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La politica dell`insulto

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La politica dell`insulto
la Repubblica
DIARIO
GIOVEDÌ 6 FEBBRAIO 2014
DI REPUBBLICA
■ 32
Gli scontri in aula alla Camera, il dileggio virale sulla rete
l’atteggiamento sessista. Così l’aggressività verbale è diventata
la modalità egemone di comunicazione pubblica
LA POLITICA
DELL’
INSULTO
La voglia di annichilire l’avversario
che mette a rischio la democrazia
ROBERTO ESPOSITO
LIBRI
ILVO
DIAMANTI
Un salto
nel voto
Laterza
2013
Il male
del Nord
Donzelli
1996
JOSÉ
SARAMAGO
Saggio
sulla lucidità
Feltrinelli
2011
PLUTARCO
Consigli
ai politici
Bur
2013
M. ALMAGISTI
D. PIANA
Le parole
chiave
della politica
italiana
Carocci
2011
MARCO
BELPOLITI
La canottiera
di Bossi
Guanda
2012
ENRICO
DEAGLIO
Patria
Il Saggiatore
2009
LYNDA
DEMATTEO
L’idiota
in politica
Feltrinelli
2011
INDRO
MONTANELLI
Nella mia
lunga
e tormentata
esistenza
Rizzoli
2012
SILVIO
LANARO
Retorica
e politica
Donzelli
2011
hi l’avrebbe mai
detto che il movimento che più si è
proposto come innovativo sulla scena
politica italiana avrebbe adottato l’atteggiamento più antico? E anzi letteralmente primitivo, come è sempre la parola
quando rompe il ritmo del dialogo per farsi insulto. Entrati in
campo attraverso il medium
postmoderno della rete, i militanti del movimento 5stelle lo
riempiono col gergo tribale
dell’offesa. È il corto circuito tra
quella che si presenta come postpolitica e atteggiamenti che
precedono la politica deformandola in gesto intimidatorio. La politica, fin dalla sua genesi greca, nasce all’interno del
discorso. Essa produce decisioni condivise solo dopo che
più alternative sono state messe in campo. L’agorà è il luogo
in cui discorsi diversi, o opposti, si confrontano per arrivare,
attraverso il voto, a scelte che
impegnano tutti.
Ma anche la politica moderna, costituita dalla dialettica tra
partiti, prevede, sia all’interno
di ciascuno di essi, sia nel loro
confronto, anche polemico, la
discussione. Il parlamento è la
nuova “piazza” in cui essa si
esprime tra tutte le forze democratiche. È questa logica che il
movimento 5stelle ha deciso di
far saltare con una scelta che riporta l’agire politico fuori dalle
sue procedure consuete, per
spingerlo in un orizzonte radicalmente impolitico. Ciò cui
esso punta non è la prevalenza
di una prospettiva su un’altra,
ma la messa in mora dell’intero
meccanismo della decisione
politica a favore di un altro modo, appunto prepolitico, di
procedere. La rottura del lessico politico, secondo questa
strategia, consente di aggregare non una parte di opinione
pubblica, ma l’intero fronte
dell’antipolitica in uno scontro
assoluto con tutto l’arco dei
partiti in parlamento e con l’idea stessa di rappresentanza
parlamentare. Ad essere insultato non è mai l’avversario, ma
il Nemico, prima che si incrocino le armi.
Certo, l’insulto non nasce
oggi e non viene solo da una
parte. È vero che siamo tutti artefici di un impoverimento del
linguaggio che a volte sembra
assumere i tratti di una mutazione antropologica. Come è
vero che forme taglienti di protesta hanno caratterizzato la vita politica italiana fin dagli anni Cinquanta. Ma ciò non can-
Il branco
C
L’ingiuria chiama il branco
a raccolta, lo eccita
lo lusinga, dandogli in pasto
chi in quel momento
non può difendersi
e si sente circondato
Contraddittorio
In rete è possibile anche
parlare con altri senza
metterci la faccia
e nemmeno il nome
Ci si può esprimere
senza contraddittorio
cella il salto di qualità, la vorticosa corsa al ribasso, che sperimentiamo in questi giorni. Intanto bisogna distinguere. Una
cosa è la protesta più intransigente, che può arrivare allo
sciopero della fame, un’altra
l’istigazione alla violenza. L’insulto aggressivo non è una modalità, anche estrema, di opposizione politica, ma ciò che la
impedisce. Esso non divide tra
punti di vista diversi. Chiama a
raccolta il branco, lo lusinga, lo
eccita, dandogli in pasto chi, almeno in quel momento, non
può difendersi, si sente colpito,
circondato, impietrito.
In questo senso l’insulto, anche quando ha un effetto politico, come quello di deviare
l’attenzione da qualcos’altro
che sta accadendo, non appartiene al linguaggio della politica. E’ sempre causa, ed effetto,
di spoliticizzazione, nel senso
che riporta la pratica politica ad
una fase balbettante, se non all’afasia. Esso non inaugura mai
una stagione nuova, porta solo
allo sfinimento la vecchia. Non
immette energia nell’azione,
ma la blocca e la prosciuga.
Chiude la parola in una gabbia
e la sequestra. L’insulto, con la
minaccia che sempre porta
ILVO DIAMANTI
SILLABARIO
LA POLITICA DELL’INSULTO
a scelta della purezza dà forza identitaria,
parole d’ordine aggreganti a soggetti estremamente variegati per categorie sociali.
Non importa se senza interviste ai media italiani.
E sicuramente hanno un maggiore potenziale comunicativo slogan liberatori come «tutti a casa»,
«arrendetevi, siete circondati» o «siete [i vecchi
partiti] tutti morti». Sono tutti slogan, niente a che
vedere con le dichiarazioni canoniche e stereotipate dei vecchi politici alla Camera o al Senato,
che infarciscono i telegiornali italiani. I giornalisti inseguono Grillo per sentirsi insultare e/o farsi mandare via come servi della disinformazione
e, ovviamente, dei vecchi partiti. Grillo non va in
televisione ma è sempre più al centro della scena:
di rimessa, con un gioco di specchi e un effetto
eco.
L
© RIPRODUZIONE RISERVATA
dentro, non è semplicemente
esterno alla politica. È il suo
contrario. Ciò che, quando dilaga, rompe il dialogo, la critica,
la dialettica tra posizioni diverse e anche opposte.
Già lo strumento della rete,
pur con tutte le sue risorse positive, tende a svuotare l’attività politica comune, fatta di
incontri, manifestazioni, dibattiti. I visi di coloro che twittano sono invisibili, coperti da
uno schermo che non consente di legare comunicazione e
responsabilità. In rete si può
parlare con altri senza metterci
la faccia e neanche, volendo, il
nome. Chiunque può esprimersi senza affrontare un reale
contraddittorio. Ma l’insulto
triviale, scurrile, che in questi
giorni impazza nei net è ancora
altro e peggio. Esso serve a zittire l’avversario di turno, a sottrargli la parola, a impedirgli la
replica, inchiodandolo al disagio dell’umiliazione subita.
L’insulto segna sempre un
fallimento – innanzitutto di chi
lo fa. Non solo perché dimostra
la sua incapacità di articolare
un discorso. Ma anche, più a
fondo, perché annienta la sfera
pubblica, deprivandola dei
suoi codici comunicativi. Gonfia la parola fino a farla scoppiare, rovesciandola nel suo
opposto. Rivela l’incapacità di
controllare gli impulsi, di dare
parola a un’emozione, di costruire simboli. In questo modo coloro che sono entrati in
politica con il giusto intento di
restituire la voce a coloro che
non l’hanno, scelgono di spegnere ogni voce. Con il calcolo
che il silenzio, o il grido, può
produrre più consenso della
parola.
Già ridotta alla semplicità
manichea di opposizioni binarie – tra buoni e cattivi, cittadini e casta, corrotti e innocenti –
nel brodo degli insulti la politica rischia di affogare. Qui non si
tratta solo della rappresentanza, giustamente criticata quando non riesce a svolgere la funzione cui è deputata. Ma della
stessa possibilità di dare senso
alle azioni collettive. Hannah
Arendt ha sostenuto che azione e discorso sono legati da un
vincolo insolubile da cui nasce
la politica. Senza di esse si può
certo sopravvivere individualmente, ma non insieme gli uni
agli altri. «Una vita senza discorso e senza azione è letteralmente morta. Ha cessato di essere una vita umana perché
non è più vissuta fra gli uomini».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Gli autori
IL SILLABARIO di Ilvo Diamanti è tratto da
Un salto nel voto (Laterza). Roberto Espositoinsegna filosofia teoretica alla Scuola Normale Superiore di Pisa ed è autore di Due (Einaudi). Nadia Urbinati ha scritto Prima e dopo (Donzelli). L’ultimo libro di Massimo Recalcati è Patria senza padri (Minimum Fax).
I Diari online
TUTTI i numeri del “Diario” di Repubblica, comprensivi delle fotografie e dei
testi completi, sono consultabili su Internet in formato pdf all’indirizzo web
www.repubblica.it. I lettori potranno
accedervi direttamente dalla homepage del sito, cliccando sul menu “Supplementi”.
Plutarco
James Joyce
Umberto Eco
Se siamo veramente
democratici dobbiamo
sopportare anche gli insulti
Perché non possiamo scambiarci
le opinioni, qualunque esse
siano, senza dire parolacce?
Se Mussolini in Parlamento
avesse detto “facce di merda”
l’avrebbero trattato come un bullo
Consigli ai politici, 100 d.C. (circa)
Ritratto dell’artista da giovane, 1916
La bustina di Minerva, 2000
NEL FASCISMO
L’UOMO QUALUNQUE
BERLUSCONI
LA LEGA NORD
OGGI
Durante il suo regime
Benito Mussolini
insultava spesso
i suoi avversari politici
con epiteti quali “pus”
Guglielmo Giannini,
a capo del movimento,
offendeva gli altri
politici con gravi ingiurie
come “Caccamandrei”
Nelle sue offensive
contro gli avversari,
l’ex premier ha definito
“coglioni” gli elettori
del centrosinistra
Il partito fondato
da Bossi si è spesso
distinto per toni molto
offensivi, come di recente
contro il ministro Kyenge
Finisce nella bufera
il Movimento 5 Stelle
dopo un post offensivo
del suo leader Beppe
Grillo contro la Boldrini
■ 33
Le tappe
Quando il “plebeismo” entra in Parlamento Perché si prende di mira il corpo femminile
LE ISTITUZIONI SE LA DONNA
CONTAMINATE È UN’OSSESSIONE
NADIA URBINATI
MASSIMO RECALCATI
ella democrazia post-partitica il pubblico è una come un occhio senza corpo, informe e gestito da chi
sa meglio attivare le emozioni, fare audience. L’arte del parlare in pubblico cambia di conseguenza,
non solo nella sfera delle opinioni ma anche nelle istituzioni, intrappolandole nella logica teatrale. Lo stile che ha successo non è il dialogo tra cittadini sulle questioni di loro interesse, ma la dichiarazione ad effetto, l’espressione immediata e diretta del sentire soggettivo in reazione agli eventi esposti al pubblico occhio, non per informarlo ma per tenerlo dalla propria parte. Il pubblico come arte del nascondimento
per mezzo delle immagini: un paradosso del nostro tempo di
“democrazia in diretta”. È il giudizio estetico che governa la
scena invece di quello politico: la centralità dei simboli sui
programmi, della figura del leader sul collettivo del partito,
delle qualità estetiche su quelle pratiche (la sessualità invece della prudenza, l’aspetto fisico invece della competenza).
Il giudizio come questione di gusto intercetta e codifica luoghi comuni e pregiudizi diffusi, che entrato prepotenti nel
linguaggio pubblico colonizzandolo e deturpandolo.
I programmi televisivi sono le aule scolastiche nelle quali
si è formata questa politica plebea. Anche quando dovrebbero avere lo scopo di discutere dei problemi d’attualità, sono condotti come corride, più interessati a registrare largo
uando irrompe l’insulto ogni forma di dialogo diviene impossibile perché la condizione del dialogo
– sulla quale si sostiene ogni democrazia – è il riconoscimento di eguale dignità dell’interlocutore.
L’insulto è l’irruzione di uno stop, di una violenza che rende
la parola stessa una sorta di oggetto contundente. Nei recenti
episodi che hanno coinvolto il leader del M5S e i sui adepti
esso si è però colorato di un riferimento forte alla sessualità
che sarebbe opportuno non sottovalutare. Perché? L’insulto sessista scavalca il dibattito politico pretendendo di toccare direttamente l’essere dell’avversario. L’odio più puro
non è infatti per le idee, ma per l’essere: negro, comunista,
ebreo, gay, donna? Il politico regredisce qui alla dimensione
ciecamente pulsionale del pre-politico. Il nemico non è
qualcuno che ha idee diverse dalle mie, ma è un impuro, un
essere profondamente corrotto, indegno, privo di etica, per
definizione reietto. Una donna è per il leader del M5S questo? Perché altrimenti suggerire la fantasia di cosa si potrebbe fare alla Boldrini avendocela in auto? A chi verrebbe mai
in mente di proporre un quesito del genere? Gli psicoanalisti sanno bene che le fantasie non sono mai innocenti perché traducono moti pulsionali inconsci. Che razza di rappresentazione inconscia il leader del M5S ha del femminile?
Lo scatenamento delle fantasie sessuali sul web ha fornito un
N
ANTIDIPLOMAZIA
Socialisti francesi che cantano l’Internazionale
(1909) e, più in alto, una caricatura francese del
parlamento del 1867. A sinistra, una vignetta
con il presidente Usa McKinley (1843 – 1901)
Q
LIBRI
UMBERTO
ECO
La bustina
di Minerva
Bompiani
2000
V. FOA
F.MONTEVECCHI
Le parole
della politica
Einaudi
2007
ALFREDO
ACCATINO
Gli insulti
hanno
fatto
la storia
Piemme
2005
Colosseo
Pulsioni
GIANFRANCO
PASQUINO
Tutto si svolge come in un combattimento al Colosseo
Prevale il linguaggio volgare di chi “non fa prigionieri”
Le manifestazioni dei Forconi non sono troppo diverse
da quanto avviene nell’emiciclo di Montecitorio
La psicoanalisi sa bene che le fantasie non sono
innocenti perché tradiscono pulsioni inconsce
Che bisogna pensare di chi domanda cosa
si potrebbe fare alla Boldrini in macchina?
Le parole
della
politica
ascolto che a costruire opinione ragionata – anche perché
hanno col tempo abituato gli spettatori a desiderare quel che
gli propinano: lo scontro e la demolizione dell’avversario.
Del resto, il giudizio veloce sulla persona fa più audience della discussione sulle idee (“Fassina, chi?” si è dimostrato uno
schema di giudizio di grande efficacia). Uomini politici e dello spettacolo (spesso identificati concretamente come nel
caso di Grillo) coltivano il loro pubblico grazie all’uso studiato di un linguaggio volgare che non fa prigionieri. E così, l’avversario politico diventa un bersaglio di dileggio, mentre l’amico di partito o di blog un alleato gregario. La sfera pubblica come il Colosseo, dentro e fuori delle istituzioni. Le manifestazioni dei forconi non sono diverse nello stile dalle baruffe che animano l’emiciclo del Parlamento.
La politica plebea ha bisogno dell’audience per alimentarsi. Cerca negli spettatori il consenso complice e lo trova:
perché l’offesa urlata sa di cadere in un terreno fertile, in un
pubblico che la condivide e la ripete. Le offese alle donne e a
Laura Boldrini gridate dai parlamentari del M5S sono rappresentative di luoghi comuni diffusi: non sono eccezioni e
non sono casi isolati. Del resto se quei parlamentari hanno
cercato la platea televisiva era perché sapevano di trovare approvazione. L’occhio televisivo ha fatto da mezzo scatenante, come a confermare quanta osmosi ci sia tra dentro e fuori le istituzioni, quanto unitario sia il clima e lo stile della sfera pubblica.
La politica plebea è una versione deturpata della sfera
pubblica democratica, facile da attecchire quando i partiti
fanno secessione dallo spazio sociale rinchiudendosi nelle
istituzioni. Perché a metterli in comunicazione può a quel
punto essere solo una serie eclatante di eventi: i parlamentari devono fare notizia per essere visibili al loro pubblico. È
questa distanza che contribuisce a rendere il discorso politico un’arte privata che deve toccare le corde del gusto, essere
di godimento come l’urlo, la risata, la baruffa. Il paradosso è
che l’audience plebea è un pubblico passivo di uno spettacolo che non mette in scena, un occhio reattivo che non controlla nulla. Tutto avviene dietro le quinte; in diretta restano
le parole violente e le offese.
ritratto inquietante della pancia del movimento che egli rappresenta. Di questo ritratto vorrei mettere in luce due aspetti particolari.
Il primo è la prossimità perturbante con quella cultura
berlusconiana che ha fatto della degradazione del corpo
femminile una sua tristissima insegna illuminando così la
matrice inconscia di quel movimento che si propone come
alternativa al berlusconismo. “Sei una puttana!” “Sai fare solo pompini!” non sono affatto insulti post-ideologici, da bar
sport, ma riflettono una ideologia totalitaria in piena regola
che riduce la donna a roba, oggetto, strumento di godimento, pezzo di carne da dare in pasto agli appetiti di maschi in
calore.
Il secondo è un arcaismo di fondo: quello del padre totemico che gioca coi figli al gioco della rivoluzione senza rendersi conto di quale potenziale ad alto rischio maneggia. Ha
allora ragione la Presidente Boldrini a ricordarci che in chi
esercita questa violenza verbale si cela uno stupratore potenziale. Con l’aggravante che l’appartenenza ad un collettivo, ad un gruppo in assunto di base rigido direbbe Bion, guidato cioè da un forte ideale di purezza autorizza a ingiuriare
le donne rendendo il pericolo dello stupro ancora più reale:
i commenti osceni, lo scatenamento di fantasie sadico-aggressive, la regressione dell’umano all’animale disinibito è,
come mostra bene Freud ne La psicologia delle masse, un effetto del fare e del sentirsi “massa”. Non c’è limite al Male per
coloro che pretende di fare le veci assolute del Bene.
Gramsci sosteneva che il valore etico di una Civiltà dovesse avere come sua misura di fondo la condizione e il rispetto
per le donne. Potremmo tradurre questo concetto affermando che la democrazia ha sempre un’essenza femminile. Essa si fonda sulla cura delle relazioni, sulla legge della parola, sull’unione delle differenze, sulla dimensione fatalmente precaria che sempre comporta la vita insieme. L’ingiuria e il disprezzo verso le donne e le istituzioni democratiche non sono l’opposizione legittima all’ingiustizia, ma sono solo l’altra faccia dell’uso perverso e corrotto delle donne
e delle istituzioni democratiche che ha fatto nel nostro paese scempio della politica.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il Mulino
2010
GIANCARLO
FORNARI
L'imbarbarimento del
linguaggio
politico
Ediesse
2006
STEFANO
BARTEZZAGHI
Come dire
Galateo della
comunicazione
Mondadori
2011
LORELLA
CEDRONI
Il linguaggio
politico della
transizione
Armando
2010
STEVEN
PINKER
Fatti
di parole
Mondadori
2009
P. ANDRÉ
TAGUIEFF
L’illusione
populista
Bruno
Mondadori
2006
Fly UP