...

orario_docente_sostegno - IC "G.Nicolini" di Capranica

by user

on
Category: Documents
17

views

Report

Comments

Transcript

orario_docente_sostegno - IC "G.Nicolini" di Capranica
NORMATIVA SULLA FORMULAZIONE DELL'ORARIO DELL'INSEGNANTE DI
SOSTEGNO
CAMBIARE L'ORARIO DEL DOCENTE DI SOSTEGNO DURANTE L'ANNO:
I Consigli di classe e le commissioni non possono formulare in autonomia gli orari dei docenti di sostegno.
Da diversi anni assistiamo alla programmazione degli orari dei docenti di sostegno da parte dei Consigli di
classe e commissioni orario.
Questa prassi diffusa in diverse istituzioni scolastiche, accelera la definizione degli orari senza tener conto
della valutazione del curriculum degli alunni con disabilità.
Il DPR n.275/99 all’art. 8 comma 4 (definizione del curricolo locale) assegna alle scuole l’opportunità di
determinare una quota del curricolo obbligatorio, scegliendo liberamente discipline e attività che valorizzino
“gli obiettivi specifici di apprendimento relativi alle competenze degli alunni” e la necessità di “rispondere in
modo adeguato alle diverse esigenze formative degli alunni, che si determinano e si manifestano nel
rapporto con il proprio contesto di vita”.
Inoltre il D.I. 26 giugno 2000, n° 234 – Regolamento recante norme in materia di curricoli dell’autonomia
delle istituzioni scolastiche, ai sensi dell’art. 8 del D.P.R. 8 marzo 1999, n° 275 sempre in merito ai
programmi d’insegnamento e agli orari di funzionamento delle scuole di ogni ordine e grado, riprende “Il
curricolo obbligatorio è realizzato utilizzando tutti gli strumenti di flessibilità organizzativa e didattica prevista
dal D. P.R. 275/1999”.
La libera scelta del curricolo deve poter trovare applicazione concreta nella formulazione di un quadro orario
che risponda alle “effettive esigenze rilevate” dell’alunno con disabilità (Sentenza Corte Costituzionale n. 80
del 2010).
Una ragione in più per contestualizzare l’attività didattica dei docenti al piano educativo individualizzato (PEI)
e al progetto di vita dell’allievo (linee guida integrazione scolastica 4 agosto 2009).
I Consigli di classe “si riuniscono in ore non coincidenti con l'orario delle lezioni, col compito di formulare al
collegio dei docenti proposte in ordine all'azione educativa e didattica e ad iniziative di sperimentazione e
con quello di agevolare ed estendere i rapporti reciproci tra docenti, genitori ed alunni. In particolare
esercitano le competenze in materia di programmazione, valutazione e sperimentazione previste dagli
articoli 126, 145, 167, 177 e 277 Dlgs 297/94”.
La competenza e la formulazione dell’orario dei docenti di sostegno possono trovare applicazione da una
scelta condivisa in sede di Consiglio d’Istituto e Collegio docenti all’inizio dell’anno scolastico tenendo conto
delle “eventuali proposte e pareri dei consigli di intersezione, di interclasse o di classe”.
Ogni altra distribuzione oraria difforme da quanto previsto dall’attuale normativa e orientamento
giurisprudenziale non può essere accolta dagli organi collegiali.
Giuseppe Argiolas, Direttivo Nazionale CIIS
DIRITTO FONDAMENTALE ALL'INSEGNANTE DI SOSTEGNO
ANCHE PER L'INTERA DURATA
DELL'ORARIO SCOLASTICO SETTIMANALE
AetnaNet 29.9.2010
Una sentenza della Corte costituzionale (22-26 febbraio 2010, n. 80) e una
sentenza del Consiglio di Stato (23 marzo 2010, Sezione sesta, in sede
giurisdizionale), che alla pronuncia della Corte costituzionale fa esplicito e
sostanziale riferimento, hanno evidenziato la debolezza costituzionale di norme che,
come evidenziato nel ricorso presentato “in proprio e in qualità di genitori esercenti
la patria potestà sulla figlia minore”, alla quale era stato assegnato, nonostante la
gravità della patologia, “un docente solo per 12 ore settimanali” invece che “per 25
ore settimanali”, comprometteva “il diritto del disabile ad una effettiva assistenza
didattica; diritto tutelato dalla Costituzione e da norme internazionali” (la Corte ha
dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 413 e comma 414, della
legge 24 dicembre 2007, n. 244, nelle parti in cui, rispettivamente, era fissato “un
limite massimo al numero dei posti degli insegnanti di sostegno” ed era esclusa “la
possibilità di assumere insegnanti di sostegno in deroga, in presenza nelle classi di
studenti con disabilità grave, una volta esperiti gli strumenti di tutela previsti dalla
normativa vigente”).
Nell'assegnazione dell'insegnante di sostegno, valutata la specificità della situazione
alla luce di accertamento sanitario presso struttura pubblica, “ma anche considerati
gli ulteriori strumenti di tutela che siano previsti (come il servizio socio-educativo)”,
si “può giungere alla individuazione di un numero di ore pari a quello delle ore di
frequenza”, “nella misura motivatamente necessaria per perseguire al meglio
l'obbiettivo dell'integrazione del disabile nelle condizioni date”. La determinazione da
parte dell'amministrazione delle ore di sostegno “non può essere disposta per gli
anni successivi a quello in cui è stata applicata”, poiché ai fini della decisione per
l'anno successivo sono previste “verifiche periodiche degli effetti degli interventi
adottati per eventualmente modificarli in relazione alla loro efficacia ed evoluzione
della patologia accertata”, come disposto dall'art. 6 del decreto del Presidente della
Repubblica 2.2.1994 recante “Atto di indirizzo e coordinamento relativo ai compiti
delle unità sanitarie locali in materia di alunni portatori di handicap”. Quindi, le ore
di sostegno possono essere, di anno in anno, diminuite o aumentate “in relazione
alla loro efficacia” ed alla “evoluzione della patologia accertata”.
In estrema sintesi, è quanto emerge da una recente sentenza del Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione sesta, 23 marzo 2010, n. 2231), che ha accolto il
ricorso in appello presentato dai genitori di un alunno di scuola primaria (che
avevano chiesto “l'accertamento del diritto del minore di ottenere un insegnante di
sostegno per l'intero orario di frequenza – 33 ore settimanali – e non per 16 ore
settimanali”) ed ha riformato la sentenza che era stata emessa dal
Tar Friuli Venezia Giulia-Trieste a favore del provvedimento del Direttore scolastico
regionale per il Friuli Venezia Giulia, col quale era stata limitata a soltanto 16 ore
settimanali l'assegnazione dell'insegnante di sostegno. Con la sua sentenza, il
Consiglio di Stato ha statuito, anche “alla luce dei principi e della normativa vigenti
come risultanti per la pronuncia della Corte costituzionale” (sentenza 22-26 febbraio
2010, n. 80), la “rideterminazione da parte dell'Amministrazione del numero delle
ore di sostegno”, riconsiderate “ai fini di una diversa determinazione”, comunque
maggiore di quella attuale (16 ore), fino a “giungere o meno” ad un “numero di ore
pari a quello delle ore di frequenza”.
La sentenza della Corte costituzionale trae la sua origine da un provvedimento
cautelare emesso dal Tribunale amministrativo regionale, sezione staccata di
Catania, con il quale, accogliendo il ricorso dei genitori di un’alunna “affetta da
ritardo psicomotorio e crisi convulsive da encefalopatia grave”, “si ordinava
all’amministrazione, che in sede di formazione degli organici aveva assegnato un
insegnante di sostegno solo per 12 ore settimanali, il ripristino dell’assegnazione di
un docente di sostegno … per 25 ore settimanali”. Provvedimento cautelare avverso
al quale era stato proposto appello dal Ministero dell’istruzione, dell’università e
della ricerca nei confronti dei genitori dell’alunna. Il Consiglio di giustizia
amministrativa per la Regione Siciliana, con ordinanza del 26 marzo 2009,
sollevava, in riferimento ad articoli e a commi della Costituzione, la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 2, commi 413 e 414, della legge 24 dicembre
2007, n. 244. E tra l’altro veniva posta in rilievo la legge 27 dicembre 2007, n. 449,
“che assicura l’integrazione scolastica degli alunni con interventi adeguati al tipo e
alla gravità dell’handicap” e “la possibilità di assumere con contratto a tempo
determinato insegnanti di sostegno in deroga al rapporto docenti ed alunni, indicato
al comma 3 della suddetta disposizione, in presenza di handicap particolarmente
gravi”, in ragione del quale “ad un maggiore livello di disabilità deve corrispondere
un maggior grado di assistenza, al fine di consentire al disabile di superare il suo
svantaggio e di porlo in condizione di parità con gli altri”. E veniva messo in assoluta
evidenza che “l’equiparazione di tutti i disabili, compiuta dal legislatore sulla base
delle norme censurate, sarebbe anche irragionevole, poiché presta lo stesso grado
di assistenza a tutti i disabili, indipendentemente dal loro grado di disabilità,
ponendo una disparità di trattamento, in quanto proprio la gravità dell’handicap
giustificava lo standard più elevato di tutela rispetto a quello minimo garantito per i
disabili lievi e ciò al fine di assicurare a tutti lo stesso diritto all’istruzione”. Inoltre,
venivano messi in piena luce “altri profili di irragionevolezza delle norme
impugnate”, quale quello di far prevalere l’esigenza di bilancio nel “contemperare il
diritto dei disabili gravi con l’esigenza di bilancio”, a parte il principio (imposto
dall’art. 10, primo comma, della Costituzione) “dell’adeguamento dell’ordinamento
interno alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”
(Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo; Convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali; Carta sociale europea; Convenzione
delle Nazioni unite; Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea proclamata dal
Parlamento europeo; il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa; gli articoli
34, primo comma, e 38, terzo e quarto comma, della Costituzione, in riferimento
agli articoli 30, primo e secondo comma, e 31, primo comma, che sanciscono i
principi “che la scuola è aperta a tutti e che l’istruzione inferiore è obbligatoria, che
anche i disabili hanno diritto all’educazione e che a questo compito provvedono
organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato”).
Da parte sua, intervenendo in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, il presidente del Consiglio dei ministri chiedeva alla Corte
costituzionale di dichiarare inammissibile o infondata la questione sollevata dal
Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, perché la sentenza di
incostituzionalità delle norme sottoposte al giudizio della Corte costituzionale
comporterebbe da un lato “nuove o maggiori spese a carico del bilancio statale
senza indicare i mezzi per farvi fronte” e dall’altro lato “porterebbe la Corte a
sostituirsi al legislatore, al quale è demandata l’individuazione delle concrete
modalità con le quali realizzare la tutela invocata nel giudizio a quo”. Inoltre, e tra
altre eccezioni, l’Avvocatura generale dello Stato ha sostenuto che le censure
relative alla violazione degli articoli e dei commi della Carta costituzionale (quelli
evidenziati nel precedente capoverso) erano infondate “data la molteplicità degli
interventi disposti in tal senso e che la riduzione delle ore di sostegno
consentirebbero, comunque, l’integrazione scolastica delle persone disabili”.
Ad avviso del Consiglio di giustizia amministrativa, le norme censurate violerebbero
gli articoli 2, 3, 38, terzo e quarto comma, della Costituzione, perché, oltre ad
essere in contrasto con i valori della solidarietà collettiva nei confronti dei disabili
gravi, introdurrebbero “un regime discriminatorio illogico e irrazionale” che “non
terrebbe conto del diverso grado di disabilità di tali persone, incidendo così sul
nucleo minimo dei loro diritti”; e sarebbero altresì violati gli articoli 4, primo comma,
35, primo e secondo comma, in relazione all’art. 38, terzo comma, della
Costituzione, “in quanto da tale violazione deriverebbe l’impossibilità per il disabile
grave di conseguire ‘il livello di istruzione obbligatoria prevista’, ‘quello superiore’ e
‘l’avviamento professionale propedeutico per l’inserimento nel mondo del lavoro’”.
La Corte costituzionale aveva, “in via preliminare”, da parte sua affermato,
esattamente un mese prima, che “deve essere respinta l’eccezione di inammissibilità
prospettata dal Presidente del Consiglio dei ministri sotto il profilo del difetto di
rilevanza”. Subito dopo aveva anche affermato che la questione sottoposta al
giudizio di legittimità costituzionale dal Consiglio di giustizia amministrativa per la
Regione Siciliana “è nel merito fondata”, precisando preliminarmente che “i disabili
non costituiscono un gruppo omogeneo”, perché, infatti, “vi sono forme diverse di
disabilità, alcune lievi ed altre gravi”, e “per ognuna di esse è necessario, pertanto,
individuare i meccanismi di rimozione degli ostacoli che tengano conto della tipologia
di handicap da cui risulti essere affetta in concreto una persona”, nella
considerazione che ciascun disabile “è coinvolto in un processo di riabilitazione
finalizzato ad un suo completo inserimento nella società; processo all’interno del
quale l’istruzione e l’integrazione scolastica rivestono un ruolo di primo piano”.
Peraltro, l’art. 12 della legge n. 104 del 1992 “attribuisce al disabile il diritto
soggettivo all’educazione ed all’istruzione a partire dalla scuola materna fino
all’università”, e quindi il “diritto del disabile all’istruzione si configura come un
diritto fondamentale”, la cui fruizione “è assicurata, in particolare, attraverso ‘misure
di integrazione e sostegno idonee a garantire ai portatori di handicaps la frequenza
degli istituti d’istruzione’ (sentenza n. 215 del 1987)”. E in conclusione viene
ribadito che la possibilità di stabilire ore aggiuntive di sostegno è “quella di
apprestare una specifica forma di tutela ai disabili che si trovano in condizione di
particolare gravità”. Si tratta “di un intervento mirato, che trova applicazione una
volta esperite tutte le possibilità previste dalla normativa vigente e che, giova
precisare, non si estende a tutti i disabili a prescindere dal grado di disabilità, bensì
tiene in debita considerazione la specifica tipologia di handicap” dalla quale ciascuno
è affetto.
Quindi, è illegittimo stabilire “un limite massimo invalicabile relativamente al
numero delle ore di insegnamento di sostegno”, perché comporta “automaticamente
l’impossibilità di avvalersi, in deroga al rapporto tra studenti e docenti stabilito dalla
normativa statale, di insegnanti specializzati che assicurino al disabile grave il
miglioramento della sua situazione nell’ambito sociale e scolastico”.
Di qui, il diritto dell’alunna disabile, in giusta accoglienza della richiesta dei suoi
genitori, ad avere un insegnante di sostegno per 25 ore settimanali (che magari
potrebbero essere, se accertata la necessità, anche per tutte le ore dell’attività
didattica settimanale, da quest’anno almeno 27, ma nel 2008 anche più di 30), dato
il “provato stato di disabilità grave di cui è affetta”, riconosciuto dall’apposita
commissione medica, mentre il numero di 25 ore di sostegno scaturisce dalle
commissioni mediche e sociopedagogiche, “che hanno ritenuto essere il minimo
necessario per rendere effettivo” il diritto dell’alunna disabile all’integrazione
scolastica ed alla sua istruzione.
Conseguentemente, non può essere negato il diritto, naturalmente conseguente a
quanto scaturisce dalle commissioni di riferimento e confermato da specifica
documentazione (e quindi con riferimento ai Piani educativi individualizzati,
strumenti di programmazione della vita scolastica degli alunni con disabilità, che
evidenziano le necessità di integrazione e le ore di sostegno necessarie, e pertanto
nella loro costruzione la partecipazione e l’attenzione dei genitori debbono essere il
massimo possibile) ad avere assegnati insegnanti di sostegno (tenendo presente che
l’orario settimanale di cattedra dei docenti è di 25 ore nella scuola dell’infanzia, di
22 ore di insegnamento e 2 ore per la programmazione settimanale nella scuola
primaria, di 18 ore nella scuola secondaria di primo e di secondo grado) per coprire,
avendone diritto gli studenti ed essendo stati accertati il grado di disabilità e tenuta
in debita considerazione la specifica tipologia di handicap, anche tutte le ore
settimanali dell’attività didattica (27 ore nella scuola dell’infanzia; da 27 a 30 ore
nella scuola primaria; 30 ore nella scuola media inferiore; da 27 a 30 ore nei licei
classici, nei licei scientifici, nei licei linguistici e nei licei psicopedagogici; 32 ore negli
istituti tecnici commerciali, negli istituti tecnici industriali e negli istituti
professionali).
Poco più di un mese dopo la sentenza della Corte costituzionale, il Consiglio di Stato
decideva, “in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 marzo 2010”, di
accogliere il ricorso proposto dai genitori di un alunno disabile al quale, negandogli il
diritto al sostegno per 33 ore settimanali, e cioè per l’intero orario di frequenza, era
stato assegnato un insegnante di sostegno soltanto per 16 ore settimanali dal
dirigente scolastico dell’Istituto comprensivo di Tavagnacco (in provincia di Udine),
pur ritenendo egli stesso che le 16 ore settimanali “non sono sufficienti per un
supporto adeguato”.
Il Consiglio di Stato, facendo esplicito riferimento alla pronuncia della Corte
costituzionale e “fermi i principi e gli obbiettivi della piena integrazione delle persone
disabili e della garanzia del sostegno con docenti specializzati per l’integrazione in
ambito scolastico”, accoglieva l’appello dei genitori dell’alunno disabile e riformava
la sentenza del Tar Friuli Venezia Giulia-Trieste che, con la sentenza n. 90 del 2009
“pronunciata in forma semplificata”, quindi alcuni mesi prima della sentenza della
Corte costituzionale, aveva accolto la determinazione delle dirigenze scolastiche
regionale e provinciale di assegnare all’alunno un insegnante di sostegno soltanto
per 16 ore settimanali. Pertanto, annullava il provvedimento del Direttore dell’Ufficio
scolastico regionale e respingeva la richiesta del Ministero dell’istruzione, costituitosi
in giudizio rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che insisteva
sulla correttezza dell’assegnazione di un insegnante di sostegno per 16 ore
settimanali (determinazione che però è censurabile perché esercitata in violazione
dei canoni di ragionevolezza, proporzionalità e coerenza logica) quando la
Commissione medica di prima istanza aveva riconosciuto al minore come “invalido
con totale e permanente inabilità operativa al 100 per cento e con necessità di
assistenza continua non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita”, e
quindi “come persona affetta da handicap in situazione di gravità art. 3, comma 3, l.
104/92 con necessità di un insegnante di sostegno in deroga al rapporto fissato
dalla l. 104/92”. Cioè persona non rientrante “nel rapporto di un insegnante ogni
138 alunni (di cui all’art. 40, comma 3, della legge n. 449 del 1997) ma di 1 a 1,
inteso come un’ora di sostegno per ogni ora di frequenza”.
La sentenza di primo grado, quella del Tar, era oggetto di censura “per non aver
riconosciuto che il diritto all’istruzione, all’educazione e all’integrazione scolastica è
un diritto pieno, non suscettibile di affievolimento neanche di fronte alle esigenze di
organico e di bilancio dello Stato, non sussistendo perciò potere amministrativo
discrezionale al riguardo”, in quanto diritto fondato sugli articoli 2, 3, 34, 38 della
Costituzione e su quanto stabilito dalle legge 104 del 1992, nonché alla luce degli
obbiettivi di formazione e di integrazione degli alunni handicappati nella classe e nel
gruppo individuati dal decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275,
per assicurare, raccordandosi a queste finalità l’art. 40 della legge n. 499 del 1997,
interventi adeguati al tipo e alla gravità dell’handicap, prevedendo “la più ampia
flessibilità organizzativa e funzionale delle classi e il ricorso all’assunzione di
insegnanti di sostegno con contratti a tempo determinato in deroga al rapporto
docenti-alunni di cui al comma 3 dello stesso articolo”.
Nell’accogliere l’appello proposto dai genitori dell’alunno disabile, il Consiglio di Stato
ha fatto esplicito riferimento alla sentenza della Corte costituzionale, nella quale “si
statuisce in particolare che il ‘diritto del disabile all’istruzione si configura come
diritto fondamentale’, individuandosi di conseguenza ‘il diritto fondamentale
dell’istruzione del disabile grave’” e viene chiarito che il potere discrezionale di cui
gode il legislatore “non ha carattere assoluto e trova un limite nel ‘… rispetto di un
nucleo indefettibile di garanzie per gli interessati’ (sentenza n. 226 del 2000),
risultando evidente che ‘le norme impugnate hanno inciso proprio sull’indicato
‘nucleo di garanzie’ … individuato” dalla Corte costituzionale “quale limite invalicabile
all’intervento normativo discrezionale del legislatore”. La possibilità di stabilire ore
aggiuntive di sostegno trova la sua ragion d’essere nell’apprestare “una specifica
forma di tutela ai disabili che si trovano in condizione di particolare gravità”: un
“intervento mirato” che “non si estende a tutti i disabili a prescindere dal grado di
disabilità, bensì tiene in debita considerazione la specifica tipologia di handicap da
cui
è
affetta
la
persona
de
qua”.
In definitiva, il diritto all’istruzione del disabile, “ed in particolare del disabile grave”,
è un diritto fondamentale e l’individuazione di un “nucleo indefettibile” di garanzie
per la realizzazione di tale diritto è fondamentale, per cui “obbiettivo primario è
quello della massima tutela possibile del diritto del disabile grave all’istruzione e
all’integrazione nella classe … fino alla previsione di un’ora di sostegno per ogni ora
di frequenza”, pur non essendo “di per sé illegittimo un intervento minore, purché
non sia scalfito il nucleo indefettibile del diritto, se motivato dall’analisi accurata
della situazione specifica nel quadro di ragioni e vincoli oggettivi”. Tutto ciò
comportando “che dall’accertata situazione di gravità del disabile può o meno
conseguire la determinazione di un numero di ore di sostegno pari a quello delle ore
di frequenza ma che, comunque, la scelta deve essere orientata verso la più ampia
ipotesi possibile di sostegno nelle condizioni date”. L’ipotesi massima “della
coincidenza tra ore di sostegno e ore di frequenza che … può assumere valenza
prioritaria in relazione alle circostanze” non comporta, però, “automaticamente il
diritto del disabile ad ottenere un insegnante di sostegno per l’intero monte ore di
frequenza settimanale”, perché le esigenze “necessitano di una valutazione il più
possibile individualizzata e congruamente motivata” e conseguentemente
l’assegnazione dell’insegnante di sostegno ‘in deroga’ “deve essere volta a volta
commisurata alle specifiche difficoltà riscontrate nell’area dell’apprendimento, e tali
difficoltà possono variare da soggetto a soggetto in relazione al tipo di handicap, al
suo livello di gravità, alle connotazioni ed alla possibile evoluzione della malattia,
anche in relazione ad eventuali effetti migliorativi riscontrabili nel corso del tempo
decorso della malattia oppure anche grazie agli interventi attuati” (Tar Campania
4.11.2009, n. 6869).
Accogliendo, il 23 marzo 2010, l’appello nei confronti della sentenza del Tar Friuli
Venezia Giulia-Trieste proposto dai genitori dell’alunno disabile di Tavagnacco
((Udine) al quale nell’anno scolastico 2008-2009 era stato negato un insegnante di
sostegno per l’intero orario di frequenza (33 ore settimanali) e invece gli era stato
assegnato un insegnante di sostegno soltanto per 16 ore settimanali, e che a quella
disastrosa privazione era stato costretto a soggiacere per colpa di una legge che
grazie al ricorso in apposizione al Tar per la Sicilia-Catania proposto dai genitori di
un’alunna disabile siciliana (alla quale era stato negato per l’anno scolastico 20082009 il ripristino dell’insegnante di sostegno per 25 ore settimanali ed invece era
stata costretta ad averlo assegnato soltanto per 12 ore settimanale nonostante la
certificata disabilità grave), ricorso in apposizione che aveva portato il Consiglio di
giustizia amministrativa per la Regione Siciliana a promuovere un giudizio di
legittimità costituzionale di norme che dalla Corte costituzionale sono state
dichiarate illegittime, il Consiglio di Stato ha statuito la rideterminazione da parte
dell’Amministrazione del numero di ore di sostegno che “può giungere o meno”,
eventualmente anche “alla luce di un rinnovato accertamento sanitario presso
struttura pubblica”, “alla individuazione di un numero pari a quello delle ore di
frequenza per perseguire al meglio l’obbiettivo dell’integrazione del disabile nelle
condizioni date, con l’eventuale ricorso anche ad assunzione ‘in deroga’”.
Riparazione giunta, ovviamente, in ritardo, ma questi sono i tempi, ancorché brevi
rispetto a molti altri che durano parecchi anni, della giustizia. Riparazione della
quale non hanno tratto profitto gli alunni disabili, benché sia stato riconosciuto e
statuito dalla Corte costituzionale, e conseguentemente accolto dal Consiglio di
Stato, “che il diritto del disabile all’istruzione si configura come diritto
fondamentale”, individuandosi di conseguenza “il diritto fondamentale dell’istruzione
del disabile grave”. Riparazione che è certamente costata parecchio, in termini di
spese legali, purtroppo sempre compensate tra le parti (il presidente del Consiglio
dei ministri e il ministro dell’Istruzione, perdenti, e i genitori degli alunni, vincenti),
un “principio” che comunque dovrebbe essere rimosso, quindi con condanna della
pubblica amministrazione al pagamento delle spese di giudizio in favore del cittadino
e dei diversi istituti di giustizia tutte le volte che risulta perdente in giudizio per aver
violato e/o disconosciuto il legittimo diritto di chi per averlo riconosciuto ha dovuto
ricorrere alla magistratura giudicante, anche e soprattutto al fine di evitare
comportamenti
amministrativi
superficiali
caratterizzati
dall’espressione,
sicuramente impropria ed inammissibile, “faccia ricorso”. E intanto passano gli anni!
Sui giornali è possibile leggere ogni giorno che si registrano numerose lamentele da
parte dei genitori degli alunni, che rilevano e denunciano la scarsa qualità e quantità
degli interventi, e che il più delle volte, caratteristica di una scuola che sta
attraversando un periodo coralmente indicato come infelice, non c’è continuità da un
anno all’altro e in materia di alunni disabili si registra una protesta sempre più
intensa sull’inadeguatezza dell’integrazione scolastica. Ma siamo nell’epoca della
cosiddetta “riforma storica” della scuola italiana, “epocale” per le molte decine di
migliaia di docenti e di personale tecnico ed amministrativo senza lavoro e senza
stipendio a causa dell’epocale licenziamento di massa, frutto, con vantato “orgoglio”
dell’attuale ministro dell’Istruzione, della coppia ministeriale (il ministro Giulio
Tremonti, che ha costruito la politica dei tagli delle risorse alla scuola e alla cultura,
e il ministro Mariastella Gelmini, pronta a leggere i suoi interventi, obbediente e
consenziente, e con espressioni e toni suadenti mentre nella scuola procede la
politica dei licenziamenti di massa, su quanto dall’altro ministro disposto,
dichiarandosi soddisfatta ed orgogliosa). Una coppia ministeriale di “tirchi” o
“parsimoniosi” nei confronti delle risorse da destinare alla scuola, così costretti ad
agire per la “generosità” nei confronti degli evasori fiscali, soprattutto di quelli che
evadono di più. Ebbene, ancora uno sforzo, ministro Mariastella Gelmini, è l’Italia,
che occupa il 27° posto nella graduatoria delle risorse destinate alla scuola dagli
Stati dell’Unità europea, verrà a trovarsi presto ad occupare l’ultimo posto, cosicché
il nostro Paese, qualora si facesse una graduatoria degli Stati europei che destinano
la minore quantità di risorse all’istruzione e alla scuola, occuperebbe, non so se con
“orgoglio” del ministro dell’Istruzione, il primo posto.
Alla luce della sentenza della Corte costituzionale e della sentenza del Consiglio di
Stato, delle quali ho ampiamente riferito, e volendo fare la somma di quanto è stato
speso per il sostegno agli alunni disabili, la politica del risparmio, oltre ad avere
colpito le molte decine di migliaia di lavoratori investiti dall’epocale licenziamento di
massa, ha lasciato il suo terribile segno sulla pelle dei disabili, sull’istruzione e
sull’integrazione degli alunni disabili. Facendo la somma degli addendi, si ottiene un
totale che non corrisponde affatto a quanto doveva essere destinato al sostegno in
ambito scolastico degli alunni disabili. Manca, infatti, un addendo di notevole
consistenza, corrispondente alle risorse che sono state negate, anche per l’esistenza
di disposizioni legislative magari costruite apposta per “risparmiare” (non volendo
fare riferimento alla “competenza”) nell’assegnazione di docenti di sostegno “in
deroga”, a partire da quelle delle quali è stata dichiarata l’illegittimità costituzionali
dalla Carte costituzionale con la sentenza del 22-26 febbraio 2010, n. 80.
Sappiamo adesso, proprio dalla sentenza della Corte costituzionale, seguita dalla
sentenza del Consiglio di Stato, rispettivamente, del febbraio e del marzo dell’anno
in corso, che le ore per il sostegno non sarebbero state assegnate sulla base
dell’effettiva necessità, accertata su base diagnostica della situazione di gravità
dell’handicap, fino alla previsione di un’ora di sostegno per ogni ora di frequenza ed
orientata verso la più ampia ipotesi possibile di sostegno nelle condizioni date. E che
non c’è stata, come è emerso con chiarezza dai ricorsi e dalle opposizioni dei
genitori degli alunni (nelle province di Catania e di Udine), la specifica forma di
tutela ai disabili in condizioni di particolare gravità. Sono state negate necessarie
ore di sostegno, ponendo in essere disparità di trattamento, ad alunni con accertata
disabilità grave, e sono state addirittura dimezzate le ore di sostegno che erano
state assegnate nell’anno scolastico precedente; ed è stata quindi violata la norma
di legge che assicura l’integrazione scolastica degli alunni disabili con interventi
adeguati al tipo ed alla gravità dell’handicap, in ragione dei quali “ciascun intervento
deve tener conto del grado e della tipologia di deficit di cui è portatore il singolo
individuo”.
Tutto ciò è accaduto, addirittura in quantità notevole, nella scuola dell’infanzia, nella
scuola primaria e nella scuola secondaria inferiore e superiore. Né si riesce a
comprendere come è possibile che ad un alunno di scuola primaria al quale è stato
riconosciuto il rapporto di 1 a 1 (inteso come un’ora di sostegno per ogni ora di
frequenza), comunque considerata in termini inspiegabilmente riduttivi per 22 ore e
non per l’intera durata dell’attività didattica settimanale, che è stata anche di 32 ore
(e che quindi è rimasto, pur in condizioni di disabilità grave, per 10 ore settimanali
senza insegnante di sostegno nel processo di istruzione e di integrazione con gli altri
alunni della classe), le ore per il sostegno nel rapporto 1 a 1 possano, una volta
transitato nella scuola media inferiore, essere ridotte a 18 ore settimanali con la
finalità, illogica quanto irragionevole, di rapportarle all’orario di cattedra del singolo
docente, quando 27 ore possono essere coperte, rendendosi necessarie per essere
state riscontrate specifiche difficoltà in due aree di apprendimento, da due
insegnanti: uno per 18 ore e l’altro per le restanti 9 ore nel caso di 27 ore
settimanali di attività didattiche, e magari per più di 9 ore nelle classi con 30 o con
più ore settimanali di attività didattiche. Una illogicità che persiste nelle scuole
secondarie superiori, nelle quali, proprio per gli esiti positivi eventualmente
conseguiti (e assolutamente da non disperdere nemmeno minimamente) dall’alunno
disabile, ancor più se con disabilità grave, durante gli anni dell’istruzione
obbligatoria e per poter raggiungere risultati positivi soprattutto per l’inserimento
nel mondo del lavoro, il sostegno al disabile dovrebbe essere più attento e maggiore
in termini di ore, con riferimento alle più marcate necessità evidenziatesi in una o in
più di una delle aree di specializzazione (tecnica, umanistica, scientifica,
psicomotoria).
E cosa dire quando di alunni con disabilità meno grave in una classe ve ne sono due
(ed è anche accaduta la presenza di più di due), diciamo in un rapporto
corrispondente al 50 per cento di quello dell’1 a 1), che per strano comportamento
nell’assegnazione dell’insegnante di sostegno ha riguardato 12 ore nella scuola
dell’infanzia, 11 ore nella scuola primaria (o, se vogliamo, 12 ore, ma un’ora è
destinata alla programmazione collegiale settimanale), 9 ore nella scuola secondaria
sia inferiore, sia superiore? Cioè, un insegnante di sostegno che si occupa di due
alunni in una classe per 9 ore settimanali e di altri due alunni in un’altra classe (o
addirittura nella classe di un altro istituto scolastico) sempre per 9 ore settimanali di
sostegno? Eppure 9 ore settimanali di sostegno sono comunque sicuramente poche,
come sono poche le ore del rapporto 1 a 1 corrispondenti soltanto all’orario di
cattedra del docente con riferimento all’ordine e al grado scolastici di appartenenza.
Ma fanno risparmiare sulla spesa pubblica! E poco importa se nelle restanti ore (che
nella scuola primaria sono diventate poche, ma nella scuola secondaria
corrispondono da almeno il 50 fino al 77 per cento dell’orario settimanale delle
attività didattiche) l’alunno disabile rimane “affidato” all’insegnante di classe durante
le ore della propria attività didattica disciplinare (e si lascia alla collettiva
l’immaginazione percettiva di crearsi un’immagine di ciò che può accadere, ma che è
del tutto noto ai docenti, agli alunni e alle loro famiglie, mentre all’alunno disabile
viene di fatto negato il diritto all’istruzione come suo diritto fondamentale).
Tutto ciò, e cioè il mancato riconoscimento di un numero maggiore delle ore di
sostegno, senza valutare la specificità della situazione, e forse anche valutandola
ma non provvedendo di conseguenza allo scopo di “risparmiare” sulla spesa
necessaria, ha determinato una riduzione dei contratti di insegnamento “in deroga”
a tempo determinato. Un dato che resta da accertare, come resta da accertare
l’attuale situazione del sostegno agli alunni disabili, ma che in ogni caso deriva dalla
violazione del diritto soggettivo e fondamentale del disabile all’educazione ed
all’istruzione, assicurata, in particolare, “attraverso misure di integrazione e di
sostegno idonee a garantire ai portatori di handicaps la frequenza degli istituti
d’istruzione”, con la possibilità di avvalersi, come emerge dalla sentenza della Corte
costituzionale, “di insegnanti specializzati che assicurino al disabile grave il
miglioramento della sua situazione nell’ambito sociale e scolastico”, operando
nell’ottica di consentirgli – e di consentirlo a quanti sono gravati da specifica
tipologia di handicap – di conseguire “il livello di istruzione obbligatoria prevista”,
“quello superiore” e “l’avviamento professionale propedeutico per l’inserimento nel
mondo del lavoro”.
A tutto ciò va aggiunta la questione dell’assistenza igienico personale agli alunni
disabili che sta verificandosi nelle scuole di Catania. Un’assistenza che è stata
latitante nella fase iniziale dell’attuale anno scolastico, argomento che è stato
caratterizzato da uno scontro su chi e su come procedere, al momento fermo alla
proposta dell’assessorato comunale ai Servizi sociali di affidare il servizio
direttamente alle scuole nell’intento di soddisfare le esigenze degli studenti
interessati. Anche in questo caso, la questione riguarda le risorse che, se il servizio
di assistenza igienico personale agli alunni disabile deve essere gestito dalle scuole
in quanto caratterizzate dal regime di autonomia, non possono essere centellinate e
attribuite alle scuole con ingiustificabili ritardi, perché, a parte le inadempienze nei
confronti di chi verrà incaricato del servizio (da parte di ciascuna scuola o da parte
di una rete di scuole), verrebbe a causare ulteriori guasti al processo di integrazione
scolastica e sociale degli alunni disabili, quali che siano le condizioni di gravità da
ciascuno rappresentate ed accertate.
In ogni caso, vanno respinte le emergenti volontà, evidenziate da genitori di alunni
disabili e non disabili (i primi a denunciare le carenze concernenti l’istruzione e
l’integrazione scolastica dei loro figli e gli altri a denunciare la confusione che viene
a crearsi nelle classi in cui viene a mancare anche per molte ore settimanali
l’insegnante di sostegno, addirittura anche nel caso di livelli di disabilità certificati e
riconosciuti come alquanto gravi), ed anche da taluni politici, durante pubblici
interventi, di un ritorno, sciagurato quanto sconsiderato, alle scuole differenziali e/o
speciali destinate, con irragionevoli, disgustosi, disastrosi, spietati e squallidi intenti,
ad “accogliere”, disumanamente ghettizzandoli, gli studenti con disabilità grave e
comunque con tipologia di handicap “ritenuta” tale da “volerli” stupidamente”
separarli dagli altri alunni. Ma l’intento che si voglia ulteriormente risparmiare sulla
scuola, e quindi anche sul sostegno e sull’integrazione scolastica dei disabili
potrebbe, al di là delle idiozie dei ghettizzanti, rientrare nella politica del risparmio
che ha previsto, ed in gran parte ha già realizzato, un taglio di risorse per quasi otto
miliardi di euro per una “riforma storica” che sta portando il sistema scolastico
italiano, il quale era di per sé carente per l’insufficienza delle risorse finanziarie del
quale aveva bisogno, al definitivo “sfascio epocale”.
Fly UP