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diritto di famiglia
INSEGNAMENTO DI
DIRITTO DI FAMIGLIA
LEZIONE IX
“L’ADOZIONE DEL MINORE”
PROF.SSA TIZIANA TOMEO
Diritto di famiglia
Lezione IX
Indice
1 Lo stato di adottabilità ---------------------------------------------------------------------------------- 3 2 Affidamento ed adozione-------------------------------------------------------------------------------- 5 3 L’adozione ------------------------------------------------------------------------------------------------- 9 4 Adozione internazionale------------------------------------------------------------------------------- 13 5 L’adozione dei minori in casi particolari ---------------------------------------------------------- 16 6 L’adozione di persone maggiori di età ------------------------------------------------------------- 17 7 Bibliografia ---------------------------------------------------------------------------------------------- 18 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Diritto di famiglia
Lezione IX
1 Lo stato di adottabilità
L’odierna lezione è interamente dedicata alla condizione del minore che si trovi per svariate
motivazioni, privo di una “famiglia”.
La legge 184 del 1983 successivamente novellata dalla 149 del 2001 stabilisce il <diritto del
minore a vivere, crescere ed essere educato nell’ambito di una famiglia>, tale risultato deve essere
raggiunto senza distinzione di sesso, etnia, età, lingua, religione, nel rispetto dell’identità culturale
del minore e non in contrasto con i principi fondamentali dell’ordinamento.
Il ruolo basilare della famiglia, assurge in tale contesto a parametro irrinunciabile al punto
che la legge ora evocata non è più intitolata “disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori”
bensì “diritto del minore ad una famiglia”, sottolineando il ruolo formativo e dinamico che si realizza
mediante l’appartenenza ad un “gruppo” che sia capace di svolgere un compito fondamentale per lo
sviluppo armonico del minore.
Quando tutte queste condizioni non si verificano, è ovvio che il minore non ha una famiglia
all’interno della quale ricevere tutte le cure, istruzione ed educazione alle quali avrebbe dovuto avere
diritto e pertanto si dice che egli versa in “stato di abbandono” .
Ovviamente quest’ultima condizione deve essere distinta da quella nella quale il minore nasce
in una famiglia che versi in povertà, tant’è che si sostiene fermamente che <l’indigenza dei genitori o
del genitore esercente la potestà non può essere di ostacolo all’esercizio del diritto del minore alla
propria famiglia>. Infatti per far fronte a tale eventualità, sono stati previsti interventi di sostegno e
di aiuto a favore della famiglia che nel tentativo di prevenire l’abbandono, attuano il diritto del
minore di crescere ed essere educato nel contesto familiare di origine. In aderenza ai principi di
derivazione costituzionale, la novella del 1983 n.184 sollecita stato, regioni ed enti locali,
nell’ambito delle proprie competenze, a sostenere con idonei interventi, ispirandosi alla loro
autonomia e nei limiti delle risorse disponibili, i nuclei familiari in difficoltà, affinché possano
svolgere adeguatamente la loro funzione.
Quando la prole non può crescere ed essere educata nella sua famiglia né in essa possano
essere predisposti tutti gli strumenti di solidarietà tali da rendere realizzabile un’adeguata crescita
umana, il minore è in una situazione decisamente triste e da dover gestire, ossia è in stato di
adottabilità.
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Lezione IX
L’esigenza disciplinata dall’art.1 comma 4° della legge 184, quella di tutela della famiglia
d’origine, pone in essere anche un riferimento agl’istituti dell’affidamento e dell’adozione nel
momento in cui la famiglia non sia in grado di provvedere alla crescita ed all’educazione della prole.
Quando quella d’origine manca o cessa di essere il luogo in cui si soddisfano le necessità di vita e si
realizza la cura del minore, in tal caso il diritto previsto dalla legge 184 assume un preciso
significato, quello di entrare a far parte di una famiglia idonea per tale compito.
A tanto concorrono anche gl’istituti dell’affidamento che è uno strumento di sostegno e di
supplenza della famiglia in temporanea difficoltà, preordinato al rientro in essa come unica sua
famiglia e tendendo a mantenere vivo il rapporto con quest’ultima da parte del minore che cresce;
mentre l’adozione, fondandosi sull’abbandono definitivo giudizialmente accertato, è relegata ai casi
estremi, ma, sostituendo una famiglia nuova a quella di origine, ripropone il diritto del minore a
vivere in una famiglia che sia legalmente costituita ed operante e che sia “sua”.
Le norme della carta repubblicana, riconoscendo come obiettivo preminente lo svolgimento
della personalità in tutte le sedi proprie, assurgono a valore primario la promozione della personalità
del soggetto umano in formazione e la sua educazione nel luogo a tal fine maggiormente idoneo che
debba ravvisarsi in primis nella famiglia d’origine e solo in caso d’incapacità di questa, in una
famiglia sostitutiva. Tant’è che l’art. 30 della cost. Prevede il dovere del legislatore e dell’autorità
pubblica di predisporre quegl’interventi che pongano rimedio in modo efficace al mancato
svolgimento dei compiti dei genitori di sangue. Insito nella costituzione non è tanto il valore dato alla
famiglia ma alla concreta esperienza di vita dei suoi componenti, per fa svolgere un ruolo formativo
ai membri avuto riguardo alla loro personalità.
E’ importante come la legge 184/1983 assicuri al minore abbandonato una coppia di cui sia
collaudata la stabilità che sia preparata a svolgere la sua funzione genitoriale e scelta attraverso la
comparazione, per rispondere in modo adeguato alle esigenze del bambino, avendo cura che il
cosiddetto “trapianto” si realizzi attraverso un periodo di prova.
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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2 Affidamento ed adozione
L’istituto dell’affidamento non è sconosciuto al nostro ordinamento, ridisegnato con la legge
184/1983 e novellato con quella del 2001 la n. 149, è stato rielaborato su nuove basi, fissandone il
suo carattere assistenziale, destinato ad operare in situazioni di temporanea difficoltà della famiglia
di origine ad assolvere i compiti educativi, laddove risultassero inidonei gl’interventi di sostegno
offerti dai servizi sociali. Ovviamente non è insito nell’istituto lo stesso iter previsto per l’adozione,
mi riferisco al percorso che conduce all’adozione del minore ma, esso è funzionalizzato ad assicurare
assistenza al bambino in difficoltà nella famiglia di origine e contestualmente un suo recupero nel
tentativo che possa ritornare ad essere pienamente capace per assolvere il suo compito. La
particolarità dell’affidamento sta nel fatto che con esso non si determinerà mai una rottura con la
propria famiglia poiché la prole resterà legata ad essa non solo in funzione del ricordo ma anche dalla
consapevolezza di poter rimanere sempre partecipe pur se temporaneamente priva del minore. Non
va dimenticato che lo scopo ultimo, il fine in vista del quale l’affidamento è posto in essere, è il
ritorno del minore nella propria famiglia, la quale deve essere aiutata a cambiare, a svilupparsi ed a
crescere, superando le difficoltà. La legge prevede due tipi di affidamento, quello ad una famiglia od
ad una persona singola (preferibilmente lì dove esistano già figli minori) e l’altro ad una comunità di
tipo familiare od in mancanza, ad un istituto di assistenza pubblica o privata. Un altro importante
traguardo della legge sull’affidamento è stato quello di prevedere la chiusura degli istituti entro il 31
dicembre 2006 in modo tale che i minori che in quella data ancora vi si fossero trovati, avrebbero
dovuto essere affidati ad una famiglia e ove ciò non fosse stato possibile, inserirli <in comunità di
tipo familiare caratterizzate da organizzazione e da rapporti interpersonali analoghi a quelli di una
famiglia>, continuando a stabilire il divieto di ricovero in istituto per minori di età inferiore ai sei
anni (art. 2 co. 2).
Un presupposto invece indifferibile è la temporaneità della privazione per il minore di una
famiglia, ossia la mancanza di un ambiente familiare idoneo deve essere transitoria, a giudizio dei
servizi sociali o del tribunale per i minorenni, dovendosi ammettere che il nucleo costituito dalla
famiglia biologica del minore sia recuperabile e che nel periodo di tempo relativamente breve il
minore possa esservi reinserito.
L’affidamento non solo ha carattere transitorio ma cessa non appena sia superata la
temporanea difficoltà della famiglia d’origine (art. 4 co.5°); la legge determina anche i requisiti del
provvedimento di affidamento familiare che ex art. 4 co°4 <deve essere rapportabile al complesso
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d’interventi volti al recupero della famiglia d’origine e che non può superare la durata di ventiquattro
mesi>, salvo in ogni caso la possibilità di proroga da parte del tribunale dei minori <qualora la
sospensione dell’affidamento rechi pregiudizio al minore>. L’impedimento all’assistenza del minore
ha natura transitoria se di durata limitata, ossia quando a seguito di una valutazione ex ante, il minore
sia privo di un ambiente familiare, ma tale evenienza sarà destinata ad esaurirsi in un ragionevole
arco di tempo, realizzando comunque la continuità del rapporto educativo nella famiglia di origine
con il reinserimento, cessata la situazione di temporanea difficoltà. Una simile descrizione
ovviamente, lascia presumere che non si possa sine die protrarre una situazione che per sua stessa
natura deve essere a tempo determinato, pertanto la legge 149/2001 fissa in ventiquattro mesi la
durata massima dell’affidamento, suscettibile di proroga allorquando la sua sospensione rechi
pregiudizio al minore.
In origine l’accezione “temporaneità” indicava solo il contrario di “definitivo”senza ulteriormente
specificare e quantificare la durata. Può accadere però che si possa spezzare quel vincolo tra il
minore e la famiglia di origine e che la situazione di carenza educativa pur giudicata temporanea in
un primo momento, si aggravi sino ad integrare l’abbandono, ebbene, anche in tal caso si deve
dichiarare lo stato di adottabilità. Così si pronuncia la giurisprudenza quando afferma che le
situazioni in cui la prole è affidata a soggetti diversi dalla famiglia d’origine, prescindendo da
valutazioni che ineriscono la bontà dell’affidamento provvisorio in preadottivo non siano idonee a
riscontrare la sussistenza oppur no di assistenza morale e materiale.
L’art.2 della legge 184 elenca gli affidatari del minore e li individua in una possibile altra
famiglia (da preferire quelle con figli), o una persona singola; sono da annoverare insieme alle prime,
ampliando il novero dei legittimanti, anche le persone coniugate da almeno tre anni (e non separate
neppure di fatto) ed, attualmente, le “coppie di fatto” con rilievo anche per le famiglie unipersonali.
L’art. 4 dell’evocata legge disciplina il potere di disporre l’affidamento che spetta ai servizi
sociali locali il cui provvedimento deve essere reso esecutivo dal giudice tutelare oppure dal
tribunale per i minorenni; con tali differenze, sarà competente il primo quando chi esercita la potestà
sul minore è consenziente mentre il secondo lo sarà ex art. 330 ss c.c.<ove manchi l’assenso dei
genitori esercenti la potestà o del tutore>. Tutto quanto detto è ovviamente da porsi nell’ottica di una
soluzione non traumatica nella quale i genitori siano chiamati a concorrere con una richiesta o
un’adesione all’affidamento, al superamento di una situazione temporaneamente inidonea che
impongono al titolare del munus (la potestà genitoriale appunto), il perseguimento esclusivo di
un’adeguata cura del minore. Il consenso espresso dovrà essere l’espressione di una volontà genuina,
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non viziata e consapevole e dovrà riguardare unicamente la disposizione dell’affidamento e non
anche la scelta dell’affidatario o in generale i presupposti dell’applicazione dell’istituto in parola.
L’art. 4 1° co statuisce che quest’ultimo si applica sentito il minore che abbia compiuto gli anni
dodici ma anche quello di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento.
L’esame del minore non rappresenta un aspetto formale del procedimento ma l’espressione di una
tendenza normativa che lo considera non un soggetto indifferenziato e neutro ma persona
caratterizzata da bisogni ed interessi.
Per quanto riguarda l’estensione dei poteri riconosciuti al giudice c’è da dire che sicuramente
essa non si esaurisce in una mera formalità bensì è un sindacato sui requisiti previsti nel
procedimento di affidamento; egli deve controllare l’operato del servizio locale che prepara ed adatta
il provvedimento di affidamento consensuale, rifiutandone l’esecutività quando risulti che il minore
si trovi in una palese situazione di abbandono al punto da rendere illegittimo l’affidamento familiare
e la dichiarazione di adottabilità.
Abbiamo espresso che l’affidamento è per sua stessa natura istituto temporaneo, pertanto è
destinato a venir meno, a cessare allorquando si verifichino due ipotesi ossia il venir meno della
situazione di difficoltà temporanea della famiglia di origine e quando la sua prosecuzione rechi
pregiudizio al minore.
La cessazione è disposta con un provvedimento della stessa autorità che ha disposto
l’affidamento e così se il provvedimento è stato adottato dal servizio sociale locale questo dovrà
anche disporre la cessazione ed il provvedimento relativo deve essere reso esecutivo dal giudice
tutelare. E’ proprio la legge ad attribuire a quest’ultimo il compito di richiedere al tribunale dei
minori l’adozione di ulteriori provvedimenti nell’interesse del minore (art. 4 6°co). Al riguardo si è
posto il quesito se debba considerarsi causa di cessazione il semplice decorso del periodo di tempo
indicato nel provvedimento di affidamento e per alcuni, il rapporto non dovrebbe concepirsi come
esaurito automaticamente atteso che nel provvedimento s’indica anche il periodo di presumibile
durata che non è comunque un termine finale. Contrariamente invece si sostiene che il
raggiungimento del termine di durata cessi in mancanza proprio di un termine di durata, ed è
l’impostazione che appare più verosimile. V’è da notare che la novella del 2001, introducendo una
significativa innovazione, accanto al limite massimo della durata dell’affidamento (biennale), abbia
previsto, una volta trascorso il periodo stabilito, di prorogare la durata dell’affidamento e ciò solo
quando la sua sospensione possa arrecare pregiudizio al minore ed in tal caso la competenza a
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decidere spetta al tribunale per i minorenni, ponendo fine alle discussioni intervenute sul testo
originario della legge 184/1983.
L’art. 5 della legge 184 disciplina quali siano i poteri dell’affidatario che possono essere
individuati nella temporaneità e strumentalità in funzione del reinserimento nella famiglia. Del resto,
gli affidatari devono accogliere il minore e provvedere al suo mantenimento, educazione ed
istruzione, tenendo conto delle indicazioni dei genitori per i quali non vi sia stata pronuncia ex
artt.330 e 333 c.c., o del tutore, osservando i precetti dell’autorità.
I poteri e gli obblighi dell’affidatario possono assumere fisionomia e contorni diversi in
relazione al tipo di provvedimento ed alla situazione concreta, in virtù del fatto che la natura ed i
compiti dell’affidatario subiscono l’influenza delle prescrizioni dell’autorità affidante e delle
indicazioni dei genitori (o del tutore). Infine, è necessario sottolineare che la legge si sforza
d’incoraggiare il compito degli affidatari. Sollecita infatti lo stato, le regioni e gli enti locali
nell’ambito delle proprie competenze e nei limiti delle disponibilità finanziarie dei rispettivi bilanci,
ad intervenire con misure di sostegno e di aiuto economico in favore della famiglia affidataria.
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3 L’adozione
L’adozione è consentita a favore dei minori dichiarati in stato di adottabilità ex art. 7 1° co.,
così tutti i minori possono essere adottati senza distinzione d’età e non più solo quelli che non
abbiano compiuto gli otto anni. L’estensione della cerchia dei soggetti adottabili è una delle
innovazioni della riforma del 1983 e conservata dalla novella del 2001, al fine di tutelare il diritto di
tutti i minori abbandonati ad essere educati nell’ambito di una famiglia.
La soppressione del limite degli otto anni è stata imposta dall’esigenza di adeguare la
normativa interna a quella della convenzione di Strasburgo la quale all’art.3 si riferisce all’adozione
del minore che, non abbia ancora compiuto gli otto anni al momento della richiesta d’adozione.
Accanto alla minore età, lo stato di abbandono è l’altro elemento che caratterizza la
condizione del minore “che ha diritto ad avere una famiglia”.
Per stato di abbandono deve intendersi quella situazione abnorme ed antigiuridica di
privazione non transitoria di quel complesso di attività, di prestazioni e di cure che i genitori devono
dedicare ai figli e che tanto la costituzione all’art. 30 che il codice civile all’art. 147 indicano con i
verbi <mantenere, educare ed istruire>.
E’ evidente che la qualificazione dello stato di abbandono riguardi un aspetto molto delicato e
che, pur afferendo il diritto del minore di crescere ed essere educato nell’ambito della propria
famiglia affinché sia reso effettivo, consente di sciogliere i legami con la famiglia di origine
allorquando i genitori si dimostrino incapaci di provvedere all’allevamento, alla crescita ed
all’educazione del minore. Dunque, ciò che rileva per il legislatore non è tanto la situazione
soggettiva di abbandono del genitore bensì quella oggettiva del minore, ossia la mancanza di cure
indispensabili per crescere. Bisogna però essere molto attenti nel qualificare indistintamente ogni
situazione di “apparente abbandono” come fondante lo stato di adottabilità poiché essa si crea solo
quando i genitori non si interessano o abbandonano i figli o quando con comportamenti commissivi
ne compromettano in modo grave ed irreversibile lo sviluppo e l’equilibrio psichico.
Possono adottare solo coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni tra i quali non sussista e
non abbia avuto luogo da almeno tre anni separazione personale, neppure di fatto ex art. 6 1°co. La
novella del 2001 ripropone i requisiti già fissati nel testo originario del 1983 ovvero la celebrazione
del matrimonio, la durata del rapporto matrimoniale per almeno tre anni, l’assenza della separazione
personale anche solo di fatto fra i coniugi e riguardo a tale ultimo requisito, il legislatore precisa che
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non solo la separazione non deve sussistere al momento della richiesta di adozione ma neppure deve
avere avuto luogo negli ultimi tre anni.
Inoltre, l’età degli adottanti deve superare di almeno diciotto e di non più di quarantacinque
quella dell’adottando.
Ciò sta a significare che l’adozione richiede il requisito della stabilità, dalla quale dovrebbe
dare affidamento l’impegno giuridicamente vincolante ed assunto con il matrimonio e per tale
motivo essa è preclusa per i singles nonché per i conviventi more uxorio e alle coppie omosessuali e
ciò non per una sorta di pregiudizio nei loro confronti ma in quanto il legislatore ha ritenuto nella sua
discrezionalità di affidarsi alla stabile unione matrimoniale di un padre e di una madre.
La disciplina dell’adozione si modella interamente su quella della famiglia legittima tant’è
che si parla di ”effetto legittimante” consistente nell’acquisto da parte dell’adottato dello stato di
figlio legittimo degli adottanti dei quali assume e trasmette il cognome e nella correlativa estinzione
dei suoi rapporti con la famiglia d’origine, in effetti si realizzano due momenti contemporanei e
coessenziali. L’inserimento dell’adottato nella famiglia legittima degli adottanti è pieno e
comprensivo dei rapporti tanto con gli ascendenti che con i collaterali.
E’ possibile parlare di revoca dell’adozione? In effetti c’è da osservare che proprio la mancata
previsione di una facoltà di revoca sia stata oggetto di rilievi critici atteso che il vincolo non può
continuare ad imporsi quando si è esaurito o sia venuto meno lo scopo dell’adozione. Tali premesse
rappresentano le basi di una questione di legittimità costituzionale nel caso in cui l’istanza di revoca
dell’adozione sia presentata a seguito di ripristino di rapporti tra il minore e la madre naturale.
Quanto espresso ha indotto il giudice rimettente a ritenere che qualora si fosse inteso come
irreversibile lo status di figlio legittimo dell’adottato, avrebbe contrastato con il principio ispiratore
delle discipline dell’adozione contro il fallimento del rapporto. La questione però è stata dichiarata
non fondata dalla corte costituzionale sul presupposto che anche avuto riguardo agli effetti, l’istituto
dell’adozione non può sovvertire l’ordine naturale del rapporto di filiazione in quanto deve mirare
essenzialmente ad attribuire al minore abbandonato un ambiente familiare stabile, idoneo, volto ad
assicurargli educazione, istruzione e mantenimento. Appare chiaro che un ambiente come quello
appena descritto non debba che essere privo di ambiguità e d’incertezze cosa che invece avverrebbe
se l’adozione fosse suscettibile di revoca. Il legislatore ha dunque costruito il vincolo come
definitivo, a prescindere dalle vicende che seguono nella famiglia adottiva.
Quid juris riguardo al “segreto sulle origini dell’adottato”? Tale delicatissimo argomento
comporta delle considerazioni, in particolare, si osserva che l’attestazione di stato civile riferita
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all’adottato deve essere rilasciata con la sola indicazione del nuovo cognome, senza alcun
riferimento alla paternità o maternità del minore o all’annotazione a margine dell’atto di nascita
dell’adottato, o alla sentenza, divenuta definitiva che pronuncia l’adozione; inoltre, sempre al fine di
tutelare l’interesse del minore a non far conoscere lo stato di adozione ed affinché venga sottratto a
qualsiasi forma di curiosità, vige il divieto ex art. 28 3°co che per l’ufficiale dello stato civile e di
anagrafe impone di non fornire informazioni, certificazioni, estratti o copie dai quali possa risultare il
rapporto di adozione. D’altronde, la novella 2001 ha voluto tutelare anche l’interesse dell’adottato a
conoscere le proprie origini imponendo ai genitori adottivi d’informarlo della sua condizione di
adottato, nei modi e termini ritenuti opportuni ex art. 28 1°co. ; quest’ultimo articolo nei suoi commi
dal 4°-5°-6° e 8° assoggetta l’accesso dell’adottato alle informazioni sulle proprie origini ad una
serie di cautele, diversamente commisurate all’età dell’adottato ed alle ragioni della ricerca,
prevedendo una procedura di autorizzazione che è di competenza del tribunale dei minori, non
richiesta quando l’adottato abbia raggiunto la maggiore età ed i genitori adottivi siano deceduti o
divenuti irreperibili.
Da tutto quanto espresso se ne desume che l’adozione legittimante viene pronunciata alla fine
dell’iter che si articola in due fasi di procedure identiche ossia: una prima che inizia con la
segnalazione dello stato di abbandono per giungere alla dichiarazione dello stato di adottabilità e
l’altra che inizia con l’affidamento preadottivo e si conclude con la dichiarazione di adozione.
Con la giurisdizionalizzazione del procedimento di primo grado, la sentenza di adottabilità
non è opponibile dinanzi allo stesso tribunale che l’ha pronunciata ma dinanzi alla corte d’appello,
sezione per i minorenni, la quale, sentite le parti ed il pubblico ministero pronuncia sentenza in
camera di consiglio con deposito in cancelleria entro quindici giorni dalla pronuncia, notificandola al
pm ed alle parti. Contro tale sentenza è ammesso ricorso in cassazione entro trenta giorni dalla
notificazione. La definitività della dichiarazione di adottabilità comporta come logica conseguenza
l’affidamento preadottivo del minore abbandonato; scopo di tale istituto non è tanto sperimentare la
possibilità di riuscita dell’abbinamento tra adottanti ed adottato ma offrire l’opera di sostegno ai
soggetti che costituiscono il nucleo familiare nell’affrontare e risolvere tutti i problemi connessi
all’instaurazione della convivenza. Il procedimento si apre con una domanda fatta dai coniugi che
possono anche proporre più domande in tribunali diversi, purchè ne facciano menzione, possono
chiedere di adottare più fratelli ed anche bambini portatori di handicap; l’istanza decade dopo tre
anni dalla presentazione dovendo realizzare un costante avvicendamento delle domande
l’affidamento preadottivo ha durata di un anno, salvo la prorogabilità di un altro anno se per
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l’interesse del minore ma può accadere che esso non sia stato un buon connubio, che cioè sia stato il
sintomo di un errore manifestato, in tale evenienza la legge ammette la possibilità di revoca
dell’affidamento o d’ufficio o su istanza del pm che nonostante tutto non può essere arbitraria e
discrezionale ma riconnessa all’accertamento d’insuperabili difficoltà di convivenza. La revoca fa
instaurare un procedimento camerale che si conclude con un decreto motivato. Al contrario, se
decorre senza problemi il periodo di affidamento preadottivo, il tribunale per i minori pronuncia con
sentenza l’adozione che caso avrà effetto costitutivo di un nuovo status, se invece la sentenza è
negativa, cessa l’affidamento preadottivo (e non lo stato di adottabilità) ed in relazione al quadro
delle alternative, verrà regolata la sorte del minore.
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4 Adozione internazionale
L’elemento dell’estraneità caratterizzante la nazionalità straniera degli adottanti o
dell’adottando, ha avuto nel nostro ordinamento la sua consacrazione con la l.184/1983 nel titolo iii.
La convenzione dell’aja del 1983 sulla “protezione dei minori” e sulla “cooperazione in materia di
adozione internazionale” rappresenta il passo ultimo di un cammino che ha visto il legislatore
internazionale occuparsi dell’adozione dei minori; nonostante la ratifica da parte dell’Italia sia
avvenuta con ritardo, il successo della convenzione non è stato inficiato. La legge del 1983 ha avuto
il merito di dare una compiuta disciplina all’adozione internazionale ma al contempo ha manifestato
una
sfiducia
per
gli
ordinamenti
stranieri,
tant’è
che
oggi
si
potrebbe
parlare
di
internazionalizzazione delle adozioni nazionali. I principi desumibili dalla convenzione di New York
e poi da quella dell’aja, in virtù dei quali il minore è soggetto e non oggetto della procedura,
comportano la necessità della sua attiva partecipazione, avuto riguardo alla capacità di
discernimento.
Il procedimento di adozione internazionale si svolge secondo la disciplina prevista dalla legge
di ratifica, con l’intervento di autorità pubbliche ed organismi abilitati, in conformità a quanto
previsto dalla convenzione, che all’art. 22 consente di avvalersi di altri soggetti oltre che dall’autorità
centrale ; così alcune competenze sono state attribuite al tribunale per i minori ed ai servizi sociali ed
altre alla commissione per le adozioni internazionali. Quest’ultima rappresenta l’autorità centrale
designata dal legislatore italiano, incaricata di svolgere i compiti imposti ex art. 6. La commissione è
costituita presso la presidenza del consiglio dei ministri nella persona di un magistrato con
esperienza minorile o un dirigente dello stato con analoga esperienza, e da due rappresentanti della
presidenza del consiglio dei ministri, dipartimento per gli affari sociali, da rappresentanti di altri
ministri, con la partecipazione di tre membri designati dalla conferenza unificata di cui all’art.8 del
D.lg. 28.8.97 n. 281. I compiti attribuiti alla commissione sono indicati all’art.39 e si riferiscono sia
ad aspetti di politica internazionale, destinati ad avere effetti generali, sia a singole attribuzioni
nell’ambito dei procedimenti specifici di adozione in itinere; tra tali compiti si annoverano quelli di
collaborazione con le autorità centrali degli altri stati, realizzata anche attraverso la raccolta
d’informazioni e di accordi bilaterali i quali implicano la facoltà per la commissione di scegliere gli
stati con i quali instaurare forme di collaborazione, attraverso il mantenimento anche preventivo di
contatti internazionali preparatori.
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Diritto di famiglia
Lezione IX
In sunto si può affermare che la commissione rappresenta un anello della catena per
l’attuazione dei principi della convenzione, nel momento in cui attraverso i compiti ad essa attribuiti,
vuol garantire il corretto funzionamento dell’istituto dell’adozione, ispirandosi ed applicando il
“principio di sussidiarietà”. La legge italiana avvalendosi della facoltà attribuita dalla convenzione
all’autorità centrale dei singoli stati di delegare ad organismi autorizzati lo svolgimento di alcune
funzioni, fa riferimento agli enti che intervengono obbligatoriamente su incarico degli aspiranti
adottanti in possesso del decreto di idoneità ed ai quali sono attribuiti numerosi compiti specifici.
L’autorizzazione rilasciata dalla commissione per le adozioni internazionali è subordinata
all’accertamento di requisiti di professionalità, competenza, organizzazione e di verifica dell’assenza
di scopo di lucro, di ogni discriminazione e d’impegno a partecipare ad attività di promozione dei
diritti dell’infanzia; inoltre essa è competente anche alla tenuta dell’albo degli enti ed a svolgere
attività di vigilanza sul loro corretto operato con possibilità di poter revocare l’autorizzazione.
Sia la normativa previgente che quella attuale, in aderenza al principio di “non
discriminazione” tra minori italiani e minori stranieri, è ispirato al criterio della parità di trattamento
avuto riguardo ai requisiti degli aspiranti all’adozione. Dunque il legislatore del 1998 ha fatto
integrale rinvio alle scelte effettuate in materia di adozione nazionale. Una peculiarità sua ha invece
l’istituto dell’adozione in casi particolari, il richiamo effettuato dall’art. 31 2°co alla sola ipotesi
dell’art. 44 lett a) che recita testualmente<i minori possono essere adottati anche quando non
ricorrono le condizioni di cui al comma 1 dell’art. 7, da persone unite al minore da vincolo di
parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo, quando il minore sia orfano
di padre e di madre>la corte costituzionale con ampia motivazione, ha ritenuto corretta l’estensione
dell’adozione internazionale a tutti i casi particolari, legittimando anche quella da parte del single,
allorquando ciò appaia giustificato in considerazione dell’interesse del minore.
Uno degli effetti dell’adozione è l’acquisto della cittadinanza italiana che deve essere
considerata logico corollario della filiazione. Recita l’art. 29 bis che coloro i quali aspirano
all’adozione di un minore straniero devono presentare dichiarazione di disponibilità al tribunale per i
minorenni del luogo di residenza il quale dovrà pronunciare decreto d’idoneità dei soggetti residenti
nel suo distretto indipendentemente dallo loro cittadinanza, sarà a ciò competente il tribunale per i
minorenni del luogo di ultima residenza o il tribunale per i minorenni di Roma nell’ipotesi di
cittadini italiani residenti all’estero che non vogliano rivolgersi alle competenti autorità del paese di
residenza. Il compito di verificare l’idoneità degli adottanti è attribuito al tribunale per i minorenni ed
è possibile che immediatamente venga emesso decreto d’inidoneità per manifesta carenza dei
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Diritto di famiglia
Lezione IX
requisiti, cosa che potrebbe verificarsi in caso di assenza di quelli formali (come il rapporto di
coniugio o la durata dello stesso inferiore a quanto statuito all’art. 6). Entro quindici giorni dalla
presentazione della dichiarazione di disponibilità ai servizi degli enti locali, questi devono svolgere
nei confronti degli aspiranti all’adozione un’attività informativa e di preparazione, acquisendo gli
elementi sulla loro situazione personale, familiare e sanitaria, sul loro ambiente sociale e sulle
motivazioni che li determinano, sulla loro capacità a rispondere in modo adeguato alle esigenze di
più minori o di uno solo. Il decreto d’idoneità viene trasmesso unitamente alla copia della relazione e
della documentazione esistente agli atti, alla commissione per le adozioni internazionali e se già
indicato agli aspiranti all’adozione, all’ente autorizzato. Il provvedimento conserva la propria
efficacia per tutta la durata della procedura che deve essere promossa dagli interessati entro un anno
dalla sua comunicazione se l’adozione si perfeziona dopo l’arrivo del minore in italia, il
provvedimento dell’autorità straniera è riconosciuto come affidamento preadottivo, subordinando
tale riconoscimento alla non contrarietà ai principi fondamentali che regolano nello stato il diritto di
famiglia e così il periodo sperimentale di un anno viene computato tenendo conto del momento nel
quale si è verificato l’inserimento del minore nella nuova famiglia, accertato tramite la certificazione
rilasciata dall’ente autorizzato. Decorso l’anno se l’esito del periodo di prova risulta positivo in
relazione all’interesse del minore, l’autorità giudiziaria pronuncerà decreto di adozione, disponendo
la relativa trascrizione nei registri dello stato civile se invece il periodo di affidamento non sortisca
effetto positivo, il provvedimento si revoca anche prima del decorso dell’anno con l’adozione dei
provvedimenti ex art. 21 della convenzione e che la legge italiana attribuisce al tribunale che prevede
l’allontanamento dalla famiglia con l’ingresso del minore in un’altra o presa in carico durevole che fa
pensare all’ipotesi di affidamento.
L’art.40 della legge sulle adozioni regola le dinamiche dell’espatrio del minore sancendo che
i residenti all’estero, stranieri o cittadini italiani che intendano adottare un cittadino italiano minore
d’età, devono presentare domanda al console italiano competente per territorio che la inoltra al
tribunale per i minori del distretto dove si trova il luogo di dimora del minore stesso; invece, agli
stranieri stabilmente residenti in paesi che hanno ratificato la convenzione in luogo della procedura
evocata, si applicano quelle stabilite nella convenzione avuto riguardo all’intervento e compiti delle
autorità centrali mentre per tutto quanto il resto vige la normativa de qua.
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Lezione IX
5 L’adozione dei minori in casi particolari
L’adozione in casi particolari si distingue dall’adozione piena dei minori oltre che per il più
ristretto ambito di applicazione, per la previsione di regole più elastiche in tema di legittimazione ad
adottare e per modalità operative e garanzie processuali più semplici. I casi particolari che ricevono
disciplina dalla legge 184 agli artt. 44-57 sono l’adozione dell’orfano compiuta da persone unite al
minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da rapporto stabile e duraturo preesistente alla
morte dei genitori; l’adozione del figlio minore del coniuge, l’adozione del minore orfano affetto da
handicap, l’adozione del minore nell’ipotesi in cui vi sia l’impossibilità di procedere all’affidamento
preadottivo. Con questo tipo d’istituto i minori possono essere adottati anche quando non ricorrono
le condizioni di cui all’art. 1°co e non è dunque necessario che essi siano stati dichiarati adottabili né
che si trovino in situazione di abbandono.
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Lezione IX
6 L’adozione di persone maggiori di età
Il legislatore con la previsione di questo particolare istituto, ha messo la parola fine al
conflitto tra adozione ordinaria e adozione speciale, separando le sorti dell’adozione dei minori da
quella dei maggiorenni con una distinzione non solo sostanziale ma anche formale.
L’adozione ordinaria non scompare dall’ordinamento ma viene ristretto il campo di
applicazione, le norme del codice, modificate nella sola parte in cui erano state adattate al
perseguimento di finalità assistenziali nei confronti dei minori, vengono utilizzate per dare vita ad
una nuova figura di adozione, riservata agli adottandi maggiorenni. L’adozione dei maggiorenni è
consentita alle persone capaci di agire che abbiano compiuto 35 anni e che superino di almeno 18
l’età di coloro che intendono adottare. Applicato tale istituto, la sintesi di tutti gli effetti sta nella
costituzione di un rapporto di filiazione civile rappresentato dall’assunzione del cognome
dell’adottante da parte dell’adottato, che lo antepone al proprio, l’acquisto dei diritti successori di
figlio da parte dell’adottato nei confronti dell’adottante, l’obbligo reciproco degli alimenti legali tra
adottante ed adottato, la conservazione dei diritti ed obblighi dell’adottato verso la famiglia di
origine, l’esclusione di qualsiasi rapporto civile tra l’adottante e la famiglia dell’adottato e tra
l’adottato e i parenti dell’adottante, salve le eccezioni stabilite dalla legge.
Lo stato di figlio adottivo è normalmente una condizione definitiva della persona e l’art. 305
c.c. Dopo aver fissato la regola della irreversibilità del vincolo adottivo, indica i casi in cui può
essere messa in discussione la stabilità del rapporto di adozione e sono casi tassativi, riferiti a fatti
sopravvenuti, tali da turbare lo svolgimento del rapporto adottivo e che possono rendono difficile il
raggiungimento di finalità dell’istituto, imponendo la rottura del vincolo. La revoca può pronunciarsi
per indegnità dell’adottato o dell’adottante. Il codice però prevede anche casi di estinzione degli
effetti dell’adozione a seguito di legittimazione o riconoscimento del figlio adottivo da parte
dell’adottante e di matrimonio tra le persone legate dal vincolo di filiazione civile.
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Lezione IX
7 Bibliografia
• Dogliotti-Adozione Di Maggiorenni E Minorenni In Commentario Schlesinger- Mi
2002
• L’affidamento E Le Adozioni In Trattato Rescigno
• Moro –L’adozione Speciale
• Le Adozioni Nella Nuova Disciplina-Autorino Stanzione
• Il Diritto Di Famiglia-Filiazione E Adozione Bonilini-Cattaneo
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