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Quando denigrare l`avversario è il grado zero

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Quando denigrare l`avversario è il grado zero
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DIARIO
GIOVEDI 6 SETTEMBRE 2012
DI REPUBBLICA
■ 42
Dal dito medio di Bossi alle minacce denunciate
da Grillo. Così l’aggressione verbale è diventata
il linguaggio comune della comunicazione pubblica
INSULTI POLITICI
Quando denigrare l’avversario
è il grado zero della democrazia
CARLO GALLI
LIBRI
MARCO
BELPOLITI
La canottiera
di Bossi
Guanda
2012
STEFANO
BARTEZZAGHI
Come dire.
Galateo della
comunicazione
Mondadori
2011
LYNDA
DEMATTEO
L’idiota
in politica
Feltrinelli
2011
V.DELLA
VALLE,
G.PATOTA
Viva la
grammatica!
Sperling &
Kupfer 2011
GIOVANNI
FLORIS
Decapitati
Rizzoli 2011
LORELLA
CEDRONI
Il linguaggio
politico della
transizione
Armando
2010
ENRICO
DEAGLIO
Patria
Il Saggiatore
2009
M.V.DELL’ANNA
R.GUALDO
La faconda
repubblica
Manni 2004
PAOLO
FABBRI
Segni
del tempo
Guaraldi
2003
ILVO
DIAMANTI
La lega
Donzelli
1995
Iliade, l’archetipo della letteratura occidentale
è appena cominciata (con la parola “ira”, per altro), e già due
eroi, Achille e Agamennone, litigano. Per una donna (la schiava
Briseide), certamente; ma è un litigio politico: i due sono entrambi re, capi di uomini; in quella disputa non è in gioco soltanto l’Ego debordante e fanciullesco di
due protagonisti dell’infanzia
del mondo; ne va del loro ruolo
pubblico, della loro capacità di
sopportare la vergogna, il giudizio altrui, e non solo della loro dignità privata. O meglio, le due dimensioni sono inscindibili. E infatti per delegittimarsi politicamente (come capi) i due si insultano personalmente (come uomini): «avvinazzato, tu hai lo
sguardo del cane e il cuore di un
cervo», dice Achille (il cane è
l’emblema dell’impudenza, della mancanza di vergogna; e il cervo della viltà); e l’altro gli ha appena detto «sei odioso, devi imparare che sono molto più forte
di te». L’insulto in questa sua forma politica essenziale è un’aggressione – questo è il significato
di “insultare”: “saltare addosso”
– che consiste nella diminuzione
del prestigio, della gloria, dell’avversario; per colpirlo al cuore,
nell’immagine di sé, prima che
nel corpo; per comunicare disprezzo e quindi incutere timore.
È parola violenta che prepara la
violenza fisica.
L’insulto tipico è quello che riduce il nemico a meno che uomo,
mettendone in dubbio la virilità,
o meglio ancora paragonandolo
a un animale, possibilmente immondo: “cane”, appunto; ma anche “porco”; oppure, più signorilmente, “pidocchio” – così si
espresse Togliatti nel 1951, paragonando i due comunisti reggiani dissidenti, Cucchi e Magnani,
ai pidocchi che possono annidarsi «anche nella criniera di un
nobile cavallo» (il Pci; il cavallo
non si presta all’insulto, sostituito dal più inespressivo, “asino”;
mentre è sempre andato forte il
“verme”). In ambito teologico –
che in realtà è spesso anche politico –, «becchi privi di ragione»
definisce Lutero i polemisti cattolici, mentre la corte papale è
per lui “Babilonia”, la «grande
meretrice» dell’Apocalisse, seduta sulla «bestia dalle sette teste e
dalle dieci corna».
Si sarebbe potuto pensare che
l’avvento delle moderne geometrie del potere – un processo che
è avvenuto sotto il segno di un’altra bestia biblica, il Leviatano (il
titolo dell’opera di Hobbes) –
Strategia
L’
Tipica è la volontà
di ridurre il nemico
a meno che uomo
mettendone in dubbio la
virilità o paragonandolo
a un animale
Animali
L’ingiuria dal basso
contro il potere fa parte
da sempre della
strategia dei populisti
e degli outsider, spesso
a corto di idee
VIENNA
Scontri al Parlamento di
Vienna in una tavola di
Beltrame del 1909. A sinistra,
il “pagliaccio” Giolitti in una
caricatura dell’“Asino” (1893)
avrebbero eliminato la necessità
di personalizzare la politica, trasformandola in un campo di impersonali funzioni di potere, dove si affrontano idee o interessi,
forze storiche e orizzonti ideologici; in un mondo adulto, in cui
c’è posto per il rapporto amico/nemico – che è una cosa seria,
anzi mortale –, ma che in linea di
principio non prevede l’odio
SILLABARIO
INSULTI POLITICI
personale, il disprezzo morale
per l’avversario. Nella politica
moderna dovrebbe esserci posto
per la violenza oggettiva, ma non
per gli infantilismi, per le parolacce.
Nulla di meno vero. Quanto
più ci si inoltra nella modernità,
tanto più la polemica politica si fa
accesa, e l’insulto si fa feroce: il
mondo moderno è segnato non
UMBERTO ECO
giornali registrano, da parte degli uomini politici,
insulti da carrettiere, e sui teleschermi si affacciano
signori distinti che si appellano a vicenda con riferimenti espliciti a parti del corpo solitamente coperte
da biancheria detta, appunto, intima.
È vero che io avevo tempo fa rivendicato il diritto di
usare la parola stronzo in certe occasioni in cui occorre
esprimere il massimo sdegno, ma l’utilità della parolaccia è appunto data dalla sua eccezionalità. Usare parolacce troppo sovente sarebbe come riscrivere l’intero Signor Bruschino facendo battere soltanto gli archetti contro i leggii, mentre gli altri strumenti tacciono... Si è perduta quell’arte dell’ingiuria celebrata da
Borges (“Signore, vostra moglie, col pretesto di tenere
un bordello, vende stoffe di contrabbando!”), e pazienza. Ma almeno si dovrebbe ritrovare un’arte della
perifrasi.
I
solo dal potere statale ma anche
dalle ideologie, che sono sì impersonali ma hanno bisogno del
nemico: inteso però non tanto
come avversario da battere, ma
come nemico dell’umanità, da
eliminare. E quindi mentre permangono i riferimenti alle bestie
(nella Marsigliese «tigri senza
pietà» vengono chiamati i «despoti sanguinari» contro i quali i
«figli della Patria» debbono marciare), nella modernità – in cui
gioca un ruolo rilevantissimo
l’opposizione vecchio/nuovo (e
tutto il valore sta nel secondo termine) – abbondano le dichiarazioni di morte presunta, a carico
dell’avversario: che cosa c’è di
più vecchio, superato, sorpassato, di un morto? Che cosa c’è di
più giusto che porre fine alla nonvita di un morto vivente? Non a
caso già lo stesso Hobbes definiva la Chiesa di Roma (insieme all’Impero) uno “spettro”, che è in
questo mondo ma non dovrebbe
esserci (“salma”, come oggi dice
Grillo); e sulla stessa linea Togliatti, che da comunista credeva
nell’inesorabilità del progresso,
usava citare, contro gli avversari
politici, due versi dell’Orlando
innamorato (nella versione di
Berni), in cui si parla di un cavaliere colpito da Orlando, che, non
accortosi delle ferite, «andava
combattendo, ed era morto».
Sull’opposto versante, la violenza verbale di D’Annunzio a Fiu-
me – ricca di non pubblicabili riferimenti scatologici rivolti ai politici di Roma, oltre che di tratti
razzistici – anticipa quella di
Mussolini contro il Partito Socialista Unitario (spregiativamente
definito “pus”) e le ributtanti polemiche antisemitiche del regime, rivolte contro chi non poteva
difendersi né ricambiare.
CANI
Lo scontro in
Parlamento
visto come
un combattimento fra
cani in una
caricatura
inglese del
1862
Cavour
Norberto Bobbio
Edmondo Berselli
Abbiamo visto un pastore
gettare in faccia ai suoi nemici
politici gli insulti più gravi
Amava suscitare la risata
volgare. I fascisti, in generale,
amavano il turpiloquio
Ci si indispettisce per gli insulti
al tricolore e per il dito medio
alzato da Bossi
Discorso parlamentare, 1857
Dialogo intorno alla repubblica, 2001
Sinistrati, 2008
■ 43
FASCISMO
LA LEGA
BERLUSCONI
OGGI
Mussolini non
risparmia insulti violenti
ai suoi avversari politici
definendo il partito
socialista “pus”
Dal dito medio alzato
al gesto dell’ombrello
Umberto Bossi ricorre
spesso a gesti offensivi
e al turpiloquio
Durante la campagna
elettorale del 2006
chiama gli elettori
che votano a sinistra
“coglioni”
Fa discutere il fatto
che Beppe Grillo,
creatore del VaffaDay, lamenti ora insulti
rivolti contro di lui
Le tappe
Sempre più sono le caratteristiche fisiche a essere oggetto di scherno
PERCHÉ IL CORPO
VIENE PRESO DI MIRA
FILIPPO CECCARELLI
el raro ed aureo Dizionario
della maldicenza(Ceschina,
1958 e 1965) di Dino Provenzal, preside di liceo, letterato,
medaglia d’oro dei Benemeriti della
Cultura, non stupisce solo quanti pochi
politici viventi fossero elencati tra gli offesi, ma soprattutto si segnala il garbo,
l’eleganza, la spiritosa grazia dei loro
maligni denigratori. Per cui ad esempio
il presunto assassino del Duce, Walter
Audisio, è fatto bersaglio di un crudele
epigramma di Malaparte; il sindacalista
Di Vittorio diventa con fantastico nomignolo “il Favoliere delle Puglie”, e Montanelli scolpisce lapidi tipo: «Qui giace/
Guglielmo Giannini/ ucciso/ dal dolore/ di essere/ un uomo qualunque».
Ora, dall’aulico distacco all’odierno e
svaccatissimo trash corrono 50 anni di
slittamenti e di passioni ridotte in miseria. Ma quando dinanzi all’ennesimo
sbocco di diarrea e di necrofilia, come di
fronte all’inedito rutto (nell’aula consiliare di Vigevano), al solito gestaccio
della consueta tripartizione (corna, dito medio, ombrello) o allo stanco riecheggiare di “fascisti”, “comunisti”, ecco, quando si sente dire che la vita pub-
N
Brutto
FOTO: THE ART ARCHIVE
L’insulto è, insomma, una forma di violenza politica, che dice
poco di chi è insultato, e molto di
chi insulta. Si deve quindi distinguere fra l’insulto asimmetrico di
un potere ideologico che prepara la persecuzione, lo sterminio,
la guerra a morte, e l’insulto fra
pari, un elemento antropologico
arcaico che esprime la fisicità
della politica, un rituale espressivo che precede il combattimento, a cui ogni politico di professione è preparato (come ha detto
Obama a proposito degli attacchi
di Clint Eastwood). C’è anche, lo
vediamo sempre più spesso, l’insulto dal basso, contro il potere,
che fa parte della strategia comunicativa degli outsider, dei popu-
Gli autori
IL TESTO del Sillabario di Umberto
Eco è tratto da La bustina di Minerva
(Bompiani). Carlo Galli insegna Storia
delle dottrine politiche all’università di
Bologna. Di recente ha pubblicato Abbiccì della politica (il Mulino), dove sono raccolti articoli scritti per il “Diario”
di Repubblica.
I Diari on line
TUTTI i numeri del “Diario” di Repubblica, comprensivi delle fotografie e
dei testi completi, sono consultabili su
Internet in formato pdf all´indirizzo
web www. repubblica. it. I lettori potranno accedervi dalla homepage del
sito, cliccando sul menu “Supplementi”.
listi che parlano alla pancia del
Paese (prima Bossi, ora Grillo); in
bocca ai quali l’insulto è ovvio –
meraviglierebbero di più le pacate argomentazioni –.
Ma in generale, in una democrazia – che non è uno stato di
guerra, di aperto conflitto, di rivoluzione – non deve esserci spazio per l’insulto, per la violenza
verbale, come non c’è per la violenza fisica. Il confronto sulle
idee e sulle opinioni, per quanto
appassionatamente difese, non
può essere sostituito dall’assalto
alle persone. Se ciò avviene, siamo davanti a una tipologia dell’insulto ancora diversa: all’insulto irresponsabile – che ignora
il rischio che la violenza verbale
inneschi quella fisica, che l’intolleranza accenda nuovi roghi –, e
all’insulto che è una cattiveria vigliacca (magari smentita, fra i
sogghigni, il giorno dopo). Astenersene sarebbe un gesto di sobrietà, di tolleranza, di civismo,
di buona educazione; anche se la
politica non è sempre un pranzo
di gala, una “civil conversazione”, non è per nulla detto che la
volgarità e la violenza verbale la
rendano intensa e drammatica.
Negli insulti di oggi non echeggia
la grandezza omerica; semmai, si
rivela lo squallido degrado della
piccola politica, dei piccoli tempi, dei piccoli uomini, della piccola democrazia.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Per far male a qualcuno
oggi bisogna dire che puzza
che è brutto, grasso, basso
pelato, vecchio, malato, rifatto
blica si è imbarbarita, la tentazione sarebbe di assentire. E di chiuderla lì.
E invece no, perché in questo tempo
cui può adattarsi la qualifica manzoniana di “sudicio e sfarzoso”, a loro modo
gli insulti rispecchiano al meglio la più
vertiginosa trasformazione di una politica che punta ormai al minimo comune denominatore, il corpo, per cui è sostanzialmente attorno ad esso che ruota il vituperio; e così per fare male a qualcuno l’attuale polemologia di Palazzo,
incerta tra Bagaglino e cinepanettone,
vuole gli si dica che puzza, che è brutto,
grasso, basso, pelato, vecchio, malato,
rifatto, che ha gli occhi storti o la dentiera, o è impotente, bavoso, culattone,
bongo-bongo o pedofilo.
Molto di più non si raccomanda. La
linguaccia di Bossi, che tanto ha dato in
quest’ambito (si pensi a Casini “carugnit de l’uratori” o al professor Miglio
designato “una scoreggia nello spazio”)
è sfiorita e il Senatùr suona ormai patetico nella sua muta volgarità gesticolante: e i cronisti scrivono che ha mostrato
“il classico dito”.
Segno dei tempi non è tanto che il ministro La Russa abbia mandato in quel
posto il presidente della Camera Fini,
ma che il Collegio dei Questori ne abbia
trovato tecnologica conferma osservando il labiale alla moviola. Così come
fa riflettere che il presidente del Consiglio abbia fatto raccogliere le varie in-
giurie in un volume a cura del capo ufficio stampa di Forza Italia Luca D’Alessandro, pubblicato da Mondadori nel
2005 con il titolo: Berlusconi, ti odio.
Semmai, è fuori dal recinto dei partiti che le ingiurie riscattano la banale e
volgare anatomia mostrando la loro patologica vitalità con la potenza del fuori-programma. Come in fondo accadde
a “Porta a porta” allorché con un guizzo
il molesto Paolini riuscì a togliere di mano il microfono alla giornalista Rondinelli e a soffiarci dentro: «Berlusconi ce
l’ha piccolo piccolo!».
Altrimenti sono lanci di fetidi residui
organici, ma veri: è accaduto al ristorante di lusso torinese “Il Cambio”, davanti a Palazzo Grazioli, sotto casa del
ministro Gelmini. Oppure sono autentiche docce di quell’altra sostanza prima versata e poi rivendicata (“la mia
balsamica ampolla”) da Marina Ripa di
Meana addosso a Sgarbi, per ragioni
misteriose, ma con annesso video. Ed è
come se la pratica o se si vuole l’arte di
offendere prendesse corpo – lei sì! – vivendo ormai di vita propria a colpi di invenzioni, vibrazioni, ri-creazioni, video-installazioni, fantasmatici remix e
cori spaventosi, anche di bambini, in visione su YouTube; e performance a base di mutande, sagome, sedie vuote,
ostensioni di cartelli creativi (“Trombolo l’ottavo nano”); e fantocci bruciati,
maschere e magliette indossate a tradimento (“Fornero al cimitero”), bellicose consegne di ortaggi, scarpe, stampelle, gabinetti.
Per essere barbarici, sembrano moduli convenientemente arcaici, ma anche piuttosto evoluti. Vedi il ripristino
della maledizione attraverso un camion-vela dedicato a Brunetta, sogghignante in effigie, e la grande scritta: “Te
potesse pijà un colpo”. Vedi la protesta
contro la riforma della scuola effettuata
trascinando un asino a viale Trastevere.
In questo contesto, segnato da richiami spettacolari, personalizzazione, cultura del talk-show e relative trappole dell’intimità, si è inserito Beppe
Grillo. E più del “Vaffa day” o degli altri
suoi mortiferi improperi pare significativa l’accaldata processione che fece l’estate scorsa con il deposito finale di un
cesto di cozze marce davanti a Montecitorio: «La crisi sono loro – gridava indicando la Camera – ritardati morali
con gravi psicopatologie, hanno la prostata gonfia, per due tette e un culo sfasciano la famiglia, sono pieni di viagra,
questo è un paese che non esiste più».
Dentro, in aula, gli onorevoli si limitano
a scandire malinconicamente “Tro-ta
Tro-ta” contro la Lega, o “Cro-zza Crozza” per scimmiottare Bersani, o “Munni-zza Mu-nni-zza” ai danni di Scilipoti.
E verrebbe da stringersi al cuore il
vecchio La Malfa che inveiva contro un
monarchico: «Ella è un miserabbile».
Piccola politica, oggi, piccoli insulti.
L’unica consolazione, in fondo, è che si
dimenticano subito.
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LIBRI
SILVIO
LANARO
Retorica
e politica
Donzelli
2011
ALBERTO
VACCA
Duce truce
Castelvecchi
2011
STEVE
PINKER
Fatti
di parole
Mondadori
2009
GERRY
STOKER
Perché
la politica
è importante
Vita e
Pensiero
2008
ROMOLO G.
CAPUANO
Turpia
Costa &
Nolan 2007
DONATELLA
CAMPUS
L’antipolitica
al governo
il Mulino
2006
ALFIO
MASTROPAOLO
La mucca
pazza della
democrazia
Bollati
Boringhieri
2005
ALFREDO
ACCATINO
Gli insulti
hanno fatto
la storia
Piemme
2005
PIERREANDRÉ
TAGUIEFF
L’illusione
populista
Bruno
Mondadori
2003
Fly UP