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Diffida tempo tuta
Prof. Dott. Mauro Di Fresco Via Laiatico, 12 - 00138 Roma Roma 10.07.2013 Scienze Giuridiche, Giurisprudenza, Scienze Politiche, Formazione di Diritto Pubblico Master di II livello della Corte Suprema in Diritto Sanitario Consulente Legale di Diritto Sindacale CO.IN.A. Policlinico Gemelli Consulente Legale di Diritto del Lavoro e Sanitario dell’Associazione Aiutiamo le Famiglie Iscritto all’Ordine degli Avvocati di Roma, registro dei Praticanti Praticante Studio Legale Rosa Cirigliano Relatore di Diritto Sanitario riviste “La Previdenza”,“Studio Cataldi”, “Nurse24” Al Direttore Generale Policlinico Universitario “Agostino Gemelli” Largo Agostino Gemelli, 8 00168 Roma Oggetto: diffida tempo tuta. In nome e per conto dell’organizzazione sindacale CO.IN.A., quale praticante Avvocato dello Studio legale Rosa Cirigliano, chiedo la retribuzione del tempo tuta così come previsto dalla giurisprudenza in materia. Secondo l’art. 1, co. 2/a del D.Lgs. 08.04.2003 n. 66, deve intendersi per orario di lavoro “il periodo in cui il lavoratore è a disposizione del datore di lavoro”, quindi, in questo periodo, è incluso anche il tempo impiegato per preparare la prestazione lavorativa (orario di servizio) ovvero per dismettere gli abiti borghesi e indossare la divisa e per terminare la prestazione lavorativa dismettendo la divisa per indossare i propri abiti. Difatti non potrebbe essere altrimenti in quanto se si includessero tali attività propedeutiche (preparatorie e terminali alla prestazione principale) nell’orario di servizio, esse verrebbero assorbite nelle 36 ore settimanali previste dalla contrattazione collettiva nazionale, con grave pregiudizio e danno all’assistenza visto che l’apertura oraria dei servizi sanitari si dipana in 36 ore a settimana. Le 36 ore settimanali definiscono, quindi, l’orario di servizio cioè l’impegno orario complessivo durante il quale il dipendente deve svolgere le mansioni per le quali è stato assunto (artt. 2103 C.C.). Tale logica deduzione, a cui aderisce oltre la giurisprudenza in materia anche il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, parte del presupposto che, in ossequio all’art. 36 Cost., il tempo che il lavoratore mette a disposizione del proprio datore di lavoro deve essere retribuito. Sulla base ai suesposti dati normativi, la giurisprudenza consolidata ritiene che il tempo di vestizione e svestizione è computabile nella nozione di orario di lavoro quando l’attività risulta eterodiretta dal datore di lavoro (Cass. 22 luglio 2008, n. 20179 in Dir. prat. lav., 2008, 2332 e in Lav. prev. oggi, 2009, 248; Cass. 8 settembre 2006, n. 19273 Foro it., rep., 2006, voce lavoro rapporto- 1190; Cass. 21 ottobre 2003, n. 15734 in Riv. it. dir. lav., 2004, II, 604) cioè quando è il datore di lavoro che esige l’uso della divisa come condizione imprescindibile della prestazione lavorativa come, appunto, avviene negli ambienti di lavoro sanitari che devono garantire un elevato livello di igiene oltre che l’identificazione della qualifica sanitaria. Via Laiatico, 12, 00138 Roma - Tel. 3288387220 Prof. Dott. Mauro Di Fresco La giurisprudenza prevede che per valutare se il tempo occorrente per indossare la divisa aziendale debba essere retribuito o meno, “occorre far riferimento alla disciplina contrattuale o regolamentare specifica: in particolare, ove sia data facoltà al lavoratore di scegliere il tempo e il luogo ove indossare la divisa stessa (anche presso la propria abitazione, prima di recarsi al lavoro) la relativa attività fa parte degli atti di diligenza preparatoria allo svolgimento dell'attività lavorativa, e come tale non deve essere retribuita, mentre se tale operazione è diretta dal datore di lavoro, che ne disciplina il tempo ed il luogo di esecuzione, rientra nel lavoro effettivo e di conseguenza il tempo ad essa necessario deve essere retribuito” (Cass. 22 luglio 2008, n. 20179; v. anche Cass. 08 settembre 2006, n. 19273; Cass. 21 ottobre 2003, n. 15734). Non può dubitarsi che la divisa sanitaria non possa essere indossata presso l’abitazione del lavoratore perché in tal caso si vanificherebbe ogni precauzione destinata a garantire il massimo dell’igiene. Dunque, se il lavoratore è obbligato dal potere datoriale che si estrinseca attraverso le circolari o gli ordini di servizio, alla vestizione sul luogo di lavoro, la prestazione inizia con l’accesso in azienda e termina, parimenti, con l’uscita (si ritiene infatti che “il lavoratore entrando nello stabilimento si sottopone già al potere direttivo dell’imprenditore, ed è da tale momento che inizia la prestazione”, per cui il tempo per indossare la divisa “rientra a buon diritto nell’orario di lavoro, essendo anche manifestazione di soggezione di quel potere”. - Cass. 14 aprile 1998, n. 3763. In questo caso, il c.d. tempotempo-tuta, tuta rientra nell’orario di lavoro e, come tale, deve essere retribuito. Si realizzano, infatti, contemporaneamente, le tre condizioni necessarie per configurare la nozione di orario di lavoro ai sensi dell’art. 1, co. 2, D.Lgs. n. 66/2003: il prestatore è sul luogo di lavoro, nell’esercizio della sua attività e delle sue funzioni, ma, soprattutto, è a disposizione del datore di lavoro. Al contrario, tale attività preparatoria, non può essere considerata orario di lavoro e, di conseguenza non sarà retribuita, se il datore di lavoro lascia che sia il lavoratore a scegliere il tempo ed il luogo per indossare la divisa. In questa ipotesi, infatti, la relativa attività rientra nei compiti di diligenza del lavoratore ex art. 2104, co. 1 C.C.. Diversamente il datore di lavoro è obbligato a predisporre delle strutture idonee per lo svolgimento delle attività di vestizione e svestizione solo per ragioni di salute e di decenza. La legge prevede, infatti, che tale obbligo di mettere a disposizione “locali appositamente destinati a spogliatoi” sussista solo quando i lavoratori “devono indossare indumenti di lavoro specifici e quando per ragioni di salute o di decenza non si può loro chiedere di cambiarsi in altri locali” (art. 40, co. 1, D.P.R. 19.03.1956, n. 303; D.P.R. 10.01.1957 n. 3; D.Lgs. n. 81/2008, sul punto, la stessa giurisprudenza ha precisato che “se la divisa aziendale deve essere indossata per ragioni estetiche, i lavoratori non hanno diritto allo spogliatoio per cambiarsi”: Cass. 06 maggio 2008, n. 11071). Al Policlinico la divisa non viene certamente indossata per questioni estetiche, anzi, protegge il personale da contatti violenti e repentini con liquidi biologici, talvolta anche potenzialmente infettivi (HIV, epatiti, tubercolosi, polmoniti, meningiti, vomito, sangue, urine). La divisa ha in questo caso un valore assolutamente finalistico e di tutela, ex art. 2087 C.C., per tutte le attività professionali esercitate in ambiente ospedaliero (Cass. 22 luglio 2008, n. 20179 in Dir. 2 Prof. Dott. Mauro Di Fresco prat. lav., 2008, 2332; Cass. 08.09.2006, n. 19273, in Foro it., rep., 2006, voce lavoro (rapporto) 1190; Cass. 21.10.2003, n. 15734, in Riv. it. dir. lav., 2004, II, 604; Cass. 14.04.1998 n. 3763 in Lav. nella giur (Il), 1999, 31). L’allegato IV del D.Lgs. n. 81/08, stabilisce sul punto: “1.12. Spogliatoi e armadi per il vestiario. 1.12.1. Locali appositamente destinati a spogliatoi devono essere messi a disposizione dei lavoratori quando questi devono indossare indumenti di lavoro specifici e quando per ragioni di salute o di decenza non si può loro chiedere di cambiarsi in altri locali. 1.12.3. I locali destinati a spogliatoio devono avere una capacità sufficiente, essere possibilmente vicini ai locali di lavoro aerati, illuminati, ben difesi dalle intemperie, riscaldati durante la stagione fredda e muniti di sedili. 1.12.4. Gli spogliatoi devono essere dotati di attrezzature che consentono a ciascun lavoratore di chiudere a chiave i propri indumenti durante il tempo di lavoro. 1.13.2. Docce. 1.13.2.1. Docce sufficienti ed appropriate devono essere messe a disposizione dei lavoratori quando il tipo di attività o la salubrità lo esigono. 1.13.2.2. Devono essere previsti locali per docce separati per uomini e donne o un’utilizzazione separata degli stessi. Le docce e gli spogliatoi devono comunque facilmente comunicare tra loro. 1.13.2.3. I locali delle docce devono essere riscaldati nella stagione fredda ed avere dimensioni sufficienti per permettere a ciascun lavoratore di rivestirsi senza impacci e in condizioni appropriate di igiene. 1.13.2.4. Le docce devono essere dotate di acqua corrente calda e fredda e di mezzi detergenti e per asciugarsi. 1.13.3. Gabinetti e lavabi. 1.13.3.1. I lavoratori devono disporre, in prossimità dei loro posti di lavoro, dei locali di riposo, degli spogliatoi e delle docce, di gabinetti e di lavabi con acqua corrente calda, se necessario, e dotati di mezzi detergenti e per asciugarsi”. Recentemente le sentenze della Cassazione n. 2135 del 31.01.2011 (All. All. 15) 15 e n. 19356/2010 hanno stabilito che il tempo per indossare la divisa aziendale deve essere autonomamente retribuito ove la relativa prestazione, pur accessoria e strumentale rispetto alla prestazione lavorativa, debba essere eseguita in base a direttive aziendali o per disposizione normativa e sia autonomamente esigibile dal datore di lavoro, il quale può rifiutare la prestazione finale in difetto di quella preparatoria. Nel primo caso indicato, la Corte di Appello di Venezia aveva condannato il datore di lavoro al pagamento della retribuzione dovuta per il tempo necessario ad indossare i mezzi di protezione sul presupposto specifico dell’obbligatorietà della prestazione (secondo lo stesso filone logico che fonda il tempo tuta). Nel giudizio, infatti, veniva accertato che anche prima dell’entrata in vigore della nuova normativa sull’orario di lavoro, la conclusione sarebbe stata la medesima sulla base della presunzione di onerosità, tipica del lavoro subordinato, della messa a disposizione delle energie lavorative, non solo per lo svolgimento delle mansioni affidate, ma anche per l’espletamento delle attività prodromiche ed accessorie all’attività di lavoro in senso stretto. Infatti dopo aver confermato che la giurisprudenza in materia, già prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 66 del 2003, occupandosi del cd. tempo-tuta, ovvero del tempo necessario ad indossare gli abiti di lavoro, ne aveva stabilito la commutabilità nell’orario di lavoro (cfr. Cass. nn. 3763/98 e 4824/92), sul presupposto che la presunzione di onerosità, tipica del lavoro subordinato, si riferiva al tempo impiegato non solo per lo svolgimento in senso stretto delle mansioni affidate, ma anche per 3 Prof. Dott. Mauro Di Fresco l’espletamento di attività prodromiche ed accessorie a quello svolgimento, ha dedotto che in alcuni particolari ambienti di lavoro, la divisa non ha una semplice funzione estetica ma protettiva (come in sanità per esempio) per cui la divisa deve essere considerata a tutti gli effetti un dispositivo individuale di protezione (DPI) e il rifiuto di indossarla produce in capo al lavoratore conseguenze gravi sul piano disciplinare. Continua la sentenza: “in relazione alle caratteristiche pericolose della prestazione lavorativa dei suoi dipendenti, il datore ha l’obbligo di fornire agli stessi dei mezzi di protezione individuali e di osservare che i medesimi siano indossati al momento dell’inizio dell'attività lavorativa. E’ evidente che il tempo necessario affinché i dipendenti, all’interno dell’azienda, provvedano a indossare i mezzi di protezione, è un tempo messo a disposizione del datore di lavoro. In tal modo, anche il tempo che il lavoratore impiega, all’interno dell’azienda, per indossare e togliere i dispositivi di protezione individuale, rientra nella nozione di orario di lavoro: infatti, quel tempo è impiegato affinché il datore di lavoro possa in concreto adempiere esattamente all’obbligazione di osservare la normativa antinfortunistica (nella specie quella che prescrive l’obbligo di fornire ai dipendenti dispositivi di protezione individuale e di esigere che questi siano effettivamente utilizzati durante la prestazione lavorativa). Tale orientamento è stato confermato anche dalla più recente giurisprudenza, secondo cui nel rapporto di lavoro subordinato, il tempo occorrente per indossare la divisa aziendale aziendale, ancorché relativo a fase preparatoria del rapporto, deve essere autonomamente retribuito ove la relativa prestazione, pur accessoria e strumentale rispetto alla prestazione lavorativa, debba essere eseguita nell’ambito della disciplina d’impresa e sia autonomamente esigibile dal datore di lavoro, il quale può rifiutare la prestazione finale in difetto di quella preparatoria (Cass. n. 19358/2010) … il tempo impiegato, all’interno dell’azienda, per le attività di vestizione e svestizione di tutti i dispositivi di sicurezza, si configura infatti, anche in questo caso, come tempo a disposizione del datore di lavoro. In altri termini, poiché il diritto alla retribuzione sorge per il solo fatto della messa a disposizione delle energie lavorative, la semplice presenza del dipendente in azienda determina la presunzione della sussistenza nel datore di lavoro del poter di disporre della prestazione lavorativa”. Pertanto sulla stessa linea la sentenza della Cassazione 08.04.2011 n. 8063 ha richiamato il principio di diritto per cui “ai fini di valutare se il tempo occorrente per indossare la divisa aziendale debba essere retribuito o meno, occorre far riferimento agli obblighi imposti dal datore di lavoro” (principio già fissato da Cass. n. 192073 dell’08.09.2006) per cui si è reso necessario verificare in concreto se le operazioni di vestizione potevano svolgersi in luoghi diversi ed anche prima di recarsi al lavoro oppure se si trattava di attività diretta dal datore di lavoro che ne disciplinava il tempo ed il luogo di esecuzione. Nel caso in cui l’operazione di vestizione costituisca l’oggetto di un’obbligazione discendente dal contratto o dal potere datoriale che esprime il contenuto della prestazione lavorativa potendone il datore di lavoro disciplinare il tempo ed il luogo, in quanto attività etero-diretta, tale periodo di tempo rientra nella nozione di lavoro effettivo e, pertanto, deve essere corrisposta la retribuzione. Addirittura, secondo l’avviso della giurisprudenza maggioritaria (ex plurimis Cass. 25.06.2009 n. 14919 e Cass. 02.07.2009 n. 15492), le clausole contrattuali che prevedono la modalità di svolgimento delle attività propedeutiche alla prestazione principale (es. il tempo tuta) non hanno funzione prescrittiva, stante la prevalenza della fonte legale e, pertanto, devono essere interpretate in 4 Prof. Dott. Mauro Di Fresco senso conforme al dettato legislativo per cui le operazioni preparatorie e/o integrative della prestazione lavorativa che siano, rispettivamente, anteriori o posteriori alla timbratura dell’orologio marcatempo vanno comunque retribuite trovandosi già il lavoratore in azienda e a disposizione del datore di lavoro. Non vale quindi la disciplina collettiva ad escludere la retribuibilità dei tempi di vestizione/ svestizione solo perché collochi tali operazioni nella fase anteriore e posteriore alla timbratura e all’inizio della prestazione effettiva. Da tempo la dottrina postula un tertium genus (cfr. FERRARESI, Disponibilità e reperibilità del lavoratore: il tertium genus dell’orario di lavoro, RIDL, 2008, I, 93 ss.). che vada oltre la classica distinzione dicotomica tra tempo di lavoro e tempo di riposo, capace di spiegare alcuni istituti ibridi come per esempio la pronta disponibilità e, appunto, il tempo tuta dove è difficile tracciare un confine netto tra tali nozioni. Così anche il tempo tuta rientrerebbe in questa tipologia dove non si manifesta palesemente una prestazione lavorativa tout court ma un’attività preparatoria e pur sempre eterodiretta (v. SIMONATO, sub art.1, in CESTER, MATTAROLO, TREMOLADA (a cura di), La nuova disciplina dell’orario di lavoro, Milano, Giuffrè, 2003, 48 e ss.). Con l’ordinanza 11 gennaio 2007, n. 437/05 (Jan Vorel c. Nemocnice Cesky’Krumlov) la Corte di Giustizia, dando comunque atto che la direttiva comunitaria è volta a fissare la nozione di tempo di lavoro, in contrapposizione a quello di riposo, con finalità esclusivamente protettive della salute e sicurezza dei lavoratori, non esclude che le legislazione nazionali possano diversamente valutare, ai fini retributivi, i periodi nei quali il lavoratore permane a disposizione del datore di lavoro, pur non prestando alcuna effettiva attività lavorativa. Sarebbe quindi in tali casi legittima una retribuzione del tempo di disponibilità anche in misura inferiore rispetto al trattamento economico retributivo della prestazione fondamentale, purché ciò non si traduca in un compenso talmente irrisorio da eliminarne la sua stessa funzione. L’apertura verso un tertium genus si lascia intravedere nella decisione della Corte d’Appello di Roma, confermata dalla Cassazione (sentenza 10 settembre 2010 n. 19358 in QL, 2011, con nota di AGOSTINI, alla quale si rinvia per i richiami) che, nell’accogliere le domande dei lavoratori, in via equitativa, quantificava le retribuzioni spettanti in un quid minus stante l’impossibilità di determinare con certezza i tempi effettivamente impiegati nelle operazioni di vestizione e svestizione nei passaggi tra le diverse timbrature, la prima e l’ultima relative all’ingresso e all’uscita dalla fabbrica e le due intermedie, invece, relative all’inizio e alla fine della prestazione effettiva (A. ALLAMPRESE, Commutabilità del c.d. tempo tuta nell’orario di lavoro, in Lav. giur., 1999, 31; G. CRESPI e M. BUZZINI, Tempo tuta e disciplina contrattuale: l’orientamento della Cassazione, in Guida Lav., 2011, n. 19, 24, ss.; S. FIGURATI, Brevi osservazioni in tema di tempo di lavoro effettivo, in Mass. giur. lav., 1999, 931; P. ICHINO, Il tempo della prestazione nel rapporto di lavoro, Milano, 286 ss.; R.M. PARIS, Eterodeterminazione datoriale e libertà di scelta del prestatore di lavoro nelle attività c.d. preparatorie: criteri di discrimine tra l’attività lavorativa effettiva retribuita e l’attività preparatoria remota non retribuita, in Riv. crit. dir. lav., 2006, 862 ss.; G. RICCI, Sulla riconducibilità del c.d. tempo tuta alla nozione di lavoro effettivo: recenti orientamenti giurisprudenziali a confronto, in Foro it., 1999, I, 3610; ID., Esclusione dall’orario di lavoro del 5 Prof. Dott. Mauro Di Fresco tempo per indossare la divisa da lavoro, ivi, 2004, 89. Sulla retribuzione del tempo tuta si è da tempo pronunciata la Suprema Corte di Cassazione rimanendo inamovibile sul punto di diritto qui esposto (Cass. 08.02.2012 n. 1840 in Guida lav., 2012, n. 12, 38; Cass. 08.02.2012 n. 1817, ivi, 2012, n. 14, 23; Cass. 07.02.2012 n. 1697, in lav. giur., 2012, 404; Cass. 08.04.2011 n. 8063, ivi, 2011, n. 19, 52; Cass. 10.09.2010 n. 19358, in Foro it., 2011, I, 1394 e in Lav. giur., 2010, 1137; Cass. 02.07.2009 n. 15492, in Giur. it., Mass. 2009; Cass. 22.07.2008 n. 20179, in Lav. prev. oggi, 2009, 248 e in Foro it. 2009, I, 2768; Cass. 08.09.2006 n. 19273, in Foro it. Rep. 2006, voce Lavoro (rapporto), n. 1190; Cass. 21.10.2003 n. 15734, in Riv. it. dir. lav., 2004, II, 604; Cass. 14.04.1998 n. 3763, in Lav. giur., 1999, 31; Trib. Savona 14.12.2010, in Guida lav., 2011, n. 14, 30; Trib. Napoli 16.01.2006, ined; App. Torino 03.12.2002, in Giur. Piemontese, 2004, 81; App. Torino 26.11.2002, ivi, 2004, 81; Trib. Torino 27.03.2002, ivi, 2003, 180; App. Milano 20.10.2005 in Lav. giur., 2006, 508; Trib. Milano 19.09.1998, ivi, 2009, 207. In particolare la sezione lavoro della Suprema Corte, sentenza n. 1817 dell’08.11.2011, ha stabilito, rimarcando la stessa linea di principio dianzi illustrata, che in particolari condizioni di lavoro, come la sanità, appunto, sarebbe impraticabile e certamente vietato (art 2087 C.C.) permettere che i lavoratori indossino la divisa a casa e percorrano il tragitto fino al posto di lavoro, e viceversa, indossando la divisa aziendale, soprattutto se ciò minerebbe la sicurezza di igiene sul posto di lavoro. La sentenza evidenzia anche che i beni aziendali, come la divisa, non potrebbero essere portati fuori dall’azienda senza una specifica disposizione datoriale. Inoltre la vestizione sul posto di lavoro appare un’operazione imposta da un obbligo interno al rapporto di lavoro, che è stata scelta e prescritta dall’imprenditore e perciò costituisce un adempimento sottoposto al potere direttivo e disciplinare del datore. Riguardo a quest’ultimo aspetto, l’art. 28 del C.C.N.L. Sanità 01.09.2001 vigente e l’art 44 del C.C.N.L. Università 2002-2005 vigente, prevedono il seguente obbligo punibile addirittura con la sospensione della retribuzione e dal servizio: “Il dipendente conforma la sua condotta al dovere di collaborare con diligenza, osservando le disposizioni per l’esecuzione e la disciplina del lavoro impartite dall’azienda”. Del resto, la stessa sentenza sopracitata riconferma il concetto di attività propedeutica ricordando, a pag. 4, che: “la dizione di attività indica una volontà legislativa di considerare non solo l’attività lavorativa in senso stretto, ma un concetto più flessibile ed esteso, che sicuramente integra operazioni strettamente funzionali alla prestazione. Peraltro, nello svolgimento di tali operazioni è necessario che il lavoratore sia a disposizione del datore di lavoro, cioè soggetto al suo potere direttivo e disciplinare. Tutte queste circostanze, come si è visto, sussistono nel caso in esame” esame”. Non c’è dubbio che l’attività strumentale della vestizione della divisa è orario di lavoro e pertanto deve essere retribuita così come (pag. 5 della sentenza) le “operazioni successive alla prestazione che rivestano le medesime caratteristiche di quelle preparatorie (Cass. 8 aprile 2011 n. 8063, ma v. anche Cass. 10 settembre 2010 n. 19358)”. La sentenza della Cassazione 08.04.2011 n. 8063 (All. All. 16, 16 premesso che numerose sono state le pronunce a sostegno del diritto alla retribuzione del tempo necessario ad indossare gli indumenti di lavoro (Cass. nn. 14919, 15492, 15322 del 2009 nonché n. 19273 dell’08.09.2006), emette il principio di diritto cui il giudice a quo deve applicare: “Ai fini di valutare se il tempo occorrente per 6 Prof. Dott. Mauro Di Fresco indossare la divisa aziendale debba essere retribuito o meno, occorre verificare se è facoltà del lavoratore scegliere il tempo e il luogo ove indossare la divisa (anche presso la propria abitazione) poiché in questo caso il tempo tuta non deve essere retribuito, mentre se tale operazione è diretta dal datore di lavoro che ne disciplina il tempo e il luogo di esecuzione, rientra nel lavoro effettivo e di conseguenza il tempo ad essa necessario deve essere retribuito” (così anche Cass. 21.10.2003 n. 15734). Nel caso che ci occupa, la vestizione e la svestizione è diretta dal datore di lavoro perché costituisce condizione imprescindibile dell’attività sanitaria senza la quale non è possibile garantire l’igiene durante la prestazione assistenziale né la sicurezza da eventuali contaminazioni di liquidi biologici anche potenzialmente infetti. Tribunale Lavoro di Milano, sent. n. 6109 del 13.12.2011 sulla scorta dell’esistenza e dell’utilizzo di locali spogliatoi dove indossare e dismettere la divisa da lavoro, ha ritenuto, in assenza di specifiche disposizioni datoriali o norme contrattuali sul punto, presunto e quindi fondato il presupposto di eterodirezione datoriale sull’obbligo di indossare la divisa sul posto di lavoro, anche se diversi testi avevano dichiarato l’opposto. Il Tribunale di Pescara, n. 2422 del 01.02.2011 con decisione che più collima con il caso che si tratta, ha acclarato la necessità che il personale infermieristico indossi la divisa per ragioni di igiene e che il tempo tuta debba essere retribuito (ha retribuito addirittura il tempo tecnico consumato per lo scambio delle consegne di servizio). Cass. Lav., 10.09.2010 n. 19358 ha pronunciato la sentenza sulla scorta dei principi appena enunciati, evidenziando al punto 11 che: “La giurisprudenza sopra citata conferma che nel rapporto di lavoro deve distinguersi una fase finale, che soddisfa direttamente l’interesse del datore di lavoro, ed una fase preparatoria, relativa a prestazioni od attività accessorie e strumentali, da eseguire nell’ambito della disciplina d’impresa (art. 2104, secondo comma, c.c.) ed autonomamente esigibili dal datore di lavoro, il quale ad esempio può rifiutare la prestazione finale in difetto di quella preparatoria. Di conseguenza al tempo impiegato dal lavoratore per indossare gli abiti da lavoro (tempo estraneo a quello destinato alla prestazione lavorativa finale) deve corrispondere una retribuzione aggiuntiva”. Tribunale di Milano, sezione lavoro, n. 4683 del 22.09.2009 ha trattato il caso di sei infermieri deducendo che essendo il rapporto di lavoro di tipo subordinato e pertanto non soggetto alla libera determinazione dei lavoratori ma a quella datoriale, essendo previsti in ospedale gli spogliatoi, avendo la divisa le evidenti caratteristiche di tutela igienica ed essendo imposto il modello e il colore dall’azienda, è evidente che sfugge al controllo degli infermieri la gestione della divisa rientrando, invece, la fattispecie, nella gestione organizzativa aziendale per cui il tempo tecnico per indossare e dismettere la divisa deve essere retribuito (Cass. 14.04.1998 n. 3763, 21.10.2003 n. 15734 e tr. Milano 13.02.2004, citati dalla sentenza in esame). Così anche Cassazione Lavoro 22.07.2008 n. 20179, Tribunale di Lodi del 05.04.2002 e Tribunale Lavoro Torino n. 7042 del 27.09.2000 che hanno confermato nello specifico che il tempo tuta deve essere retribuito quando la divisa è indossata sul posto di lavoro per ragioni datoriali organizzative, estetiche, di igiene, contrattuali) non potendo il prestatore di lavoro manifestare alcuna autodeterminazione in merito. 7 Prof. Dott. Mauro Di Fresco La quantificazione del tempo tuta che può essere considerata dall’amministrazione è già prevista ed applicata da decenni a tutto il personale sanitario sia per contratto che per sentenza ed è fissata, frequentemente, in 30 minuti al giorno effettivo di lavoro ovvero in 15 minuti per l’attività preparatoria e in 15 minuti per l’attività terminale. Per tali motivi VI INVITO codesto nosocomio a comunicarmi le determinazioni che intenderà adottare i merito alle richieste qui espresse, con avvertenza che, in difetto di quanto sopra, entro e non oltre 15 giorni dalla ricezione della presente, il sindacato valuterà la possibilità di informare i legittimi destinatari del provvedimento a rivolgersi nelle sedi opportune per la tutela di quanto richiesto. Distinti saluti. Prof. Dott. Mauro Di Fresco 8