La società, in
Biblioteca di scienze sociali, nr. 4, , Paravia Bruno Mondadori, Torino, 2001; sull’appartenenza, sempre in prospettiva
sociologica, cfr. G. POLLINI, Appartenenza e identità. Analisi sociologica dei modelli di appartenenza sociale, F.
Angeli, Milano 1987.
4
Per approfondimenti sulla nozione di appartenenza in prospettiva pedagogica, e quindi vista non soltanto come dato,
ma anche come bisogno e come compito, cfr. N. PAPARELLA, L’appartenenza nell’impegno educativo della persona, in
Pedagogia e Vita, n°5, 1979.
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chi, nella medesima condizione, subisce quanto accade in termini di grande
depressione. Se le due persone si dovessero confrontare sui rispettivi vissuti, ne
deriverebbe una comunicazione ampiamente falsata; è come se l’uno si guardasse in
uno specchio deformato e deformante, e l’altro facesse lo stesso, non riuscendo a
ritrovare i tratti essenziali delle reciproche identità5. E’ evidente il formarsi di un
ostacolo comunicativo, talvolta difficile da superare.
3. “Il clima organizzativo”, ossia il sistema di percezioni condivise relativamente ai
fenomeni organizzativi, il modo attraverso il quale i soggetti entrano in contatto con
le organizzazioni, l’insieme delle credenze, delle aspettative, degli atteggiamenti,
attraverso i quali vengono vissute alcune caratteristiche della struttura organizzativa
e del lavoro. Si tratta, in sostanza, di ciò che si “respira” all’interno del contesto
lavorativo o scolastico, di ciò che regola gli umori, i rapporti tra le persone. Il clima
influenza tutti gli aspetti della vita di un’organizzazione, dallo svolgimento delle
varie mansioni, ai rapporti con i superiori, al dialogo con i colleghi e con gli allievi.
Un buon clima permette all’intera istituzione di raggiungere più facilmente i suoi
obiettivi formativi ed ottenere dei buoni risultati in termini di efficienza
(prestazione/costi), oltre che in termini di armonia interna, tant’è che esso è stato
riconosciuto come indicatore della qualità delle relazioni interne6. In una
organizzazione oppressiva e mal strutturata, dove non si comprende chiaramente chi
detiene il potere e perché comandi, e chi deve obbedire e perché dovrebbe farlo, si
crea una situazione nella quale le parole scambiate vengono percepite dagli altri in
maniera distorta. Questo non accade soltanto nei contesti organizzativi, ma succede
anche a scuola e nelle attività di formazione. Noi si rifletterà mai a sufficienza, ad
esempio su quanto incida, tra le mura scolastiche, l’insieme di aspetti materiali come
5
Sul concetto dell’alterità come riflesso speculare di sé, cfr. M. DALLARI, Lo specchio e l’altro. Riflessioni pedagogiche
sull’identità personale, La Nuova Italia, Firenze 1990.
6
Nella letteratura organizzativa, il primo articolo che concettualizza il concetto venne presentato da G.H. Litwin e R.A.
Stringer nel 1960 e propone di trattare il clima organizzativo come un problema multidimensionale, correlato da una
parte alla struttura organizzativa, dall’altra alle percezioni individuali delle condizioni di lavoro dei membri
dell’organizzazione in oggetto. Cfr. G.H. LITWIN, R.A. STRINGER, Motivation and organizational climate, Harvard
Business School Press, Cambridge MA ,1968. Un altro libro pubblicato nel 1968 da Litwin e Stringer intitolato
“Motivation and organizational climate”, spiega il clima nei termini di affetti umani, motivazioni, successo ed
affiliazione.
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Il carattere “politico” della comunicazione didattica
l’organizzazione degli spazi, l’arredo, l’aspetto estetico dell’aula7. In scuole
degradate o in aule sporche si crea inevitabilmente un clima che, in qualche modo,
interferisce con la produttività della comunicazione educativa.
4. “Il sistema di circolazione delle informazioni nella struttura organizzativa”. La
comunicazione organizzativa si pone come un sistema di processi caratterizzati per la
loro importanza strategica e per l’alto grado di operatività, di scambio e di
condivisione di messaggi. Questi ultimi si contraddistinguono per il contenuto sia
informativo che di trasferimento dei valori stessi che costituiscono l’essenza stessa
dell’organizzazione. I contenuti viaggiano all’interno delle diverse reti di relazione,
formalizzate o non in canali formalmente definiti, determinando l’operatività, la
definizione dell’identità e la collocazione dell’organizzazione nell’ambiente esterno8.
La comunicazione organizzativa si pone dunque come uno strumento fondamentale
per incidere sull’aspetto operativo e identitario dell’organizzazione. E’ evidente che
le informazioni circolano non in maniera casuale, ma secondo un sistema, un metodo
che forse nessuno ha mai definito intenzionalmente. A scuola, ad esempio, quando il
dirigente parla, l’insegnante ascolta e riferisce al collega, che riporta quanto ascoltato
ad un altro insegnante, e così via. Il sistema di circolazione delle informazioni non è
stato mai esplicitato in maniera chiara, tuttavia esiste e spesso può divenire un
ostacolo alla comunicazione quando non è efficacemente strutturato ed esplicitato.
5. “Diversità di codici e di registri”. Ogni linguaggio possiede un suo personale codice
comunicativo. Quello verbale, ad esempio, utilizza il codice verbale e adopera la
parola e gli scritti. Ogni codice si fa portatore di uno specifico messaggio che deriva
anche dall’ambiente culturale all’interno del quale si è sviluppato ed alla sua
funzione. La proliferazione dei canali comunicativi ha richiesto l’istituzione di
registri differenziati per veicolare il messaggio: si pensi
alle diversità che
caratterizzano contesti quali l’insegnamento in presenza, l’apprendimento a distanza,
il trattamento automatico della informazione, ecc. Dietro le specificità dei codici
espressivi e dei registri comunicativi, si cela, in alcuni casi, anche una diversità di
7
Tale aspetto, riguardo alla scuola dell’infanzia, è stato approfondito in N. PAPARELLA, Pedagogia dell’infanzia.
Principi e criteri, Armando, Roma 2006, pp. 151-156
8
Cfr. P. WATZLAWICH , J.H. BEAVIT, D.D. JACKSON, Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, Roma 1971.
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Il carattere “politico” della comunicazione didattica
attese che falsano la comunicazione al punto da guidarla verso l’esito che uno degli
interlocutori intende perseguire nello scambio.
6. “Rinforzi all’identità personale e di gruppo”. Stranamente può accadere che proprio
quella identità personale e di gruppo che serve a dare solidità e senso alla
comunicazione, qualche volta sia di impedimento, agendo da ostacolo. Se l’ identità
personale è troppo marcata, vissuta in termini esclusivi ed escludenti, rispetto al
contesto ed agli altri interlocutori, interferisce e falsa il buon esito dell’interazione
comunicativa.
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
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