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apprendimento spontaneo e apprendimento guidato

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apprendimento spontaneo e apprendimento guidato
R. Solarino, L'italiano come lingua seconda: apprendimento spontaneo e apprendimento guidato ,
in F. Massimeo-A. Portoghese -P. Selvaggi (a cura di), Educazione interculturale e
inserimento degli alunni albanesi nella scuola dell'obbligo , Quaderni dell'IRRSAE Puglia
n.18, Bari, 1992, pagg. 445-461.
L'apprendimento dell'italiano da parte di un bambino immigrato inserito nella scuola
è una situazione di apprendimento della L2 in cui si mescolano due scenari diversi: il
primo,l'unico che si possa definire naturale in senso stretto, si ha quando il bambino si
trova ne gruppo dei suoi pari durante le pause dell'attività didattica e fuori dalla scuola. In
questo caso il parlante non nativo, per esempio il nostro albanofono, viene trattato
complessivamente come un nativo.I suoi compagni parlano con lui, o tra loro in sua
presenza, senza tener conto della sua conoscenza imperfetta della lingua e senza fare
interventi "metalinguistici',, orientati cioè non sul contenuto del messaggio, ma sulla sua
forma come correzioni o osservazioni di carattere grammaticale.
Il secondo scenario si realizza invece nel rapporto con I'insegnante e con altri adulti
nativi: in questo caso il parlante nativo è impegnato con il non nativo in una interazione
linguistica costantemente orientata sulla competenza imperfetta di quest'ultimo: adatta le
sue espressioni semplificandole per contenuto e forma" corregge le espressioni non native
ecc.
Solo il primo scenario, quello che si realizza tra parlanti cioè di pari posizione sociale,
può essere considerato naturale in senso stretto. Dal punto di vista linguistico quel che
manca in questo scenario è ogni alterazione dell'input, cioè della lingua che viene offerta
"in ingresso" al parlante non nativo: la lingua viene parlata esattamente come viene parlata
tra nativi: è il non nativo che all'interno di questa complessità sceglie, seleziona le forme su
cui soffermare la sua attenzione di apprendente, cioè "filtra" quello che ritiene necessario
imparare per i suoi bisogni comunicativi. È una situazione dunque in cui è il non nativo
che "governa" il proprio apprendimento linguistico, mentre i nativi non modificano
minimamente il loro linguaggio. Ciononostante il ruolo nei nativi è estremamente
importante: oltre a fornire l’input linguistico, essi rendono infatti al non nativo un altro
inconsapevole servizio, quello del controllo (feedback). Infatti il non nativo controlla
l'adeguatezza o I'efficacia delle sue produzioni soltanto attraverso la reazione del nativo:
se la comprensione passa, se il nativo reagisce come lui si aspetta che reagisca ha il
controllo di aver prodotto un messaggio accettabile; se invece questo non avviene, il
controllo dà risultato negativo e lui tenterà un'altra strada per realizzare la comunicazione.
Il secondo tipo di apprendimento, quello che si realizza,con parlanti nativi non
simmetrici rispetto all'apprendente, è invece completamente diverso: è il nativo che
interviene continuamente ad, organizzare il materiale linguistico che offre al non nativo, e
che mette in una certa progressione di difficoltà la sua lingua in modo da offrirla in una
sequenza più semplice per I'apprendente: si tratta dunque di una situazione guidata dal
nativo, e quindi strutturalmente non naturale.
Lo scenario linguistico e comunicativo in cui è inserito un bambino immigrato a scuola
è dunque uno scenario misto, che alterna i due tipi di comportamento comunicativo: ci
saranno degli spazi, quelli dell'interazione tra pari, tra compagni, in cui si realizzerà la
prima situazione, con assenza di correzioni e di riflessione metalinguistica" e feedback
"naturale". ci saranno poi dei momenti, quelli delle attività più specificamente didattiche,
condotte sotto il controllo dell'insegnante, in cui si realizzerà il secondo scenario.
Quale delle due situazioni è più proficua per I'apprendimento di una seconda lingua?
Di solito si ritiene che quanto più intensi e frequenti sono il "bagno" linguistico e
I'interazione con i pari, tanto più rapido sarà I'apprendimento: indubbiamente è vero che
le situazioni più favorevoli all'apprendimento si creano quando la lingua è usata per
comunicare e non c'è un eccessivo controllo metalinguistico; è anche vero però che la
motivazione a comunicare comunque con i propri pari e la possibilità di contare sulla loro
cooperazione nella comprensione può portare i parlanti non nativi a una rapida
fossilizzazione delle conoscenze, ad accontentarsi cioè di un livello minimo di lingua. Non
va quindi sottovalutata l'efficacia del secondo tipo di apprendimento, anche perché il
prestigio dell'insegnante e I'asimmetria dei ruoli gioca un ruolo positivo nel predisporre
I'allievo in difficoltà linguistiche ad accettare e a tener conto delle sue correzioni, senza il
timore di "perdere la faccia", che spinge invece nell'interazione tra pari ad evitare questo
tipo di intervento. Vale la pena dunque di esaminare un po'più da vicino il secondo tipo di
interazione, quella guidata dall'insegnante, per cercare di analizzarne le strategie
comunicative.
Innanzitutto occorre chiarire che le strategie linguistiche adottate in questo tipo di
interazione sono comuni a tante situazioni di difficoltà comunicativa, per esempio sono le
stesse strategie che è consigliabile adottare per il recupero, con allievi in difficoltà di
apprendimento. Soffermarsi su di esse può quindi essere utile per due ragioni: perché
permette di rendere consapevole un comportamento che in molti casi è istintivo, e perché
sdrammatizza il problema della presenza di bambini stranieri mettendolo sullo stesso
piano dei problemi didattici che ci troviamo ad affrontare quotidianamente nella scuola.
Che cosa fa in genere, dal punto di vista linguistico, un insegnante di fronte a un parlante
non nativo - ma anche se deve affrontare difficoltà di apprendimento? Elencheremo
(traendoli da Auer 1988) una serie di comportamenti dell'insegnante relativi ai dati ”in
entrata”, - cioè alla lingua che egli mette a disposizione dei suoi ascoltatori, interagendo
con loro - e ai dati "in uscita", cioè alle operazioni che egli compie sulla lingua degli allievi.
Nel primo campo, quello dei dati linguistici prodotti dall'insegnante, quello che un
insegnante avvertito fa o dovrebbe fare per facilitare I'apprendimento è: lasciare libero il controllo del tema, che può essere modificato dagli interlocutori,
scegliendone però gli aspetti rilevanti; -
trattare i temi brevemente, senza insistere sui dettagli; mettere i nuovi temi introdotti dai parlanti in difficoltà nel dovuto rilievo, mostrando
interesse; parlare con ritmo lento e con pronuncia distinta; accentuare le parole chiave o che presentano difficoltà facendo una pausa prima di
pronunciarle; scomporre il pensiero in strutture temarema (il tema è ciò di cui si parla" il rema è l'informazione nuova che viene data:
normalmente in una frase italiana il tema coincide con il soggetto e il rema con il predicato
verbale); –ripetere le componenti centrali dell'espressione o le espressioni stesse; non usare espressioni a doppio senso, allusioni" ironia; semplificare il lessico, la morfologia e la sintassi; controllare la comprensione chiedendo il feedback.
Per quanto riguarda l’intervento sui dati linguistici prodotti dagli allievi ('i dati in
uscita') I'insegnante dovrebbe seguire queste strategie: tollerare le ambiguit4 cooperando nella comprensione; confermare la propria comprensione spesso e in modo esplicito; ripetere re espressioni altrui per mostrare il proprio accordo e confermare la loro
efficacia; richiedere chiarimenti; effettuare correzioni a incastro (è quel tipo di correzione che avviene attraverso la
ripetizione, fatta in tono di voce più basso, della forma corretta, senza interrompere il
flusso della comunicazione) o in forma esposta (una correzione esposta interrompe il flusso
comunicativo, si presenta in forma esplicita e costringe il destinatario della correzione a
prenderne atto). Entrambi i tipi di correzione vanno praticati dall’ insegnante,a seconda
delle situazioni: non è vero che una correzione esposta è sempre negativa; fornire ripetizioni grammaticali di parti di espressioni agrammaticali; fare congetture "costruttive" per completare espressioni incomplete o sbagliate; espandere i frammenti in frasi grammaticali.
Il comportamento linguistico di un parlante non nativo, ma anche di un parlante
nativo che non si sente sicuro della sua lingua si basa invece sui seguenti principi: non parlare di cose troppo difficili da esprimere; non parlare affatto; segnalare l'elemento linguistico su cui si hanno incertezze con un tono diverso,
innalzandolo o abbassandolo; far precedere o seguire una pausa all'elemento problematico o porlo per ultimo; ripetere un'espressione usata da parlanti esperti (per verificarle attraverso la loro
reazione se la si è usata in modo corretto); chiedere la correzione; -
richiedere I'aiuto del parlante esperto usando le strategie del “come si
chiama?” o del "come si dice?"; richiedere informazioni linguistiche; ripetere la propria espressione, modificata; richiedere chiarimenti; ripetere gli elementi problematici di un enunciato prodotto dal parlante
Esperto; ripetere gli elementi che si sono intesi,
segnalando così
l'incomprensione di quelli restanti; richiedere un ritmo più lento; manifestare la propria incomprensione in altri modi.
Abbiamo voluto riprodurre qui questa serie di strategie che vengono
normalmente adottate in situazioni di difficoltà di apprendimento perché esse
costituiscono delle 'regole' conversazionali che possono facilitare la comunicazione,
ma è chiaro che esse non possono esaurire il compito dell'insegnamento di una
lingua: l'insegnante avvertito ne terrà conto nell'interazione con i suoi allievi in
difficoltà linguistiche, che siano o non parlanti nativi, ma non potrà limitarsi a
questo.
Se si vuole cooperare in maniera consapevole e proficua all'apprendimento
dell'italiano occorre ben altro. Innanzitutto occorre che anche per l'italiano, come si
è fatto per le altre grandi lingue europee - l'inglese, il francese, il tedesco, lo
spagnolo- si compia quell'enorme lavoro di ricerca, di descrizione e di traduzione
operativa in curricula e materiali didattici che è preliminare per un insegnamentoapprendimento affidabile e scientificamente fondato di una lingua. Oggi tale lavoro
preliminare, a differenza di vent'anni fa, è a buon punto di elaborazione: la
domanda di italiano è infatti cresciuta nel mondo: da un lato è aumentato l'interesse
per l' italiano come lingua di cultura e letteratura- che ha prodotto finalmente un
'certificato' per la conoscenza 'alta' dell'italiano, cioé una serie di prove e di
parametri di riferimento da utilizzare per l'accertamento della conoscenza
dell'italiano nei corsi universitari di lingue straniere di tutto il mondo1- dall'altro è
cresciuta
la domanda di indicazioni operative e di materiali didattici per
l'insegnamento dell'italiano come L2, per soddisfare cioé il bisogno di
alfabetizzazione di immigrati e di figli di immigrati che vivono in un contesto
italofono, una domanda con caratteristiche e problemi evidentemente diversi dalla
precedente.
In questo secondo quadro, nel quadro cioé dell'apprendimento dell'italiano
in un contesto naturale, si comincia dunque a poter contare su una serie di studi
1Si
vedano gli articoli di W. D'Addio su Italiano e Oltre , 1/86, 3/86, 1/88, 3/88, 2/90.
piuttosto ampia, di cui ci serviremo per tentare di fondare su una base conoscitiva
gli interventi dell'insegnante che voglia cooperare nel processo di apprendimento
in contesto naturale di una seconda lingua, qual è quello che si realizza nei bambini
e adolescenti di cui ci occupiamo.
Diamo qui di seguito una sintesi di diversi contributi di studiosi e
ricercatori che fanno capo al cosiddetto 'progetto di Pavia'. Tale progetto tende a
descrivere l'acquisizione dell'italiano come L2 in contesto naturale per fini teorici,
in particolare quello di "...individuare e possibilmente distinguere l'azione di
principi generali, che riflettono caratteristiche neurobiologiche e cognitive
dell'uomo (gli "Universali") dall'azione di principi locali, specifici di una
particolare lingua" (Giacalone Ramat 1990).
I risultati di tali ricerche sono però anche di grande interesse applicativo
perché contengono una descrizione dei diversi stadi di apprendimento dell'italiano
estremamente utile ai nostri fini, che sono quelli di favorire e di stimolare in
maniera intelligente l'apprendimento spontaneo della nostra lingua in un contesto
naturale. I bambini immigrati hanno infatti comunque alle spalle una situazione di
apprendimento spontaneo dell'italiano, più o meno prolungato nel tempo, e
possono contare su un input linguistico che integra quello offerto dalla scuola: non è
quindi sbagliato cominciare con il riflettere su quali sono le tappe di questo tipo di
acquisizione dell'italiano.
In primo luogo va sgombrato il campo da un pregiudizio abbastanza diffuso,
quello che nell'apprendimento il fattore principale da tener presente sia la lingua di
partenza, in quanto la sua vicinanza o lontananza dalla lingua obiettivo sarebbe la
principale responsabile da un lato della velocità di apprendimento, dall'altra degli
'errori' commessi dagli apprendenti. In realtà se a certi livelli (la fonologia, per
esempio o il lessico) l'interferenza della lingua materna è sicuramente molto forte
(si pensi alla difficoltà di pronunciare suoni inesistenti nella lingua materna o alla
frequenza con cui si manifesta nelle interlingue 2 il fenomeno dei 'falsi amici',
coppie lessicali di forma affine e significato diverso nelle due lingue in contatto), ci
sono altri aspetti delle interlingue che non sono affatto riconducibili all'interferenza,
ma rispondono a strategie generali di apprendimento. Gli aspetti di queste strategie
generali che sono stati indagati dalle recenti ricerche sull'acquisizione dell'italiano
come L2 e sui quali si posseggono ormai dati sicuri sono: 1) il trattamento
semplificante della morfologia, 2) l'adozione di una sintassi con ordine SVO, 3) lo
sviluppo del sistema dei tempi verbali.
2Le
interlingue, sono i sistemi linguistici approssimativi e in evoluzione, attraverso cui passa un
apprendente di una lingua, ognuno dei quali è sempre più simile al sistema della lingua obiettivo.
1. Trattamento semplificante della morfologia
Per quanto riguarda il primo punto occorre tener presente che
indipendentemente dal fatto che la lingua di partenza sia o meno ricca di
morfologia, un apprendente che si avvicina all'italiano tende a:
a) semplificare, riducendoli a pochissime forme, i complessi sistemi flessivi
dell'italiano
b) omettere un certo tipo di parole che hanno un alto tasso di morfologia e
non hanno, viceversa, un significato 'pieno', soprattutto se sono esili fonicamente:
per esempio gli articoli, le copule e gli ausiliari. Quando c'è bisogno di definitezza
l'articolo viene in genere sostituito dal dimostrativo questo
c) omettere del tutto i pronomi atoni o sostituirli con quelli tonici, con un
dimostrativo o con la ripetizione del nome : principe ha visto lei per principe l'ha
vista. Questa sostituzione permette una sintassi più facile, quella SVO (vedi punto
2.) e consente di non porsi problemi di accordo del participio passato.
d) preferire la forma piena di una parola se di essa ci sono due forme
leggermente diverse (allomorfe): questo anno, questa altra volta:, uno fratello , in
la prima figura , il uomo, ogni uno :
In fase di diagnosi del livello di interlingua conosciuto dai bambini occorre
fare attenzione ad esempi di semplificazione che rivelano un'elaborazione autonoma
(semplificazione elaborativa) del soggetto. Per esempio ragazza giovana, droga
forta, mamma felicia
sono forme che mostrano la capacità di lavorare
correttamente con le regole dell'accordo dell'italiano, evitando nel contempo
l'ambiguità della forma in -e. Sono strategie ben diverse da quelle di
semplificazione riduttiva, che si hanno quando si usa un'unica forma, la più
frequente ( per esempio quella che termina in -a ) come forma 'generale delle
parole italiane, senza mostrare di aver ancora colto le regole flessive dell'italiano.
La stessa capacità di muoversi con una certa disinvoltura all'interno della
morfologia italiana mostrano errori di derivazione come guaritamento, testardezza
o regolarizzazioni come distruggiato, rispondato ecc. Essi vanno considerati segnali
positivi di avvicinamento al sistema morfologico italiano.
2. Adozione di una sintassi con ordine SVO
Per quanto riguarda le strategie sintattiche i dati dimostrano che gli
apprendenti, da qualunque lingua provengano e qualunque sia la lingua di arrivo,
tendono ad adottare una sintassi dei costituenti maggiori (il soggetto, il verbo,
l'oggetto) con ordine Soggetto Verbo Oggetto. (SVO). Ciò avverrebbe non perché
questo è un ordine più naturale 3 ma perché l'ordine SVO permette di supplire
alla scarsità di morfologia tipica degli apprendenti. Ovviamente tale tendenza è
ancora più netta nell'apprendimento di una lingua, come l'italiano, a prevalente
ordine SVO.
Nelle fasi precoci l'apprendente tende però soprattutto ad appoggiarsi a
principi pragmatici e funzionali più che a regole sintattiche specifiche di una certa
lingua: segmentazione del discorso in tema-rema, menzione degli eventi nel loro
ordine effettivo, anteposizione degli elementi di orientamento (tempo, luogo,
modalità) all'inizio della frase. Per esempio prima di assimilare il sistema dei tempi
verbali italiano, un apprendente tende a supplirlo con avverbi temporali premessi
ad una forma verbale non flessa: ieri/domani io comincia lavoro. Analogamente la
modalità-cioé l'espressione della soggettività del parlante, che si rende
normalmente in italiano con mezzi morfologici, per esempio con il condizionale
accompagnato da verbi come potere e dovere ( cfr. dovrebbero essere le tre ) - è
resa dagli apprendenti con mezzi lessicali, come forse, magari: ( forse..
ehm sono morti.; Altre persone, magari sua amica.)
parenti
3. Sviluppo del sistema dei tempi verbali
1° livello: ( a poche settimane dall'arrivo in Italia): uso ridottissimo della
morfologia nominale e verbale: il verbo si presenta in pochissime forme
sovraestese . Si trovano soprattutto la 3a persona singolare del presente, (molto
frequente la terminazione in -a: io comincia) oppure l'infinito o una forma
dell'imperativo). Tale forma verbale è accompagnata dal pronome soggetto che
supplisce alla mancanza di morfologia di persona (io parla malissimo). Il tempo, se
è indispensabile, viene espresso con avverbi temporali (primo tu volie mangiare,
adesso tu volie lire, che cosa volie prossima? = prima volevi mangiare, adesso
vuoi soldi, che cosa vorrai la prossima volta?) o locativi (in Cina sì mi piace
andale al cinema, in Italia ...non è bello)
3Se
infatti per ordine naturale si intende quello più frequente, si deve riconoscere che l'ordine più
diffuso tra le lingue note è quello SOV, con il verbo in fondo: l'ordine SOV tende però ad avere
molta morfologia -si pensi al caso del latino!- e per questo è evitato nelle interlingue
dell'apprendimento.
2o livello: ( fino a due-tre mesi dall'arrivo) si forma un primo microsistema
temporale: compaiono due forme in opposizione aspettuale: presente( o un'altra
forma basica, spesso è l'infinito) e participio passato Il presente compare nei
contesti di presente, futuro e passato imperfettivo ( presente/futuro: Quando io
vado a scuola... quando c'è la neve ..tutto io pieno di neve.. Dopo diventa ancora
marrone quando finito la neve. Passato imperfettivo: io lavorato in statale .. e io
devo prima finire ) Il participio passato compare nei contesti di passato perfettivo
(io andato in macchina Giusi )
3o livello Accanto al participio passato comincia a comparire l'ausiliare:
prima le forme più salienti foneticamente, come sono, siamo abbiamo, poi quelle
più esili, è, ho ( ..alora conosciuto un uomo in vacanza e poi abiamo rifletuto.. io
sono andata qui/ sono arrivata qui ). Compare una terza forma verbale,
l'imperfetto, che permette di costruire un sistema abbastanza efficiente, non molto
diverso da quello nativo. La comparsa dell'imperfetto riduce i valori del presente
nel sistema, andando ad occupare i contesti di passato imperfettivo ( io ho abitato a
New York.. era molti italiani ). I casi di condizionale, che possono comparire anche
molto precocemente, sono da considerarsi delle routines: (apprese cioé come delle
formule fisse ): in realtà il 'vero' condizionale compare dopo il futuro ( e quindi in
pochi casi) Il congiuntivo è l'ultima forma a comparire.
Sequenze di apprendimento ricostruite
a) Morfologia flessiva nominale
La gerarchia di apprendimento della morfologia flessiva nominale è: maschile
singolare, maschile plurale, femminile singolare e per ultimo il femminile plurale.
Il femminile plurale, l'ultimo a comparire è ricostruito dal contesto (amici amica) e
dalla presenza di un numerale: (due amica ).
b) Accordo nome-aggettivo/participio passato
Recenti lavori hanno mostrato che esiste una sequenza di apprendimento
che vede accordati prima
gli aggettivi più piccoli e più 'leggeri' -come i
possessivi, poi gli aggettivi immediatamente vicini al nome e solo molto più tardi
elementi come predicati nominali e participi passati, che sono i più lontani dal
nome.. Per ultimo si acquisisce l'accordo del participio passato dopo un clitico (Non
li ho avuti)
c) Sviluppo del sistema dei clitici
-La prima forma che compare è il ci legato al verbo essere.
-Compare poi mi, come oggetto diretto, indiretto e riflessivo: la precedenza è
al pronome 'vero' rispetto al suo uso solo formale (riflessivo)
-Si: prima l'impersonale/passivante, poi il riflessivo
-Ti, come per mi
-lo: prima in un uso 'neutro in sintagmi fissi, come non lo so; poi
indifferenziato, riferito anche a nomi femminili , compaiono poi le altre forme
flesse, nell'ordine >la>li>le
-primi nessi a due clitici: me +lo, te+lo, prima che siano acquisiti tutti i clitici
isolati Stranamente compare anche il ne, prima del suo apprendimento come clitico
isolato, in nessi probabilmente appresi come una unità (ce ne sono molti) me ne
interessa)
ci locativo, anche in nessi senza il verbo essere
gli >le dativi
ci
vi
ne partitivo>ne equivalente ad un complemento oggetto (del tipo parlarne )>
ne locativo
Negazione
Due sono i tratti comuni, veri e propri universali linguistici
dell'apprendimento adulto delle lingue, che si ritrovano nella negazione: la
posizione preverbale, anche se la lingua di partenza ha una negazione postverbale, e
l'uso della forma profrastica no invece di quella avverbiale non (questo no
facciamo noi, forse no va bene, no tutti assieme):. Sono tratti comuni a varietà di
apprendimento sia di italiano sia di altre lingue come lingue seconde
indipendentemente dalla lingua di provenienza e anche dalla lingua che si sta
imparando.
Preposizioni
Le preposizioni sembrano essere apprese piuttosto precocemente, con una
progressione che ne rispecchia la salienza semantica: vengono omesse quelle che
hanno mera funzione grammaticale (a davanti a infiniti e di nei genitivi), vengono
invece apprese rapidamente preposizioni più salienti foneticamente e
semanticamente, come per e con (io vado con mio papi e amici mio papi (=di mio
papà).
Che cosa fare di questi dati? Da un lato l'insegnante può usarli come dei
segnali del percorso già fatto dall'allievo che entra nella scuola (come dei dati di
ingresso, dunque) : dall'altro essi servono a scegliere le attività su cui è opportuno
insistere, o quelle che è bene per il momento mettere da parte. Due esempi: è
inutile insistere sull'uso del futuro se un bambino non sa ancora usare l'imperfetto in questo caso è molto meglio preparare attività che stimolino l'uso di tempi
narrativi del passato-, come è perfettamente inutile ostinarsi a pretendere articoli
e ausiliari da un bambino che sta ancora raccapezzandosi con le parole 'forti'
dell'italiano. Ad un bambino che sta imparando l'italiano servono soprattutto un
input chiaro e ricco, occasioni di comunicare con i suoi pari e attività didattiche
che abbiano un senso per lui: in fondo quello che ci vuole per tutti i bambini. In
attesa che nasca una didattica scientifica dell'italiano come L2 non è possibile fare
molto di più. Ma è poi tanto poco?
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Orletti, Franca,. 1988 "L'italiano dei filippini a Roma".In Giacalone Ramat
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