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5. Il concorso formale Si è già anticipato che il concorso formale di
Parte iii – Capitolo 3
1141
5. Il concorso formale
Si è già anticipato che il concorso formale di reati si realizza nei casi in cui un
soggetto con una sola condotta violi più volte la stessa norma penale (dando luogo alla figura del concorso formale omogeneo) o distinte norme penali (dando
luogo alla figura del concorso formale eterogeneo).
La Legge, in particolare, prevede la figura del concorso formale (o ideale) tra
reati nel caso di condotta unica che determini più violazioni della stessa norma
penale ovvero di norme penali differenti (si pensi allo spacciatore che cedendo
una dose di eroina al tossicodipendente ne cagioni anche la morte per overdose35).
Dal punto di vista sanzionatorio il codice penale prevede, all’art. 81, primo
comma, c.p. l’applicazione del criterio del c.d. cumulo giuridico tra le pene, per
il quale è “punito con la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave aumentata sino al triplo chi con una sola azione od omissione viola diverse disposizioni di legge ovvero commette più violazioni della medesima disposizione
del dolo del reato mezzo), mentre l’unicità del disegno criminoso attenua la pena prevista per il
complesso delle violazioni: si tratta, dunque, di momenti psicologici concettualmente distinti, e
quindi le discipline normative che li regolano risultano, tra loro, pienamente compatibili. In tale
direzione, da ultimo, Cass. Sez. I, 3 novembre 2004, n. 46270 ha affermato che:“il vincolo della
continuazione è compatibile con l’aggravante del nesso teleologico, in quanto il primo agisce sul
piano della riconducibilità di più reati ad un comune programma criminoso, mentre il secondo
è connotato dalla strumentalità di un reato rispetto ad un altro, alla cui esecuzione o al cui occultamento è preordinato”. Nello stesso senso, pure Cass. Sez. II, 15 dicembre 2004, n. 48317,
secondo cui “non sussiste incompatibilità logico-giuridica tra le due norme, dato che entrambe
influiscono sull’aumento di pena, tuttavia ognuna di esse agisce su piani diversi, in momenti differenti, ed ha una propria ratio; infatti, l’aggravante teleologica è prefigurata in considerazione
della maggiore criminalità dimostrata dal reo, mentre la continuazione attua il cumulo giuridico
delle pene, in luogo di quello materiale, in considerazione della unicità del disegno criminoso
e, quindi, realizza un favor rei. Pertanto, si deve escludere che la circostanza di cui all’art. 61,
n. 2, c.p. sia concettualmente assorbita dall’unicità del disegno criminoso prevista dall’art. 81
cpv. c.p.”. Una parte della dottrina, invece, sul presupposto dell’incompatibilità strutturale della
disciplina dell’aggravante ex art. 61, n. 2, c.p. con l’istituto del reato continuato ex art. 81 cpv. c.p.,
afferma che la novella normativa del 1974 (che ha riformato il secondo comma dell’art. 81 c.p.,
integrandone l’ambito applicativo con le ipotesi di violazioni eterogenee) ha operato un’abrogazione tacita dell’aggravante teleologica, determinando pure l’inapplicabilità dell’aggravante della
connessione consequenziale, alla luce dell’identità della situazione psicologica contemplata dalle
due norme, ed in virtù del principio di non contraddizione dell’ordinamento. Sicchè, mentre prima
della riforma del 1974, l’aggravante di cui all’art. 61, n. 2, c.p. era applicabile nei casi di violazioni
eterogenee, dopo la riforma è stato in toto abrogato l’ambito applicativo dell’aggravante di cui
all’art. 61, n. 2, c.p. In quest’ottica non è mancato chi, muovendo dalla natura unitaria del reato
continuato ha affermato l’ontologica incompatibilità tra i due istituti, evidenziando che la configurabilità dell’aggravante teleologica postula la sussistenza di due reati distinti.
35
Nell’ipotesi di morte conseguente a cessione di sostanze stupefacenti deve ritenersi esclusa la
configurabilità della continuazione fra quest’ultimo e quello del quale l’agente deve rispondere ai
sensi dell’art. 586 c.p., mentre è possibile riconoscere la sussistenza del concorso formale di reati,
rilevando a tal fine soltanto l’identità della condotta (Cass., Sez. IV, 23 marzo 2004, n. 21746).
1142
Concorso
formale
tra reati
e concorso
apparente
tra norme
Unità e pluralità di reati
di legge” (sulle questioni inerenti tale sistema di computo della pena si rinvia al
par. successivo).
Secondo quanto si è già ampiamente trattato nella parte introduttiva del capitolo, sussiste l’ipotesi di concorso formale di reati di cui all’art. 81, comma 1,
c.p. e non di concorso apparente di norme, quando, con un’unica azione, risultano violate più norme incriminatrici che hanno diversa oggettività giuridica, e
ciascuna, da sola, non esaurisce l’antigiuridicità del fatto commesso. Si richiede
altresì che l’azione sia sorretta dall’elemento soggettivo proprio di ciascuna fattispecie criminosa36.
È, ad esempio, configurabile il concorso formale tra il reato di sottrazione di minori,
previsto dall’art. 574 c.p., e quello di elusione di provvedimenti del giudice concernenti
l’affidamento di minori, attesa la differenza dei rispettivi elementi strutturali che esclude
il rapporto di specialità, dal momento che la prima delle suindicate fattispecie, mirando
a tutelare il legame fra minore e genitore, si incentra sulla cesura di tale legame che si
realizza mediante la sottrazione, mentre l’altra ha il suo “accento” sulla elusione del
provvedimento del giudice37.
Le minacce, le ingiurie, le lesioni non aggravate e le percosse subite da persone
assunte a sommarie informazioni nel corso di interrogatori condotti da tre sottufficiali
dei Carabinieri – mossi dallo scopo, peraltro non raggiunto, di acquisire dichiarazioni
vere – non integrano invece il concorso formale fra il reato di abuso di ufficio e quello,
meno grave, di tentata violenza privata aggravata ex art. 61, n. 9, c.p., bensì, in applicazione della regola della specialità sancita dall’art. 15 c.p., unicamente il reato di tentata
violenza privata aggravata dall’abuso di poteri, in quanto lex specialis rispetto a quella
di cui all’art. 323 c.p.38.
Concorso
formale tra reati
e reato unico
Come si è detto in modo analitico sull’unità e pluralità di reati (si veda, par.
3); la questione che si pone è quella di stabilire se, in presenza di una condotta,
di per sé lesiva di interessi giuridici riconducibili a diversi soggetti, come nel
caso di chi si appropri contestualmente di beni detenuti da più persone (furto di
indumenti presenti nello spogliatoio, incustodito, di una palestra), di colui che
rivolga contestualmente frasi ingiuriose verso più soggetti, dell’automobilista
che provochi contestualmente lesioni personali nei confronti di più persone con
una sola condotta imprudente (si vedano al riguardo le specifiche disposizioni di
legge contemplate dagli artt. 589, terzo comma, e 590, commi terzo e quarto, c.p.
nel caso di lesioni provocate con violazione delle norme sulla disciplina della
circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro), si
sia sempre al cospetto di una pluralità di reati (per i quali si applicherà la disciplina di cui all’art. 81, comma 1, c.p.), ovvero di un’unica violazione di legge.
Cass., Sez. III, 26 settembre 1997, n. 10664.
Cass., Sez. VI, 7 febbraio 2006, n. 8577.
38
Cass., Sez. VI, 1 ottobre 2003, n. 49536.
36
37
Parte iii – Capitolo 3
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Sul punto, come già anticipato, in giurisprudenza e in dottrina si registrano
posizioni discordi:
Ai fini della sussistenza del concorso formale di reati per più violazioni della
medesima disposizione di legge, la pluralità di dette violazioni non può farsi
puramente e semplicemente derivare dalla pluralità delle persone offese, occorrendo, invece, un quid pluris consistente nella riconoscibile esistenza di uno
specifico atteggiamento psicologico diretto a realizzare l’evento tipico previsto
dalla norma incriminatrice nei confronti di ciascuna, distintamente, di dette persone. Perché si abbia concorso formale di reati è necessario che l’azione unica
sia accompagnata e sorretta dall’elemento soggettivo tipico proprio di ciascuna
fattispecie criminosa39.
In tema di concorso di reati, allorché la condotta punita viene espressa dalla
norma incriminatrice quale rapporto tra il soggetto attivo e l’oggetto materiale,
come nel caso di detenzione di armi e banconote false, è configurabile il concorso formale di reati ex art. 81, comma 1, c.p., purché l’azione abbia per oggetto
una pluralità di cose aventi una propria specificità ed autonomia. Ne consegue
che la simultanea detenzione di più armi o di più banconote false o di diverse quantità di droga eterogenea, se non è frazionabile in modo da determinare
una pluralità di azioni unificabili sotto il vincolo della continuazione a norma
dell’art. 81 cpv. c.p., genera comunque una pluralità di violazioni della stessa
disposizione unificabili ai sensi del comma 1 della citata norma40.
Sussiste ipotesi di concorso formale, ex art. 81, comma 1, c.p., fra il reato di resistenza
a pubblico ufficiale e quello di tentato omicidio, stante la diversità dei beni giuridici
tutelati da tali norme e le differenze qualitative e quantitative dell’esercitata violenza
contro il pubblico ufficiale. Il primo di detti reati, infatti, assorbe soltanto quel minimo
di violenza che si sostanzia nelle percosse e non già quegli atti che, esorbitando da detto
limite minimo, e pur finalizzati alla resistenza, attentino alla vita o all’incolumità del
pubblico ufficiale41.
Il delitto di accesso abusivo a un sistema informatico previsto dall’art. 615-ter c.p.
può concorrere con quello di frode informatica di cui all’art. 640-ter c.p., in quanto si
tratta di reati diversi: la frode informatica postula necessariamente la manipolazione del
sistema, elemento costitutivo non necessario per la consumazione del reato di accesso
abusivo che, invece, può essere commesso solo con riferimento a sistemi protetti, requisito non richiesto per la frode informatica42.
Tra il reato di corruzione e quello di finanziamento illecito dei partiti, deve ritenersi ammissibile il concorso formale in quanto diverse sono le condotte e diversi i beni
Così, Cass., Sez. II, 23 settembre 1997, secondo cui va ravvisato un unico reato di truffa, ad esempio, in relazione a fattispecie in cui l’agente, con un un’unica condotta, pone in essere raggiri nei confronti di due o più soggetti al fine di indurli a sottoscrivere un preliminare di acquisto di immobile
40
Cass., Sez. II, 26 febbraio 2004, n. 15402.
41
Cass., Sez. I, 9 gennaio 2004, n. 9607.
42
Cass., Sez. V, 19 dicembre 2003, n. 2672.
39
1144
Unità e pluralità di reati
giuridici tutelati dalle rispettive norme incriminatrici: il buon andamento della p.a.,
per quanto attiene alla corruzione, ed il metodo democratico, con riguardo all’altro
reato43.
Reati
colposi
Reati
omissivi
Reati
di durata
Nel caso dei reati colposi si terrà conto non solo dell’unicità o della pluralità
degli obblighi di diligenza violati quanto piuttosto degli eventi tipici da essi
determinati44: si avrà quindi unità di azione nel caso in cui, pur in presenza della violazione di una pluralità di obblighi di diligenza, si sia verificato un solo
evento tipico; si avranno più azioni penalmente rilevanti nel caso di produzione di più eventi tipici. In quest’ultimo caso, al fine di distinguere le ipotesi di
concorso formale dai casi di concorso materiale tra reati, si terrà conto della
possibilità – da accertarsi in concreto – da parte dell’agente di attivarsi, tra un
evento e l’altro, adempiendo all’obbligo di diligenza, o meno. Nel primo caso ci
si troverà al cospetto di un concorso materiale tra reati, nel secondo caso ad un
concorso formale.
Analogo discorso vale per i reati omissivi: sarà dunque configurabile una sola
condotta omissiva, nel caso in cui i diversi eventi potevano essere impediti solo
mediante l’attivazione contemporanea da parte del garante; saranno configurabili distinte condotte omissive nel caso in cui, verificatosi il primo evento, c’era
la possibilità per il soggetto garante di impedire gli altri eventi attivandosi per
tempo. Nell’ambito dei reati omissivi propri si verificherà la pluralità di omissioni se il reo viola contemporaneamente più obblighi di condotta, ma i diversi
obblighi potevano essere adempiuti uno dopo l’altro45.
Sul punto presenta, da sempre, aspetti problematici la questione relativa alla
configurabilità, rispetto ai reati permanenti ed ai reati abituali, delle figure del
concorso formale tra reati e della continuazione tra reati (si pensi ai casi, assai
frequenti nella prassi, di una organizzazione criminale che traffichi in sostanze stupefacenti avvalendosi del c.d. metodo mafioso; dei delitti fine commessi
dai membri di un’associazione per delinquere nel perseguimento del generico
programma delittuoso; dei singoli fatti di percosse, ingiurie, lesioni commessi
nella perpetrazione della più articolata condotta di maltrattamenti in famiglia e
contro i fanciulli; delle lesioni provocate nei confronti della vittima del reato di
sequestro di persone).
In particolare, si ritiene, pacificamente, che il delitto di associazione di tipo
mafioso ex art. 416-bis c.p.46 concorra con il delitto di associazione dedita al narCass., Sez. VI, 16 ottobre 1998, n. 3926.
Il rilievo dell’evento tipico rimanda, intuitivamente, all’individuazione dell’interesse giuridico
tutelato dalla norma violata.
45
Negli stessi termini, Fiandaca - Musco, op. cit., 650 ss.
46
Al riguardo va rammentato, in generale, come il criterio discretivo tra il delitto di associazione di
tipo mafioso e quello di associazione per delinquere è dato, sostanzialmente, dalla eterogeneità degli
scopi che il sodalizio mafioso mira a realizzare attraverso il ricorso alla forza di intimidazione. In
termini più specifici può dirsi che il delitto di partecipazione ad associazione di tipo mafioso si con43
44
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cotraffico ex art. 74, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, nel caso di una struttura unitaria dedita ad attività criminose nell’ambito del traffico di sostanze stupefacenti
ricorrendo al c.d. metodo mafioso, trattandosi di fattispecie criminose che tutelano differenti interessi giuridici: l’ordine pubblico l’associazione di tipo mafioso,
sotto il particolare profilo della pericolosità sociale dell’esistenza di organizzazioni dedite ad attività, lecite od illecite, con modalità intimidatrici derivanti
dalla natura dell’associazione e determinando condizioni di assoggettamento ed
omertà idonee al raggiungimento degli scopi ingiusti; in difesa della salute individuale e collettiva contro l’aggressione della droga e della sua diffusione, l’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. È di tutta evidenza, in
tali casi, la sostanziale corrispondenza tra le condotte sottese alle diverse ipotesi
delittuose (che evidenziano una relazione di specialità reciproca tra loro, ove si
considerino i particolari connotati della condotta per il delitto di cui all’art. 416bis c.p. da una parte, e la precipua finalità delittuosa propria all’associazione
di cui all’art. 74, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, dall’altra), le quali, proprio per
questo motivo, si pongono tra loro in rapporto di concorso formale.
Si presentano invece come condotte ontologicamente diverse quelle sottese
ai reati associativi, rispetto a quelle proprie ai reati fine rientranti nel generico
programma delittuoso. Tra le figure, pertanto, di norma ricorrerà un semplice
concorso materiale tra reati, salvi i casi in cui sia ipotizzabile il vincolo della
continuazione.
Al riguardo si afferma che tra reato associativo e singoli reati-fine non è ravvisabile un vincolo rilevante ai fini della continuazione o della connessione teleologica posto che, normalmente, al momento della costituzione dell’associazione, i reati-fine sono previsti solo in via generica e programmatica47. Ciò, tuttavia,
nota, dal lato attivo, per l’utilizzazione da parte dei consociati, ai fini del raggiungimento degli scopi
del sodalizio, della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo e, dal lato passivo, per la
conseguente condizione di assoggettamento e di omertà dei singoli. Inoltre, l’avvalersi della forza
intimidatrice può esplicarsi secondo distinte forme espressive: sia sfruttando la carica di pressione ed
il clima intimidatorio già conseguito dalla consorteria malavitosa, sia ponendo in essere nuovi atti di
violenza e minaccia, che, evidentemente, costituiscono espressione rafforzativa della acquisita temibilità e “fama criminale” da parte dei suoi membri. In tal senso, Cass., Sez. I, 4 marzo 1992; Cass.,
Sez. II, 15 aprile 1994; nonché Cass., Sez. VI, 6 dicembre 1994, secondo cui “la partecipazione ad
un’associazione di tipo mafioso è caratterizzata da una condotta plurima di natura mista, nel senso
che, mentre per l’associazione per delinquere di cui all’art. 416 c.p. è sufficiente la costituzione di
un’organizzazione stabile diretta al compimento di una serie indeterminata di delitti, per quella mafiosa è, altresì, necessario che essa abbia conseguito nell’ambiente circostante un’effettiva capacità
intimidatrice e che gli aderenti si siano avvalsi di tale forza”; Cass., Sez. VI, 10 marzo 1995, cui
adde Cass., Sez. I, 25 febbraio 1991; Cass., Sez. I, 18 giugno 1990. Si veda anche Cass., Sez. VI, 31
gennaio 1996, n. 7627; oltre che Cass., Sez. I, 10 dicembre 1997, n. 6933, la quale valorizza quale
elemento caratterizzante il reato di cui all’art. 416-bis c.p. il c.d. “metodo mafioso”; Cass., Sez. V, 19
dicembre 1997, che pone in risalto, per l’appunto, la necessità che la capacità di intimidazione che
contraddistingue l’associazione si proietti all’esterno, radicandosi e diffondendosi indiscriminatamente sul territorio in cui essa opera.
47
Così, Cass., Sez. VI, 15 ottobre 1997, n. 3960.
1146
Unità e pluralità di reati
non esclude radicalmente che nell’ambito del generico programma criminoso
sia possibile individuare uno o più delitti poi effettivamente realizzati (come nel
caso in cui possa inferirsi la deliberazione di alcuni reati-fine già al momento
della costituzione del sodalizio criminoso delineato)48, di talché tra il delitto associativo ed essi sarà configurabile il medesimo disegno criminoso.
Appare pacifico, d’altra parte, il concorso materiale (ovvero, sussistendone
requisiti e condizioni, la continuazione) tra il reato di sequestro di persona e le
eventuali lesioni subite dalla vittima durante la privazione della libertà.
La continuazione nel delitto di cui all’art. 605 c.p., trattandosi di reato necessariamente permanente la cui consumazione cioè si protrae nel tempo, non
può ravvisarsi nelle modalità, anche diverse, con le quali nel tempo si impedisce al sequestrato di esercitare la libertà di locomozione o all’associato in una
comunità religiosa quella di dissociazione, ma solo se trattasi di episodi diversi
e se il sequestro è commesso in danno di più persone, anche contestualmente49.
Il sequestro di persona è reato permanente a consumazione anticipata, e quindi
si deve ritenere commesso non già quando è cessata la permanenza, ma quando
siano stati realizzati più elementi costitutivi del reato stesso, cioè nel momento
in cui la vittima viene privata della sua libertà di locomozione, attenendo la fase
successiva all’esecuzione del reato. Pertanto, è ipotizzabile il favoreggiamento
personale, anche se l’attività favoreggiatrice viene posta in essere durante la fase
esecutiva del delitto di sequestro di persona50. Quanto al sequestro di persona a
scopo di estorsione, va rammentata la peculiare disciplina codicistica prevista
nel caso di morte della vittima del sequestro (si veda, art. 630, commi 2 e 3,
c.p.).
6. Il sistema sanzionatorio e la disciplina del cumulo giuridico
Ratio
e finalità
dell’introduzione
del criterio
del cumulo
giuridico
In tema di concorso tra reati, il criterio di determinazione della pena è quello indicato dall’art. 81 c.p. al primo comma, ossia quello che fa riferimento alla pena
prevista per la violazione più grave, costituente la base per un aumento della
stessa che può giungere sino a tre volte tanto.
Si tratta di un criterio, derogatorio del principio del cumulo materiale delle
pene previsto come ordinario nell’impostazione sanzionatoria del codice Rocco,
già previsto dal codice Zanardelli (unitamente al criterio dell’assorbimento, di
cui si dirà a proposito del concorso apparente di norme, nel presente capitolo,
sez. II, par. 5, cui si rinvia), reintrodotto a regime con la riforma del 1974 [D.L.
11 aprile 1974, n. 99 (convertito nella legge 7 giugno 1974, n. 200)] al dichiarato
Cass., Sez. I, 18 dicembre 1998, n. 6530; conformemente, Cass., Sez. I, 26 marzo 1998, n.
1815.
49
Cass., Sez. V, 9 maggio 1986.
50
Cass., Sez. II, 17 gennaio 1984.
48
Parte iii – Capitolo 3
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fine di mitigare il trattamento sanzionatorio nei casi di concorso formale tra reati
e di continuazione tra reati51.
La novella normativa, invero, nell’estendere l’operatività del sistema del cumulo giuridico della pena previsto dall’art. 81 c.p., si colloca in una linea di
tendenza contraria all’automatismo repressivo proprio del sistema del cumulo
materiale e favorevole ad un’accentuazione del carattere personale della responsabilità penale, con esaltazione del ruolo e del senso di responsabilità del giudice
nell’adeguamento della pena alla personalità del reo.
La pena, così determinata, ha quindi un duplice limite, l’uno interno e l’altro
esterno ad essa.
Quello interno è costituito dal multiplo della pena base (aumentabile fino
al triplo) e quello esterno è posto dal comma 3 dell’art. 81 c.p., il quale fissa
il carattere derogatorio del cumulo giuridico del concorso formale (e del reato
continuato) rispetto alla disciplina del cumulo materiale dettata per il concorso
di reati.
Benché la determinazione della pena, in applicazione del suddetto criterio sia
il risultato di un’operazione unitaria, occorre tuttavia che sia individuabile per un
verso la violazione più grave (c.d. pena base), per l’altro la pena stabilita dal giudice in aumento per ciascun reato in concorso. Ciò è dovuto alla natura plurima,
e non unitaria, del concorso formale tra reati che abbraccia, solo sotto il profilo
strettamente sanzionatorio, più figure di reato, le quali tuttavia mantengono la
loro individualità ed autonomia rispetto alla disciplina in tema di prescrizione52,
amnistia ed indulto53, cause di giustificazione (si veda parte IV, cap. II e parte II,
cap. IV)54.
Senza voler mettere in discussione la finalità della novella legislativa del 1974, dovendo prendersi
atto che tanto la figura del concorso formale tra reati, quanto quella del reato continuato (vieppiù con
l’estensione della loro disciplina ai casi di reati eterogenei), sono state concepite nel senso di mitigare
il regime sanzionatorio del cumulo materiale, deve tuttavia evidenziarsi come la disciplina di cui
all’art. 81 c.p. consenta pur sempre l’applicazione di una pena fissata in misura tale da non superare
quella che si avrebbe applicando la disciplina del cumulo materiale. Dunque, almeno in astratto, il
codice penale consente di trattare le ipotesi suddette allo stesso modo che nel caso di concorso materiale tra reati. Se a ciò si aggiunge, poi, che le modifiche introdotte con la L. 5 dicembre 2005, n. 251,
nel fissare dei limiti ai minimi di pena applicabili per i recidivi (art. 81, comma 4, c.p.), prevedono
espressamente dei casi rispetto ai quali viene ridimensionata la valenza favorevole al reo dell’istituto,
ne consegue come sia possibile mettere in discussione quello che, almeno da parte di certa dottrina,
viene ritenuto, non il frutto di una precisa scelta politica – pur se dettata dall’esigenza di salvaguardare
profili di giustizia sostanziale, costituiti dalla diffusa opinione per cui “l’accrescimento progressivo
della sofferenza umana con la durata della pena andrebbe a ledere il rapporto di proporzionalità tra numero di reati ed entità delle pene implicito nella stessa idea ispiratrice del cumulo materiale” (si veda
Fiandaca - Musco, op. cit., 654 ss.)-, bensì un insuperabile assioma di base – fondato sull’apodittica
affermazione secondo cui l’unicità della condotta e, soprattutto, il medesimo disegno criminoso esprimerebbero un disvalore minore rispetto a più condotte distinte ed autonome tra loro –.
52
Cass., Sez. I, 79/142459.
53
Cass., Sez. IV, 78/141047.
54
Cass., Sez. I, 93/194784.
51
La disciplina
del cumulo
giuridico
applicata in
concreto
e il limite
di cui all’art.
81, comma 3,
c.p.
1148
I problemi
connessi
all’individuazione
della
“violazione
più grave”
Unità e pluralità di reati
Il giudice, quindi, è tenuto ad individuare ogni singola pena stabilita, in
aumento, per ciascun reato, in quanto potrebbe sciogliersi il cumulo giuridico
previsto per la fattispecie concorsuale in relazione al decorso del termine della
prescrizione per ciascun reato, ovvero in caso di amnistia od indulto previsto per
alcuno dei reati ritenuti in concorso.
Ai fini della determinazione della pena base deve aversi riguardo, per evidenti esigenze di certezza del diritto, alla violazione più grave considerata in astratto
e non in concreto.
Le Sezioni Unite sono di recente intervenute sul punto affermando che, in
tema di reato continuato, la violazione più grave va individuata in astratto in
base alla pena edittale prevista per il reato ritenuto dal giudice, in rapporto alle
singole circostanze in cui la fattispecie si è manifestata e all’eventuale giudizio di
comparazione fra di esse. Sul punto viene precisato che, per individuare il reato
più grave, deve farsi riferimento alla pena edittale, ovvero alla gravità “astratta”
dei reati per i quali è intervenuta condanna, dandosi rilievo esclusivo alla pena
prevista dalla legge per ciascun reato, senza che possano venire in rilievo anche
gli indici di determinazione della pena di cui all’art. 133 cod. pen. che possono
contribuire alla determinazione di quella da infliggere in concreto55.
Le Sezioni Unite evidenziano che occorre considerare che la nozione di “violazione più grave” ha una valenza “complessa”, la quale, muovendo dalla sanzione
edittale comminata in astratto per una determinata fattispecie criminosa, implica la
valutazione delle sue concrete modalità di manifestazione. Nel sistema del codice
penale, infatti, per sanzione edittale deve intendersi la pena prevista in astratto con
riferimento al reato contestato e ritenuto (in concreto) in sentenza, tenendo conto,
cioè, delle singole circostanze in cui la fattispecie si è manifestata, salvo che specifiche e tassative disposizioni escludano, a determinati effetti, la rilevanza delle
circostanze o di talune di esse. Di conseguenza, una volta che sia stata riconosciuta
la sussistenza delle circostanze attenuanti e che sia stato effettuato il doveroso
giudizio di bilanciamento delle stesse rispetto alle aggravanti, l’individuazione in
astratto della pena edittale non può prescindere dal risultato finale di tale giudizio,
dovendosi calcolare nel minimo l’effetto di riduzione per le attenuanti e nel massimo l’aumento per le circostanze aggravanti56.
Tale impostazione, naturalmente, comporta che, nel caso di concorso fra delitto e contravvenzione, la “violazione più grave” venga individuata nel delitto,
in relazione al quale il giudizio di maggior gravità discende direttamente dalle
scelte del legislatore57.
Così Cass., Sez. Un., 13 giugno 2013, n. 25939, che richiama Cass., Sez. Un., 27 marzo 1992,
n. 4901.
56
Sempre Cass., Sez. Un., n. 25939/2013 cit., che richiama Cass., Sez. Un., 27 novembre 2008,
n. 3286.
57
Cass., Sez. Un., n. 25939/2013 cit., le quali sottolineano come, nel concorso tra delitti e contravvenzioni, debba essere ritenuta più grave la violazione costituente delitto, anche se la contravven55
Parte iii – Capitolo 3
1149
Che il delitto costituisca sempre la “violazione più grave” consegue sia ad
esplicite previsioni normative (v. artt. 17 e ss. c.p.; nonché art. 16, comma 3,
c.p.p.), sia al fatto che esso, nella scala dei disvalori sociali, è ontologicamente
collocato su un livello superiore alla contravvenzione. Inoltre, poiché il giudizio
di gravità, avendo per oggetto la violazione della norma, ossia il tipo di condotta
trasgressiva e non già la pena da applicare, non può che essere ancorato a quel
criterio, nè altro sarebbe ammissibile senza violare il principio di legalità.
Sul punto, peraltro, in dottrina, al fine di sostenere il fondamento positivo alla
tesi dell’accertamento in concreto della violazione più grave, si è richiamata la
disposizione di cui all’art. 187 delle norme di attuazione del codice di rito, secondo cui, ai fini dell’applicazione della disciplina del concorso formale (e del
reato continuato) da parte del giudice dell’esecuzione, “si considera violazione più
grave quella per la quale è stata inflitta la pena più grave”, così autorizzando l’individuazione della violazione più grave a seconda dei diversi casi concreti58. Invero,
pur se a seguito di contrasti interpretativi registrati in giurisprudenza (intervenuta
a più riprese, specie per quel che concerne la figura del reato continuato59), la norma viene oggi intesa limitata alla sola fase esecutiva, alla cui regolamentazione è
espressamente volta, ed è insuscettibile di applicazione generalizzata.
Si pone poi il problema della determinazione della pena nel caso di concorso
tra reati che prevedono pene di specie differente. In passato si discuteva della
compatibilità o meno con il principio di legalità della pena, dell’applicazione in
tali casi della regola del cumulo giuridico.
La questione può ritenersi risolta, specie a seguito dell’intervento della Corte Costituzionale60, nel senso dell’ammissibilità, in ossequio al principio del favor rei, dell’applicazione del principio del cumulo giuridico anche ai casi di pene di specie diversa.
zione è punita edittalmente con una pena che, riguardata sotto il profilo della conversione, risulti
maggiore quantitativamente rispetto a quella stabilita per il delitto. Viene altresì precisato che,
qualora si attribuisse rilievo alla decisione adottata in concreto dal giudice in relazione alla singola
fattispecie sottoposta al suo esame, si invaderebbe uno spazio riservato alla competenza esclusiva
del legislatore, al quale soltanto spetta stabilire se una condotta contraria alla legge debba essere
qualificata più o meno grave di un’altra e configurare come delitto anzichè come contravvenzione
una determinata condotta contra ius.
58
A proposito del reato continuato, si vedano Cass., Sez. I, n. 207433/1996; Cass., Sez. VI, n.
194926/1993.
59
Cass., Sez. Un., 26 novembre 1997, n. 15; Cass., Sez. Un., n. 196893/1994; Cass. Sez. Un., n.
195805/1993. da ultimo superate da Cass., Sez. Un., n. 25939/2013 cit., che esplicita come non
appaia condivisibile l’“indirizzo esegetico che afferma la necessità di una valutazione in concreto della violazione più grave unicamente sulla base di un’interpretazione logico-sistematica
dell’art. 187 disp. att. cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 12765 del 09/02/2010, Scuderi, cit.; Sez. 3, n.
19978 del 24/03/2009, Angioni, cit.) e di un iter argomentativo avulso dal complesso delle specifiche considerazioni sviluppate nel tempo da plurime decisioni delle Sezioni Unite (Sez. U, n.
15 del 26/11/1997, Varnelli, cit.; Sez. U, n. 748 del 12/10/1993, Cassata, cit.; Sez. U, n. 4901 del
27/03/1992, Cardarilli, cit.) e non corredato da ulteriori rilievi critici e da prospettive esegetiche
atti a suggerire un ripensamento dell’intera problematica”.
60
Corte Cost., 17 marzo 1988, n. 312.
I problemi
connessi ai reati
in concorso
sanzionati con
pene di genere
e di specie
differenti
1150
Unità e pluralità di reati
Al riguardo, nel rinviare, per una trattazione più completa, infra, al par. 7.3,
in ordine al reato continuato, può semplicemente rammentarsi come, da tempo,
sia in dottrina che in giurisprudenza61, è principio condiviso quello per il quale il
meccanismo sanzionatorio previsto dalla legge per il concorso formale di reati,
si presta a trovare applicazione indipendentemente dall’omogeneità delle pene
previste per le singole violazioni di legge in concorso, posto che una pena viene
aumentata sia quando se ne aumenti la durata o l’ammontare, sia quando venga
aggiunta una pena diversa, a nulla rilevando che per i reati meno gravi venga in
concreto irrogata, peraltro non necessariamente, una pena meno grave di quella
prevista dalle relative fattispecie legali incriminatrici.
7. Il reato continuato
Inquadramento
storico e ratio
dell’istituto
Natura
giuridica
Storicamente ricondotta ai Pratici del diritto che la elaborarono nel Medioevo
al dichiarato fine di mitigare l’estrema severità prevista dal sistema sanzionatorio del tempo in caso di reiterazione da parte del soggetto agente del medesimo reato in tempi diversi, la figura del reato continuato, pur con le peculiarità
proprie all’ordinamento giuridico italiano, ha continuato a mantenere inalterata la sua funzione di contenimento della pena rispetto alla particolare ipotesi di
concorso materiale tra reati realizzato in esecuzione di un medesimo disegno
criminoso.
In questi casi, invece dell’ordinario ricorso al cumulo materiale delle pene,
il codice prevede l’applicazione del cumulo giuridico delle pene, sanzionando
in forma unitaria un evidente caso di concorso fra reati posti in essere con una
pluralità di condotte distinte.
Il nostro ordinamento, infatti, all’art. 81 cpv. c.p. prevede l’applicazione della
stessa pena contemplata dall’art. 81, comma 1, c.p. per il concorso formale di
reati (“… pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave aumentata
fino al triplo …”) nel caso in cui il soggetto agente “con più azioni od omissioni,
esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette anche in tempi diversi
più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge”.
L’attuale nozione recepita dal codice, frutto delle modifiche apportate dal
D.L. 11 aprile 1974, n. 99 (convertito nella L. 7 giugno 1974, n. 200)62, ha esteso
l’ambito di naturale pertinenza della figura (storicamente riferita ai soli casi di
violazione reiterata della stessa disposizione di legge; si pensi al caso di chi, in
tempi diversi, pone in essere più furti la cui realizzazione avviene in esecuzione
di un medesimo disegno criminoso63) andando a ricomprendere nell’alveo del
Cass., Sez. I, n. 155238/1982; Corte Cost., 17 marzo 1988, n. 312.
D.L. 11 aprile 1974, n. 99 (in Gazz. Uff., 12 aprile, n. 97). – D.L. convertito in L. 7 giugno 1974,
n. 200 (in Gazz. Uff., 11 giugno 1974, n. 151). – Provvedimenti urgenti sulla giustizia penale.
63
Nel caso del reato continuato omogeneo assume minor rilevanza il requisito del medesimo
61
62
Parte iii – Capitolo 3
1151
reato continuato anche i casi di realizzazione di reati distinti tra loro (a ciò riferendosi l’inciso violazioni di diverse disposizioni di legge; si pensi al caso di chi,
in tempi diversi, pone in essere la ricettazione di un’autovettura, la detenzione
ed il porto in luogo pubblico di armi da fuoco, e più rapine, la cui realizzazione
avvenga in esecuzione di un medesimo disegno criminoso), così realizzando il
c.d. reato continuato eterogeneo.
Al riguardo, secondo autorevole dottrina, non avrebbe più senso parlare di reato continuato (figura che presuppone la violazione della medesima disposizione
di legge), avendo il sistema oramai recepito, con la riforma legislativa del 1974,
la diversa figura della continuazione tra reati.
La distinzione non è semplicemente nominalistica, ma si riflette sulla stessa
natura giuridica dell’istituto.
La natura giuridica del reato continuato, del resto, è da sempre al centro del
dibattito dottrinario proprio in ragione della sua forma di manifestazione: se ne
afferma, infatti, ora l’unitarietà (il reato continuato sarebbe una figura unica in
quanto sanzionata con un’unica pena; sostanzialmente indifferente alle forme di
manifestazione dei reati satelliti64; e rilevante autonomamente ai fini della dichiarazione di abitualità e di professionalità nel reato)65; ora la pluralità (il reato
continuato sarebbe costituito da una serie di reati, trattati unitariamente sotto il
profilo sanzionatorio, ma rilevanti autonomamente ove si consideri la disciplina
della prescrizione di cui agli artt. 157 e ss. c.p.66, dell’amnistia di cui all’art.
disegno criminoso, indispensabile invece rispetto alla continuazione tra reati eterogenei la cui
convergenza verso una finalità comune rappresenta l’unica spiegazione plausibile a giustificarne
il trattamento sanzionatorio mitigato con il ricorso al cumulo giuridico.
64
In tema di determinazione della pena per il reato continuato, le circostanze inerenti alle violazioni meno gravi dei cosiddetti reati satellite rimangono prive di efficacia in quanto, considerata
la inscindibilità dell’aumento di pena sino al triplo, non è possibile stabilire, in rapporto ai reati
meno gravi, le frazioni di pena che ad essi si riferiscono e sulle quali dovrebbero operare gli aumenti o le diminuzioni delle relative circostanze, delle quali si potrà tener conto discrezionalmente
soltanto nella determinazione dell’aumento da apportare alla pena stabilita per la violazione più
grave (Cass., Sez. VI, n. 211462/1998).
65
Si veda, Cass., Sez. VI, 8 luglio 2005, n. 33951, per la quale “in caso di reato continuato, valendo, in mancanza di tassative esclusioni, il principio della unitarietà, la valutazione in ordine
alla sussistenza o meno dell’aggravante del danno di rilevante gravità deve essere operata con
riferimento non al danno cagionato da ogni singola violazione, ma a quello complessivo cagionato dalla somma delle violazioni, difettando una norma che, ai fini in questione, consideri il reato
come una pluralità di episodi tra loro isolati”.
66
La disciplina della prescrizione nel reato continuato, prima della riforma operata dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251, rifletteva in modo emblematico la doppia natura dell’istituto. Invero, il decorso
della prescrizione rispetto al reato continuato era ricollegato dall’art. 158 c.p. alla cessazione della
continuazione; per ognuno dei reati in continuazione, peraltro, valeva il termine di prescrizione specificamente previsto per legge; ciò faceva sì che il decorso del termine iniziale era comune a tutti i
reati in continuazione, mentre la durata del termine di prescrizione era quello specifico proprio a ciascuno di essi. Si vedano, al riguardo, Cass., Sez. IV, 4 ottobre 2004, n. 46546, per la quale “in tema
di prescrizione di reati, l’art. 158, comma 1, c.p. ricollega l’inizio del decorso della prescrizione
alla cessazione della continuazione, considerando il reato continuato come un’unità reale, non su-
Dal reato
continuato alla
continuazione
tra reati
1152
Reato unico
o pluralità
di reati:
l’intervento
delle Sezioni
Unite del 2009
Unità e pluralità di reati
151 c.p., dell’ammissione ai benefici penitenziari67). L’incondizionata adesione
all’una o all’altra impostazione avrebbe conseguenze nei diversi settori del diritto68.
L’indirizzo preferibile, seguito anche in giurisprudenza69, in proposito è categorico nel sostenere che il reato continuato, inteso come figura autonoma,
costituisca una fictio juris espressione del principio del favor rei che esplica
esclusivamente una funzione quoad poenam, senza con ciò elidere l’ontologica
autonomia di ogni singolo reato.
Si afferma, quindi, che nel vigente sistema normativo il reato continuato,
comprensivo anche dell’ipotesi di violazione di diverse disposizioni di legge,
lungi dall’essere un reato unico, costituisce la risultante di reati plurimi aventi distinta autonomia ed unificati, solo per determinati effetti giuridici, dall’elemento
ideativo agli stessi comune, ossia dall’identità del disegno criminoso. L’art. 81,
comma 2, c.p., infatti, prevede un particolare trattamento sanzionatorio per colui
scettibile di scomposizione nei singoli reati che la compongono, siano essi istantanei o permanenti,
sicché la prescrizione inizia a decorrere dalla cessazione della continuazione per tutti i reati unificati nella complessa figura prevista dall’art. 81 cpv. c.p. e, quindi, dalla consumazione dell’ultimo
dei reati che entrano in continuazione, fermo restando il periodo prescrittivo proprio di ciascun
reato”; Cass., Sez. III, 30 settembre 2004 per la quale “in tema di prescrizione del reato continuato,
il relativo termine decorre dalla cessazione della continuazione, avendo i singoli reati perduto la
propria autonomia ai fini della decorrenza del termine prescrizionale. Qualora, fra i vari reati uniti
dal vincolo della continuazione figurino reati la cui permanenza era ancora in essere al momento
dell’apertura del dibattimento di primo grado, il termine prescrizionale per il reato continuato decorrerà dalla cessazione della permanenza da individuarsi nella data di pronuncia della sentenza
di primo grado”. Con le modifiche apportate dalla riforma del 2005, e la conseguente modifica
dell’ultimo inciso del comma 1, dell’art. 158, c.p. (tramite la materiale soppressione dell’esplicita
previsione, speculare a quella – sopravvissuta alla riforma – contemplata per il reato permanente,
secondo la quale “il termine di prescrizione decorre per il reato continuato dal giorno in cui è cessata
la continuazione”), deve ritenersi che anche il momento da cui inizia il decorso del termine di prescrizione rimanga collegato alla data di consumazione del singolo reato in continuazione.
67
Si veda Cass., Sez. I, 12 aprile 2006, n. 14563, per la quale nel corso dell’esecuzione il cumulo
giuridico delle pene irrogato per il reato continuato è scindibile ai fini della fruizione dei benefici
penitenziari, in ordine ai reati che non sono ostativi alla concessione di detti benefici, dovendosi
ritenere, in base al principio del favor rei, che la pena inflitta con la sentenza di condanna relativa ai delitti ostativi sia stata espiata per prima. Si veda, altresì, Cass., Sez. Un, 30 giugno 1999,
n. 14, per la quale nel corso dell’esecuzione il cumulo giuridico delle pene irrogate per il reato
continuato è scindibile, ai fini della fruizione dei benefici penitenziari, in ordine ai reati che di
questi non impediscono la concessione e sempre che il condannato abbia espiato la pena relativa
ai delitti ostativi.
68
Anche in ambiti strettamente processuali come quelli relativi all’individuazione del Giudice
competente. Si veda, in proposito Cass., Sez. II, 7 aprile 2004, n. 18033, per la quale “qualora
un reato continuato sia attribuito ad un soggetto che era ancora minorenne all’inizio dell’attività
criminosa poi protrattasi con ulteriori reati aventi distinta autonomia, ma unificati dall’identità
del disegno criminoso, è possibile operare una scissione delle condotte del soggetto e distinguere,
pertanto, tra episodi realizzati in data antecedente ed episodi realizzati in data successiva al raggiungimento della maggiore età, attribuendo la competenza a conoscere i primi al tribunale per i
minorenni ed attribuendo la competenza a conoscere i secondi al tribunale ordinario”.
69
Cass., Sez. Un., n. 15124/1981 e, di recente, Cass., Sez. Un., 23 gennaio 2009, n. 3286.
Parte iii – Capitolo 3
1153
che, con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno criminoso,
commette, anche in tempi diversi, più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge. Il codice non fa distinzioni, né pone altre condizioni se non quella
concernente l’unicità del disegno criminoso di cui le singole violazioni si pongono come attuative. La questione, poi, se il reato continuato integri una nuova ed
unitaria figura, oppure una speciale fattispecie complessa, è questione dommatica che, comunque, non tocca il principio affermato nel secondo comma dell’art.
81 c.p., secondo il quale, verificandosi la detta situazione, spetta all’imputato il
particolare trattamento sanzionatorio previsto nella prima parte dell’articolo.
D’altra parte, deve rilevarsi che, dopo la riforma del 1974, essendosi introdotta una nozione eterogenea di reato continuato, il problema dell’unità o della
pluralità di reati o, meglio, dell’unità reale o fittizia dei reati, non conserva più
importanza, visto che nella realtà esistono più reati ontologicamente distinti che
vengono unificati ai fini sanzionatori.
Ciò che rileva, dunque, ai fini dell’unificazione è soltanto l’esistenza del
requisito soggettivo rappresentato dall’unicità del disegno criminoso, che non
s’identifica assolutamente con il dolo (che è, anzi, diverso per ciascun reato), bensì con l’ideazione complessiva, con il piano criminoso generale, di cui
ciascun reato è un momento attuativo. Che poi talvolta i vari reati, uniti dalla
continuazione, possano essere dalla legge considerati separabili, ciò dipende
proprio dalla natura stessa della continuazione che trova la sua giustificazione
nella indulgentiae causa: ogniqualvolta l’unificazione sia per risolversi a danno
dell’imputato, è lecito operare la scissione, parziale o totale, a seconda che lo
richieda il favor rei.
A conferma della validità di tale ricostruzione, va rammentato che le Sezioni
Unite della Cassazione70 hanno recentemente sancito il definitivo superamento
della concezione unitaria del reato continuato, chiarendo che esso si configura
quale particolare ipotesi di concorso di reati che va considerato unitariamente
solo per gli effetti espressamente previsti dalla legge, come quelli relativi alla
determinazione della pena, mentre, per tutti gli altri effetti non espressamente
previsti, la considerazione unitaria può essere ammessa esclusivamente a condizione che garantisca un risultato favorevole al reo.
Gli elementi peculiari della figura vengono poi tradizionalmente ricompresi
nei seguenti requisiti: pluralità di azioni od omissioni (più condotte giuridicamente rilevanti); pluralità di violazioni di legge (più reati); medesimo disegno
criminoso (elemento unificante).
7.1. La pluralità di condotte
Il richiamo alla pluralità di azioni od omissioni contenuto nella disposizione di
cui all’art. 81 cpv. c.p. va pacificamente riferito al concetto giuridico di condotta
70
Cass., Sez. Un., n. 3286/2009 cit., e, più di recente, Cass., Sez. Un., n. 25939/2013 cit.
Elementi
del reato
continuato
Concetto
giuridico
di condotta
Schemi sinottici
1519
Parte III – Capitolo 3 – Sezione I
Concorso di reati
!
quando più fatti tipici (riconducibili ad una o a più condotte del soggetto agente) paiono
riconducibili, sotto il profilo sanzionatorio, a più norme incriminatrici
!
concorso formale tra reati (art. 81)
si realizza nel momento in cui il soggetto agente con una sola condotta violi più volte
la stessa norma penale (cd. concorso formale omogeneo) o diverse norme penali (cd.
concorso formale eterogeneo)
ne consegue l’applicazione del criterio del c.d. cumulo giuridico tra le pene, per il quale è
punito con la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave aumentata sino al
triplo chi con una sola azione od omissione viola diverse disposizioni di legge ovvero
commette più violazioni della medesima disposizione di legge.
!
concorso materiale tra reati (artt. 71 ss.)
si realizza nel momento in cui il soggetto agente con più condotte distinte tra loro violi più
volte la stessa norma penale (cd. concorso di reati omogeneo) o diverse norme penali (cd.
concorso di reati eterogeneo)
ne consegue l’applicazione del criterio del c.d. cumulo materiale temperato (tot crimina,
tot poenae), per il quale si procederà alla somma aritmetica delle pene previste per ogni
reato in concorso, senza superare dei limiti prefissati per legge (artt. 78 e 79)!
reato continuato ex art. 81 cpv.
si realizza nel caso in cui le diverse condotte siano esecutive di un medesimo disegno
criminoso
ne consegue l’applicazione la disciplina del reato continuato, che prevede sotto il profilo
sanzionatorio l’applicazione del criterio del c.d. cumulo giuridico tra le pene.
!
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!
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