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la cultura dell`integrazione - Università Telematica Pegaso

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la cultura dell`integrazione - Università Telematica Pegaso
LEZIONE:
“LA CULTURA DELL'INTEGRAZIONE”
PROF. CARMINE PISCOPO
La cultura dell’Integrazione
Indice
1 Tra uguaglianza e diversità --------------------------------------------------------------------------------------------------- 3 2 La cultura dell’integrazione in Italia --------------------------------------------------------------------------------------- 7 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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La cultura dell’Integrazione
1 Tra uguaglianza e diversità
Le profonde motivazioni che hanno indotto gli studiosi, i responsabili delle politiche sociali
e la comunità civile a proporre e far accettare largamente la "cultura dell'integrazione" sono
correlate con un'antropologia che conferisce al soggetto umano un valore intrinseco e "sussistente".
Il riconoscimento dei "diritti" dell'handicappato quale soggetto titolare di istanze umane
inconcutibili è una conquista molto recente.
Il lungo itinerario umano, civile, scientifico e politico del paradigma dell'integrazione è stato
contrassegnato, anche di recente, da colpevoli indifferenze, da opposizioni camuffate, da
autoesaltanti dichiarazioni di presunti meriti di paternità.
Non si può nascondere che la positiva conquista finale, ossia l'accettazione del "diverso",
dello "svantaggiato", dell' "impedito", del "disabile", dell' "invalido", del "minorato", dell'
"handicappato" grave o lieve mette capo, pur nel rispetto delle particolari "visioni della vita e del
mondo", ad una concezione dell'uomo ampiamente condivisa e connotata da un valore autonomo,
da una dignità peculiare, da un significato proprio.
Sicuramente,
anche
sul
piano
crono-generativo
dell'affermazione
delle
istanze
dell'handicappato, il messaggio cristiano ha rotto non solo con la precedente cultura classica che
legittimava l'annientamento dei bambini disabili spartani dal monte Taigeto e l'esaltazione del
vigore fisico e delle virtù guerriere nella civiltà romana, ma ha dischiuso un nuovo e luminoso
orizzonte ed ha offerto indicazioni concrete che solo alle soglie del terzo millennio hanno avuto
riscontri operativi nelle cultura laiche, nelle filosofie endomondane e nelle ideologie secolari.
Al di là di una storia imparziale e puntuale - al momento inesistente - delle vicissitudini del
"disabile" sul piano esistenziale concreto nelle società civilizzate dell'Occidente, è possibile, in
qualche modo, rinvenire, nell'ambito delle antropologie filosofiche, i principi generali di
giustificazione e di legittimazione della soggettività del "diverso" e della sua educabilità.
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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La cultura dell’Integrazione
Il concetto di persona proposto dal messaggio evangelico ed elaborato dall'intera sintesi
cristiana rappresenta ineludibilmente il più alto riconoscimento della dignità e del valore dell'uomo,
senza alcuna intrinseca distinzione o differenza sostanziale.
Ogni uomo, nella sua irripetibilità individuale, è, al contempo, persona in se stesso e
diversità rispetto ai suoi simili, in quanto è "...tutto intero corpo e tutto intero spirito fin dal suo
essere elementare e da suo esistere incarnato".
Ovunque la persona porti la propria luce, la natura, il corpo, la materia, insomma la sua
opacità che può anche cagionare scacco e perdita,senza mai sminuire il suo valore, ivi é presente la
sua dignità inconcutibile.
La perfezione dell'universo personale "incarnato" non si identifica con la perfezione di un
ordine costituito rigido ed universale. La perfezione sta nella libertà e nella dignità della persona
che, "nella tragicità della sua concezione ottimistica incontra non già la caduta e lo scacco, ma la
sua grandezza" (Mounier, 1964, pp. 43-44).
Tutte le antropologie e tutti gli umanesimi che rifiutano la persona quale imprescindibile
fondamento intrinseco di valore e di riferimento non riescono poi a legittimare all'uomo primalità e
priorità che non siano mutuate, in ultima istanza, da un supposto diritto positivo costruito su un
ordine esterno alle loro articolazioni.
Non é possibile, d'altra parte, giustificare la presenza dell' "altro", del "diverso", in nome di
una presunta filosofia del declino fortemente correlata con l'esplosione della cultura di massa, entro
un orizzonte di pensiero che ha enfatizzato perfino le "avventure della differenza", in una realtà
socio-politica frammentata e policentrica quale é quella della nostra attuale epoca storica in cui la
metafora del diverso, come tutte le metafore, diventa un'invenzione di comodo di lobbies culturali,
di partitocrazie e di movimenti ideologici palesi o camuffati.
Se non si vuole propiziare l'accelerazione del declino reale dell'uomo, occorre avere piena
consapevolezza della necessità del rispetto e delle piena accettazione dell'altro, del tu, del diverso
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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da considerare quale "alter ego".
L'ultimo limite di senso che possa giustificare una disequazione logica ed un rapporto
contrastivo tra l'uguale ed il diverso, tra il soggetto normodotato ed il menomato è rinvenibile nella
persona quale impreteribile principio veritativo dell'autenticità umana.
E' in nome della persona che è possibile comprendere ed accettare la differenza e la
diversità, interpretando le rotture, le lacerazioni, le recessioni, le cadute, le limitazioni, le mancanze
nell'umano dell'uomo come le ragioni di un'uguaglianza negata, ma senza il peso dell'intolleranza,
dell'incomprensione, della beffa, dell'indifferenza e della condanna.
In ambito pedagogico, è la concezione del disabile, dell'impedito, del menomato in quanto
persona a conferire vigore al progetto della piena educazione intesa quale massimo recupero del
potenziale umano in ogni educando.
Le finalità dell'educazione anche per i soggetti contrassegnati da deficit mentali, sensoriali,
motori, affettivi sono - come sottolinea Zavalloni - "sostanzialmente identiche a quelle
dell'educazione generale,vale a dire: permettere a ciascuno di sviluppare al massimo le sue capacità
intellettive, scolastiche e sociali" (Zavalloni,1977, pp. 12-13).
L'educazione non potrà mai essere diretta a privilegiare un disturbo o un deficit, ma investe
sempre tutto l'educando in quanto persona che è "... portatrice della sua dignità per natura e non per
elargizione benevola degli altri. Essere persona significa porsi nella storia come valore e come
dover essere oltre che come essere. Il valore della persona consiste fondamentalmente nel poter
disporre di potenzialità proprie per attingere il fine specifico della natura umana: la razionalità e la
spiritualità. Essere persona normale o handicappata comporta un dovere da compiere: realizzare se
stessi nel mondo e col mondo nella consapevolezza che il valore-persona non può esaurirsi nel
mondo e nelle relazioni" (Vico,1984, pag.157).
Alla luce dell' unicità e della diversità dell'handicappato, appare strumentale, mistificante e
lesivo della dignità dell'uomo ogni tentativo pseudopedagogico inteso a ridurre l'azione educativa a
favore degli handicappati a forme squallide e deteriori di psicologismo e di sociologismo di
maniera ed opportunistici, così come si dimostra offensiva ogni misura politica protezionistica,
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senza la dovuta attenzione alla libertà del soggetto portatore di handicap.
Dissacratoria, perniciosa e, a volte, esiziale è pure la pretesa di voler trasferire una corretta
impostazione metodologica e didattica sul piano di rigorose strategie compensative e di tecnicismi
riabilitativi che, negligendo la soggettività personale, mirano direttamente al disturbo, al deficit,
alla disfunzione, finendo per considerare l'handicappato alla stregua di un organismo sensopercettivo o, al massimo, cognitivo, scomponibile appunto come un congegno senz'anima, come un
materiale di laboratorio, cancellando ogni traccia divina nella più sublime di tutte le creature anche
se contrassegnata da opacità e da limitazioni.
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La cultura dell’Integrazione
2 La cultura dell’integrazione in Italia
L’interesse comune e lo sforzo congiunto della società civile, dello Stato politico e della
scienza (medicina, sociologia, psicologia, pedagogia) hanno prodotto in Italia la cultura
dell’integrazione
Il ricco patrimonio di riflessioni e di ricerche, a partire
dalle teorizzazioni e dalle
sperimentazioni di Maria Montessori con bambini cosiddetti subnormali o anormali (Casa dei
Bambini 1907), utilizzando le esperienze di Giuseppe Ferruccio Montesano e di Sante De Sanctis,
arricchite dagli apporti della stessa pedagogia emendativa o correttiva (l’ortopedagogia) per
giungere ai recenti contributi delle numerose cattedre di Pedagogia speciale moltiplicatesi in Italia a
partire dai primi anni Ottanta del secolo scorso, ha dato vita, insieme con le vibrate rivendicazioni
sociali di oltre 30 anni, a quella che comunente è definita la “cultura dell’integrazione”.
Abbiamo assistito, così, per un verso, alla proliferazioni di leggi a favore dell’integrazione e,
per un altro verso, alla produzione scientifica di soluzioni praticabili per ridurre il fenomeno
dell’abbandono dei soggetti disabili al mero destino personale e familiare.
Si è venuta consolidando, più in particolare, la convinzione di mettere in essere non più
un’integrazione isolata, unilaterale, ma una sorta di integrazione globale ovvero sistemica,
risultante dall’intesa e dalla sinergia di più sistemi operanti per il perseguimento di un unico fine
(abbiamo visto impegnati sincronicamente i sistemi famiglia, società, scuola, comunicazione,
economia, chiese nel perseguire il comune obiettivo del rispetto della integrazione del diversamente
abile).
Vasto e articolato si presenta il panorama di studi e ricerche, a partire dai primi anni del 1970.
In una rapida carrellata si possono individuare alcuni rappresentanti significativi di almeno
quattro scuole di pensiero.
La personalistica, che rivolge l’attenzione al soggetto disabile considerato principalmente
come persona, prima ancora di prendere in esame la patologia specifica, il deficit o la disabilità,
considerando, pertanto, tutto il processo di integrazione scolastica come un percorso di
normalizzazione secondo i cinque criteri procedurali proposti da Roberto Zavalloni (situare,
guidare, integrare, impegnare, animare) oppure secondo la proposta di Giuseppe Vico secondo il
quale l’itinerario educativo della persona handicappata si snoda attraverso l’articolazione triadica
dell’essere, potere essere e dovere essere secondo la prospettiva della sintesi cristiana che annette
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La cultura dell’Integrazione
alla soggettività umana la dignità della persona intesa come principio sussistente ontometafico di
elevata dignità e di alto prestigio, anche in presenza dell’opacità del corpo, dello scacco, della
perdita e della malattia.
L’educazione non deve mirare a privilegiare il disturbo, il deficit, la malattia, ma deve
investire tutto l’educando anche in presenza di disturbi mentali, fisici e sensoriali. Secondo
Zavalloni le finalità dell’educazione sono le medesime sia che si tratti di soggetti dalle facoltà
compromesse sia per i soggetti normodotati.
Sul versante, poi, psicologico e psicoterapeutico è da sottolineare il contributo di ispirazione
personalistica di Milena Moretti e di Giorgio Cannao i quali nei loro lavori privilegiano la cura
intesa come attenzione e amore, nel senso della dedizione piena alla persona disabile, al di là della
cura meramente medica e sanitaria.
Un altro indirizzo di pensiero è rappresentato dalla dimensione funzionalistica nell’educazione
dell’handicappato, con l’attenzione centrata sulla prassi, soprattutto con il contributo di Paolo
Meazzini al quale spetta il merito di avere fatto conoscere anche in Italia le esperienze di
rieducazione e di integrazione dei diversabili negli Stati Uniti d’America, ancora sotto l’influenza
di un certo associazionismo, di terza generazione, (rispetto alla prima generazione, quella etologica
o animale di von Pavlov, Watson, Thorndike e di seconda generazione, quello applicato all’uomo di
Burrus Skinner e i suoi proseliti), nella convinzione che tutta l’attività psichica umana, soprattutto
l’apprendimento, è un comportamento (behavior), ossia una risposta ad uno stimolo.
Si diffondono, così, anche nel nostro Paese i famosi Curricula Strumentali, pacchetti
precostruiti, per il recupero di ognuna delle disfunzioni o disabilità cognitive, nel quadro di una
strategia di intervento cosiddetto ecologico, essenziale nell’ambiente vitale del soggetto soprattutto
in presenza di deficit grave.
Vengono proposti, pertanto, anche nelle nostre scuole nel decennio a cavallo tra gli anni
Ottanta e Noventa del secolo scorso i curricoli strumentali americani: Fredericks
coordinazione oculo-manuali; Bender-Bender, Sidman e Cresson
per la
per la scrittura e la lettura
strumentale; altri curricula funzionali quali: Fagetti e Micheluz, Bijou e Wodcock, Frostig e Horne,
Engelman e Bender, Valletutti e Bender, Goodman e Hamil, Duffy e Sherman, hanno l’obbiettivo
di promuovere e rinforzare l’autonomia.
In tale quadro è da considerare l’apporto offerto dal Centro Studi Erickson di Trento e
dall’impegno profuso da Dario Ianes per la predisposizione di guide per l’educazione
dell’handicappato e dei sussidi proposti mediante la Rivista Insegnare all’handicappato.
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Una terza prospettiva può essere individuata nell’ analisi psicologica, psichiatrica e clinica
centrata sull’accertamento delle disabilità psichiche e psichiatriche infantili, del disagio mentale,
dei disturbi neurofisiologici e genetici, a partire dai contributi di Pietro Pfanner con la Fondazione
Stella Maris fino a Marco Vianello che ha analizzato le disabilità cognitive ed ha proposto terapie
cognitivo-comportamentali, a Cesare Cornoldi che, in particolare, ha studiato i disturbi e le
difficoltà di apprendimento nella scuola insieme con la matacognizione, a Salvatore Soresi che ha
proposto soluzioni anche per la riabilitazione.
Questa scuola di pensiero non si esaurisce con gli autori sopra richiamati, ma comprende un
nutrito stuolo di ricercatori che operano presso cattedre universitarie ed istituti specifici in tutto il
territorio nazionale.
Una quarta prospettiva che può essere denominata metodologico-didattica, nata ed
alimentatasi presso le cattedre di Pedagogia Speciale e di Didattica Speciale, a partire dagli anni
Settanta del secolo scorso.
Gli studiosi sono numerosi. Ci limitiamo ad indicarne uno per tutti: Andrea Canevaro che ha
seguito l’ampia parabola (anche linguistica, giuridica ed istituzionale) delle vicende del diversabile
in Italia.
Bastano i titoli delle sue numerose pubblicazioni per seguire il tracciato delle visioni e delle
misure messe in atto in relazione all’integrazione scolastica:
•
Manuale di pedagogia speciale,
•
Nell’handicappato c’è un bambino e uno scolaro,
•
Ragazzi scomodi,
•
I bambini che si perdono nel bosco, Handicap e scuola,
•
Educazione e handicappati,
•
Bambini handicappati,
•
Crescere insieme,
•
La relazione di aiuto,
•
La riduzione dell’handicap,
•
Pedagogia dell’inclusione Cura continua del disabile mentale.
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La cultura dell’Integrazione
Di seguito le riviste citate all'interno della lezione:
• Insegnare all’handicappato, Erickson Trento;
• Pedagogia clinica, quadrimestrale, Omega, Torino;
• H D, trimestrale, di P. Meazzini, Roma;
• L’insegnante specializzato,
quadrimestrale dell’ASSIO Associazione Insegnanti
Ortofrenici;
• ERRE come riabilitazione, trimestrale, Roma;
Tra i sussidi:
• Materiali in videocassette, diapositive, DVD, tavole prodotte dall’Editrice
Q.U.E.R.C.I.A, Roma;
• Programma Frostig, Edizioni Omega, Torino.
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