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ID2006_(PARTE_IV) - culturaservizi.it
Giuseppe Orlando D'Urso
puccino da nove anni nel convento di Corigliano, attestando le sue ottime qualità di religioso.
Tanto numeroso e qualificato concorso di testimoni lascia intendere che il
frate doveva trovarsi in un frangente alquanto delicato, ma non è stato possibile conoscerne la natura, né l'eventuale collegamento con i tumulti provocati dal
tentativo di arresto del Gervasi.
La vicinanza delle date (24 e 26 gennaio) dei due atti notarili ci consegna il
quadro di un momento di tensione all'interno del paese, probabilmente di natura politica considerate le figure coinvolte sia come rei o presunti tali, sia come
testimoni.
Il clima incandescente ed esplosivo è più approfonditamente rappresentato
in una monografia che attende di vedere le stampe, dove è ricostruita la realtà
politica e sociale del paese nelle sue espressioni di fermenti partitici, letterari,
culturali lungo tutto l'Ottocento. Qui ci si riserva di riferire sommariamente su
quelli compresi nel Decennio che si sta esaminando.
La documentazione ricavata dall'Archivio di Stato di Lecce, dall'Archivio
Diocesano di Otranto, dall'Archivio della Confraternita dell'Addolorata di Corigliano, presenta una tensione sociale che parte dal 1799.
Dalla lettura dei documenti (lettere di denuncia, appelli, interventi delle autorità ecclesiastiche e civili, relazioni, ecc.) sembrerebbe trattarsi di uno scontro tra l'arciprete e la Confraternita dell'Immacolata per un primato del primo
sull'altra, per questioni di ordine religioso e pastorale: da un'analisi più attenta
e tra le righe, nonché dai necessari collegamenti con altri fatti, ci si rende conto che in gioco c'era anche dell'altro.
Lo scontro comportò tumulti, sommosse e agitazioni nel paese, serrate della chiesa dell'Immacolata, sospensioni e processi per il parroco, spogliazione
degli arredi della Confraternita, interventi del potere civile, costituzione di due
o più gruppi partigiani, atti di violenza.
Il punto massimo di questa tensione fu l'omicidio del giudice di pace Nicola Maggio il 28 settembre 1809, legato all'arciprete Giovanni Indrimi.
Il processo che seguì vide come indiziati il sacerdote Gaspare Vergine, Giacomo Comi, Nicola Manulio, Francescantonio di Giulio da Nardò, ed altri, ma
dal dibattimento non emersero prove che al di là di ogni ragionevole dubbio richiedessero la condanna, per cui furono tutti assolti 65 .
Ma le carte processuali stabilirono anche
l'esistenza di due partiti in Corigliano, alla testa dei quali da un lato erano le famiglie di Comi e Vergine, e dall'altro quello dell'ucciso Maggio, con precisare
Aste, Gran Corte Criminale, Decisioni, b. 49, anno 1814, decisione del 30 settembre
1814.
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Le leggi eversive del 1806 a Corigliano d'Otranto
che il primo era di pochi discoli, e l'altro esteso, ch'era composto della più sana parte, e fra gli attaccati al primo partito hanno annoverato i fratelli Manuli 66 ,
che
Corigliano era flagellata da due partiti, uno più esteso e l'altro di pochi, ed il
secondo era degli imputati, tal che il cammino della ragione e della verità, dall'uno e dall'altro lato, doveva essere pieno di quegli ostacoli che lo spirito di
partito suoi presentare,
che
essere il Corni con il Vergine alla testa di un partito per affari comunali
riferendosi ad una contestazione sulla formazione di una tassa per le spese comunali.
Sappiamo bene però che Nicola Maggio era annoverato di genio repubblicano, inserito negli elenchi dei rei di Stato 67 ; che Giacomo Comi appare come
ideologo e fondatore di diverse Vendite Carbonare nel Salento, emigrato a Venezia per combattere a fianco di Daniele Manin in difesa della città, dove morì
intorno al 1849 68 ; che il sacerdote don Gaspare Vergine era Gran Maestro della Vendita Carbonara coriglianese denominata I Primi Figli di Attilio Regolo e
che per tale ruolo e per altri fatti e misfatti fu soggetto controllato dalla polizia
borbonica, sospettato di delitti diversi, detenuto nelle carceri di Lecce, perseguito personalmente dal generale Richard Church, arrestato nuovamente e tradotto nel carcere di S. Maria Apparente in Napoli, per essere poi esiliato alla
Favignana, dove pare morì tra il 1842 e il 1843 69 .
Sappiamo inoltre che le riunioni carbonare si tenevano in sicure masserie
fuori dei centri abitati o nelle chiese e, sebbene non esistano prove certe, occorre ritenere che presso la Confraternita dell'Immacolata si riunissero gli aderenti alla setta segreta.
Ibidem.
Cfr. N. VACCA, I Rei di Stato Salentini del 1799, ristampa fotomeccanica, Galatina, Mario Congedo Editore, 1999, p. 238.
6 G. O. D'URso, Corigliano d'Otranto. Memorie dimenticate, cit. pp. 139-140; di più in
IDEM Corigliano d'Otranto. Famiglie (Comi-Maggio-Gervasi-Peschiulli), cit., pp. 23-29 che
riporta anche il verbale degli oggetti rinvenuti nel dissuggellare una cassa di sua proprietà.
69 Su Gaspare Vergine cfr. N. G. DE DONNO, Della Carboneria in Maglie e nel Salento
(con documenti inediti), Maglie, Gioffreda, 1967, p. 65 e ss. e passim; N. VACCA, Un "auto da fè" ed un processo per materialismo a Lecce, in "Archivio Storico Pugliese", a. XIX,
fasc. 1 1V, Gennaio Dicembre 1966, Bari, Arti Grafiche Laterza, 1966, pp. 237-267; G. O.
D'URso, Corigliano d'Otranto. Memorie dimenticate, cit. pp. 127-138. Altre notizie inedite
che servono a completare il profilo nel lavoro che attende le stampe.
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Lì celebrava Gaspare Vergine; il notaio Angelo D'Urso risulta dai documenti 70 essere Oratore nella Vendita de I Primi Figli di Attilio Regolo: era tra
gli agitatori che nella notte del 17 maggio 1812 spogliarono la chiesa della Confraternita; si scaglia verbalmente e fisicamente contro l'arciprete minacciandolo, alla presenza del delegato dell'arcivescovo; sarà controllato dalla polizia
borbonica perché ostentava le insegne costituzionali; ha un ruolo importante all' interno della Confraternita e ne sarà anche priore 71 .
Per non esorbitare dal tema di questo intervento ci si ferma a questi pochi
nomi, aggiungendovi ancora una annotazione.
Le relazioni redatte dal delegato dell'arcivescovo, le lettere inviate dallo
stesso arcivescovo, e altre testimonianze stigmatizzarono pratiche poco religiose, che rasentavano la superstizione, che si svolgevano all'interno della Confraternita: se pur non esplicitati, si deve ritenere trattarsi dei cerimoniali carbonari 72 .
Ricollegandoci al discorso principale, si può affermare sulla base della documentazione acquisita che la realtà politica coriglianese in quegli anni era in
fermento: due partiti erano in contrasto per affari comunali che non potevano
certamente essere estranei ai rivolgimenti politici e amministrativi posti in essere dalle leggi del Decennio francese.
Quegli affari comunali non possono essere identificati nella disputa sulla
formazione di una tassa comunale (come si legge nel verbale della sentenza),
ma dovevano investire interessi più ampi: ragioni meschine di controllo delle
casse comunali, della disponibilità dei demani comunali, della gestione del territorio; motivazioni più politiche di appoggio o di contrasto al nuovo corso rivoluzionario francese.
Rimangono oscure le reali posizioni delle parti, di chi era favorevole al governo francese e di chi lo osteggiava; di chi guardava a quelle riforme come
strumento e momento di emancipazione collettiva e di chi le voleva sfruttare
per il tornaconto personale; di chi assumeva atteggiamenti moderati e di chi rivoluzionari. È un tema su cui si continua ad indagare.
Epilogo finale di questo Decennio (ma non dei sommovimenti a Corigliano
70 Aste, Intendenza di Terra d'Otranto, Atti di polizia, Associazioni segrete e reati contro
lo Stato, b. 9, fasc. 392, anno 1815: nel fascicolo è presente la fotocopia del diploma con
l'annotazione che l'originale è conservato tra le pergamene.
71 Su Angelo D' Urso, onnipresente nel panorama sociale e politico e autore anche di una
commedia, v. G. O. D'URSO, Corigliano d'Otranto. Memorie dimenticate, cit., pp. 140-149,
ma molto altro attende le stampe.
72 Sui cerimoniali praticati nelle sette carbonare v. A. OTTOLINI, La Carboneria dalle origini ai primi tentativi insurrezionali (1797 1817), in "Collezione Storica del Risorgimento
Italiano", volume XVI, Serie I, Modena, Soliani, 1936-XIV; O. DITO, Massoneria Carboneria ed altre Società Segrete nella storia del Risorgimento italiano, Torino, S.T.E.N., 1905.
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Le leggi eversive del 1806 a Corigliano d'Otranto
negli anni successivi) fu la sommossa del 25 maggio 1815: la caduta di Gioacchino Murat aveva riportato sul trono del Regno di Napoli Ferdinando IV, eccitando molti spiriti borbonici che diedero sfogo ad atti di giubilo non disgiunti da gravi azioni vandaliche sia contro le persone, sia contro la cosa pubblica.
Manifestazioni simili si registrarono a Casarano, Martano e Gallipoli, sulle quali si ha documentazione presso l'Archivio di Stato di Lecce 73 .
A Corigliano, per tutta la giornata del 25 maggio, fino a notte inoltrata, un
gruppo di borbonici giubilanti — tutti successivamente identificati — scorribandò per il paese provocando incendi, seminando terrore, danneggiando abitazioni private, picchiando cittadini di parte avversa, e cosa ancor più grave, appiccando un incendio alla Casa Comunale, con relativa distruzione di documenti.
Tra altri, subirono percosse e violenze il notaio Angelo D'Urso e la sua famiglia.
Si deve all'intemperanza di costoro se l'Archivio Comunale coriglianese
subì una grave perdita di documentazione che conservava la memoria storica
del paese, ma vi fu ovviamente chi aveva interesse a distruggere documenti
compromettenti nella Restaurazione che si apriva.
Negli atti della Gran Corte Criminale di Terra d'Otranto questi fatti (così come quelli nei paesi limitrofi, anch'essi con incendio del Comune) furono minimizzati, poiché "la sommossa ebbe luogo il 25 maggio 1815 negli slanci di
gioia esternati alla prima notizia del fausto ritorno delle armi di Sua Maestà nei
suoi Stati" e considerando che "non intervennero misfatti contro le persone da
meritare l'esecuzione compresa nell'articolo 2° della Reale Indulgenza" 74 .
Questi pochi esempi emersi dalle carte, autorizzano a ritenere che gli stessi
rappresentassero i momenti più palesi di una realtà alquanto in fermento: non
sono ipotizzabili situazioni fortemente esplosive in assenza di una condizione
animata, di uno stato di tensione, di un contraddittorio dialettico e partitico.
Va perciò rilevato, da un lato che il paese era coinvolto nelle vicende politiche più generali al pari d'altri centri salentini più importanti come Martano,
Gallipoli, Casarano, con presenze sia filoborboniche, sia filoliberali, capaci di
mobilitare manipoli di accoliti; dall'altro che il paese viveva le eccitazioni provocate dalla presenza di due gruppi partitici contrapposti.
Si delinea, ma in maniera ancora molto sfocata, una realtà coriglianese che
si apriva alle nuove suggestioni che erano state alla base della Rivoluzione Partenopea e che continuarono ad insinuarsi lentamente tra la nuova borghesia, importate ed alimentate da quegli intellettuali che frequentavano Napoli e gli ambienti liberali, nonché dalle leggi eversive e riformatrici del Decennio francese.
73
AsLe, Gran Corte Criminale, Decisioni, b. 51, anno 1815.
decisione del 2 dicembre 1815.
74 IVI,
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6. Il demanio comunale
Quella sfocata realtà coriglianese si rispecchia anche nell'area qui indagata,
mescolando figure pregne di idealità con speculatori e arrampicatori sociali che
approfittarono delle leggi eversive con particolare attenzione a quelle relative
alla questione demaniale.
Le leggi che seguirono immediatamente quella del 2 agosto 1806 prevedevano la vendita di tutti quei terreni aperti, colti o incolti, sui quali insistevano
gli usi civici e le promiscuità con il fine di creare una nuova classe di proprietari che avrebbe fatto buon uso delle terre e perciò rianimato l'agricoltura e ristorato la piccola economia.
Fu solo una dichiarazione di principio perché, come è stato rilevato dalla
maggioranza degli studiosi, di fatto non si preposero le condizioni affinché i
meno abbienti potessero acquistare qualche proprietà; non si previdero incentivi o agevolazioni tali che aiutassero i contadini nelle spese per la coltivazione
di quelle terre (anzi si pretendeva immediatamente il pagamento dell'imposta
fondiaria).
Questi demani si sarebbero dovuti dividere tra i Comuni e i baroni, sulla base dei diritti di ognuno, ma i Comuni avevano diritto di prelazione sulle terre
più vicine al centro abitato.
Infine, i Comuni avrebbero dovuto procedere alla quotizzazione, ossia alla
vendita in piccole quote di quelle terre a favore dei cittadini.
Non meraviglia la scarsità di atti relativi a questioni demaniali nell'Archivio di Stato di Lecce, come se in Terra d'Otranto il problema non si sia posto
in misura sensibile.
La documentazione conservatavi si riferisce ad un lavoro preparatorio consistente in mandati agli agenti per la ripartizione dei demani, in notifiche delle
sentenze della Commissione Feudale, in nomine dei periti, in valutazioni dei
beni, in redazione di carte e mappe, in solleciti nel procedere alle assegnazioni,
in scambi di corrispondenza non sempre strettamente legata alla questione demaniale. Nel corso del primo Decennio non si evidenziano atti concreti di riparti delle aree demaniali e si ritiene che le ragioni debbano essere ricercate in
almeno quattro direzioni.
Si è già detto dell'atteggiamento francese che non intendeva distruggere la
proprietà e le sentenze sopra riportate confermano questo orientamento.
Anche di una seconda direzione che possa spiegare le ragioni si è fatto cenno, relativamente alle limitate reali e concrete aree di proprietà feudale e comunale.
A riprova dell'affermazione valga quanto il 23 luglio 1809 Vincenzo Mandotti, agente per la ripartizione dei demani, scriveva all'Intendente, conte Milano: in Galatina i demani da dividersi erano ex feudali, non essendovi comunali, all'infuori di alcuni pezzetti di due, massimo otto canne, intorno all'abitato,
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Le leggi eversive del 1806 a Corigliano d'Otranto
peraltro malsani e per i quali si auspicava una pronta assegnazione per bonificare i luoghi 75 .
Il demanio ex feudale in questione era rappresentato dall'area detta Pisano
e il 6 settembre 1810 Domenico Acclavio, Regio Procuratore Generale presso
la Corte di Assise di Altamura, Regio Commissario incaricato della divisione
de' Demani nelle provincie di Bari, Lecce e Basilicata, pronunciò la sua determinazione assegnando al Comune di Galatina centotrentotto tomola da staccarsi nella parte più vicina all'abitato 76 .
La terza direzione porta a considerare l'assenza di una coscienza di classe
tra i contadini: presente nella Francia rivoluzionaria del 1789, aveva consentito
di realizzare il totale abbattimento delle prerogative feudali e la spartizione delle terre; dove percepita, in altre parti d'Italia, ebbe una parziale applicazione;
totalmente assente in Terra d'Otranto, favorì le classi privilegiate.
L'ultima porta a riflettere su chi aveva interesse ad incamerare nel demanio
aree feudali: le leggi eversive avevano posto fine allo scontro tra nuova borghesia e antica nobiltà, anzi quelle leggi avevano favorito l'incontro dei due ceti, tanto che quei galantuomini erano legati ai nobili decaduti, per intrecci famigliari, per interessi economici.
A Corigliano, i Comi (baroni per aver acquistato il titolo), ricchi possidenti,
erano collegati con i Cimaglia di Viesti, con i Peschiulli (ricchi proprietari), con
gli Indrimi di Corigliano, con i Grezi di Lucugnano 77 .
Nella famiglia Gervasi (commercianti, galantuomini) una Marianna si univa in matrimonio con Raffaele De Marco da Tutino; un Orazio sposava Matilda della famiglia Anchora; Nicola Gervasi, figlio di Orazio, nella seconda metà dell'Ottocento, convolava a nozze con Concetta Cezzi da Maglie 78 .
La famiglia Maggio aveva vincoli di San Giovanni con le famiglie feudatarie dei Trani, dei Filomarini di Cutrofiano, dei Lopez y Royo di Taurisano, con
i marchesi di Caprarica, padrini in molti battesimi 79 .
I Peschiulli, infine, intrecciavano parentele su tutto il territorio: con i Favale di Taviano, i Raeli di Gallipoli, i Salomi di Soleto, gli Anchora e i Buja di
Corigliano 80 .
Questo stato delle cose era riscontrabile anche nelle altre realtà limitrofe e
AsLe, Intendenza di Terra d'Otranto, Demani Comunali, b. 16, fasc. 181.
76 Ivi, fasc. 182.
77 Cfr. G. O. D' URSO, Corigliano d'Otranto. Memorie dimenticate, cit. pp. 139-140; di più
in IDEM Corigliano d'Otranto. Famiglie (Comi-Maggio-Gervasi-Peschiulli), cit., pp. 23 e
29.
78 Ivi, pp. 56-57.
79 /Vi, pp. 73-74.
80 /Vi, V. l'albero genealogico.
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conferma l'analisi generale di Maria Sofia Corciulo che individua nei maggiorenti locali coloro che
avevano non soltanto i mezzi economici per impadronirsi delle terre e per coltivarle, ma anche quelli psicologici per dissuadere le autorità comunali dal procedere celermente ad una suddivisione delle stesse 81
avendo negli stessi amministratori locali uomini a loro soggiogati sia per influenze psicologiche, sia economiche, sia famigliari, quando non erano direttamente presenti.
Emblematiche sono le lettere di rimostranze degli agenti. Sempre l'agente
Mandotti spiega le ragioni del ritardo nell'espletamento del suo mandato, denunciando
gli incidenti che tratto tratto fan nascere le parti interessate, l'indifferenza dei
Sindaci, e de' Decurionati, e la poca o nulla premura de' Particolari per l'acquisto de' beni Demaniali sono la cagione della lentezza con la quale camina
[sic] l'operazione della divisione de' Demani 82 .
Molto più evidente risalta la resistenza alla demanializzazione dalla corrispondenza tra l'altro agente Silvio Bonavoglia e Domenico Acclavio. Già il 23
agosto 1809 la Commissione Feudale aveva emesso la sua sentenza sulla destinazione del demanio di Roca, stabilendo che
siccome l'esteso demanio, ed agreste, del territorio di Roca, si appartiene all'Università, così a norma della nuova legge, se ne deve fare la ripartizione ad
oggetto di renderlo culto e fruttifero
ma solo nel febbraio 1811 l'Intendente dava l'incarico al Bonavoglia di valutare gli usi civici. L'agente tentò vanamente di adempiere il suo compito in tempi rapidi, recandosi nel mese di marzo a Melendugno dove non fu ricevuto dal
sindaco. Ritornato a maggio, così relazionò direttamente all'Acclavio:
Venerdì 12 del corrente mi condussi per la seconda volta nella Comune di Melendugno per le operazioni da eseguirsi su i Demani ex feudali della Comune
di Roca, ed andiedi investito di ordini del Sig. Intendente, ad oggetto che quel
Sindaco per la prima volta fu riluttante a ricevermi e far disimpegnare il mio
incarico; ma con dolore debbo dirvi, che costui si rese disprezzante degli ordi-
81 M. S. CORCIULO,
Dall'amministrazione alla costituzione. I Consigli Generali e Distrettuali di Terra d'Otranto nel decennio francese (1806-1815), cit., p. 17.
82 Aste, Intendenza di Terra d'Otranto, Demani Comunali, b. 16, fasc. 181.
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