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Il ruolo del notaio nel testamento pubblico e il problema

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Il ruolo del notaio nel testamento pubblico e il problema
N. 10 OTTOBRE 2011 • Anno XXVII
RIVISTA MENSILE
de Le Nuove Leggi Civili Commentate
ISSN 1593-7305
LA NUOVA
GIURISPRUDENZA
CIVILE
COMMENTATA
Estratto:
maddalena cinque
Il ruolo del notaio nel testamento pubblico
e il problema della capacità naturale
dell’“ageing testator”
Cass., 25.3.2011, n. 6978
Secondo Ziviz, Il danno non patrimoniale: istruzioni per l’uso, in Resp. civ. e prev., 2009, 94, la selezione dei danni non patrimoniali rilevanti opera in
ambito contrattuale attraverso il filtro della prevedibilità che appare alternativo e non già ulteriore rispetto alla griglia di casi tipici individuata dall’art.
2059 cod. civ.; ed ancora, in La scivolosa soglia dei
diritti inviolabili, ivi, 2011, 1296, evidenzia l’estrema
difficoltà che la giurisprudenza incontra nel manipolare con coerenza il filtro dei diritti inviolabili. La
soglia della risarcibilità diviene, ove si ricorra a tale
criterio, estremamente scivolosa, in quanto la configurazione di una veste inviolabile, per il diritto leso,
finisce per essere rimessa esclusivamente alla discrezionalità del giudice.
Sulla necessaria prevedibilità dei danni non patrimoniali cagionati da comportamento colpevole del
debitore, quale fattore limitante non solo il quantum
ma anche l’an del risarcimento Gazzara, Il danno
non patrimoniale da inadempimento, Esi, 2003, 69.
Sulla serietà della lesione, anche in tema di danno
non patrimoniale contrattuale si veda, invece, Navarretta, Il danno non patrimoniale contrattuale:
profili sistematici di una nuova disciplina, in Contratti, 2010, 728 ss., secondo la quale anche in tema di
danno non patrimoniale contrattuale il danno bagat-
c CASS. CIV., II sez., 25.3.2011, n. 6978
Conferma App. Torino, 29.11.2004
Successione ereditaria - Testamento
pubblico - Difetto di sottoscrizione
del testatore - Grave difficoltà a
sottoscrivere - Dichiarata «spossatezza» ex art. 603, comma 3o, cod. civ.
- Incapacità naturale del testatore Esclusione (cod. civ., artt. 591, 603; l.
16.2.1913, n. 89, artt. 27, 28, 47, 51)
La presenza dell’Ufficiale rogante alla redazione del testamento pubblico, e la successiva attestazione delle dichiarazioni rese dal testatore circa il proprio stato di
spossatezza e sfinimento, possono costituire elementi sufficienti a dimostrare che
la mancata apposizione della firma non è
1030
Successione ereditaria
tellare non ha cittadinanza, né in base alla regola
frutto dell’interpretazione a tutela dei diritti inviolabili, perché nel concetto stesso di diritto inviolabile
è immanente il riferimento a un livello così elevato
di valori da escludere il richiamo ad offese irrisorie e
tollerabili, né in base alla disciplina convenzionale
fondata sull’interpretazione del contratto secondo
buona fede, che è clausola generale tradizionalmente e storicamente legata – in campo privatistico – al
principio della tolleranza. Insomma, sia il bilanciamento di interessi desumibile dal contratto ex fide
bona sia quello cristallizzato dal legislatore collocano il punto di equilibrio fra danneggiato e danneggiante sul piano di una minima gravità dell’offesa.
La serietà dell’offesa costituirebbe, quindi, il parametro selettivo idoneo a dar rilevanza a tale tipo di
danno (per lo più attinente a sensazioni negative di
natura emotiva) per l’ordinamento.
Anche Pedrazzoli, 526, ritiene che il filtro della
risarcibilità sarà comunque adempiuto operando il
bilanciamento dei beni o interessi che entrano in
conflitto, stabilendo così il «prezzo dell’intollerabilità dell’inefficienza».
Lucia Faltoni
dipesa da incapacità di intendere e di volere.
(massima non ufficiale)
dal testo:
Il fatto. Con citazione del 1998, C.E. conveniva di fronte al tribunale di Torino alcuni soggetti, nominati nel testamento di C.G.C., deceduto nel corso dello stesso anno, onde ottenere
la declaratoria di nullità del testamento di quest’ultimo, redatto per atto pubblico nel 1997,
per incapacità naturale del testatore al momento dell’atto.
Si costituivano N.F., G., M.E., G., G., L. e
C.C., questi ultimi quali subentranti nella successione del de cuius, per rappresentazione,
NGCC 2011 - Parte prima
Cass., 25.3.2011, n. 6978
a S. e C.P. e resistevano alla domanda attorea.
Con sentenza del 2001, l’adito Tribunale respingeva la domanda e regolava le spese; avverso tale decisione proponeva appello C.E., cui
resistevano tutti i predetti, mentre, come già in
prime cure, il Comune di Racconigi e P.F. restavano contumaci. Previa ammissione ed
espletamento della prova testimoniale formulata sin dal primo grado dati appellante, con sentenza in data 20.7./29.11.2004, la Corte di appello di Torino respingeva il gravame e regolava le spese.
Osservava la Corte subalpina, che lo stato di
incapacità naturale del testante al momento
dell’atto non era risultata provata dal testimoniale escusso, mentre era condivisibile la CTU
disposta ed espletata in primo grado e la mancata sottoscrizione del testatore era stata registrata dal notaio rogante come giustificata da
spossatezza e sfinimento, elementi questi che
non attestavano una incapacità di intendere e
di volere in capo al de cuius.
In esito ad una compiuta analisi di tutti gli
elementi acquisiti agli atti, la Corte distrettuale
riteneva inconsistenti i motivi di appello come
proposti.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre, sulla base di due motivi, illustrati anche con memoria, C.E.
Resistono con separati controricorsi, il N. da
un lato e i C. dall’altro, mentre gli altri intimati
non hanno svolto attività difensiva.
I motivi. Con il primo motivo, si lamenta vizio di motivazione su di un punto decisivo della controversia: la capacità del testatore al momento in cui fu redatto il testamento e la sua situazione di continua infermità mentale.
Con riferimento alla testimonianza resa da
N.d.A.M. V., già direttrice della Casa di riposo
San Vincenzo nel periodo in cui vi fu ricoverato C.G.C., la quale ha deposto nel senso che il
predetto fu spostato in un’area della casa di cura destinata a persone non autosufficienti, in
ragione delle sue manifestazioni, quali gridare,
buttarsi in terra e così via.
Si lamenta che la valutazione della Corte subalpina sarebbe stata impropriamente conclusa nel senso che le manifestazioni suddette sarebbero state dovute ad una situazione di incaNGCC 2011 - Parte prima
Successione ereditaria
pacità fisica e non mentale, mentre le stesse, o
almeno alcune di esse, dimostravano una grave
incapacità psichica.
Premesso che la valutazione de qua è tipicamente di fatto e, come tale, insindacabile
in sede di legittimità, devesi aggiungere che
le manifestazioni descritte dalla teste appaiono obiettivamente opinabili, non tali da attestare uno stato di permanente incapacità
mentale.
Con riguardo alla valutazione delle censure
mosse dall’odierna ricorrente alla CTU, la sentenza impugnata ha affermato che non era risultato che lo stato di malattia all’apparato gastrointestinale del C. ed il conseguente suo
progressivo deperimento organico avessero cagionato incapacità di autodeterminarsi. Ci si
duole per un verso del metodo seguito dal
CTU per giungere alla conclusioni rassegnate e
per altro verso della mancata valutazione di
tutte le condizioni personali del de cuius, che,
nel loro complesso, avrebbero cagionato incapacità di intendere e di volere.
Trattasi anche in tal caso di valutazioni di
natura tecnica, cui il CTU è pervenuto in esito
ad una attività accertativa svolta post mortem e
quindi documentale, che con giudizio né incongruo, né illogico, la Corte distrettuale ha ritenuto valide e sostanzialmente condivisibili; è
comprensibile che a quegli stessi dati possa essere attribuito un significato diverso, ma tanto
non toglie valenza alle conclusioni raggiunte
nella sentenza impugnata.
Quanto ancora alla valutazione complessiva
degli elementi probatori, non vengono evidenziati vizi obiettivamente idonei a scalfire la
correttezza dell’iter argomentativo seguito né
la plausibilità dello stesso, per cui, trattandosi
di valutazione discrezionale, istituzionalmente
demandata al giudice del merito, il prospettare una lettura diversa di quegli stessi elementi
non è sufficiente a svilire il ragionamento
svolto al riguardo nella sentenza impugnata,
ma solo a ipotizzare una possibile diversa tesi,
inidonea peraltro a togliere valenza a quella
ritenuta più congrua nella sentenza impugnata.
In base a tali considerazioni, il primo motivo
di ricorso non può trovare accoglimento.
Con il secondo mezzo, ci si duole di vizio di
motivazione in ordine alla mancata sottoscri1031
Cass., 25.3.2011, n. 6978 - Commento
zione del testamento pubblico da parte del testatore.
Il profilo in questione, più volte esaminato
dalla giurisprudenza, trova, secondo la Corte
subalpina, idonea spiegazione nella attestazione del notaio rogante, che ha dato contezza nell’atto delle ragioni che avevano indotto
il C. a non sottoscrivere il testamento pubblico.
Invero, la presenza dell’Ufficiale rogante alla
redazione di tutto l’atto, e la successiva attestazione delle dichiarazioni rese dal testatore circa
il proprio stato di spossatezza e sfinimento sono state considerate elementi convergenti e
sufficienti a dimostrare che la mancata apposizione della firma non dipendeva da volontà di
invalidare l’atto né da incapacità di intendere e
di volere.
Tali conclusioni, segnatamente rafforzate
dalla presenza del notaio, che ovviamente non
ha ravvisato nel testatore segni di incapacità di
intendere e di volere, possono essere certamente discusse, ma non private della intrinseca valenza che le contraddistingue, atteso anche che
le condizioni fisiche del C., ampiamente documentate, ben potevano essere causa di sfinimento e di spossatezza, fenomeni di incapacità
fisica che non attingevano a profili di incapacità mentale.
Anche il secondo motivo pertanto non può
trovare accoglimento.
Trattasi di situazione particolarmente delicata, la cui soluzione peraltro è stata basata su
elementi concreti, debitamente valutati e plausibili, non contrastanti in modo assoluto con
emergenze processuali inidonee, da sole, a svilire le argomentazioni utilizzate onde pervenire
alla decisione adottata.
Tali considerazioni conclusive appaiono valido motivo per compensare interamente tra le
parti le spese relative al presente procedimento
per cassazione. (Omissis)
[Schettino Presidente – Goldoni Estensore –
Lettieri P.M. (concl. conf.). – C.E. (avv.ti Canepa,
Palmieri e Roppo) – C.G. ed al. (avv. Gigliotti) –
N.F. (avv. Gentilli) – Comune di Racconigi ed al.
(contumaci)]
Successione ereditaria
Nota di commento: «Il ruolo del notaio nel testamento pubblico e il problema della capacità
naturale dell’“ageing testator”» [,]
I. Il caso
Un uomo anziano e malato – ricoverato in casa di
cura, in un’area riservata alle persone non autosufficienti – fa testamento pubblico, senza però sottoscriverlo. Il notaio menziona – come causa dichiarata della mancata sottoscrizione ex art. 603, comma 3o, cod.
civ. – la «spossatezza» e lo «sfinimento» del testatore.
Dopo la morte dell’anziano, il testamento viene
impugnato per incapacità naturale del testatore da
chi, altrimenti, sarebbe risultato erede legittimo del
de cuius. La domanda di annullamento viene respinta sia in primo, che in secondo grado. Risultano tre i
principali profili probatori presi in considerazione
dai giudici di merito: la testimonianza della allora direttrice della casa di cura, che spiegava come la scelta
di ricoverare l’anziano in quel particolare reparto era
legata a suoi abituali accessi, quali urlare e gettarsi a
terra; la consulenza tecnica d’ufficio post mortem,
dunque esclusivamente documentale; e infine gli elementi desumibili dal fatto della mancata sottoscrizione del testamento pubblico da parte del testatore.
I giudici hanno ritenuto che le manifestazioni descritte dalla teste fossero dovute a una «incapacità fisica e non mentale»; e che, condivisibilmente, la consulenza non avesse derivato alcuna relazione necessaria tra il progressivo deperimento organico del de
cuius e una sua pretesa incapacità di autodeterminarsi. Quanto alla mancata sottoscrizione del testamento pubblico, viene da loro escluso – come si approfondirà – che il “rifiuto” a sottoscrivere sia dipeso da
incapacità di intendere e di volere del testatore.
Con i due motivi del ricorso per cassazione si lamenta vizio di motivazione con riferimento, rispettivamente, alla capacità naturale del de cuius al momento della redazione del testamento pubblico e alla sua mancata sottoscrizione della scheda testamentaria. La Supr. Corte respinge entrambi i motivi rilevando come valutazioni nel merito, che pure potrebbero portare a diverse conclusioni, le sono
(ovviamente) precluse; quanto poi al sindacato di
sua competenza, la Cassazione non riscontra vizi
nell’iter argomentativo, che considera congruente e
plausibile. È, però, attorno al profilo della mancata
sottoscrizione che si concentra l’interesse per la pronuncia; a più riprese il S.C. mostra di dare particolare rilievo alla presenza del notaio durante la redazione dell’atto e alla sua attestazione circa la dichiarazione di spossatezza del testatore: non solo per giu-
[,] Contributo pubblicato in base a referee.
1032
NGCC 2011 - Parte prima
Cass., 25.3.2011, n. 6978 - Commento
stificare la non-invalidità ex art. 603, comma 3o, cod.
civ., del testamento privo di sottoscrizione, ma anche per dedurre che da questo fatto non poteva trarsi un argomento per sostenere l’incapacità di intendere e di volere del testatore al momento della confezione dell’atto. Sul punto, alcuni passaggi della
sentenza inducono a sottoporre a verifica il peso
attribuito all’attività del notaio, sia con riguardo alla mancata sottoscrizione del testamento pubblico, sia – più in generale – per l’indagine sulla capacità naturale del testatore.
Merita poi attenzione un ulteriore aspetto, rimasto
sullo sfondo della pronuncia. La fattispecie da cui origina la sentenza sembra infatti partecipare del problema rappresentato – se non dall’incapacità naturale –
dalla “vulnerabilità” del testatore medio, sempre più anziano in conseguenza dell’aumento dell’aspettativa di vita. La questione della validità di testamenti frutto di una profonda fragilità emotiva dell’anziano desta sempre più l’attenzione di dottrina e legislatori, italiani e stranieri. A questo proposito, è opportuno anche domandarsi se il testamento pubblico rappresenti o meno – rispetto allo
strumento olografo – un utile “filtro preventivo” alle scelte non consapevoli dell’incapace
naturale e dell’anziano vulnerabile.
II. Le questioni
1. Mancata sottoscrizione e capacità naturale del testatore: il ruolo del notaio. Dalla
sentenza che si commenta – e dalla pronuncia di appello, per quanto richiamata – emerge come l’attività del notaio sia stata considerata rilevante per il giudizio sulla capacità naturale del testatore sotto due
profili, non del tutto coincidenti.
In un primo senso, è servita a escludere che la
mancata sottoscrizione potesse essere dovuta a (e
dunque anche indizio di) incapacità di intendere e
di volere del testatore: «[L]a presenza dell’Ufficiale
rogante alla redazione di tutto l’atto, e la successiva
attestazione delle dichiarazioni rese dal testatore circa
il proprio stato di spossatezza e sfinimento sono state
considerate elementi convergenti e sufficienti a dimostrare che la mancata apposizione della firma non dipendeva [...] da incapacità di intendere e di volere».
Questo percorso argomentativo della Corte d’Appello non è stato censurato dal S.C. e, per poterlo
valutare, è opportuno prima precisare alcuni aspetti
della disciplina prevista per l’ipotesi di mancata sottoscrizione del testamento pubblico.
Al fine di evitare la nullità del testamento pubblico per difetto di sottoscrizione da parte del testatore, il notaio – ex artt. 603, comma 3o, e 606
cod. civ. – deve menzionare la dichiarazione con
cui il de cuius indica la causa della sua impossibiliNGCC 2011 - Parte prima
Successione ereditaria
tà, o grave difficoltà, a firmare (sul punto anche
l’art. 51, n. 10, l. 16.2.1913, n. 89, Ordinamento del
notariato e degli archivi notarili – da qui semplicemente «l. not.» – in cui però manca la previsione
della «grave difficoltà» a sottoscrivere). La causa
dell’impedimento deve essere dunque dichiarata
dal testatore, non attestata dal notaio, che – rispetto a questo adempimento – è poco più che un nuncius (cfr. Cass., 17.6.1991, n. 6838, in Vita not.,
1992, 337). Nel caso di specie, l’adempimento è
stato compiuto dal notaio, ma forse si sarebbe potuto mettere in dubbio che l’endiadi «spossatezza»
e «sfinimento» rappresenti una causa sufficientemente specifica per motivare la mancata sottoscrizione; non sembra un caso, del resto, che questo
aspetto abbia catturato l’interesse nelle notizie di
agenzia relative alla pronuncia (Diritto e Giustizi@,
ad esempio, ha titolato: «Non firma perché “spossato e sfinito”: testamento valido»).
Il profilo è astrattamente rilevante perché un’indicazione insufficiente della causa di impedimento
viene equiparata alla sua completa omissione, determinando la nullità dell’atto (v. Boero, 324, infra,
sez. IV; Pacifico, Le invalidità degli atti notarili,
Giuffrè, 1992, 134). Sul punto, però, la giurisprudenza non offre criteri abbastanza sicuri per marcare il discrimine tra formulazioni generali, ammesse,
e formulazioni invece del tutto generiche, dunque
insufficienti (ad esempio, secondo Cass., 3.6.1957,
n. 2017, non basta che il testatore dica che non si
sente bene, mentre per Cass., 1o.2.1992, n. 1073, è
sufficiente indicare che l’impedimento è dovuto a
malattia, senza precisare la sua natura e gravità; entrambe le sentenze sono citate infra, sez. III). Nel
caso di specie, tuttavia, la questione non è stata affrontata né nel merito (a quanto risulta), né per i rilievi di legittimità che avrebbe potuto suscitare.
D’altra parte, un esplicito passaggio argomentativo – operato dai giudici di merito e avallato dal S.C.
– sembra da censurare, ovvero che l’“attestazione”
notarile delle dichiarazioni rese dal testatore sia in
grado di dimostrare «che la mancata apposizione della firma non dipendeva [...] da incapacità di intendere
e di volere». La menzione del notaio non presuppone – né potrebbe – una sua indagine sulla corrispondenza tra causa dichiarata dal testatore e realtà delle
sue condizioni; essa, quindi, non sembra in grado di
provare, o di fornire un indizio significativo, che
non ci fosse un legame tra la mancata sottoscrizione
e uno stato di incapacità naturale del testatore. Il
“rifiuto” a sottoscrivere dovrebbe essere considerato, sotto questo profilo, come una circostanza neutra, o addirittura – in virtù della genericità della giustificazione addotta dal de cuius nel caso di specie –
unirsi agli indizi che inducano a sospettare, considerati nel loro insieme, una mancanza di lucidità nel
1033
Cass., 25.3.2011, n. 6978 - Commento
testatore. A sostegno di questa conclusione si può
notare in via generale che la divergenza tra causa dichiarata ed effettiva condizione del testatore – equiparata per la nullità dell’atto all’assenza di sottoscrizione tout court – può essere accertata in un successivo giudizio (di merito), non dunque dal notaio in
via preventiva (v., ad esempio, Cass., 6.11.1996, n.
9674 e Cass., 5.11.1990, n. 10605, entrambe infra,
sez. III).
Come si accennava sopra, nella sentenza che si
commenta viene dato rilievo alla attività del notaio
anche sotto un ulteriore profilo, che si collega più
direttamente al giudizio sulla capacità di intendere e
di volere del testatore. Infatti la Cassazione, non solo afferma – a torto, si è detto – che la presenza del
notaio escluderebbe una possibile relazione tra mancata sottoscrizione e incapacità naturale del testatore, ma aggiunge incidentalmente che «tali conclusioni» risultano «segnatamente rafforzate dalla presenza
del notaio, che ovviamente non ha ravvisato nel testatore segni di incapacità di intendere e di volere». In
questo passaggio il Collegio sembra innanzitutto
tradire la consapevolezza circa l’insufficienza delle
ragioni portate a sostegno delle precedenti conclusioni; in secondo luogo, nel ricostruire la correttezza
della motivazione del giudice d’appello mostra di
appoggiarsi nuovamente – anche se solo ad adiuvandum – alle prerogative notarili. Sembra quindi necessario provare a chiarire quale rilievo possa essere
attribuito alla attività del notaio nella redazione del
testamento pubblico, e per farlo si devono “intrecciare” le disposizioni che definiscono i suoi obblighi
con riferimento all’indagine sulla capacità naturale
della parte.
La regola-cardine contenuta nell’art. 27 l. not. stabilisce per il notaio l’obbligo di prestare il suo ministero ogni volta che ne sia richiesto; l’importanza
dell’obbligo è chiarita dalle gravi sanzioni connesse
alla sua violazione, tanto di natura disciplinare [artt.
138, comma 2o, e 142, lett. b), l. not.], quanto penale
(art. 328 cod. pen.). Il successivo art. 28 l. not. prevede le limitate eccezioni a quest’obbligo: gli atti che
il notaio non può ricevere. Tra queste eccezioni qui
rileva quella relativa agli atti «espressamente proibiti
dalla legge» (art. 28, n. 1); nell’interpretare questa
espressione la Cassazione, infatti, aveva consolidato
una lettura estensiva, che comprendeva non solo gli
atti nulli, ma anche quelli annullabili, come gli atti
compiuti dall’incapace naturale (v., a solo titolo di
esempio, Cass., 18.2.1969, n. 562 o Cass.,
10.11.1992, n. 12081, infra, sez. III). Questa interpretazione dell’art. 28 l. not. veniva convincentemente contrastata dalla dottrina maggioritaria, e da
parte della giurisprudenza di merito, sulla base di
una varietà di argomenti che non è qui il caso di ripercorrere (argomento letterale, sistematico, rico1034
Successione ereditaria
struzione della volontà del legislatore, ecc.); a partire dalla fine degli anni ’90 l’orientamento è stato recepito dalla Supr. Corte, che ritiene ora esclusi dall’ambito di applicazione dell’art. 28, n. 1, i vizi che
comportano l’annullabilità o l’inefficacia dell’atto
(in luogo di molti, sul punto cfr. Boero, 183 ss. e
Triola, 44 ss., infra, sez. IV; il revirement giurisprudenziale si deve a Cass., 11.11.1997, n. 11128; tra le
pronunce più recenti v. Cass., 14.2.2008, n. 3526,
entrambe infra, sez. IV). Come già faceva la dottrina
prima di questo mutato indirizzo giurisprudenziale,
ora l’impossibilità per il notaio di ricevere un atto
quando si accorga che la parte manca della capacità
naturale viene comunque derivata per altra via; l’art.
47, comma 2o, l. not., impone al notaio di «indaga[re] la volontà delle parti» e tale volontà – si osserva
– deve intendersi come consapevole (così, ad esempio, Di Fabio, Manuale di notariato, 181, infra, sez.
IV; dello stesso tenore è pure l’art. 67, comma 1o,
r.d. 10.9.1914, n. 1326, Che approva il regolamento
per l’esecuzione della l. 16.2.1913, n. 89, riguardante
l’ordinamento del notariato e degli archivi notarili).
Sul punto è bene intendersi. Al notaio è imposto
di indagare quale sia la volontà delle parti (nel caso
del testamento, ovviamente, del solo testatore) rispetto all’atto e al suo contenuto; nel fare questo egli
dovrà arrestarsi, non potrà ricevere il testamento,
quando si accorga dell’incapacità di intendere e di
volere del testatore. A questo proposito i commentatori scelgono significativamente verbi quali «accorgersi», «avvedersi» ecc., e spesso l’incapacità naturale che impone al notaio di non ricevere l’atto è
qualificata dall’aggettivo «palese» (ad esempio,
Boero, 216). In altre parole, al notaio non si richiede una vera indagine sulla capacità naturale della
parte, che peraltro non avrebbe le competenze per
compiere; solo se l’incapacità di intendere e di volere dovesse palesarsi nel corso della ricerca delle volontà espresse con l’atto, egli potrebbe e dovrebbe
venire meno all’obbligo, di cui all’art. 27 l. not., di
prestare il suo ministero. Dunque, se è comprensibile che il giudice guardi con interesse all’attività del
notaio, anche perché coeva alla redazione del testamento – momento in cui rileva la capacità del testatore ex art. 591, n. 3, cod. civ. – appare per contro
plausibile che il notaio, maggiormente legato all’obbligo di prestare il suo ministero, concluderà, in dubio, per la non-incapacità.
Dall’insieme di queste norme si può dedurre che,
in un giudizio di impugnazione per incapacità naturale, la circostanza che l’atto sia stato ricevuto da notaio non permette di superare il mero fumus di nonincapacità del testatore (v., in senso in parte diverso,
Scognamiglio, 769, infra, sez. IV). Tornando alla
sentenza che si commenta, sul punto, essa non pare
affermare espressamente qualcosa di diverso, al conNGCC 2011 - Parte prima
Cass., 25.3.2011, n. 6978 - Commento
trario – rilevando che il notaio non deve aver osservato «segni» di incapacità di intendere e di volere –
sembra confermare questa conclusione; ciò che non
convince è piuttosto il richiamo alla presenza notarile per “sanare” l’errata deduzione, operata dai giudici d’appello (e avallata dalla Cassazione), che la
menzione della dichiarazione del testatore escludesse una potenziale relazione tra mancata sottoscrizione e un’incapacità naturale del testatore stesso.
Qualche notazione ancora aiuta a completare
questo quadro sul rilievo attribuibile all’attività notarile nel giudizio sulla capacità naturale del testatore, e fornisce – almeno indirettamente – indicazioni
utili anche per la lettura della pronuncia in esame.
Talvolta accade che il notaio, nel redigere il testamento in forma pubblica, “attesti” lo stato di sanità
mentale del testatore. Questo tipo di dichiarazione
non sembra gli sia preclusa, ma in ambiti differenti
si è addirittura affermata la prassi “abusiva” di pretenderla (ci si riferisce a quanto spesso viene richiesto dagli istituti bancari per la conclusione di contratti di mutuo). Non c’è dubbio, però, che questo
genere di dichiarazione non sia coperto dalla pubblica fede, che riguarda esclusivamente la «provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo
ha formato», le «dichiarazioni delle parti» e gli «altri
fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua
presenza o da lui compiuti» (art. 2700 cod. civ.);
dunque, se il notaio ha svolto un’attività tesa ad accertare la capacità della parte, la pubblica fede copre l’esistenza di questo accertamento, ma certo non
i suoi risultati (cfr. Di Fabio, Manuale di notariato,
181). D’altra parte, anche se la prova dello stato di
incapacità naturale al momento dell’atto può essere
fornita con ogni mezzo, il fumus circa la non-incapacità del testatore risulta più intenso in questa ipotesi
(cfr. Cass., 18.8.1981, n. 4939, e Cass., 2.8.1966, n.
2152, entrambe infra, sez. III). Ecco, nel caso di specie questa “attestazione in positivo” non c’era stata,
dunque l’unico dato valutabile era il meno significativo mancato rifiuto di ricevere l’atto da parte del
notaio.
Infine, viene da osservare che, se è vero che il testamento pubblico offre questo minimo “filtro di
non manifesta incapacità” del testatore, per contro
esso toglie al giudice altri preziosi elementi di valutazione. La forma olografa, infatti, consente di analizzare la grafia del testatore e di apprezzare il tenore
delle disposizioni, dati che vengono meno al giudizio nel caso di forma pubblica: l’autografia manca, e
la scelta delle parole, l’organizzazione delle volontà
testamentarie, risultano indubbiamente depurate
dall’intervento notarile (v. Venturelli, 128, infra,
sez. IV; Trib. Terni, 10.4.1996, in Rass. giur. umbra, 1996, 381).
NGCC 2011 - Parte prima
Successione ereditaria
2. Senilità e incapacità naturale: il problema dell’“ageing testator”. Il caso che ha originato la decisione in esame, e il peso attribuibile alla
redazione notarile del testamento, stimolano una riflessione in prospettiva più ampia.
Negli ultimi decenni il sensibile aumento della
aspettativa di vita ha comportato – tra le molte ricadute – anche l’invecchiamento del testatore medio
(cfr. Bucelli, 719, infra, sez. IV). Come è noto,
l’anzianità si accompagna spesso a fragilità emotiva
e a perdita di autonomia nel soddisfacimento delle
proprie necessità quotidiane; questa condizione in
molti casi porta a lasciti influenzati da più o meno
evidenti captazioni o semplicemente dall’affievolimento della “consapevolezza affettiva” del testatore
(così, ad esempio, può diventare più “caro” il vicino
di casa che sbrighi qualche commissione o si intrattenga per poche chiacchiere, rispetto al figlio trasferitosi in un’altra città per vicende di vita e lavoro). È
verosimile che quest’ipotesi – che si presenta con
sfumature differenti – si celi anche dietro il caso in
esame (pure il titolo scelto da Cassazione.net per la
notizia di agenzia sottolineava il dato senile: «Sfinito
sì, rimbambito no»: valido il testamento del vecchietto malato ricoverato all’ospizio).
Questi casi – peraltro di una frequenza disarmante – lasciano un senso di disagio nell’interprete, riassumibile con la provocazione di chi invita a «chiedersi se quei testamenti siano veri testamenti» (De
Nova, 27; ci si permette di rinviare anche a Cinque, passim, entrambi infra, sez. IV). Il “disagio”
nasce soprattutto dalla circostanza che la fattispecie
descritta si trovi in una area grigia, di confine, normalmente esclusa dall’ambito di applicazione dei rimedi codicistici previsti per le ipotesi di incapacità
di intendere e di volere e di consenso carpito con
dolo.
L’art. 591, comma 2o, n. 3, cod. civ., con espressione analoga a quella dell’art. 428, comma 1o, stabilisce che sono incapaci di testare «quelli che, sebbene non interdetti, si provi essere stati, per qualsiasi
causa, anche transitoria, incapaci di intendere e di
volere nel momento in cui fecero testamento». Nell’interpretare la disposizione, un consolidato orientamento giurisprudenziale ritiene che «[i]n tema di
annullamento del testamento, l’incapacità naturale
del testatore postula la esistenza non già di una semplice [...] alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del de cuius, bensì la prova che [...] il soggetto
sia stato privo in modo assoluto, al momento della redazione dell’atto di ultima volontà, della coscienza dei
propri atti ovvero della capacità di autodeterminarsi»
(v., tra le più recenti, Cass., 18.4.2005, n. 8079 e
Cass., 10.4.2010, n. 9081, entrambe infra, sez. III).
Ebbene, la condizione senile a cui ci riferiamo normalmente non integra questi presupposti: un ragio1035
Cass., 25.3.2011, n. 6978 - Commento
namento consequenziale non è del tutto impedito e
l’autonomia in altri ambiti può non essere completamente compromessa; per usare le parole scelte dalla
giurisprudenza, la persona non è priva in modo assoluto della coscienza dei propri atti, tuttavia la sua
volontà è stata distorta da una condizione di significativa vulnerabilità.
Per altro verso, questa condizione dell’anziano è
per lo più irrilevante anche sotto il profilo dei vizi
del volere: infatti, blandizie e “suggerimenti” altrui
non integrano – secondo la giurisprudenza – neppure la captazione, quella forma attenuata di dolo che
rende comunque impugnabile la disposizione testamentaria ex art. 624 cod. civ. (cfr. Cass., 22.1.1985,
n. 254, in Mass. Giust. civ., 1985; Cass., 19.7.1999,
n. 7689, ivi, 1999; Cass., 28.5.2008, n. 14011, ivi,
2008).
Il nostro ordinamento conosce già disposizioni in
cui questa debolezza, vulnerabilità, ha una rilevanza
specifica. Si pensi, in primo luogo, alla disciplina
della violenza-vizio del volere, dove l’art. 1435 cod.
civ. stabilisce che, per valutare se ne siano integrati i
requisiti, si debba avere riguardo anche all’età delle
persone; con ciò riconoscendo che una medesima
minaccia può impressionare una persona perché anziana (v. Roppo, 827, infra, sez. IV). Inoltre, la nozione atecnica di «vulnerabilità» ha da poco fatto
esplicitamente ingresso nell’ordinamento attraverso
il codice del consumo, proprio per estendere particolari garanzie anche alla condizione di debolezza,
ma non di incapacità, di molti anziani; l’espressione
si incontra nel comma 2o dell’art. 52 cod. cons., in
materia di contratti a distanza, per i quali le informazioni devono essere fornite al consumatore osservando «i principi di buona fede e di lealtà [...] valutati alla stregua delle esigenze di protezione delle categorie di consumatori particolarmente vulnerabili»
[il corsivo è aggiunto; v. ad esempio i commenti di
Riccio, 432 (testo e nt. 59) e Troiani, 533 (testo e
nt. 3), infra, sez. IV, che sottolineano come il concetto di «vulnerabilità» sia più ampio di quello di
«incapacità» e ben si adatti – in primo luogo – alla
particolare condizione dell’anziano].
In assenza di regole specifiche anche per il problema del testatore (sempre più) anziano – e finché
permane l’orientamento giurisprudenziale citato – la
disciplina della successione necessaria svolge una
seppure indiretta funzione riparatoria, quantomeno
nei confronti degli stretti congiunti del de cuius. Il
rinnovato dibattito sull’opportunità di un’abrogazione della legittima dovrebbe quindi tenere conto –
tra i molti profili – anche del fattore di rischio derivante dall’eliminazione di questo “salvagente” (il riferimento è alla proposta contenuta nel d.d.l. n. 576,
Modifiche al codice civile in materia successoria e
abrogazione delle disposizioni relative alla successio1036
Successione ereditaria
ne necessaria, presentato il 16.5.2008 e che ripropone sostanzialmente i precedenti d.d.l. n. 1043/2006
e n. 4727/2004; sul punto si consenta di rinviare a
Cinque, passim, infra, sez. IV; un richiamo a questa
“funzione” della successione necessaria si incontra,
nei primi anni del secolo scorso, anche nel lavoro di
Vitali, 17, infra, sez. IV).
Come è logico, il problema dell’invecchiamento
del testatore medio supera i confini nazionali, e si
incontra in particolare nei Paesi dell’occidente, accomunati da un diffuso benessere sociale e dal conseguente aumento dell’aspettativa di vita; i legislatori e la dottrina cominciano allora a preoccuparsi per
la condizione di questi «older adults in the “grey zone” – not incapable but more vulnerable» (v. Hall,
Equitable Fraud: Material Exploitation in Domestic
Settings, in Elder Law Rev., 2006, 7). Nella letteratura straniera c’è chi consiglia di affrontare la questione dell’«ageing testator» addirittura rovesciando
l’implicita presunzione relativa al possesso della capacità di intendere e di volere; si immagina, infatti,
una disposizione con cui «it is presumed that a testator who is 70 years or older is no longer capable
of appreciating the nature and effect of his act unless otherwise proven» (Sonnekus, 78 ss., infra, sez.
IV). Una proposta di questo tenore sembra davvero
eccessiva e suona addirittura come una provocazione se trasferita in una società gerontocratica come
quella italiana! D’altra parte, anche la nostra dottrina avverte la necessità di regole che contengano i rischi in questione; così si suggerisce ad esempio – ecco il collegamento stretto con il caso da cui muove la
pronuncia in commento – di precludere la scelta del
testamento olografo alla persona in età avanzata o
priva della pienezza delle facoltà intellettive (cfr. De
Nova, 27; Bucelli, 719; Bonilini, 586, tutti infra,
sez. IV). Queste proposte non paiono, però, risolutive dello specifico problema che ci occupa. La preclusione dello strumento olografo, anche se auspicabile, per quanto osservato sopra avrebbe conseguenze molto limitate: il notaio è privo degli strumenti
tecnici e della competenza necessaria per una specifica indagine sulla capacità naturale della parte; è tenuto a non ricevere l’atto solo se si accorge di una
palese incapacità: nella maggior parte dei casi di cui
qui si discute l’anziano sarebbe probabilmente in
grado di superare il “test notarile” a maglie larghissime (cfr. supra, sub 1).
Al di là della sua provocatorietà, anche la presunzione relativa di incapacità naturale proposta da
Sonnekus per gli ultrasettantenni non pare cogliere
nel segno; il problema, infatti, è più generale e sembra connesso alla nozione di «incapacità di intendere e di volere» accolta: fintanto che essa coinciderà
con l’interpretazione da tempo offerta dalla giuri-
NGCC 2011 - Parte prima
Cass., 25.3.2011, n. 6978 - Commento
sprudenza, difficilmente potranno immaginarsi soluzioni realmente efficaci.
Un’utile indicazione potrebbe forse venire da
un’autorevole, ma poco fortunata, tesi dottrinale. Secondo Cicu, l’incapacità naturale di cui all’art. 591,
n. 3, andrebbe intesa «in significato ampio, e non
propriamente tecnico», come una sorta di «vizio della volontà»: «[S]i ha anche qui una causa perturbatrice del normale funzionamento del processo intellettivo e volitivo, che può arrivare a togliere completamente la coscienza di ciò che si dice, ma può anche
influire sulla determinazione della volontà cosciente:
quando questa influenza è tale per cui si possa ritenere che senza di essa la volontà non si sarebbe determinata o si sarebbe determinata in modo diverso,
il testamento è annullabile» (Cicu, 111 ss.; la tesi è
stata poi in parte ripresa, ad esempio, da Bigliazzi
Geri, 175, entrambi infra, sez. IV). Cicu non pare
avere pensato specificatamente alla condizione dell’anziano particolarmente vulnerabile, ma la sua
lettura si adatta bene anche alla fattispecie che ci occupa. È indubbio, però, che il citato orientamento giurisprudenziale si contrapponga apertamente a
questa tesi quando afferma – lo ripetiamo – che l’incapacità naturale del testatore richiede l’esistenza «non già di una semplice [...] alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del de cuius, bensì la
prova che [...] il soggetto sia stato privo in modo assoluto [...] della coscienza dei propri atti ovvero della capacità di autodeterminarsi». Sarebbe immaginabile,
però, un cambio di rotta da parte della giurisprudenza? È bene essere chiari in partenza: il revirement implicherebbe un’interpretazione evolutiva dell’art.
591, n. 3; l’interpretazione c.d. storica, infatti, sembra semmai ribadire l’attuale scelta giurisprudenziale (cfr. Pandolfelli-Scarpello-Stella RichterDallari, Libro delle successioni per causa di morte e
delle donazioni: illustrato con i lavori preparatori e
con note di commento, Giuffrè, 1939, 173 s., in nota).
Esistono almeno due ostacoli testuali a un diverso
percorso ermeneutico: la circostanza che nel catalogo dell’art. 591 cod. civ., tra gli incapaci di testare,
non si trovi l’inabilitato (ma solo il minore e l’interdetto per infermità di mente, oltre all’incapace naturale) e la presenza dell’inciso «sebbene non interdetti», riferito agli incapaci di intendere e di volere dal
n. 3 dell’articolo (Cicu, 111, rilevava il primo dei
due scogli, ma lo trovava inconsistente); entrambi,
infatti, sembrano indizi della gravità dell’incapacità
che può essere considerata rilevante: un’incapacità,
eventualmente transitoria, ma pur sempre “totalizzante”. La necessità di questa conclusione, tuttavia,
può quantomeno essere messa in dubbio.
Infatti, la capacità riconosciuta all’inabilitato non
significa necessariamente che in generale ci si accontenti di una “capacità ridotta” per l’atto testamentaNGCC 2011 - Parte prima
Successione ereditaria
rio; tant’è che il minore emancipato è incapace di testare ex art. 591, n. 1, cod. civ. La regola che vale
per l’inabilitato potrebbe trovare ragione nella varietà dei presupposti inabilitativi (infermità di mente, prodigalità, abuso abituale di sostanze alcooliche
o di stupefacenti, sordità, cecità), e nella natura di
atto personalissimo del testamento, che non ne consente la redazione da parte di un rappresentante;
questi profili, difatti, fanno risultare comunque congruente che all’inabilitato non si precluda l’accesso
al testamento in base a una valutazione astratta, ex
ante: il testamento è così invalido quando la sua condizione al momento della redazione integrava i presupposti dell’incapacità naturale. Inoltre, l’art. 411,
ult. comma, cod. civ., dal 2004 consente che il giudice tutelare eventualmente privi della capacità di testare anche il beneficiario dell’amministrazione di
sostegno; questo nuovo dato normativo sembra
comportare un ulteriore colpo al citato ostacolo ermeneutico: infatti, anche nel caso del beneficiario
dell’amministrazione di sostegno, la capacità di testare può mancare anche per chi non è privato in
modo assoluto della capacità di agire.
Quanto poi all’inciso «sebbene non interdetti», la
rilevanza riconosciuta dalla giurisprudenza alla c.d.
incapacità parziale costituisce un argomento potenzialmente double-face; per un verso, infatti, si può
dire che il rilievo dato alla “monomania” e agli “stati
emotivi o passionali” del testatore ai fini dell’annullamento del testamento abbia già fatto cadere il tabù
rappresentato dal parametro totalizzante dell’interdizione (così lo stesso Cicu, 111; per la giurisprudenza sul punto v. infra, sez. III). Per altro verso, la
ritenuta necessità che tali condizioni abbiano comunque portato a una privazione della capacità di
intendere e di volere del testatore può far pensare –
al contrario – che le pronunce sul punto confermino
la rigida interpretazione giurisprudenziale dell’art.
591, n. 3 (così Gambini, 218 s., infra, sez. IV); a rigore però, come osserva Cicu, la monomania non
determina neppure in momenti transitori una incapacità naturale nella accezione restrittiva ricordata
(Cicu, 111).
Una lettura più “allentata” della disposizione risulterebbe, del resto, senz’altro in armonia con il
complesso della materia testamentaria, dove l’assenza di un altrui affidamento da tutelare consente di
concentrarsi sulla volontà del disponente; questa
stessa ratio, infatti, induce tradizionalmente a guardare con meno rigidità anche ai caratteri che rendono rilevanti il dolo o la violenza nel testamento (in
senso contrario, Trabucchi, c. 1306, infra, sez. IV,
secondo cui prevale il profilo della “irrimediabilità”
conseguente alla pronuncia di annullamento del testamento).
In conclusione, ciò che si persegue con questa
1037
Cass., 25.3.2011, n. 6978 - Commento
proposta ermeneutica non è la stigmatizzazione di
legittime eccentricità del de cuius, e neppure una
mascherata difesa a oltranza degli interessi dei successibili legittimi; si tratta piuttosto di poter scalfire
la sostanziale intangibilità di “simulacri” di testamento, che umiliano la personalità del testatore, anziché esserne ultima espressione.
III. I precedenti
1. Mancata sottoscrizione e capacità naturale del testatore: il ruolo del notaio. Un’indicazione insufficiente della causa che ha impedito (o
reso particolarmente gravosa) la sottoscrizione del testamento pubblico è equiparata alla sua totale omissione. La giurisprudenza sul punto non offre, però, sicuri criteri discretivi per distinguere indicazioni generali – ammesse – da formulazioni del tutto generiche;
cfr., nel primo senso, Cass., 22.2.1963, n. 430, in Giur.
it., 1964, I, 1, 103 e Cass., 1o.2.1992, n. 1073, in Riv.
notar., 1992, 1578, mentre, nel secondo senso, Cass.,
3.6.1957, n. 2017, in Giust. civ., 1957, I, 1202.
Anche la divergenza tra la causa dichiarata dal testatore a giustificazione della mancata sottoscrizione
e la sua effettiva condizione determina la nullità dell’atto, come l’assenza di sottoscrizione tout court; tra
le molte pronunce, v. ad esempio: Cass., 5.11.1990,
n. 10605, in Mass. Giust. civ., 1990; Cass., 6.11.1996,
n. 9674, in questa Rivista, 1997, I, 612; e, più di recente, Cass., 21.11.2008, n. 27824, in Riv. notar.,
2010, 218 ss.
La nozione di atti «espressamente proibiti dalla
legge» – che il notaio non può ricevere ex art. 28,
n. 1, l. not. – veniva interpretata estensivamente
dalla Cassazione, che fino alla fine degli anni ’90 vi
comprendeva non solo gli atti nulli, ma anche
quelli solamente annullabili, come gli atti compiuti
dall’incapace naturale; cfr., tra le tante pronunce
dello stesso segno, Cass., 18.2.1969, n. 562, in
Giust. civ., 1969, II, 810, o Cass., 10.11.1992, n.
12081, in Mass. Giust. civ., 1992. A partire da
Cass., 11.11.1997, n. 11128, in Riv. notar., 1998,
493 ss., subito seguita da Cass., 19.2.1998, n. 1766,
ibedem, 704 ss., il divieto di ricevere atti «espressamente proibiti dalla legge» è considerato attinente
«ad ogni vizio che dia luogo ad una nullità assoluta
dell’atto, con esclusione, quindi, dei vizi che comportano l’annullabilità o l’inefficacia dell’atto [...]»;
nello stesso senso, da ultimo, Cass., 14.2.2008, n.
3526, in Vita not., 2009, 349. Anche dopo il revirement della Supr. Corte, rimane ferma l’impossibilità per il notaio di ricevere un atto quando si accorga che la parte manca della capacità naturale; tale
impossibilità viene però derivata dall’art. 47, comma 2o, l. not., che impone al notaio di «indaga[re]
la volontà delle parti», intesa come volontà consa1038
Successione ereditaria
pevole. La giurisprudenza penale muove proprio
dalla violazione dell’art. 47, comma 2o, l. not., per
ricostruire il reato di falsità ideologica in atto pubblico attribuito al notaio che roghi l’atto nonostante la «riconoscibilità oggettiva» dell’incapacità naturale della parte (cfr. Trib. Nocera Inferiore,
22.6.2010, in Giur. merito, 2011, 1672; sempre sul
punto: Cass. pen., 5.12.2008, n. 4694, solo nel Ced
della Cass. pen., 2008; Trib. Milano, 16.1.2007,
in Foro ambros., 2007, fasc. 1, 8).
Che l’eventuale “attestazione” del notaio circa lo
stato di sanità mentale del testatore non sia coperta
dalla pubblica fede è ribadito dalla Supr. Corte – fra
le altre – in Cass., 18.8.1981, n. 4939, in Mass.
Giust. civ., 1981 e Cass., 2.8.1966, n. 2152, in Rep.
Giust. civ., 1966, voce «Successione testamentaria»,
n. 5. Nondimeno, la sentenza citata da ultimo considera le attestazioni del notaio un valido elemento di
prova circa l’atteggiamento del testatore durante la
redazione della scheda testamentaria.
2. Senilità e incapacità naturale: il problema dell’“ageing testator”. Un consolidato
orientamento giurisprudenziale interpreta l’art. 591,
comma 2o, n. 3, cod. civ., nel senso che «[i]n tema di
annullamento del testamento, l’incapacità naturale
del testatore postul[i] la esistenza non già di una semplice [...] alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del de cuius, bensì la prova che [...] il soggetto
sia stato privo in modo assoluto, al momento della redazione dell’atto di ultima volontà, della coscienza dei
propri atti ovvero della capacità di autodeterminarsi»
(cfr., solo per citarne alcune, Cass., 6.12.2001, n.
15480, in Mass. Giust. civ., 2001; Cass., 18.4.2005,
n. 8079, in Riv. notar., 2006, 559; Cass., 10.4.2010,
n. 9081, in Mass. Giust. civ., 2010).
Alcune sentenze chiedono ancora che il de cuius,
al momento della redazione del testamento, versasse
«in condizioni analoghe a quelle che, con il concorso
dell’abitualità, legittimano la pronuncia di interdizione» (così, ad esempio, Cass., 11.3.1995, n. 2865, in
Mass. Foro it., 1995; Cass., 22.5.1995, n. 5620, in
Mass. Giust. civ., 1995; Cass., 30.1.2003, n. 1444, in
Mass. Foro it., 2003); come è stato rilevato, però, si
tratta più che altro di formule tralatizie, che non
paiono pesare sulla sostanza delle pronunce (così
Gambini, 217, nt. 36). Ciò non toglie che l’indirizzo
si segnali negativamente per l’eco implicito (e forse
orami inconsapevole) al presupposto dell’insania di
mente, contenuto nell’art. 763, cod. civ. 1865, e superato dall’attuale previsione che apre a «qualsiasi
causa» abbia determinato l’incapacità naturale del
testatore (art. 591, n. 3, cod. civ.).
Di un orientamento più “morbido”, ma rimasto isolato, sono espressione: App. Bologna, 3.3.1955, in
Rep. Giur. it., 1955, voce «Testamento», n. 19; Cass.,
NGCC 2011 - Parte prima
Cass., 25.3.2011, n. 6978 - Commento
3.3.1962, n. 411, in Mass. Giur. it., 1962; Cass.,
28.10.1969, n. 3543, ivi, 1969; Cass., 2.3.1971, n. 522,
ivi, 1971; Cass., 27.1.1977, n. 418, ivi, 1977.
Sul rapporto tra monomania e incapacità naturale
ex art. 591, n. 3, cfr. App. Palermo, 22.6.1945, in
Rep. Giur. it., 1944-1947, voce «Testamento», nn.
18-19; Cass., 4.3.1960, n. 409, in Mass. Giust. civ.,
1960; App. Firenze, 19.1.1962, in Rep. Giust. civ.,
1962, voce «Successione testamentaria», n. 8. Sugli
“stati emotivi o passionali” – considerati irrilevanti
se non hanno privato il testatore della capacità naturale – v. ad esempio Cass., 5.10.1950, n. 48, in Giur.
it., 1951, I, 1, c. 378; Cass., 7.7.1978, n. 3411, ivi,
1979, I, 1, c. 422 ss., che muoveva dal caso di un anziano “smodatamente” invaghito di una giovane
donna a favore della quale aveva poi disposto; Trib.
Viterbo, 14.4.1987, in Giur. merito, 1988, 767.
Dell’interpretazione dell’art. 591 cod. civ. con riferimento alla capacità di testare dell’inabilitato, si occupa Cass., 18.1.1968, n. 130, in Mass. Giur. it., 1968.
IV. La dottrina
1. Mancata sottoscrizione e capacità naturale del testatore: il ruolo del notaio. Per gli
obblighi e le prerogative del notaio – con particolare
riferimento alla capacità naturale della parte – si possono vedere tra gli altri: Andrini, Invalidità e articolo
28 della legge notarile, in Vita not., 1998, 419 ss.; Boero, La legge notarile commentata, I, Utet, 1993, sub
art. 28 l. not., 216 s.; Criscuoli, Il testamento, Cedam, 1995, 193 ss.; Del Re, Responsabilità civile del
notaio per rogazione di testamento successivamente annullato per incapacità naturale del testatore, in Resp.
civ. e prev., 2008, 890 ss.; Di Fabio, Manuale di notariato, Giuffrè, 2007, 181; An. Fusaro, Sui confini della responsabilità disciplinare notarile, in questa Rivista,
2011, II, 408 ss.; Leo, Incapacità naturale e attività notarile, in Riv. notar., 1999, 1037 ss., per il quale non
esiste nell’ordinamento notarile una norma che esiga
dal notaio l’accertamento della capacità naturale delle parti; Protettì-Di Zenzo, La legge notarile, Giuffrè, 2009, 158 s.; Tondo, Controllo notarile sui presupposti dell’atto negoziale, in Consiglio nazionale
del notariato, Studi e materiali, Giuffrè, 1986, 368
ss.; Triola, Gli atti espressamente proibiti dalla legge
nell’art. 28 n. 1 l.n., in Vita not., 1986, 44 ss.
Sulla mancata sottoscrizione del testamento pubblico da parte del testatore (e sugli adempimenti
equipollenti), si segnalano in luogo di molti: Azzariti, Mancata sottoscrizione da parte del testatore
della scheda del testamento pubblico redatto dal notaio, in Giust. civ., 1990, I, 1879 ss.; Branca, Dei testamenti ordinari, nel Commentario Scialoja-Branca,
Zanichelli-Foro it., 1986, sub art. 603 cod. civ., 118
s.; Caserta, Cause impeditive della sottoscrizione e
NGCC 2011 - Parte prima
Successione ereditaria
validità del testamento pubblico, in questa Rivista,
1997, I, 614 ss.; Di Fabio, nel Commentario Gabrielli, Delle successioni, II, Utet, 2010, sub art. 603
cod. civ., spec. 339 ss.; Marmocchi, Forma dei testamenti, nel Trattato breve delle successioni e donazioni, diretto da Rescigno, I, Cedam, 2010, 920 ss.;
Musolino, Testamento pubblico e impossibilità per
il testatore di sottoscrivere l’atto, in Riv. notar., 2010,
220 ss.; Vidiri, Sull’art. 603, comma 3, c.c. e sulla
nullità del testamento per mancata sottoscrizione del
testamento pubblico tra forma, formalismo e “favor
testamenti”, in Giust. civ., 2009, I, 2168 ss.
2. Senilità e incapacità naturale: il problema dell’“ageing testator”. Il problema dell’“invecchiamento del testatore medio” è stato rilevato, ad
esempio, da: Bonilini, Sulla proposta di novellazione
delle norme relative alla successione necessaria, in
Fam., pers. e succ., 2007, 581 ss. (spec. 586); Bucelli,
Testamento olografo redatto da persona anziana: questioni di validità e qualificazione, ivi, 2006, 719; De
Nova, Autonomia privata e successioni mortis causa,
in Jus, 1997, 273 ss.; Sonnekus, Freedom of Testation
and the Ageing Testator, in Exploring the Law of Succession, edited by Reid-de Waal-Zimmermann,
Edinburgh University Press, 2007, 78 ss. (spec. 88 ss.).
In generale, il “diritto senile” si è comprensibilmente concentrato sui profili di “non emarginazione” dell’anziano; cfr. Bersi, Incapacità naturale e senilità, in questa Rivista, 1999, II, 49 ss.; Bianca, Senectus ipsa morbus?, in Rass. dir. civ., 1998, 241;
Dogliotti, La condizione giuridica dell’anziano, in
Dir. fam. e pers., 1988, 1856; Patti, Senilità e autonomia negoziale, in Fam., pers. e succ., 2009, 259 ss.
Per la dottrina straniera, si segnala la trattazione sistematica di Ashton, Elderly People and the Law,
Butterworths, 1996, spec. 6 ss.
Come si è notato supra, la “vulnerabilità” degli anziani ha specifica rilevanza in altri ambiti dell’ordinamento. Con riguardo alla disciplina della violenza
morale, valgono le chiare parole di Roppo, Il contratto, nel Trattato Iudica-Zatti, Giuffrè, 2001, 827: «Il
legislatore implica che quanto non impressiona un
quarantenne possa impressionare un ventenne o un
ottantenne». Sulle «categorie di consumatori particolarmente vulnerabili» di cui all’art. 52, comma 2o,
cod. cons., in materia di contratti a distanza, v. per
tutti i chiari commenti di Riccio, nel Commentario
al codice del consumo, a cura di Stanzione-Sciancalepore, Ipsoa, 2006, sub artt. 50-53, 432 (testo e
nt. 59) e di Troiani, nel Codice del consumo: commento al D.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, Giuffrè,
2006, sub artt. 52-54, 533 (testo e nt. 3).
Per la “funzione suppletiva” della disciplina sui
diritti dei legittimari – sempre con riguardo al problema dei testamenti delle persone anziane partico1039
Cass., 1o.3.2011, n. 5027
larmente vulnerabili – si consenta il rinvio a Cinque, Sulle sorti della successione necessaria, in corso
di pubblicazione in Riv. dir. civ., 2011, fasc. 5. Sul
punto, già Vitali, Delle successioni, 5, nel Diritto civile italiano secondo la dottrina e la giurisprudenza, a
cura di Fiore, Utet, 1911, 17, vedeva nella successione necessaria anche il «mezzo acconcio per rendere meno pregiudizievoli le facili captazioni e gl’ingiusti spogli che potrebbero verificarsi in danno delle famiglie legittime».
La nozione di incapacità di intendere e di volere
nel contesto dell’art. 591, n. 3, cod. civ., è utilmente
ricostruita nei recenti lavori di: Gambini, nel Commentario Gabrielli, Delle successioni, II, Utet, 2010,
sub art. 591 cod. civ., 215 ss.; Scognamiglio, La capacità di disporre per testamento, nel Trattato breve
delle successioni e donazioni, diretto da Rescigno, I,
Cedam, 2010, 759 ss.; Venturelli, La capacità di
disporre per testamento, nel Trattato di diritto delle
successioni e donazioni, diretto da Bonilini, II,
Giuffrè, 2009, 107 ss.
c CASS. CIV., II sez., 1o.3.2011, n. 5027
Conferma App. Lecce, 24.3.2004
Vendita - Preliminare di vendita di
cosa indivisa - Formazione di un’unica parte complessa costituita dai singoli comunisti - Mancanza del consenso di un comproprietario - Inesistenza o invalidità del contratto Esecuzione parziale in forma specifica - Inammissibilità (cod. civ., artt. 320, 322,
2932)
Nel caso di preliminare di vendita di un
bene oggetto di comproprietà indivisa si
deve ritenere che i promettenti venditori
si pongano congiuntamente come un’unica parte contrattuale complessa e che,
dunque, le singole manifestazioni di volontà siano prive di una specifica autonomia, dovendosi presumere che il bene sia
stato considerato dalle parti come un
«unicum» inscindibile, e ciò in difetto di
elementi desunti dal tenore del contratto,
idonei a far ritenere che con esso siano
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Vendita
La tesi della incapacità naturale come “vizio del
volere” si deve a Cicu, Testamento, Giuffrè, 1951,
111 ss., ed è stata in parte ripresa anche da Bigliazzi Geri, Delle successioni testamentarie, nel Commentario Scialoja-Branca, Zanichelli-Foro it., 1993,
sub art. 591, 173 ss. Su posizioni radicalmente opposte è Trabucchi, Ancora sulla capacità a far testamento, in Giur. it., 1961, I, 1, c. 1303 ss., il quale ritiene addirittura necessario uno «stato di insania» di
«maggiore intensità [...] rispetto a quello che è sufficiente per l’interdizione» (ivi, c. 1306).
Si noti che i segnalati ostacoli testuali alla interpretazione suggerita verrebbero meno se – come auspichiamo per ragioni ben più importanti – fosse accolta la proposta contenuta nella «Bozza Cendon
2007» per l’Abrogazione dell’interdizione e dell’inabilitazione (cfr. la proposta di novellazione dell’art.
591 cod. civ.; la bozza si può trovare in www.personaedanno.it).
Maddalena Cinque
state assunte dai comproprietari distinte
autonome obbligazioni aventi ad oggetto
il trasferimento delle rispettive quote di
comproprietà. Da ciò consegue che, qualora una di dette manifestazioni manchi o
risulti viziata da invalidità originaria ovvero venga caducata per una qualsiasi causa
sopravvenuta, si determina una situazione
che impedisce non soltanto la prestazione
del consenso negoziale della parte complessa alla stipulazione del contratto definitivo, ma anche la possibilità che quella
prestazione possa essere sostituita dalla
pronuncia giudiziale ex art. 2932 cod. civ.
(massima non ufficiale)
dal testo:
Il fatto. Con atto di citazione notificato il 4
marzo 1991 S.G.B. evocava in giudizio, dinanzi
al Tribunale di Taranto, C.B., D.T., L.T., T.O.
e G.T., esponendo di avere concluso in data
10.2.1968 contratto preliminare con il quale
NGCC 2011 - Parte prima
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