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tecnologie dell`istruzione e dell`apprendimento
INSEGNAMENTO DI
TECNOLOGIE DELL’ISTRUZIONE E
DELL’APPRENDIMENTO
LEZIONE IV
“SCIENZE COGNITIVE E TECNOLOGIE”
PROF. SSA LUCIA MARTINIELLO
Tecnologie dell’Istruzione e dell’apprendimento
Lezione IV
Indice
1
L’apporto delle scienze cognitive ----------------------------------------------------------------------- 3
2
I computer e la teoria dell’apprendimento: la teoria «ACT» di Anderson ------------------ 11
3
Il Neoconnessionismo ----------------------------------------------------------------------------------- 15
4
Nuove prospettive di ricerca: i neuroni specchio ------------------------------------------------- 18
Bibliografia ------------------------------------------------------------------------------------------------------ 21
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Tecnologie dell’Istruzione e dell’apprendimento
Lezione IV
1 L’apporto delle scienze cognitive
All‟interno del quadro della dinamica dello sviluppo del soggetto e del suo apprendimento,
che abbiamo velocemente presentato, trova un ruolo importante anche la psicologia all‟interno delle
scienze dell‟educazione. Anzi «l‟impianto complessivo dell‟intersezione tra processi educativi e
processi psichici ci fornisce un modello prevalentemente psicologico per la forma della pedagogia
generale sagomata sui soggetti»1.
Il modello psicologico è diventato fulcro all‟interno del discorso pedagogico sulla scorta del
nuovo rapporto tra soggetto e sapere. Un rapporto centrato da un lato sulla scuola su misura e
dall‟altro sulla centralità del soggetto educando con il suo autosviluppo e la sua autorealizzazione
cognitiva e sociale per giungere ad una maturazione complessiva.
La ricerca psicologica trova grande interesse nella corrente denominata Gestalt, che si
sviluppa a partire dal 1912 e ascrive tra i suoi studiosi maggiori Wertheimer (1880-1943), Köhler
(1886-1943), Koffka (1887- 1967) e Lewin (1890-1947). Nasce in contrapposizione alla teoria
associazionistica di Wundt e Titchener e alla comportamentista di Pavlov, Watson e Skinner.
Wundt, fondatore della psicologia scientifica, istituì il primo laboratorio di psicologia
sperimentale presso l‟Università di Lipsia, nel 1879.
Lo studioso osservò che i processi mentali, essendo effetti del sistema nervoso, non sono
immediati ma hanno bisogno di un certo tempo e dedicò molti studi a comprendere e a valutare la
velocità di tali processi. Sosteneva, inoltre, che i processi più elementari, considerati “atomi della
mente” fossero i più veloci. Wundt ritiene che i processi mentali complessi sono un iter di sequenze
di processi più semplici e questi possono essere determinati attribuendo come credito il tempo di
reazione.
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
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Edward Titchener portò negli Stati Uniti le teorie di Wundt. Anche lui sosteneva che la
struttura della mente era il complesso di tante unità elementari che dovevano condurre ad
un‟esperienza sensoriale. Il suo metodo di indagine fu l‟introspezione cioè scrutare il proprio
interno. Era sicuro che il soggetto potesse essere educato a fare l‟autoesame in modo imparziale e
rigoroso.
In contrapposizione a questi due autori, dicevamo prima, si sviluppa la teoria della Gestalt2,
questo movimento si occupò soprattutto della percezione, ma poi finì per interessarsi anche
dell‟apprendimento che venne trattato in base agli stessi principi adottati nello studio della
percezione. L‟attenzione era principalmente rivolta alle strutture globali o “insiemi percettivi” del
pensiero che si manifestano al soggetto come unità coerenti. Wertheimer diede a queste totalità il
nome di Gestalt che si può tradurre approssimativamente con «forma», «struttura» o
«configurazione». Queste ultime si organizzano naturalmente nel campo dell‟esperienza del
soggetto quando i principi di un insieme mostrano definite caratteristiche, individuate dai ricercatori
della Gestalt come leggi dell‟organizzazione della forma3. Un esempio di Gestalt è costituito dalle
melodie ; una melodia, in effetti, è il risultato dell‟interazione tra le varie note più che delle note in
quanto tali.
La propensione ad ordinare elementi semplici in parti affini o prossime, viene pensata dagli
psicologi della Gestalt come un attributo innato, con coerente ridimensionamento dell‟importanza
dell‟apprendimento e dell‟esperienza personale.
Una “forma” (gestalt) viene vista come una pianificazione che non può essere riportata al
totale degli elementi che la fondano e all‟interno di essa il variare di uno solo di questi elementi può
1
Acone G. (a cura di), Aspetti e problemi della pedagogia contemporanea, Edizioni Seam Roma, 2001, p. 41.
Le teorie della Gestalt, sviluppate in Germania nel primo trentennio del „900, considerano il comportamento come
frutto della percezione della realtà, non della realtà intesa per ciò che realmente è.
3
Legge della vicinanza; legge della similarità; legge del destino comune; legge della direzione e legge della forma
chiusa.
2
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cambiare l‟intera “forma” . Questa relazione tra le parti è alla base di un concetto espresso di
frequente dagli psicologi della Gestalt: «Il tutto è ben più della somma delle singole parti».
In conclusione la conoscenza che abbiamo degli oggetti è descritta da insiemi di elementi
che si mostrano alla nostra percezione già come strutture ordinate, appunto delle “forme”. Tutto ciò
è possibile nel momento in cui la mente ordina il materiale percettivo naturalmente attraverso
associazioni.
Il gruppo che si formò intorno a Wertheimer e Köhler divenne noto come «Scuola di
Berlino». I componenti di questo gruppo continuarono ad occuparsi principalmente della
percezione, ma non trascurarono il tema dell‟apprendimento. In tutti i loro studi continuarono a
focalizzare l‟attenzione sulle totalità strutturate, ognuna separata dalle altre totalità, ma intendendo
ciascuna di queste entità come un tutto le cui varie parti sono dinamicamente legate l‟una all‟altra in
modo tale da creare una configurazione intrinsecamente unitaria.
L‟innovazione fu che gli psicologia della Gestalt, invece di chiedersi: «Che cosa ha imparato
a fare questa persona?», si domanda: «Come ha imparato questa persona a percepire la situazione?».
A loro giudizio, quindi, apprendere non significa aggiungere tracce mnestiche nuove ed eliminare le
vecchie, ma significa soprattutto trasformare una gestalt in un‟altra.
Gli psicologici della Gestalt misero in risalto anche il valore dell‟intuizione4 (insight), il
sistema con cui i molteplici pezzi di un problema, che si presentano a prima vista discordanti tra
loro, possono unificarsi improvvisamente per modellare una struttura logica e rilevante; quindi, una
ridefinizione della struttura da parte del soggetto, che consente di risolvere il “problema” proposto.
Quest‟idea è molto interessante e fondamentale poiché rappresenta una nuova visione del
processo di apprendimento, non per “prove ed errori” come per il comportamentismo ma per
riorganizzazione dello spazio della difficoltà e successivo avvio della sua soluzione.
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L‟osservazione della realtà nasce dalla scelta del metodo fenomenologico che descrive i dati
dell‟esperienza così come si presentano, nella loro totalità senza interpretazioni o scomposizioni.
Essa, quindi, esamina il fenomeno nel modo più vero, senza l‟intercessione di quelle teorie che
separano i soggetti dalla comprensione immediata del fenomeno5.
In contrapposizione al comportamentismo si sviluppò la psicologia cognitiva che pur
mantenendo con interesse i metodi scientifici d‟indagine dei processi mentali si occupò di tutti quei
fattori che i behavioristi consideravano conseguenza dell‟apprendimento e, quindi, non necessari di
indagini (la percezione, l‟attenzione, la memoria, il linguaggio, il pensiero, la creatività). A questi
processi i cognitivisti hanno riconosciuto sia un‟indipendenza di funzioni sia una complicità
reciproca per lo sviluppo del soggetto.
La psicologia cognitiva ritiene che tutti i processi mentali sono computazioni, calcoli, di dati
non necessariamente aritmetici anzi spesso di informazioni generali le cui regole per la
comprensione il più delle volte sono inconsce; da questa considerazione scaturisce la natura
computazionale della mente e dei suoi processi.
I processi conoscitivi umani, secondo questa teoria, sono sistemazioni d‟informazioni, cioè
calcoli nel senso più ampio e generico del termine che avvengono nel nostro cervello e quindi
intrinsecamente strategie di acquisizione di competenze.
Una periodicizzazione della scienza cognitiva fu essere fissata intorno agli anni cinquanta
del secolo scorso quando al convegno sulla teoria dell‟informazione 6 presero parte psicologi,
informatici e linguisti. Lo psicologo George Miller presentò un famosissimo contributo sulle
4
Ai teorici della Gestalt si deve la definizione dell‟apprendimento per insight, profondamente differente
dall‟apprendimento “per prove ed errori” di natura comportamentista.
5
Husserl E., La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Saggiatore, Milano 1954.
6
Simposio sulla teoria dell‟informazione svoltosi al Massachusetts Institute of Technology dal 10 al 12 settembre 1956.
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potenzialità della memoria umana a breve termine7, Newell e Simon un primo prototipo di
computer capace di illustrare teoremi matematici o di progettare sistemi complessi8 e Chomsky
spiegò la sua prospettiva linguistica “la grammatica generativo-trasformazionale”9 in cui
evidenziava la creatività e l‟innatismo del linguaggio.
In questo simposio, per la prima volta, i componenti intuirono che alla base delle loro
ricerche, condotte separatamente, vi era una convergenza di obiettivi10. Il focus della ricerca era,
dunque, finalizzato ai processi cognitivi umani visti come processi computazionali della mente.
Tutto ciò per contrastare il paradigma comportamentista che riteneva che per essere scienza
la psicologia dovesse procedere con metodologie scientifiche ed osservabili oggettivamente come
accade tra il binomio stimolo/risposta.
Implicare processi mentali non oggettivamente osservabili e parlare di rappresentazioni
interne e di regole per la loro elaborazione è per i seguaci del comportamentismo infondato e
incomprensibile; questo del resto è evidente poiché essi non riconoscono neanche la nozione di
mente se non come dato oggettivo osservabile del processo di stimolo/risposta.
7
Nel 1956 Miller evidenziò che la memoria a breve termine ha una ridotta capacità di conservazione dei dati. È
l‟attenzione che consente di selezionare alcuni tra gli innumerevoli stimoli offerti dall‟ambiente circostante. Gli input
selezionati superano la soglia percettiva per poi essere codificati a livello corticale. Quando in fase iniziale le
informazioni sono in quantità eccessiva, si rischia che vengano eliminati o trascurati automaticamente dei dati che
potrebbero rivelarsi utili in una fase successiva. Cfr Miller G. A., The magical number seven, plus or minus two: Some
limits on our capacity for processing information, Psichological Review, 1956, n. 63, pp. 81 - 97.
8
Verso il 1955 A. Newell e H. Simon della Carnegie Mellon University iniziarono la progettazione del programma CP1 (Chess Player 1). Il loro scopo era quello di costruire una macchina “intelligente”, capace di dimostrare teoremi
matematici o di progettare sistemi complessi. Newell e Simon decisero che gli scacchi fornivano un buon terreno di
prova per progettare una “macchina intelligente”.
9
La teoria della grammatica generativa si caratterizza per la ricerca delle strutture innate del linguaggio naturale,
elemento distintivo dell‟uomo come specie animale, superando la concezione della linguistica tradizionale incentrata
sullo studio delle peculiarità dei linguaggi parlati. L‟influenza del pensiero di Chomsky va ben al di là della stessa
linguistica, fornendo interessanti e fecondi spunti di riflessione anche nell‟ambito della filosofia, della psicologia, delle
teorie evoluzionistiche, della neurologia e della scienza dell‟informazione. Cfr Chomsky N., Syntactic Structures, The
Hague Mouton 1957.
10
Afferma Miller alla fine dei lavori “Lasciai il simposio con la forte convinzione, più intuitiva che razionale, che la
psicologia sperimentale umana, la linguistica teorica e la simulazione informatica dei processi cognitivi fossero parti di
un tutto, e che il futuro avrebbe visto il progressivo svolgimento e coordinamento degli interessi che esse
condividevano” Cfr. Miller G.A., Linguaggio e comunicazione, La Nuova Italia, Firenze 1999.
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Probabilmente il fattore che più ha favorito la rivoluzione cognitiva è stato la comparsa dei
computer. Il computer, come strumento tecnico, è un sistema di tipo comportamentista, composto di
elementi che lasciano passare corrente oppure no. Ciò nonostante, molte delle operazioni che i
computer sono stati programmati a svolgere appaiono decisamente di tipo cognitivo.
Implicazione dei processi linguistici penalizza ancora ulteriormente il comportamentismo ed
è ciò che accade con Chomsky dimostrando che nessun bambino potrebbe conoscere la sua lingua
se l‟acquisizione del linguaggio avvenisse per associazione di stimolo e risposta, ma bisogna
necessariamente pensare che la mente sia fornita di competenze innate, di meccanismi che
determinano aprioristicamente le possibili strutture grammaticali.
Questa posizione del linguista affossò totalmente il comportamentismo non più in grado di
dare risposte ai processi umani più complessi.
È il caso di ricordare, velocemente, che nelle ricerche sulla percezione, sulla comunicazione,
e la costruzione dei concetti, gli psicologi cognitivi11 avevano già abbandonato la metodologia
comportamentista, presupponendo configurazioni e processi interni, quindi non rilevabili, per
comprendere il modo di agire complesso degli esseri umani; ripercorrendo, così altre scienze, come
la fisica e la biologia, che inserivano enti astratti, dall‟elettrone al gene, per interpretare i fatti che
accadevano.
In questi nuovi studi cognitivi si manifesta gradualmente il modello dell‟elaborazione di
informazioni.
All‟interno dell‟interesse per i processi computazionali della mente si avvia un discorso su
quella che oggi concordemente definiamo intelligenza artificiale12, ossia un programma di ricerca
tecnologica finalizzato alla costruzione di software capace di svolgere funzioni intelligenti come
11
Si ricordano tra gli altri Donald Broadbent e Jerome Bruner, oltre al già citato Miller.
Data di nascita convenzionale è quella del lungo simposio svoltosi nell‟estate del 1956 a Dartmouth College, a cui
parteciparono, tra gli altri, John McCarthy, Marvin Minsky e ancora Newell e Simon.
12
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giocare a scacchi attraverso procedure umanoidi ossia simili a quelle che il soggetto utilizza per
conoscere le situazioni o risolvere quesiti.
È da queste considerazioni che intorno agli anni ‟70 ha origine la scienza cognitiva in una
prima fase come interscambio tra psicologia e informatica13 ma immediatamente dopo come spazio
di confluenza anche dei linguisti, dei filosofi, dei neuroscienziati.
Che cosa hanno significato e significano i computer per la psicologia? In primo luogo,
naturalmente, hanno dato la possibilità di svolgere con maggiore facilità i vecchi tipi di ricerca e per
la prima volta hanno reso possibile condurne di nuovi. In secondo luogo hanno fornito un modo per
indagare le implicazioni di una teoria, consentendo di formulare, sulla base di una serie di postulati,
previsoni più complesse di quanto non fosse possibile in precedenza. In terzo uogo hanno fornito
una metafora per descrivere il pensiero umano e per parlare dei modi in cui pensano gli esseri
umani, che ha influenzato l‟elaborazione teorica nell‟ambito della psicologia cognitiva.
Con il progressivo perfezionamento dei computer sono cresciuti anche i tentativi di far
eseguire al computer attività più complesse, in particolare si è tentato di formulare un‟analogia tra il
modo di funzionare dei computer e il modo di funzionare dell‟intelligenza umana. Esiste una
disciplina, definita «intelligenza artificiale», che è nata per verificare se è realmente possibile
riprodurre su computer, mediante programmi creati appositamente, almeno parte dei processi
cognitivi propri degli esseri umani.
Un notevole modello di simulazione dell‟attività cognitiva è il Logistic Theorist sviluppato
da Newell, Shaw e Simon14 nel 1957. Il modo di procedere seguito dal Logic Theorist ha a che fare
per la prima volta con strutture cognitive anziché con connessioni stimolo-risposta, ha un modo di
13
Nel 1960 Bruner e Miller fondano il Centro di studi cognitivi di Harvard; vari volumi collettanei presentano il lavoro
di ricerca svolto nei centri più attivi, come l‟Università Carnegie-Mellon di Pittsburgh (Computers and Thought,
Feigenbaum e Feldman 1963) e il M.I.T. (Semantic Information Processing, Minsky 1968); compaiono testi di sintesi in
psicologia cognitiva (Cognitive Psychology, Neisser 1967) e vengono formulati programmi di ricerca basati
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ragionare attraverso postulati e teoremi e assolutamente creativo di risolvere i problemi. Ma questo
è solo l‟inizio.
Cerchiamo di contestualizzare le ricerche e le evoluzioni sull‟intelligenza artificiale.
Le prime macchine erano in grado di risolvere problemi logico-matematici abbastanza
semplici e ben circoscritti, la cui spiegazione da parte degli esseri umani ricercava abilità di
ragionamento ma poche competenze.
Successivamente si iniziò a ricercare e ad approfondire lo studio di sistemi che potevano
definire e risolvere problematiche specifiche soprattutto in campo medico, chimico, geologico
partendo dalle basi di conoscenze. Essi furono definiti sistemi esperti perché simulavano la capacità
di una figura umana esperta in quel settore.
Ogni quesito poteva essere risolto utilizzando il binomio conoscenze più ragionamento e su
questa tecnica furono costruiti molti sistemi esperti in diversi settori. Essi, ovviamente, davano
importanti risultati quasi come gli esperti umani ma non fu difficile intuire come erano comunque
lontani dalla ecletticità che distingue l‟intelligenza umana; la peculiarità delle loro funzioni era
condizionata ad un dominio estremamente limitato, oltre il quale non erano in grado di dare risposte
neanche le più elementari.
sull‟analogia tra mente umana e computer, considerati entrambi come elaboratori di informazioni (The Sciences of the
Artificial, Simon 1969).
14
A. Newell, J.C. Shaw, H.A. Simon, Empirical exploration whit the logic theory machine, 1957
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2 I computer e la teoria dell’apprendimento: la
teoria «ACT» di Anderson
Ma cosa ci dicono i programmi per computer sugli effettivi processi dell‟apprendimento e
del pensiero propri dell‟uomo? Nulla, almeno direttamente.
Il ruolo che svolgono i programmi per computer è molto simile a quello svolto dall‟analisi
matematica: anziché modificare la logica della costruzione delle teorie, cioè, i programmi per
computer applicano tale logica più a fondo e con maggiore precisione.
Uno dei modi in cui i computer hanno influenzato la teoria dell‟apprendimento è stato quello
di fornire un‟analogia generale utilizzabile nell‟elaborazione di teorie. Allo stesso modo in cui vari
studiosi del passato vedevano da un lato gli esseri umani come animali e dall‟altro sia gli esseri
umani che gli animali come meccanismi semplici funzionanti in base allo schema stimolo-risposta,
più di recente altri studiosi hanno cominciato ad analizzare gli esseri umani, e a volte anche gli
animali, come «computer dotati del cervello di un organismo vivente» (wet computers), che fanno
per mezzo dei neuroni quello che i computer fanno per mezzo dei microcircuiti integrati. Dal
momento che alcune operazioni eseguite dai computer assomigliano molto ad attività di tipo
cognitivo, i modelli teorici che si ispirano ai computer sono più vicine alle teorie cognitive che
hanno tentato di dimostrare in che modo i processi cognitivi e le conoscenze diano origine a
comportamenti concreti. Pertanto, alcuni di questi modelli teorici sono chiamati sistemi di regole di
produzione o sistemi di produzione, che si assumono il compito di dimostrare come i processi
cognitivi diano luogo ad azioni concrete.
Una delle teorie di questo tipo, chiamata teoria «ACT», è stata elaborata da John R.
Anderson negli anni che vanno dal 1982 al 1993. ACT sta per Adaptive Character of Thought e si
riferisce al carattere adattivo del pensiero, è un modello sull‟acquisizione della conoscenza che tiene
conto in modo globale del sistema cognitivo
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L‟ACT è un’architettura cognitiva (che ha lo scopo di catturare i principi base delle
operazioni che sono incorporate nel sistema cognitivo) che vuole spiegare come l‟individuo passi
dall‟avere “poca conoscenza” relativa ad un dato dominio, ad una “conoscenza più vasta”. Si tratta
in sostanza di una teoria relativa alla “proceduralizzazione”.
La situazione di apprendista, che ha poca conoscenza relativa ad un dato dominio, porta ad
un processamento controllato delle informazioni che richiede:
1
consapevolezza
2
uno sforzo attentivo
3
un filtraggio delle informazioni da parte del soggetto
Una conoscenza più vasta permette di processare le informazioni in modo automatico che
richiede:
1.
Poco tempo
2.
Pochissimo sforzo da parte del soggetto
3.
Nessuna limitazione o Span di Memoria
Fondamentale nella teoria ACT, è la distinzione tra due tipi di conoscenze: dichiarative e
procedurali. Le conoscenze dichiarative sono quelle che siamo soliti chiamare conoscenze: le
proposizioni o asserzioni che sono vere. Possiamo vederle come descrizioni della realtà o come
risposte alle domande o come il «sapere che cosa è». Le conoscenze procedurali sono le capacità di
mettere in pratica delle procedure in modo corretto. Possiamo considerarle delle competenze, il
«sapere come si fa»
Anderson vede il processo di acquisizione delle abilità come un passaggio dall‟uso della
conoscenza dichiarativa a procedure che possono essere applicate velocemente ed in modo
automatico in situazioni specifiche.
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L‟ACT di Anderson ha tre componenti principali per l‟elaborazione dell‟informazione: la
MEMORIA DICHIARATIVA, una rete semantica di concetti interconnessi che hanno una diversa
forza di attivazione; la MEMORIA PROCEDURALE, un sistema di produzioni costituito da regole
SE…….ALLORA (cioè da una condizione e da un‟azione) e la MEMORIA DI LAVORO che
contiene le informazioni attivate in un dato momento.
Inoltre l‟ACT prevede tre differenti processi:
1.
Processi di Codifica che hanno il compito di collocare le informazioni nella
memoria di lavoro (working memory - WM);
2.
Processi Esecutivi che trasformano i comandi della WM in comportamenti.
3.
Processi di applicazione che consistono in nuove regole di produzione che
possono venir apprese esaminando produzioni già esistenti
Gli eventi del mondo esterno vengono codificati e collocati nella WM (memoria di lavoro).
Le informazioni rilevanti che sono in relazione con questi eventi vengono recuperate dalla
memoria dichiarativa e collocate nella WM (anche l‟informazione contenuta nella WM può essere
collocata nella memoria dichiarativa).
Le regole di produzione vengono attivate con un confronto tra pattern, se l‟informazione
contenuta nella memoria di lavoro è coerente con la condizione della regola di produzione, la regola
di produzione viene eseguita.
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Lezione IV
3 Il Neoconnessionismo
Le analisi dell‟attività di risoluzione dei problemi illustrate nel paragrafo precedente
trattavano tale attività come una successione di azioni compiute seguendo determinate regole. Tali
regole, in qualunque modo venissero formulate e indipendentemente del fatto che venissero
utilizzate da una persona o da un computer, erano regole razionali, finalizzate, dirette a uno scopo.
Fu soprattutto questo concetto di regola, più di qualsiasi altro argomento teorico, l‟elemento
qualificante dell‟orientamento cognitivo, ciò che gli conferì forza e prestigio nell‟ambito della
teoria dell‟apprendimento.
Questo modo di operare però è contrassegnata da una forte assenza di versatilità crea molti
aspetti negativi:

incapacità di acquisire le informazioni di volta in volta pertinenti ai compiti
da svolgere;

limitazione a problemi ben definiti;

esigenza che tutte le conoscenze siano rappresentate esplicitamente;

mancanza di “senso comune”.
Essa in tutti i suoi aspetti è presente nel problema del frame15 ossia della cornice entro la
quale accadono le cose e che si aggiorna continuamente richiedendo un continuo aggiornamento e
aggiustamento in virtù dei cambiamento accaduti.
Le persone hanno la capacità di riconoscere i dati utili, acquisendoli per via inferenziale o
mediante la relazione conoscitiva con l‟ambiente che non richiede e non rende possibile una
schematizzazione di essi, mentre i sistemi artificiali, non essendo possibile utilizzare schemi, non
sono in grado di dare risposte. Tale limite rende evidente la lontananza di questi dispositivi dalla
15
McCarthy J., Hayes P., Some Philosophical problem from the standpoint of artificial intelligence, Machine
Intelligence 4, 1969.
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mente umana ma diventa focus di ricerca per le scienze cognitive approdando al
neoconnessionismo16 che ispirandosi alle reti neurali del cervello cerca di capire il funzionamento
della mente.
Il neoconnessionismo è un sistema per l‟ assetto delle informazioni così come nel sistema
computazionale “classico”, ma l‟elaborazione avviene in altro modo.
Innanzitutto nel sistema classico il processo di elaborazione delle informazioni è sequenziale
in una rete neurale, al contrario, è parallela poiché numerose unità svolgono simultaneamente le
loro elaborazioni e poi nel sistema classico ciascun dato è riprodotto da un simbolo che rappresenta
il tutto, al contrario, in una rete neurale l‟informazione è distribuita e non rappresentata da semplici
simboli17.
Nel gioco dei pesi (ossia delle connessioni) che si creano tra pattern di input e di output si
evidenzia che il sistema apprende cioè corregge i processi per arrivare ai risultati richiesti: in questo
sono più affini ai sistemi cognitivi umani che avvengono in un continuo scambio
(neurotrasmissione) tra neuroni e sinapsi.
Una visione connessionista plasma un singolo processo cognitivo non “il cervello”ma è
importante che queste osservazioni abbiano avvicinato l‟elaborazione delle informazioni a
particolari prestazioni cognitive. Le ricerche sulle reti neurali, oggi stanno evolvendo velocemente
16
Un sistema connessionista si compone, tipicamente, di un insieme di unità di input connesse alle unità di output
attraverso un insieme di unità nascoste. Tutte le unità sono caratterizzate da uno stato di attivazione, che varia nel
tempo (in modo discreto o continuo). Lo stato di attivazione di un‟unità, se non è determinato dall‟esterno del sistema,
dipende dalla propagazione degli stati di attivazione delle unità con cui essa è connessa; l‟entità della propagazione, a
sua volta, dipende dalla forza delle connessioni, detta peso. I pesi associati alle varie connessioni possono variare nel
tempo in base all‟ “esperienza” del sistema, cioè come effetto del suo funzionamento. Si vedano in proposito le
pubblicazioni di Rumelhart e McClelland 1986.
17
Una rete neurale (del tipo forward sopra descritto) funziona così: lo stato di attivazione delle unità di input si propaga,
attraverso le connessioni, alle unità nascoste e di qui alle unità di output; la propagazione è modulata dai pesi associati
alle connessioni. Il pattern di attivazione delle unità di output è il risultato dell‟elaborazione. Quindi, al contrario di
quanto avviene in un sistema computazionale classico, in una rete neurale non c‟è distinzione tra unità di calcolo e unità
di memoria: il “calcolo” è eseguito dall‟intera rete, e l‟informazione che essa possiede è anch‟essa rappresentata dallo
stato dell‟intera rete. Ora, è evidente che, affinché le elaborazioni di una rete siano quelle “giuste”, cioè diano i risultati
voluti, occorre che la rete abbia l‟architettura opportuna e che i pesi sulle connessioni siano a loro volta “giusti”.
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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cercando di dare risposte laddove l‟intelligenza artificiale e le scienze cognitive sembrano essere in
pausa.
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4 Nuove prospettive di ricerca: i neuroni specchio
A tal proposito è utile accennare alle ricerche di matrice italiana che si stanno sviluppando
sui “neuroni specchio18” Mirror Neurons da parte di un gruppo di ricercatori dell‟Università di
Parma coordinato da Giacomo Rizzolatti19.
Lo studio era finalizzato alla corteccia premotoria ma nei diversi esperimenti con le scimmie
si accorsero che vi era una reazione da parte di alcuni neuroni quando essa osservava lo
sperimentatore prendere la banana dal cesto. Fu questa una grande sorpresa perché si è sempre
pensato che solo attraverso le funzioni motorie si attivassero quei neuroni.
L‟esperimento è stato ripetuto più volte e il risultato è stato confermato. Tali neuroni hanno
una doppia caratteristica. Certamente si mettono in funzione quando l‟animale compie un‟azione, ad
esempio afferra un oggetto ma si attivano in modo similare quando l‟animale vede un altro animale,
o un individuo fare la stessa azione. Si può dire che un gesto fatto da qualcuno fa “risuonare” in chi
guarda con attenzione l‟azione, i neuroni che si sarebbero attivati solo se lui stesso avesse svolto
quell‟azione. Nel 1995, i ricercatori documentano che anche nell‟uomo esiste un sistema simile a
quello trovato nella scimmia.
Questa scoperta dimostra anche che le neuroscienze che si sono in qualche modo poste
sempre con uno spirito empirista rispetto alla conoscenza, ampliano il focus delle ricerche,
attraverso tecniche nuovissime, verso problematiche che convenzionalmente sembrano essere più
18
Le ricerche relative ai neuroni specchio hanno fatto emergere che una delle aree del cervello in cui si attivano questi
neuroni è l‟area di Broca, notoriamente deputata alla elaborazione e comprensione del linguaggio. Per questo motivo
molti neuro scienziati credono che il linguaggio umano sia l‟elaborazione e la decodificazione da parte del sistema
specchio delle informazioni trasmesse con le prestazioni gestuali.
19
Negli anni ‟80 e ‟90 il gruppo di ricercatori dell‟Università di Parma coordinato da Giacomo Rizzolatti e composto da
Luciano Fadiga, Leonardo Fogassi, Vittorio Gallese e Giuseppe di Pellegrino.
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vicine alla filosofia ad esempio come posso capire altre persone? Come sono in grado di percepire
le loro intenzioni e il perché del fare un‟azione?
La scoperta dei neuroni a specchio sembra interessare molte aree cerebrali, quindi, anche il
linguaggio nella possibilità di imitare delle azioni.
Queste ricerche aprono necessariamente una serie di riflessioni. «Primo, per comprendere gli
altri dobbiamo prima creare delle conoscenze interne, degli “a priori” legati, come voleva già
Helmoltz, al sistema motorio, il sistema che “verifica” le nostre conoscenze. Secondo, tra noi e gli
altri c‟è un legame empatico. Gli altri entrano continuamente in noi con il loro agire. Ciò sia in caso
di azioni “fredde”, prive di valenza emotiva, ma anche (gli esperimenti su questo punto sono però
scarsi) anche per azioni emotivamente “calde”. Terzo, ogni analogia tra cervello e computer, come
spesso si sostiene, cade non solo per le differenze di funzionamento, ma per la logica intrinseca del
cervello che è strettamente legato al mondo esterno ed agli altri. Infine il sorprendente legame tra il
nostro agire e quello degli altri potrebbe essere alla base del comportamento altruistico, come
recentemente suggerito da Changeux, e rappresentare la base naturale, biologica del comportamento
etico»20.
In conclusione la ricerca sui “neuroni specchio” consente sia di approfondire le nostre
conoscenze sul funzionamento del cervello, sia di comprendere i processi che ci portano ad avere
rapporti fra e con le persone. La possibilità di indagare questi due settori permetterà anche alla
didattica e alla pedagogia di ampliare le attuali cornici interpretative della conoscenza prospettando
nuovi paradigmi di conoscenza.
Il discorso che ci ha portato fino alle reti neurali è finalizzato ad evidenziare che il soggetto
costruisce le proprie conoscenze nei contesti culturali e sociali nei quali vive utilizzando tutti gli
20
Rizzolatti G., Neuroni specchio: un meccanismo per capire e interagire con altri individui , Scientiae Munus 24 ottobre 2000:
http://scientiaemunus.provincia.parma.it/; Cfr. Rizzolatti G. , Sinigaglia C., So quel che fai. Il cervello che agisce e i
neuroni specchio, Cortina Raffaello, Milano 2006.
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apporti che possono giungere dalle cosiddette scienze dell‟educazione e non solo visto il rapporto
evidenziato con la biologia, con le neuroscienze, con le tecnologie. Tutti questi rami del sapere
confluiscono in quelli che possono essere definiti paradigmi di conoscenza.
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Bibliografia
Acone G. (a cura di), Aspetti e problemi della pedagogia contemporanea, Edizioni Seam
Roma, 2001.
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Milano 1954.
Miller G.A., Linguaggio e comunicazione, La Nuova Italia, Firenze 1999.
Miller G. A., The magical number seven, plus or minus two: Some limits on our capacity for
processing information, Psichological Review, 1956, n. 63.
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intelligence, Machine Intelligence 4, 1969.
Rizzolatti G., Sinigaglia C., So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio,
Cortina Raffaello, Milano 2006.
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