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semplificare senza impoverire
SEMPLIFICARE SENZA IMPOVERIRE “Se parli allo scemo del villaggio ti capisce anche il saggio”. Questo elenco di suggerimenti per scrivere in modo efficace nasce dall’esperienza di cinquanta anni di scrittura, in particolare giornalistica e pubblicitaria. I concetti guida di queste regole sono: semplificare senza impoverire e innovare senza stravolgere. Comprende i suggerimenti del Plain Language, la lingua semplificata proposta nel 1971 per limitare l’uso del gergo professionale, per eliminare il burocratese, ridurre gli aggettivi inutili, basando tutto su sintesi e semplicità. Perché, come dice Karl Popper, niente è più facile dello scrivere difficile. Il linguaggio burocratico, che Italo Calvino definiva l’antilingua, è il peggiore nemico della scrittura efficace. Spesso è volutamente fumoso per mascherare i contenuti “scabrosi”, come la comunicazione di ritardi, di inadempienze ecc. Una specie di nerofumo sui concetti. Il gergo deriva, come i linguaggi tribali, dalla necessità delle antiche consorterie e corporazioni di far usare dai propri aderenti dei codici quale forma di difesa da ingerenze esterne. In sostanza, il gergo nasce per non farsi capire dagli altri, quindi per non comunicare (co-municare è mettere in comune). Oggi lo si usa senza questa esplicita volontà di oscurare la comunicazione. I più lo usano inconsapevolmente, come linguaggio appreso nel luogo di lavoro. E’ innegabile che presenti dei vantaggi, per chi lo padroneggia: è molto pratico, consente più sintesi, dimostra competenza, protegge dalla paura di apparire inadeguati. Ha però diversi svantaggi: può impedire la comprensione del messaggio al destinatario, mostra “ostentazione di competenza” da parte di chi scrive, lo fa apparire ermetico e con volontà di non comunicare, danneggia i concetti di trasparenza e affidabilità dell’immagine aziendale. Un piccolo esempio: una impiegata aveva inviato al suo capo una e-mail con una proposta su come risolvere un problema. Terminava con la richiesta: “Posso procedere?”. Il laconico messaggio di ritorno era di quattro lettere: Asap. La poveretta si domandò per ore cosa fare, cosa volesse dire quella sigla. Poi gli spiegarono che era semplicemente l’acronimo di As soon as possible (il più in fretta possibile). Certo, semplice e funzionale, ma solo per chi ne conosce il significato. A proposito del burocratese, su il quotidiano “Il Giorno” del 3 febbraio del 1965, Italo Calvino scrisse un memorabile pezzo intitolato: L’ANTILINGUA. Ecco una perla tratta da quel servizio: “Il brigadiere è davanti alla macchina da scrivere. L’interrogato, seduto davanti a lui, risponde alle domande un po’ balbettando, ma attento a dire tutto quello che ha da dire nel modo più preciso e senza una parola di troppo: “Stamattina presto andavo in cantina ad accendere la caldaia e ho trovato tutti quei fiaschi di vino dietro la cassa del carbone. Ne ho preso uno per bermelo a cena. Non ne sapevo niente che la bottiglieria di sopra era stata scassinata”. Impassibile, il brigadiere batte veloce sui tasti la sua fedele trascrizione: “Il sottoscritto, essendosi recato nelle prime ore antimeridiane nei locali dello scantinato per eseguire l’avviamento dell’impianto termico, dichiara d’essere casualmente incorso nel rinvenimento di un quantitativo di prodotti vinicoli, situati in posizione retrostante al recipiente adibito al contenimento del combustibile, di aver effettuato l’asportazione di uno dei detti articoli nell’intento di consumarlo durante il pasto pomeridiano, non essendo a conoscenza dell’avvenuta effrazione dell’esercizio soprastante”. Il burocratese sottolinea l’enorme differenza tra il linguaggio parlato e quello scritto. Il funzionario che direbbe a suo figlio: “Qui è vietato fare il bagno” scrive, invece: “In questo luogo sussiste il divieto di balneazione”. Così il semplice (ma crudo) Sfratto diventa Provvedimento esecutivo di rilascio; Timbrare il biglietto diventa Obliterare il titolo di viaggio. Ecco una serie di parole da non usare più: a far data, all’uopo, il suddetto, testé, lo scrivente, di concerto, a tergo, in calce, addì, Roma, lì. I burocrati adorano le maiuscole, in particolare quelle usate per servilismo. La grammatica richiede l’uso della maiuscola solo per i nomi propri (esempio: il presidente Napolitano); per differenziare ove necessario (Paese per intendere la nazione e paese per il villaggio) e dopo il punto fermo. E’ bene ridurre all’indispensabile l’uso delle maiuscole servili (Direttore, con la maiuscola e impiegato, in minuscolo) evitando quelle inutili: il Ruolo, il Collega, l’Azienda, ecc. Come conseguenza del fatto che la lingua inglese è diventata il codice internazionale più affermato (nell’informatica, nell’aviazione, nella prosa aziendale) è facile cadere nella tentazione di usarlo anche al posto dell’italiano. Alzi la mano chi dice “pigiare il topo” al posto di “cliccare il mouse”. Ma potremmo dire tranquillamente scadenza anziché deadline. Quando esiste la parola italiana, quindi, evitare l’inglese. Teniamolo solo per i termini che non hanno traduzione: marketing, benchmarking, leadership, computer, insider trading ecc. Attenti all’uso scorretto di inglesismi, ancorché molto utilizzati: Proattivo (dall'inglese proactive) è impropriamente usato nel senso di "propositivo", mentre significa: capace di anticipare temi/problemi futuri. Aapprocciare (un tema, un problema) può essere facilmente sostituito con "affrontare", tanto più che in inglese to approach significa semplicemente avvicinare qualcuno. According to… non vuol dire “in accordo con...”, ma “secondo...”. Si può riferire a una fonte o a un’opinione). Actually significa “davvero” o “in realtà”, non “attualmente”. Agenda significa “ordine del giorno” o “programma”di una riunione. “Agenda” nel senso di libro-calendario si dice diary. Una giusta quantità in ogni cosa: senso della misura. Nei testi deve prevalere l’equilibrio: non troppi aggettivi (un vecchio motto dice che se devi usare un secondo aggettivo è perché il primo è sbagliato), non troppe parole, non troppe sigle. Se proprio si deve usare un acronimo, la prima volta che lo si scrive, oltre a scriverlo tutto maiuscolo e senza puntini, deve essere indicato tra parentesi il suo significato. Esempio: La FERPI (Federazione Italiana Relazioni Pubbliche)… L’uso dei messaggi SMS ha rinvigorito l’uso delle abbreviazioni, creandone anche di nuove e assurde. Era appena terminato l’assalto dell’orribile linguaggio telegrafico (pentacamere, automunito, militesente) ed ecco arrivare i TVMB, xke, 6+bella. Un suggerimento: nel cellulare sintetizzate come più vi piace, ma nella corrispondenza e negli scritti evitate quei terrificanti c.m., p.v., rif. Spett.le, Egr. Sig. Alcune abbreviazioni sono poi del tutto incoerenti: non ha senso infatti fare la fatica di alzare il tasto della maiuscola nella parola Vostro (per mostrare deferenza) e poi abbreviarlo in Vs. Dice Gilbert Arland: “Se non colpisci il bersaglio, la colpa non è mai del bersaglio”. La comunicazione si misura all’arrivo: se il lettore non capisce, il messaggio è sbagliato. L’efficacia aumenta se si pensa con la testa del destinatario, domandandosi sempre: quali termini conosce? Cosa capirà di questa frase? Gli sarà nota questa sigla? Nel dubbio, chiarire. Il giornalismo, che più di altri linguaggi si è posto il problema della comprensione dei messaggi, divide in due storici modelli il fenomeno dell’organizzazione del testo: ogni messaggio può essere preventivamente organizzato secondo il Modello “Hard news” (nel reporting di cronaca) o secondo il modello “Feature journalism” (per inchieste, servizi, interviste). Il Modello “Hard news” nasce nella seconda parte dell’ottocento, durante la Guerra di Secessione americana (dove le comunicazioni erano precarie e spesso interrotte) e viene poi ripreso da Lasswell nel 1936. Si basa sulla regola mnemonica delle 5W (Who, What, Where, When, Why) alle quali parole è bene aggiungere il termine How. Questa lista di controllo (in italiano: Chi, Cosa, Dove, Quando, Perché, Come) serve a due cose: 1) non dimenticare nessuna delle sei informazioni fondamentali in ogni comunicazione; 2) dare loro una priorità, una gerarchia. Ne deriva che l’ordine di queste parole-chiave è mobile, da adattare a seconda delle esigenze delle informazioni da dare: ad esempio, se si pensa che il testo sarà letto nei giorni seguenti, sarà giusto dare priorità al Quando, mentre il testo per un sito web, che può essere letto anche a distanza di mesi, lo vedrà più avanti nell’ordine d’importanza. E’ buona norma, in un testo, utilizzare la tecnica del Lead (guida) che richiede di mettere all’inizio le cose essenziali. Le sei parole prima indicate (Chi, Cosa, Dove, Quando, Perché, Come) aiutano a sintetizzare i dati più significativi che devono essere messi in cima a tutto, esattamente come la vetrina di un negozio sintetizza l’essenziale di quanto contenuto all’interno. Presuppone una scelta campionaria delle cose più importanti, da esporre in modo evidente. Si dice che un grande statista, chiamato a esprimere in poche ore il suo giudizio su centinaia di voluminose pratiche, anziché perdersi d’animo, accettò la sfida, ma pose una condizione: che le pratiche venissero ridate agli autori con l’obbligo di porre in copertina una sintesi di non più di dieci righe. Fu facile, così, distinguere ciò che era importante e realmente urgente da cosa non le era davvero. Il modello “Feature journalism” è utile come check list per temi complessi e come schema per una relazione molto articolata. Nasce dalla constatazione che i dieci punti che i medici usano per svolgere una anamnesi clinica sono gli stessi utilizzabili per una scaletta molto articolata. Ecco la sequenza utilizzata dai medici e, a fianco, la scaletta per una relazione complessa: NOMENCLATURA (il nome della malattia) IL TITOLO DEFINIZIONE (natura della malattia) L’ARGOMENTO PRINCIPALE ETIOLOGIA (le cause del male) DEL TEMA LE ORIGINI E MOTIVAZIONI PATOGENESI (lo sviluppo della malattia) L’ANALISI DEI TREND SINTOMATOLOGIA (i segni della malattia) LO SCENARIO ANATOMIA PATOLOGICA (danni agli organi) LE INTERELAZIONI DIAGNOSI (il parere del medico) LA TESI SOSTENUTA PROGNOSI (il decorso della malattia) PREVISIONI DI ANDAMENTO TERAPIA (come si cura la malattia) LE SOLUZIONI PROPOSTE PROFILASSI (precauzioni preventive) INDICAZIONI PER IL FUTURO Se si dovesse ritenere che questi dieci punti sono eccessivi, è possibile ridurre la scaletta a soli 5 punti, che in tal caso dovrebbero essere: Titolo-guida Il fatto chiave Scenario (sintomi) Il nostro punto di vista (diagnosi) Le soluzioni proposte (terapia) Per alcuni, iniziare un testo è arduo. Temono l’attacco, patiscono l’incipit. In questi casi può essere utile conoscere una piccola serie di approcci in modo da poter contare su diversi modi di creare un Lead. Ecco i principali. 1) Approccio Enumerativo Mette tutti i numeri ed i dati all’inizio del pezzo. Un esempio: “Mangia per un totale di 42 mesi, guarda la TV per 12 anni, dorme per 25 anni, bacia per 2 settimane, telefona per 30 mesi… Ecco cosa fa l’uomo, nella sua vita media.” 2) Approccio Interrogativo È una domanda retorica posta all’inizio della frase: “Come reagirà l’Italia al fenomeno delle imitazioni produttive?” 3) Citazione celebre E’ il supporto di un personaggio famoso: "Mi scuso per la lunghezza della mia lettera, ma non ho avuto il tempo di scriverne una più breve". Blaise Pascal (1656, Lettres Provinciales) 4) Approccio Metaforico Usa una metafora per chiarire un concetto. “L’obiettivo è fare squadra, come nei pit stop della Formula 1: un compito per ognuno e la consegna di farlo al meglio e nel più breve tempo possibile”. 5) Approccio Aneddotico Utilizza un fatto accaduto per dare concretezza e realismo. Ad esempio: “Quando Fleming iniziò ad occuparsi delle ricerche sulla penicillina chiese all’industria farmaceutica di procurargli 100 campioni di muffe provenienti da ogni angolo della terra. Paradossalmente, dopo un anno di lavoro per raccogliere il materiale in tutto il mondo, il fungo produttore della muffa più utile per la sperimentazione venne individuato nella ringhiera del balcone sopra al suo laboratorio.” 6) Approccio brillante E’ una battuta brillante posta all’inizio del pezzo. “La posizione assunta dall’Italia sull’argomento ricorda quanto accadde a due amici in un safari quando vennero aggrediti da una tigre mentre si rinfrescavano i piedi in un torrente. Mentre la belva si avvicina di corsa, il primo dei due, che si era già dato alla fuga a piedi nudi, rimproverò l’amico che si attardava per mettersi le scarpe: “Scappa, non crederai mica di correre più veloce della tigre!” Ricevette per tutta risposta una cinica quanto realistica constatazione: “Non mi serve correre più veloce di lei, mi basta correre più veloce di te”. Ecco come si potrebbe trovare l’Italia, già in corsa senza scarpe, ingenuamente preoccupata per i suoi alleati…” Evitare le formule arcaiche (abbiamo letto, nella lettera di un legale, i seguenti saluti: “Prono negli ossequi”). Si commenta da sé. Evitare l’eccesso di frasi in latino: non sono eliminabili nella prosa legale, ma nonostante la nobile origine, molte persone non sono in grado di capirle. Una norma del giornalismo dice: di le cose come se ti rivolgessi ad un ragazzo di 14 anni. Se dovete scrivere: “Il reddito pro capite” pensate alle migliaia di persone che non sanno cosa significhi esattamente. Basta dire: “Il reddito pro capite, cioè il reddito totale diviso per il numero dei componenti” e vi capiscono tutti. Evitare la litote (doppia negazione): “Non è possibile non evidenziare che…” meglio dire: “E’ bene evidenziare che…”. Evitare i pleonasmi (inutili ripetizioni) tipo “Tassativamente vietato”. Esiste forse un divieto che consente di fare una cosa? Nel caso di una scadenza, anche se molti lo usano come rafforzativo, non ha senso scrivere “Da consegnare entro e non oltre le ore 12.00 del 20 febbraio” dal momento che se è non è oltre, ovviamente, è entro. Attenti alle date (se indicate con i numeri) quando i messaggi possono essere letti anche all’estero, come nel caso di siti web. La data 2/1/06 nel mondo anglosassone significa 1 febbraio, nel resto del mondo 2 gennaio. Meglio scrivere quindi: 2 gennaio 2006. Evitare la forma passiva. Usare frasi affermative rende il testo più breve e diretto. Anziché: “Chi rilascia false dichiarazioni viene punito dalla legge” è preferibile “La legge punisce chi rilascia false dichiarazioni”. Al posto di: “Persone diverse dall'intestatario dell'utenza non possono avanzare richiesta di riduzione” meglio dire “Solo l’intestatario dell’utenza può richiedere una riduzione”. A proposito di leggibilità, Rudolph Flesh ha creato una formula per misurare la leggibilità dei testi. Eccola: L = 206 – (p + 0,6 s) p = numero medio di parole per frase s = numero medio di sillabe per 100 parole Pertanto, le frasi lunghe (con più di 15 parole) che contengono parole lunghe (con molte sillabe) sono più difficili da leggere rispetto a frasi brevi che usano parole corte. Pertanto un periodo non dovrebbe superare le 15 parole e dovrebbe contenere due frasi. Per dare un certo ritmo al testo, ogni due periodi del genere può esserne inserito uno con frasi più lunghe. Pensate che cosa si potrebbe capire di questo testo (tratto da una rivista che dovrebbe servire a chiarire ai lettori come si usano i computer): “Il processo di autenticazione è anche soggetto a un buffer overflow quando l'amministratore si connette al firewall e avviene un handshake per stabilire una sessione cifrata dove il quarto pacchetto del handshake che contiene 4 byte non esistendo lato firewall un controllo di lunghezza dei dati ricevuti, per l'attaccante è possibile costruire una sequenza di pacchetti in modo tale da provocare un overflow dello stack”. La sintesi non va confusa con una prosa scarna. Saper sintetizzare significa: non una parola in più di quella che serve, non una parola in meno. Diceva Michelangelo Bonarroti: ‘Mi chiedono cosa metto nella mia arte per scolpire così bene: non metto nulla. Levo solo la pietra superflua.’ Quindi, una frase come “Alla luce delle considerazioni sopra esposte” diventa “Quindi…”. “Non è possibile escludere una risposta affermativa” diventa “Forse sì”. Un solo concetto per ogni frase: inserire due concetti nella stessa frase complica le cose. Ecco un esempio: Nella frase “A seguito della dichiarazione sostitutiva dell'atto notorio da lei presentata, si comunica che è stato trasmesso per i controlli di competenza all'Ufficio Tecnico Comunale, che ha precisato di non aver rilasciato dichiarazione di inagibilità per l'immobile in oggetto specificato” ci sono due informazioni, correlate tra di loro, ma diverse. Meglio dire: “Con la dichiarazione sostitutiva dell'atto notorio lei ha dichiarato l'inagibilità dell'immobile. L'Ufficio Tecnico Comunale ci ha però precisato di non aver rilasciato nessuna dichiarazione di inagibilità per l’immobile». Sono stati separati i due punti diversi: quello del cittadino e quello dell'ufficio. L’uso delle virgolette ha due impieghi: il primo è riservato alla parole alle quali si intende dare un significato particolare (esempio: il “solerte” intervento, detto con ironia per indicare un intervento avvenuto in ritardo); il secondo per riportare frasi di altri (“Siamo tutti con voi” ha esclamato il caporedattore…). Quando invece si tratta di parole straniere non di uso comune (trial strategy, loyalty) queste devono essere scritte in CORSIVO, non tra virgolette. Invece, per i termini stranieri entrati stabilmente nella lingua italiana (computer, manager, privacy, marketing,) e per i termini tecnici se usati nel contesto specialistico (ad esempio, nell’informatica: software, web, mouse) vanno considerate come normali parole italiane e non richiedono le virgolette. Prima l’esempio, poi la teoria. Quando si devono scrivere dei concetti complessi (teorie, postulati, assiomi) anziché indicarli in tutta la loro complessità, e poi chiarirli con un esempio, è preferibile anteporre l’esempio. Ecco come: “L‘Amazzonia è il polmone del mondo”. Questa metafora chiarisce l’uso della figura retorica la cui definizione (derivata dal greco μεταφορά, metaphérō, «io trasporto») implica un sintetico trasferimento di significato. Si ha quando una parola è sostituita da un’altra, più utile per chiarire il concetto grazie alla sua forte carica espressiva. Dare valore alla grafica. Un testo è fatto anche di spazi bianchi, non solo di parole. Affollare la pagina la rende poco attrattiva. Dopo ogni blocco di venti righe lasciare uno spazio bianco e dopo due/tre blocchi usare un sotto-titolo. Per evidenziare è preferibile usare, senza esagerare, il grassetto al posto della sottolineatura, che si sovrappone alle lettere discendenti: giglio, quote. Rileggere. Le tecniche di revisione di un testo (rewriting) sono indispensabili per evitare di inoltrare messaggi scorretti. E’ buona norma far leggere il testo da un collega, meglio se di un servizio diverso da quello cui appartiene chi scrive, per vedere cosa capisce. I refusi si vedono più chiaramente nei testi altrui piuttosto che nei nostri. Infine, un gioco: leggete questa prefazione e cercate di scriverne una sintesi, più efficace. “In questa prefazione, chi scrive, sente l'imprescindibile compito, quasi un preciso dovere, di dichiarare alcune sconfitte: diversi personaggi che avrebbero dovuto essere intervistati, non compaiono. Per diversi motivi, che sarebbe qui lungo e forse tedioso descrivere in dettaglio, qualche personaggio è sfuggito al dialogo. Non vuole con questo, chi scrive, evitare di ammettere eventuali dimenticanze, così come, a onor del vero, bisogna accreditargli alcuni contrattempi accaduti non per sua colpa. Senza contare, infine, che taluni personaggi ritenuti interessanti ai fini di un intervista, hanno rifiutato di concederla, adducendo motivi più o meno validi, sui quali chi scrive non intende indagare.” Sono 100 parole. Molte inutili. Si può dire molto meglio con solo 27 parole, coma ha fatto in modo magistrale Enzo Biagi. Ecco la vera prefazione, di Biagi, appunto, nel libro "Dicono di lei" (Rizzoli). Eccola: "Comincio con il dichiarare le mie sconfitte: non ci sono tutti. Qualcuno mi è scappato: una dimenticanza, un contrattempo; e poi qualcuno mi ha detto di no".