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02 febbraio 2013 - Giustizia a Milano

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02 febbraio 2013 - Giustizia a Milano
GIUSTIZIA A MILANO
PERIODICO MENSILE DI GIURISPRUDENZA MILANESE
Anno XXVI - n. 2 - Febbraio 2013
Anthea Editrice S.R.L.
Via Freguglia, 4 - MILANO 20122
Tel. 0254101728 - Fax 0254101726
www.giustiziamilano.it
Stampa: Anthea Srl
Impaginazione: Agenzia X - Milano
Direttore Responsabile: Avv. Carlo Bretzel
Redazione: Via Freguglia, 10 - 20122 Milano
Tel. 02/5512182 - Fax 02/55181202
Trib. Milano 415/10.6.1988 - Roc. 21373
Poste Italiane S.p.A. Sped. A.P. D.L. 353/2003
(conv. in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 Comma 1 - LO/MI
Amministrazione/Abbonamenti
Anthea srl, Via Freguglia, 4 - Mi
Tel. 02/54101728 - CCP 29966207
Abbonamento 2013 (11 numeri)
Euro 130 - Euro 10 al numero
Stampa del 6 giugno 2013
Consiglio direttivo
Avv. CARLO BRETZEL direttore responsabile
Avv. RAFFAELE CAMASSA - Avv. GIGLIOLA GUERRERI Avv PAOLO GIUGGIOLI - Dott.ssa MARIA VITTORIA BORGHETTI Avv. MARIA CECILIA RUBINI - SALVATORE QUATTROCCHI
Caporedattore: Avv. FILIPPO ROSADA
Comitato di redazione: Avv. CATERINA DAVELLI - DAVIDE RENZI LAURA QUATTROCCHI
Hanno collaborato a questo numero: Prof. Avv. FILIPPO DANOVI Avv. ANDREA ANTONELLO - Avv. PAOLO BERTAZZOLI - Avv. NANCY
BONASERA - Avv. EDOARDO PALMA CAMOZZI - Avv. SERENA
CANESTRELLI - Avv. PAOLO CARDONE - Avv. PAOLO COLOMBO Avv. CATERINA DAVELLI - Avv. ALESSANDRA GIORGETTI Avv. LEONARDA MARTINO - Avv. ANDREA MARZORATI Avv. ANDREA PAGANINI - Avv. EDOARDO PALMA CAMOZZI Avv. FILIPPO ROSADA - Avv. MARIA CECILIA RUBINI - Avv. MICHELA
SCHIRO’ - Avv. IOLANDA SPAGNOLO - Avv ANTONIA VETRO
RUBRICHE
1 - PERSONE-FAMIGLIA-SUCCESSIONI
2 - DIRITTI REALI E VENDITE IMMOBILIARI
3 - OBBLIGAZIONI - CONTRATTI TITOLI DI CREDITO
4 - DIRITTO DEL LAVORO
5 - TUTELA DEI DIRITTI
6 - DIRITTO INDUSTRIALE
7 - CIRCOLAZIONE STRADALE
8 - ASSICURAZIONI
9 - RESPONSABILITÀ CIVILE
10 - LOCAZIONI E CONDOMINIO
11 - ASSOCIAZIONI E SOCIETÀ
12 - PROCEDURE CONCORSUALI
13 - DIRITTO ALL’INFORMAZIONE
14 - DIRITTO AMMINISTRATIVO
15 - DIRITTO TRIBUTARIO
16 - DIRITTO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE
17 - DIRITTO E PROCEDURA PENALE DEPENALIZZAZIONE
18 - PROCESSO DI COGNIZIONE
19 - PROCEDIMENTI SPECIALI
20 - PROCESSO DI ESECUZIONE
21 - MEDIAZIONE CIVILE
22 - DEONTOLOGIA PROFESSIONALE
Informativa ex legge 196/03 su www.anthea.it
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GIUSTIZIA A MILANO
A chiusura del presente numero,
riteniamo utile pubblicare il nuovo quesito
al CTU elaborato dall’Osservatorio della
Giustizia Civile del Tribunale di Milano
dopo la L. n. 27/2012.
1
PERSONE
FAMIGLIA
SUCCESSIONI
Corte Appello - Sez. II civ. - n. 779 - 18 febbraio 2013 - pres.
de Ruggiero - est. Garavaglia
Incapacità naturale - Presupposti e limiti - Abuso dello stato di
infermità psichica - Presupposti e limiti - Contratto stipulato
dal soggetto incapace - Presupposti e conseguenze - Nullità - Sussiste - Circonvenzione di incapace - Presupposti e
conseguenze.
Si ha incapacità naturale, ex art. 428 c.c., quando le facoltà
intellettive e volitive risultano perturbate al punto dal impedire
al soggetto una seria valutazione del contenuto e degli effetti
del negozio dallo stesso posto in essere. Lo stato di incapacità può essere provato in modo diretto solo quando la condizione personale dell’individuo assume connotazioni eclatanti;
diversamente, va accertato in base ad indizi e presunzioni
che, anche da soli, possono essere decisivi ai fini dell’accertamento in oggetto. Non da ultimo, elementi indiziari possono
essere attinti anche dal materiale probatorio raccolto in un diverso giudizio, come nel caso in cui, successivamente all’atto
impugnato, sia stato avviato nei confronti del soggetto incapace un procedimento di interdizione o di inabilitazione e,
quindi, per identità di ratio, anche di amministrazione di sostegno.
Si intende stato d’infermità psichica di un soggetto una qualunque menomazione dell’intelletto e/o della volontà che,
quand’anche non dipendente da vera e propria infermità
mentale, produca nel soggetto che ne è afflitto una riduzione
del potere di resistenza e di controllo in relazione al compimento di atti potenzialmente pregiudizievoli per sé o per altri.
Ai fini dell’invalidità del negozio giuridico per incapacità naturale non è necessaria la prova che il soggetto, nel momento
di compimento dell’atto, versava in uno stato patologico tale
da far venir meno, in modo totale e assoluto, le facoltà psichiche, essendo sufficiente accertare che tali facoltà erano perturbate al punto da impedire al soggetto una seria valutazione
del contenuto e degli effetti del negozio.
Si ha un’ipotesi di abuso dello stato di infermità psichica
quando un soggetto, approfittando di un rapporto (interessato) di amicizia e di frequentazione con il soggetto incapace,
induce sistematicamente l’incapace (o quanto meno ne
rafforza la determinazione già assunta, non essendo necessario che l’induzione si compia mediante artifizi e raggiri ed
anzi essendo sufficiente anche una “pressione morale’’) a
porre in essere una pluralità di atti di disposizione patrimoniale - privi di sostanziale giustificazione - a proprio favore e con
proprio profitto e viceversa totalmente pregiudizievoli per l’incapace, essendo poi il soggetto-agente a sicura conoscenza
dello stato di minorazione del soggetto debole.
La fattispecie incriminatrice della circonvenzione d’incapace prevista all’art. 643 c.p. (il cui scopo va ravvisato, più che
nella tutela dell’incapacità in sè e per sè considerata, nella tutela dell’autonomia privata e della libera esplicazione dell’attività negoziale delle persone in stato di menomazione psichica) deve annoverarsi tra le norme imperative la cui violazione
comporta, ai sensi dell’art. 1418 c.c., la nullità del contratto
concluso in spregio della medesima.
18
L’attività di induzione può essere messa in atto attraverso
qualsiasi forma di pressione morale idonea a determinare o a
rafforzare nel soggetto passivo il consenso al compimento
dell’atto pregiudizievole.
Nei casi in cui la stipulazione di un negozio giuridico costituisca effetto diretto della consumazione di un reato, ravvisandosi una violazione di norme di ordine pubblico, in ragione
delle esigenze di interesse collettivo sottese alla tutela penale, trascendenti quelle di mera salvaguardia dell’integrità patrimoniale dei singoli contraenti perseguite dalla disciplina civilistica in tema di annullabilità dei contratti, l’atto deve essere
dichiarato radicalmente nullo, ai sensi dell’art. 1418 c.c. per
contrasto con norme imperative. (A.G.)
Tribunale - Sez. Persone Minori Famiglia - RG 3641/11 - Decreto 18 febbraio 2013 - pres. Guarnieri - est. Marino
Ricorso ex art. 317 bis - Richiesta arretrati Istat - Competenza
T.M. su richieste economiche.
La competenza del T.M. sulle questioni economiche è stata
ritenuta dalla Corte di Cassazione con ordinanza 22.03.07 /
3.04.07 n. 8362, unicamente per la determinazione del contributo al mantenimento che è l’unico provvedimento economico (oltre all’assegnazione della casa famigliare) sul quale il
giudice è “altresì” chiamato a provvedere ex art. 155 c.c.
(F.D.V.)
Tribunale - Sez. Persone Minori Famiglia - RG 3641/11 - Decreto 18 febbraio 2013 - pres. Guarnieri - est. Marino
Ricorso ex art. 317 bis - Rimborso quota parte delle spese sostenute da un genitore in favore del figlio - Competenza del
T.M. - Non sussiste.
La domanda di rimborso della quota parte delle spese sostenute attiene alla definizione di rapporti pregressi tra debitori solidali: si tratta di una domanda che appartiene iure proprio al genitore che ha anticipato gli importi - il quale ha diritto
di regresso per la corrispondente quota- che deve essere introdotta con atto di citazione ed è retta dalle disposizioni del
codice di rito che disciplinano il procedimento di cognizione
ordinaria e che conduce alla pronuncia di una sentenza di
condanna al pagamento delle somme anticipate.
Tale principio è stato confermato dalla Corte di Cassazione
nella pronuncia 2.5.09 n. 10569 in cui si afferma che la domanda relativa al credito vantato da un genitore nei confronti
dell’altro con oggetto la restituzione di somme per il mantenimento della prole sostenuta fino all’introduzione del procedimento ex art. 317 bis c.c. esula dalla competenza del T.M. non
ricorrendo le ragioni per derogare alla norma (art. 38 disp. Att.
C.c.) che affida tale controversia al Tribunale ordinario.
La richiesta di restituzione non dipende infatti dalla decisione sull’affidamento, che vale solo per il periodo successivo alla domanda, ma si fonda sulle spese effettivamente sostenute
in passato: non sussiste pertanto alcuna delle cause di connessione previste dagli artt. 31, 32, 33, 34, 35 e 36 c.p.c. che
determina la possibilità della trattazione e decisione in un unico processo delle diverse cause. (F.D.V.)
Tribunale - Sez. IX civ. - n. 2141 - 14 febbraio 2013 - pres. Dell’Arciprete - est. Cosmai
Separazione dei coniugi - Coniuge straniero irreperibile - Giurisdizione italiana e legge applicabile - Art. 3, I c., L. 281/95
- Sussiste - Applicabilità art. 151, comma I c.c. - Sussiste.
Nell’ipotesi di separazione giudiziale con contumacia e irreperibilità del coniuge straniero, in mancanza di cittadinanza
comune tra i coniugi, è indubbia l’applicabilità alla fattispecie
GIUSTIZIA A MILANO
- ex articolo 3, I comma, legge 281/95 - della legge italiana in
tema di separazione, nel momento in cui in Italia si è prevalentemente localizzata, la seppur breve vita matrimoniale ed
essendo peraltro stato celebrato il matrimonio in territorio italiano.
Sussistono pertanto le condizioni per la pronunzia di separazione ex art. 151, comma I, c.c. dovendosi ritenere provato,
sulla base della stessa prospettazione della parte ricorrente,
oltre che delle emergenze processuali avvalorate anche dal
comportamento processuale del resistente (contumacia) che
la vita matrimoniale sia divenuta intollerabile e improseguibile, essendosi il resistente di fatto reso irreperibile. (P.Co.)
Tribunale - Sez. IX civ. - n. 2133 - 14 febbraio 2013 - pres. Cattaneo - est. Ortolan
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za di convivenza e in via esclusiva da valutarsi in rapporto alla capacità economica del coniuge, atteso che il dedotto tenore di vita fruito durante il matrimonio risulta essere stato
possibile più per la disponibilità mostrata verso la coppia, dai
genitori di uno o dell’altro coniuge che dai redditi direttamente prodotti dal coniuge chiamato a versare l’assegno di mantenimento. (F.D.V.)
3
OBBLIGAZIONI
CONTRATTI
TITOLI DI CREDITO
Assegno di mantenimento della moglie - Diritto alla percezione - Impostazione della vita coniugale.
Corte Appello - Sez. I civ. - n. 869 - 22 febbraio 2013 - pres.
Secchi - est. Fiecconi
Non è da porsi in dubbio il diritto della moglie a percepire
un contributo al proprio mantenimento, dal momento che i coniugi - fin dall’inizio della loro unione coniugale - avevano inteso impostare la loro convivenza su una rigida separazione
dei ruoli, per cui la moglie aveva preso su di sé tutti i compiti
domestici e di accudimento dei figli, mentre il marito aveva
condotto una lunga vita di lavoro esterno, con costante e quotidiano sacrificio, quale autotrasportatore in proprio. (F.D.)
Responsabilità medica - Consenso informato - Realizzazione
di intervento chirurgico differente da quello originario - Esito positivo per il paziente - Responsabilità del medico - Non
sussiste.
Nessuna perplessità sussiste relativamente alla giurisdizione italiana quando (art.3, comma primo, Reg. Ce n.
2201/2003) il ricorrente è da tempo residente in Italia e entrambi i coniugi sono dotati della cittadinanza italiana anzi,
sarà univoca anche l’applicabilità della legge sostanziale loro
comune (art. 31 L. 218/95). (F.D.V.)
Nell’ipotesi in cui sia stata proposta puntuale domanda di
accertamento della mancanza del consenso dinanzi al Tribunale, occorre applicare il principio secondo cui ove il medico
sottoponga il paziente ad un trattamento chirurgico diverso
da quello in relazione al quale era stato prestato il consenso
informato, e tale intervento, eseguito nel rispetto dei protocolli e delle leges artis, si sia concluso con esito fausto, nel senso che dall’intervento stesso è derivato un apprezzabile miglioramento delle condizioni di salute, in riferimento anche alle eventuali alternative ipotizzabili, e senza che vi fossero indicazioni contrarie da parte del paziente medesimo, tale condotta è priva di rilevanza ai fini dell’affermazione di una responsabilità medica.
Pertanto, una qualsivoglia violazione di norme deontologiche in relazione al preventivo consenso all’intervento è da ritenersi totalmente “assorbita’’ dall’esito fausto dell’operazione. (A.G.)
Tribunale - Sez. IX civ. - n. 1965 - 11 febbraio 2013 - pres. est.
Servetti
Corte Appello - Sez. I civ. - n. 833 - 19 febbraio 2013 - pres.
est. Sodano
Divorzio contenzioso - Assegno divorzile - Migliorata situazione economica di un coniuge - Riduzione assegno mantenimento - Sussiste.
Appalto - Vizi e difetti progettazione caldaia - Accertamento
tecnico preventivo - Responsabilità del progettista e direttore lavori - Eliminazione dei vizi - Richiesta risarcimento
danno - Respinta.
Tribunale - Sez. IX civ. - n. 1965 - 11 febbraio 2013 - pres. est.
Servetti
Matrimonio celebrato all’estero - Divorzio - Competenza Tribunale residenza dell’attore - Sussiste.
La determinazione di un assegno divorzile è indipendente
dalle statuizioni patrimoniali operanti in vigenza di separazione dei coniugi con le conseguenze che il diniego non può
fondarsi sul rilievo che negli accordi di separazione i coniugi
pattuirono che nessun assegno fosse versato per il mantenimento di uno di essi, tali accordi, tuttavia, costituiscono, di
per sé, un elemento indiziario e valutabile per procedere alla
verifica del rapporto delle attuali condizioni economiche delle parti con il pregresso tenore di vita coniugale. (F.D.V.)
Tribunale - Sez. IX civ. - n. 1965 - 11 febbraio 2013 - pres. est.
Servetti
Divorzio contenzioso - Assegno di mantenimento - Disponibilità economica - Comparazione dei redditi - Non sussiste
Il cosiddetto criterio assistenziale, per l’attribuzione dell’assegno periodico al mantenimento del coniuge, non sussiste
quando il coniuge richiedente è in grado di autonomamente
garantirsi condizioni di vita analoghe a quelle fruite in costan-
In tema di appalto, ai sensi dell’art. 1668 c.c., l’azione del
committente per il risarcimento dei danni derivanti dai vizi
dell’opera appaltata si aggiunge, nel caso di colpa dell’appaltatore, all’azione diretta alla eliminazione dei vizi a spese
dell’appaltatore o a quella di riduzione del prezzo; infatti, tale
azione riguarda il ristoro dei pregiudizi patrimoniali non realizzabile tramite l’esperimento dell’azione per la eliminazione
dei vizi o di quella di riduzione del prezzo, in quanto concerne
la lesione di interessi del committente tutelati dall’ordinamento, quali il danno a persone o a cose derivanti dai vizi o le spese di rifacimento che il committente abbia provveduto a fare
eseguire direttamente; pertanto, nell’ambito di tale azione risarcitoria rientrano i danni conseguenti al ridotto godimento
dell’immobile di proprietà del committente riconducibili alla
necessità di procedere ad interventi finalizzati alla eliminazione dei vizi dell’opera appaltata o ancora quelli relativi al ritardo nell’adempimento, essendo configurabile un pregiudizio
derivante al committente dalla eventuale ridotta utilizzazione
dell’appartamento conseguente all’ingiustificata protrazione
dei lavori da eseguire rispetto ai termini pattuiti (Cass. Civ. n.
25921/05).
GIUSTIZIA A MILANO
20
Nella fattispecie, i danni richiesti non risultano provati, non
avendo l’appellante dimostrato di aver subito danni ulteriori rispetto a quelli derivanti dai vizi riscontrati in sede di ATP.
(M.C.R.)
Corte Appello - Sez. I civ. - n. 724 - 12 febbraio 2013 - pres.
Boiti - est. Bonaretti
Corte Appello - Sez. IV civ. - n. 794 - 18 febbraio 2013 - pres.
Buono - est. Roggero
In tema di contratti, l’autonomia dell’azione risarcitoria per
inadempimento contrattuale rispetto a quella di risoluzione
del contratto esclude che la seconda possa ritenersi implicita
nella prima (Cass. 23820/2010), ma tale autonomia esclude
l’interesse ad impugnare una pronuncia risolutoria, la cui
eventuale caducazione non influirebbe sulla condanna al risarcimento danni per inadempimento. (A.P.)
Compravendita di immobili - Forma indiretta con consegna del
bene - Ammissibilità.
In tema di compravendita di immobili, l’attuazione di un
contratto preliminare di compravendita lecitamente può essere prevista dalle parti con una vendita in forma indiretta, attraverso la consegna del bene, il pagamento del prezzo e il rilascio di una procura irrevocabile a vendere. (A.P.)
Corte Appello - Sez. IV civ. - n. 789 - 18 febbraio 2013 - pres.
Marini - est. Lombardi
Contratto di appalto - Recesso del committente - Presupposti e
limiti - Richiesta di risarcimento del danno all’appaltatore Presupposti e limiti - Gravità dell’inadempimento - Conseguenze e limiti.
Non ricorre alcuna incompatibilità tra la dichiarazione di recesso della committente e la contestazione di un inadempimento della appaltatrice sollevata a sostegno di una domanda di risarcimento danni, in quanto nel contratto d’appalto il
recesso, quale facoltà della parte di sciogliere unilateralmente il contratto, prescinde in sé da eventuali inadempienze dell’altro contraente alle obbligazioni assunte, con l’effetto che in
caso di recesso il contratto si scioglie per l’iniziativa unilaterale del committente senza necessità di indagini sull’importanza e gravità dell’inadempimento.
Dette indagini sono rilevanti soltanto quando il committente
abbia preteso anche il risarcimento del danno dall’appaltatore per l’inadempimento in cui questi fosse già incorso al momento del recesso e, pertanto, dopo il recesso dal contratto
ex art. 1671 c.c, l’eventuale valutazione dell’importanza e della gravità dell’inadempimento dell’appaltatore può essere effettuata ai soli fini risarcitori ma non di certo per la pronuncia
di risoluzione di un contratto non più in essere. (A.G.)
Corte Appello - Sez. IV civ. - n. 789 - 18 febbraio 2013 - pres.
Marini - est. Lombardi
Contratto autonomo di garanzia - Presupposti e conseguenze.
Per contratto autonomo di garanzia deve intendersi il contratto con il quale una parte si obbliga, a titolo di garanzia, ad
eseguire a prima richiesta, indipendentemente dall’esistenza,
dalla validità ed efficacia del rapporto di base, la prestazione
del debitore, con conseguente impossibilità per il garante di
sollevare eccezioni, se non la exceptio doli.
La ratio della garanzia a prima richiesta, in deroga al disposto dell’art. 1945 c.c., sta proprio nell’autonomia oggettiva
dell’obbligazione di garanzia dalla sorte di quella principale
(con la conseguente improponibilità delle eccezioni afferenti
quest’ultimo) e non già nella mera, quanto inutile, imposizione
di un onere solve et repete in capo al fideiussore, autorizzato
a far valere in via riconvenzionale quel che gli è stato inibito
dedurre solo in via di eccezione.
Il fideiussore che abbia stipulato una clausola di garanzia
quale quella descritta, sarà pertanto obbligato a pagare interamente ed irreversibilmente nelle mani del creditore ed allo
stesso fideiussore spetterà, non già la pretesa successiva rivalsa ma, soltanto, l’ordinaria azione di regresso ex art. 1950
c.c. contro il debitore principale. (A.G.)
Obbligazioni e contratti - Azione risarcitoria per inadempimento e risoluzione del contratto - Autonomia.
Corte Appello - Sez. IV civ. - n. 699 - 12 febbraio 2013 - pres.
Fabrizi - est. Bondì
Diritto di recesso - Presupposti e limiti - Valutazione comparativa del comportamento dei contraenti - Sussiste - Limiti e
conseguenze.
Il diritto di recesso è una evidente forma di risoluzione stragiudiziale del contratto, che presuppone pur sempre l’inadempimento della controparte avente i medesimi caratteri
dell’inadempimento che giustifica la risoluzione giudiziale:
esso costituisce null’altro che uno speciale strumento di risoluzione negoziale per giusta causa, alla quale lo accomunano
tanto i presupposti (l’inadempimento della controparte) quanto le conseguenze (la caducazione ex tunc degli effetti del
contratto).
Tale inquadramento sistematico dell’istituto postula, al fine
di un legittimo esercizio del diritto di recesso e di conseguente ritenzione della caparra, l’esistenza di un inadempimento
gravemente colpevole, di un inadempimento cioè imputabile
e di non scarsa importanza.
Nell’indagine sull’inadempienza contrattuale da compiersi
al fine di stabilire se ed a chi spetti il diritto di recesso, i criteri
da adottarsi sono quegli stessi che si debbono seguire nel caso di controversia su reciproche istanze di risoluzione, nel
senso che occorre in ogni caso una valutazione comparativa
del comportamento di entrambi i contraenti in relazione al
contratto, in modo da stabilire quale di essi abbia fatto venir
meno, con il proprio comportamento, l’interesse dell’altro al
mantenimento del negozio.
Il dato testuale dell’art. 1385 c.c., comma 3, nell’offrire una
precisa alternativa alla parte adempiente, nulla dispone in ordine alla possibilità del creditore di disattendere la generale
regola, sostanziale e processuale, secondo cui electa una via
non datur recursus ad alteram.
Inammissibile deve ritenersi la domanda di risoluzione giudiziale introdotta dopo essersi avvalsi della tutela speciale ex
art. 1385 c.c., comma 2, perché, dopo aver esercitato il diritto
di recesso, il contratto è già risolto.
La stessa ratio legis sottesa al più generale meccanismo
della risoluzione giudiziale appare principio di portata assai
più ampia (e dunque legittimamente esportabile anche nel
parallelo sottosistema della risoluzione legale) dacché permeato dell’evidente funzione di accordare (moderata) tutela
anche alla parte non adempiente che, assoggettata ad un’iniziativa volta alla caducazione del contratto, non può più essere, ex lege, destinataria di una successiva richiesta di adempimento. (A.G.)
Corte Appello - Sez. IV civ. - n. 669 - 11 febbraio 2013 - pres.
Marini - est. Lombardi
Contratto preliminare - Presupposti e limiti - Contratto definitivo - Presupposti e limiti.
Qualora le parti, dopo aver stipulato un contratto preliminare, abbiano stipulato il contratto definitivo, quest’ultimo costi-
GIUSTIZIA A MILANO
tuisce l’unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al negozio voluto, in quanto il contratto preliminare, determinando
soltanto l’obbligo reciproco della stipulazione del contratto
definitivo, resta superato da questo, la cui disciplina può anche non conformarsi a quella del preliminare, salvo che le
parti abbiano espressamente previsto che essa sopravviva.
La presunzione di conformità del nuovo accordo alla volontà
delle parti può, nel silenzio del contratto definitivo, essere vinta soltanto dalla prova - che deve risultare da atto scritto ove il
contratto abbia ad oggetto beni immobili - di un accordo posto in essere tra le stesse parti contemporaneamente alla stipula del definitivo dal quale risulti che gli altri obblighi o prestazioni contenuti nel preliminare sopravvivono al contratto
definitivo; e tale prova, secondo le regole generali del processo, va data dall’attore, trattandosi di fatto costitutivo della domanda con la quale egli chiede l’adempimento di un obbligo
che, pur riportato nel contratto preliminare, egli può far valere
in forza del distinto accordo intervenuto tra le parti all’atto della stipula del contratto definitivo. (A.G.)
Corte Appello - Sez. IV civ. - n. 665 - 11 febbraio 2013 - pres.
Roggero - est. Colombo
Art. 1671 c.c. - Recesso esercitabile in qualsiasi momento Sussiste - Presupposti.
L’art. 1671 c.c. stabilisce che “il committente può recedere
dal contratto, anche se è stata iniziata l’esecuzione dell’opera
o la prestazione del servizio, purché tenga indenne l’appaltatore delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato
guadagno”.
Si tratta di una forma di recesso unilaterale dal contratto,
esercitabile in qualsiasi momento dopo la conclusione del
contratto senza necessità di giustificazione, potendo fondarsi
anche solo sulla sfiducia verso l’appaltatore per fatti d’inadempimento, e determina lo scioglimento del contratto senza
necessità di indagini sull’importanza e gravità dell’inadempimento, peraltro rilevanti solo quando il committente pretenda
anche il risarcimento del danno dall’appaltatore per l’inadempimento in cui questi fosse già incorso al momento del recesso (Cass. civ. n. 10400/08).
Grava sull’appaltatore l’onere di dimostrare quale sarebbe
stato l’utile netto da lui conseguibile con l’esecuzione delle
opere appaltate, costituito dalla differenza tra il pattuito prezzo globale dell’appalto e le spese che si sarebbero rese necessarie per la realizzazione delle opere (Cass. Civ. n.
9132/2012) (F.R.)
Corte Appello - Sez. IV civ. - n. 665 - 11 febbraio 2013 pres. Roggero - est. Colombo
Appalto - Utilizzo di lavoratori in nero - Circostanza rilevante
anche per il committente - Sussiste.
In tema di appalto, la circostanza dell’utilizzo di lavoratori
non regolarmente assunti non può circoscriversi all’ambito
dello stesso appaltatore ma rileva altresì anche per il Condominio committente, il quale deve controllare che i lavori appaltati si svolgano in modo conforme alle prescrizioni legislative,
con conseguente perdita di fiducia nei confronti dell’appaltatore qualora emerga - come nella specie - che ciò non si è
realizzato. (F.R.)
Tribunale - Sez. XI civ. - n. 2471 - 21 febbraio 2013 - g.u.
Alessi
Contratto per servizi di telefonia fissa - Inadempimento - Risarcimento dei danni -Onere della prova ex art 1218 c.c. Risarcimento nei limiti contrattuali - Clausola sottoscritta ex
21
art. 1341 c.c. - Legittimità - Domanda di restituzione dei canoni - Infondatezza.
Nel caso di un contratto avente ad oggetto l’attivazione
presso un operatore di un servizio di telefonia fissa relativamente a 2 linee telefoniche e una linea fax, il cliente che abbia
subito, in più occasioni interruzioni sulla linea principale ed in
minor misura anche sulla linea aggiuntiva e linea fax, ha diritto alla condanna della convenuta compagnia telefonica al risarcimento dei danni conseguenti, al comportamento tenuto
da quest’ultima ed in particolare per i disservizi causati nei
rapporti con la clientela.
In tale fattispecie, l’onere probatorio incombe ex art. 1218
c.c. all’operatore telefonico, il quale ha l’obbligo di provare di
aver fatto tutto quanto possibile per ovviare ai disservizi lamentati.
Poiché tale prova non è stata fornita, il cliente attore ha diritto al risarcimento dei danni subiti, ma solo nei limiti di cui alla
clausola 12 delle condizioni generali di contratto specificamente approvata per iscritto ai sensi dell’art. 1341, 2 comma
c.c. e come tale senza dubbio applicabile vista l’ampia portata della stessa relativa a tutti i danni (“massimale omnicomprensivo”) diretti ed indiretti subiti dal cliente e la mancanza di
dolo o colpa grave che ne consentirebbe il superamento e
comporta che l’entità del risarcimento va limitata al 10% del
corrispettivo annuo del contratto.
Non può invece trovare accoglimento la domanda di restituzione dei canoni pagati nel periodo interessato dai malfunzionamenti che non appaiono di gravità tale da elidere completamente la fruizione del servizio che comunque è stato reso. (P.Co.)
Tribunale - Sez. VIII civ. - n. 2763 - 26 febbraio 2013 - g.u.
Mambriani
Eccezioni - Onere della prova - Consapevolezza dello stato di
insolvenza.
A parte attrice, la quale solleva le eccezioni di estinzione
delle garanzie per violazione del principio di buona fede e
correttezza nell’esecuzione del contratto da parte della banca e comunque del precetto di cui all’art. 1956 c.c., incombe
l’onere di provare che, al momento della erogazione del nuovo credito, la banca creditrice e garantita fosse consapevole
dello stato di insolvenza del debitore principale. (F.D.)
Tribunale - Sez. IV civ. - n. 2122 - 13 febbraio 2013 - g.u. Siccardi
Appalto - Facoltà del subappalto non espressamente prevista
in contratto - Grave violazione delle obbligazioni contrattuali - Non sussiste.
La violazione del divieto fissato dall’art. 1656 c.c. di per sé
non costituisce una grave violazione delle obbligazioni contrattuali, idonea, ex art. 1455 c.c., a legittimare la risoluzione.
Oggetto specifico della prestazione contrattuale nel contratto
di appalto è l’esecuzione dell’opera commissionata immune
da vizi e rispondente alle esigenze del committente, restando
sostanzialmente indifferente che l’esecuzione dell’opera, totalmente o parzialmente, venga eseguita mediante singoli
contratti di subappalto.
L’esperienza mostra come l’attività di impresa, nella prassi,
faccia continuo ricorso all’integrazione orizzontale delle competenze. Recenti elaborazioni dottrinali negano che l’intuitus
personae incida sul profilo causale del contratto di appalto in
maniera tale da rappresentare un tassello indispensabile della fattispecie: da un lato, la disposizione dell’art. 1674 c.c. fissa il principio secondo cui il contratto di appalto non si scioglie per la morte dell’appaltatore, salvo che la considerazione
GIUSTIZIA A MILANO
della sua persona sia stata il motivo determinante della sua
conclusione; dall’altro, l’art. 81 L. Fall. dispone, per il caso di
fallimento dell’appaltatore, che il curatore possa subentrare
nel rapporto in corso salva l’ipotesi, anche in questo caso,
che la considerazione della persona dell’appaltatore si stato il
motivo determinante del contratto. Le disposizioni richiamate
testimoniano che la rilevanza, agli effetti della legge, della
persona dell’appaltatore, non è un naturale negotii, bensì viene rimessa ad una precisa manifestazione della volontà delle
parti in tal senso.
La violazione del disposto dell’art. 1656 c.c. lungi dal legittimare la risoluzione del contratto per inadempimento, ha come
esclusiva conseguenza che l’appaltatore risponde nei confronti dell’appaltante anche per i vizi dell’opera che siano imputabili alla condotta del subappaltatore non autorizzato.
(P.Ca.)
Tribunale - Sez. IV civ. - n. 1940 - 8 febbraio 2013 - g.u. Vallescura
Contratto di compravendita immobile - Preliminare - Forma
scritta ad substantiam - Scritti non contestuali - Validità.
In tema di stipulazione del contratto, anche preliminare, il
requisito della forma “ad substantiam” è soddisfatto anche
mediante scritti non contestuali, non essendo indispensabile
la compresenza fisica delle parti stipulanti, né l’adozione di
particolari formule sacramentali, bensì sufficiente che dal
contesto documentale complessivo sia desumibile l’incontro
della volontà delle parti, costituito da una proposta e dalla relativa accettazione, dirette a contrarre il vincolo giuridico de
quo. Quest’ultimo, nell’ipotesi di un contratto preliminare, si
sostanzia dell’assunzione dell’impegno alla futura stipula, in
un contesto che consenta l’individuazione degli elementi essenziali del contratto definitivo, come può avvenire allorquando l’iniziale proposta d’acquisto venga sottoscritta per accettazione, con conseguente incontro della volontà delle parti e
conclusione del contratto all’atto in cui il proponente viene a
conoscenza di tale adesione (Cass. civ. n. 20653/2005).
Nonostante nella proposta di acquisto si prevedesse
espressamente che “la presente proposta si perfezionerà in
vincolo contrattuale (contratto preliminare) non appena il proponente avrà conoscenza dell’accettazione da parte del venditore; la relativa comunicazione potrà pervenire al proponente anche tramite l’agente immobiliare a mezzo raccomandata
o fax”, deve peraltro ritenersi che il contratto preliminare fra le
parti si fosse già concluso.
La clausola predetta configura invero la fattispecie del “preliminare di preliminare” che si presenta nella prassi quotidiana
seguita dai mediatori immobiliari allo scopo di acquisire un
documento attestante l’avvenuta conclusione dell’affare ed il
conseguente sorgere del diritto del mediatore alla provvigione. (P.Ca.)
Tribunale - Sez. VII civ. - n. 362 - 11 gennaio 2013 - g.u. Catalano
Eccezione generica di inadempimento - Mancata indicazione
di fatti e mancata allegazione di documenti - Rigetto.
Se è vero che nella sentenza a Sezioni Unite n. 13533/2001,
la Cassazione ha statuito la sufficienza della mera allegazione
da parte dell’attore dell’inadempimento della convenuta, è altresì vero che detta allegazione deve essere tale da permettere il pieno esercizio del diritto di difesa in capo al convenuto,
che deve essere messo in grado di provare l’eventuale infondatezza dell’eccezione altrui.
È, pertanto, necessario che l’allegazione dell’inadempimento altrui indichi specificamente i fatti costitutivi del diritto
fatto valere, “essendo altrimenti priva della specificità necessaria a radicare, per un verso, l’onere dell’altra parte di offrire
22
la prova, e, per altro verso, il dovere del giudice di procedere
ad uno specifico esame” (Cass. civ. n. 13079/08). (M.C.R.)
Tribunale - Sez. IV civ. - n. 281 - 10 gennaio 2013 - g.u. Marconi
Contratto preliminare di compravendita - Impegno ad acquistare nella consistenza in cui si verrà a trovare - Differenze minimali - Legittimità della sospensione del pagamento - Non
sussiste - Conseguenze - Grave inadempimento - Sussiste.
L’impegno alla costruzione dell’appartamento descritto nella planimetria allegata al contratto preliminare di compravendita di immobile in costruzione, per espressa previsione contrattuale, non si estende alla precisione millimetrica delle dimensioni del bene, avendo le parti previsto che il trasferimento della proprietà sarebbe avvenuto “nello stato di fatto e di diritto e di consistenza in cui si verrà a trovare all’atto del trasferimento” e, dunque, al momento del contratto definitivo, alludendo evidentemente alla disciplina della vendita a corpo.
La sospensione del pagamento delle rate del prezzo da
parte dei promissari acquirenti non può, dunque, in alcun modo essere giustificata da questioni relative a differenze minimali di dimensione delle stanze, non avendo la società convenuta assunto specificamente l’obbligo di consegnare l’appartamento a misura.
L’evidente illegittimità della sospensione del pagamento del
prezzo per motivi chiaramente pretestuosi rende palese il grave inadempimento dei promissari acquirenti e l’infondatezza
della domanda di esecuzione in forma specifica del contratto
preliminare, peraltro, inammissibile in mancanza di allegazione e prova dell’avvenuta realizzazione dell’appartamento.
(F.R.)
Tribunale - Sez. IV civ. - n. 281 - 10 gennaio 2013 - g.u. Marconi
Caparra confirmatoria - Domanda di risoluzione del contratto Ammissibilità della domanda di trattenimento della caparra
- Non sussiste.
Deve essere rigettata la domanda volta ad ottenere l’accertamento del diritto a trattenere la caparra confirmatoria a titolo
di risarcimento del danno subito in conseguenza della risoluzione del contratto.
Infatti, sussiste incompatibilità strutturale e funzionale tra la
ritenzione della caparra e la domanda di risarcimento, così
come vi è alternatività tra il rimedio del recesso e quello della
risoluzione prevista dall’art. 1385 ultimo comma c.c. (Cass.
civ. n. 20798/11). (F.R.)
Tribunale - Sez. X civ. - n. 221 - 29 gennaio 2013 - g.u. Simonetti
Furto di gioielli in appartamento - Responsabilità della ditta costruttrice del ponteggio - Sussiste - Valutazione della refurtiva - Criteri.
Deve essere considerata responsabile del furto subito all’interno di un appartamento ex art. 2043 c.c. la ditta costruttrice del ponteggio che seppur ha stipulato un contratto di noleggio di un idoneo impianto d’allarme, ha omesso di regolarne gli orari di funzionamento durante il periodo natalizio.
Ove i beni sottratti siano di modico valore, è giustificata la
carenza di prove scritte o documentali precostituite che ne attestino l’effettiva proprietà.
Per gioielli valutati per decine di centinaia di euro, è invece,
lecito attendersi da chi ne lamenta la sottrazione prove ulteriori rispetto alla mera prova testimoniale; ad esempio, certificati
di garanzia, schede tecniche dettagliate in cui si indichi il gra-
GIUSTIZIA A MILANO
do di purezza delle pietre preziose, il peso in carati, il taglio
delle pietre etc.
Di conseguenza, il difetto di tali indicazioni sulle specifiche
caratteristiche dei beni e la difficoltà di darne prova, in assenza di ulteriori elementi oltre alla prova testimoniale, giustifica
la quantificazione in via equitativa ex art. 1226 c.c. (F.R.)
Tribunale - Sez. III civ. - n. 212 - 9 gennaio 2013 - g.u. Ferrari
Azione per inadempimento - Onere della prova a carico del debitore e del creditore - Differenze.
La disciplina dell’assetto degli oneri probatori in tema di
azione contrattuale per inadempimento è dettata - com’è noto
- dalla pronuncia n. 13533/2001 resa dalle Sezioni Unite della
Corte di Cassazione. Contrariamente all’orientamento maggioritario precedente, la Suprema Corte ha statuito che il creditore che agisce per la risoluzione ovvero per l’adempimento
del contratto possa limitarsi a fornire la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto e, se previsto, del termine di
scadenza, mentre può limitarsi ad allegare l’inadempimento
della controparte: sarà il debitore convenuto a dover fornire la
prova del fatto estintivo del diritto, costituito dall’avvenuto
adempimento (Cass. civ. Sez. Un. n. 13533/2001, secondo
cui: “in tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il
risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte - negoziale o legale - del suo diritto ed il
relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte,
mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova
del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto
adempimento”). (M.C.R.)
Tribunale - Sez. IV civ. - n. 91 - 5 gennaio 2013 - g.u. Rolfi
Clausola penale - Mancata determinazione dell’ammontare Valore giuridico - Non sussiste - Risarcimento del danno Ammissibilità - Presupposti.
L’assoluta mancata determinazione dell’ammontare della
penale (avendo le parti lasciato in bianco il relativo spazio),
priva la clausola medesima di valore giuridico alcuno, non potendo certo il Tribunale procedere ad una determinazione
d’ufficio della penale medesima.
Una simile conclusione non precluderebbe, certo, il riconoscimento all’attore di un risarcimento del danno secondo le regole ordinarie, ma, non avendo l’attore medesimo fornito elemento alcuno per stabilire se il danno sussista effettivamente
e quale sia il suo ammontare, il tribunale si vede nell’impossibilità di effettuale liquidazione alcuna, neppure ricorrendo al
criterio equitativo, atteso che il disposto di cui all’art. 1226 c.c.
può esonerare la parte dalla prova del quantum ma non la
esonera assolutamente dalla prova dell’an del danno (Cass.
civ. n. 7896/02). (F.R.)
Tribunale - Sez. VI civ. - n. 70 - 4 gennaio 2013 - g.u. Ferrari
Contratti bancari - Illegittima segnalazione dell’imprenditore
presso il registro del Sistema Informativo Creditizio (S.I.C.)
- Danno in re ipsa all’immagine commerciale - Sussistenza.
L’illegittima segnalazione del proprio nominativo presso il
registro del S.I.C. comporta necessariamente per l’imprenditore un discredito alla propria immagine commerciale meritevole di riparazione in quanto tale, essendo a tal fine sufficiente che il soggetto segnalato provi la sua qualità di imprenditore. (A.A.)
23
4
DIRITTO
DEL LAVORO
Corte Appello - Sez. Lavoro - n. 12 - 18 gennaio 2013 - pres.
Castellini - est. Pattumelli
Tutela ex art. 2087 c.c. - Prescrizione - Decorrenza.
In tema di domanda di risarcimento del danno subito dal lavoratore per effetto della mancata tutela da parte del datore di
lavoro delle condizioni di lavoro, domanda quindi basata sulla
responsabilità di quest’ultimo derivante dall’inadempimento
degli obblighi allo stesso imposti dall’art. 2087 c.c., la prescrizione decennale, applicabile a tale fattispecie, decorre dal
momento in cui il danno si è manifestato, divenendo oggettivamente percepibile e riconoscibile e non già dal successivo
aggravamento che non sia manifestazione di una lesione nuova e autonoma. (F.D.)
Tribunale - n. 770 - Sez. Lavoro - 26 febbraio 2013 - g.u. Lualdi
Sanzione disciplinare - Impugnazione in sede giurisdizionale
per violazione procedimento ex art. 7 St. Lav. - Eccezione
datoriale di decadenza dall’impugnazione - Insussistenza
per mancata acquiescenza del lavoratore - Termine decennale - Mancata audizione dipendente - Assenza di espressa richiesta - Legittimità procedimento
L’impugnazione in sede giurisdizionale di sanzioni disciplinari diverse dal licenziamento non è soggetta ad alcun termine di decadenza (Corte Cost., 29 dicembre 1989, n. 586) ad
eccezione della prescrizione decennale, a meno che il lavoratore non abbia posto in essere un comportamento positivo dimostrante acquiescenza. L’aver sofferto della sospensione
disciplinare senza immediatamente impugnarla non è peraltro considerata, per giurisprudenza maggioritaria, una condotta dimostrante acquiescenza.
La mancata audizione del dipendente non rende illegittima
la sanzione irrogata qualora il lavoratore, con le giustificazioni,
si sia semplicemente riservato la possibilità di integrare le
proprie difese e di essere sentito oralmente, impugnando la
sanzione solo a distanza di oltre un anno dall’irrogazione e
senza aver mai precedentemente richiesto in maniera espressa l’audizione (Cfr. Cass., 22 marzo 2010, n. 6845).
La tempestiva presentazione, da parte del lavoratore incolpato, di giustificazioni scritte non consuma ed esaurisce l’esercizio del diritto di difesa allorché vi sia l’espressa richiesta
di audizione da parte del lavoratore. La specifica garanzia
dell’audizione a difesa, tuttavia, opera non già indistintamente
ma solo nel caso in cui il lavoratore abbia espressamente
chiesto di essere sentito (Cass., 4 marzo 2004, n. 4435; Cass.,
6 luglio 1999, n. 7006). (N.B.)
Tribunale - Sez. Lavoro - n. 660 - 22 febbraio 2013 - g.u. Cipolla
Trasferimento d’azienda - Contratto di agenzia - Articolo 2212
c.c. - Inapplicabilità - Art. 2558 c.c. - Applicabilità - L’acquirente dell’azienda subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda che non abbiano carattere personale - I
contratti di agenzia rientrano tra i contratti a carattere non
personale la cui eventuale continuazione è regolata dall’articolo 2558 c.c.
L’articolo 2112 c.c. dispone che, in caso di trasferimento
GIUSTIZIA A MILANO
d’azienda, il rapporto di lavoro continui con l’acquirente ed il
lavoratore conservi tutti i diritti che ne derivano.
Tale norma non si applica agli agenti di commercio la cui
posizione rimane disciplinata dall’articolo 2558 cod. civ. il
quale dispone che l’acquirente dell’azienda subentri nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale, a meno di diversa pattuizione tra le
parti.
I contratti di agenzia rientrano tra i contratti a carattere non
personale la cui eventuale continuazione è regolata dall’articolo 2558 c.c.
Di conseguenza l’acquirente subentra nei contratti agenzia
stipulati dall’alienante per l’esercizio dell’azienda solo se tra le
parti del contratto di cessione non siano intervenuti patti diversi. (P.B.)
Tribunale - Sez. Lavoro - n. 561 - 12 febbraio 2013 - g.u. Scarsella
Contratto di agenzia - Articolo 1751 c.c. - Attribuzione dell’indennità - Permanenza per il preponente di sostanziali vantaggi e rispondenza al criterio d’equità - Valutazione in termini prognostici.
L’articolo 1751 c.c. va interpretato in conformità della disciplina comunitaria intendendosi con ciò che l’attribuzione dell’indennità è condizionata non soltanto alla permanenza per il
preponente di sostanziali vantaggi derivanti dall’attività di
promozione degli affari compiuta dall’agente ma anche alla rispondenza ad equità dell’attribuzione, in considerazione delle circostanze del caso concreto ed in particolare delle provvigioni perse da quest’ultimo.
La valutazione dei sostanziali vantaggi ancora ricevuti dal
preponente dopo la cessazione del rapporto - che deve essere effettuata al momento della cessazione del contratto - non
può che esprimersi in termini di potenzialità della clientela lasciata dall’agente e, dunque, in termini prognostici avuto,
cioè, riguardo alla clientela reperita dall’agente e da lui “riconsegnata” al preponente al termine del rapporto. (P.B.)
Tribunale - Sez. Lavoro - n. 443 - 4 febbraio 2013 - g.u. Casella
Rapporto di lavoro subordinato - Distacco - Dissociazione tra
datore di lavoro e beneficiario della prestazione - Requisito
della temporaneità sussistente anche in caso di durata non
predeterminata.
La temporaneità della destinazione del lavoratore a prestare la propria opera in favore di un terzo (cosiddetto “distacco”
o “comando”), la quale configura uno dei presupposti di legittimità del distacco stesso, non richiede che tale destinazione
abbia una durata predeterminata sin dall’inizio né che essa
sia più o meno lunga o sia contestuale all’assunzione del lavoratore, ovvero persista per tutta la durata del rapporto, ma solo che la durata del distacco coincida con quella dell’interesse del datore di lavoro a che il proprio dipendente presti la sua
opera in favore di un terzo. La dissociazione, infatti, tra il soggetto che ha proceduto all’assunzione del lavoratore e l’effettivo beneficiario della prestazione è consentita soltanto a condizione che continui ad operare, sul piano funzionale, la causa del contratto di lavoro in corso con il distaccante, nel senso
che il distacco realizzi uno specifico interesse imprenditoriale
che consenta di qualificare il distacco medesimo quale atto
organizzativo dell’impresa che lo dispone, così determinando
una mera modifica delle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa ed il conseguente carattere non definitivo del
distacco stesso. (N.B.)
Tribunale - Sez. Lavoro - n. 1 - 14 gennaio 2013 - g.u. Porcelli
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Rito Fornero - Licenziamento - Domanda di accertamento unico centro d’imputazione del rapporto di lavoro - Improponibile - Ordinanza - Opposizione - Rigetto.
L’art. 1 della Legge 28 giugno 2012, n. 92 prevede che la
domanda di impugnazione del licenziamento, nelle forme regolate dall’articolo 18 St. Lav., debba essere proposta con le
forme del nuovo “rito” dalla stessa legge disciplinato. Si tratta
di una scelta obbligata e non di una facoltà e lo stesso art. 1
indica alcuni limiti all’applicabilità del nuovo rito: in particolare, ai sensi dei commi 47 e 48, oltre alla controversia relativa al
licenziamento, possono essere risolte solo “questioni relative
alla qualificazione del rapporto” o domande diverse da quelle
di cui al comma 47, purché fondate sugli “identici fatti costitutivi”.
Nel caso di specie, il lavoratore, dopo aver impugnato il licenziamento nei confronti di entrambe le società, ha chiesto
in primo luogo, con ricorso ex art. 1, L. n. 92/12, l’accertamento della titolarità del rapporto di lavoro in capo ad un unico
centro d’imputazione costituito da entrambe le convenute ed
il ripristino del rapporto di lavoro nei confronti di entrambe.
Pertanto, poiché l’accertamento di un collegamento giuridicamente rilevante tra le società convenute proposto come
presupposto delle domande concernenti il licenziamento
esula dalle questioni proponibili ai sensi della L. n. 92/12, deve essere confermata l’ordinanza che ha ritenuto il ricorso improponibile nelle forme di cui all’art. 1, L. n. 92/12. (N.B.)
8
ASSICURAZIONI
Tribunale - Sez. VI civ. - n. 2390 - 20 febbraio 2013 - g.u.
Cozzi
Controversia tra consumatore e professionista - Competenza
territoriale esclusiva - Foro del consumatore - Necessità Clausola che stabilisce foro differente - Vessatoria - È tale Conseguenze - Onere della prova del professionista.
Nelle controversie tra consumatore e professionista, ai sensi dell’art. 33, comma 2, lett. U, del d.lgs. 6 settembre 2005, n.
206 (c già dell’art. 1469 bis, terzo comma, cod. civ.) la competenza territoriale esclusiva spetta al giudice del luogo in cui
il consumatore ha la residenza o il domicilio elettivo e si presume vessatoria la clausola che stabilisca come sede del foro
competente una località diversa.
Pertanto, la clausola, predisposta dall’assicuratore, inserita
nelle Condizioni Generali di Assicurazione che prevede che
come foro competente un luogo diverso da quello di residenza dei contraenti, corrisponde alla clausola che si presume
vessatoria, ai sensi dell’art. 33, comma 2, del Codice del Consumo, salvo prova contraria.
Spetta al professionista superare tale presunzione, dando
prova che la sottoscrizione della clausola derogatrice della
competenza aveva costituito l’esito di una trattativa individuale, seria ed effettiva.
Non è da ritenersi valida a dare la prova dell’esistenza di
una trattativa individuale la specifica sottoscrizione della
clausola da parte dei contraenti, ex artt. 1341 e 1342 cod. civ.
che si limita al mero riscontro di un dato formale ma nulla prova in ordine alla effettività della trattativa.
Infatti la mera aggiunta a penna della clausola, nell’ambito
di un testo contrattuale dattiloscritto, o la mera approvazione
per iscritto della clausola che deroga la competenza è insufficiente a provare l’effettività della trattativa (Cass. Civ. n.
24262/2008).
Parimenti non è fondato l’assunto che esclude il carattere
vessatorio della clausola in oggetto in quanto riproduttiva di
GIUSTIZIA A MILANO
disposizioni di legge, ai sensi dell’art. 34 comma n 3 del Codice del Consumo, che richiama l’art. 20 c.p.c., che prevede
quale foro facoltativo quello del luogo ove la prestazione deve
essere eseguita, che si identifica, trattandosi di obbligazione
pecuniaria, nel domicilio del creditore al tempo della scadenza, ex art. 1182 cod. civile e cioè nel luogo nel quale la società
assicuratrice ha la sua sede.
Infatti in tema di contralti conclusi tra il consumatore e il professionista, è da presumere vessatoria anche la clausola che
stabilisca un foro - diverso da quello del domicilio elettivo o
della residenza del consumatore - che coincida con uno dei
fori legali di cui agli artt. 18 e 20 cod. proc. civ., poiché l’art.
1469, terzo comma, cod. civ. - secondo il quale non sono vessatorie le clausole che riproducono disposizioni di legge - non
può essere interpretato in senso derogatorio a detta disposizione, pena la surrettizia vanificazione della tutela del consumatore sancita ex lege (come nel caso in cui il forum destinatae solutionis coincida con la residenza del professionista).
(Cass. civ. n. 9922/2010). (C.D.)
Tribunale - Sez. VI civ. - n. 2311 - 19 febbraio 2013 - g.u.
Cozzi
Domanda di surroga e regresso in materia di fideiussione - Opposizione a decreto ingiuntivo - Infondatezza - Responsabilità ex art. 96 u.c. c.p.c. - Sussiste.
La compagnia assicuratrice, che abbia pagato il soggetto
garantito da polizza fideiussoria, ha titolo per richiedere ed ottenere un decreto ingiuntivo, in via di surroga e di regresso,
nei confronti dell’obbligato principale.
L’opposizione al decreto proposta dall’obbligato principale,
che contenga una generica contestazione è da ritenersi infondata, anche in considerazione del fatto che la polizza fideiussoria è una garanzia autonoma e che la compagnia di assicurazioni, nel caso di specie, era obbligata al pagamento a prima richiesta.
Ciò fa si che sussistano giusti motivi per ritenere che parte
opponente abbia agito in mala fede o quantomeno con colpa
grave, rilevato che era noto all’opponente medesimo che il
pagamento era stato effettuato dalla compagnia e considerato che la contestazione nel merito era del tutto inconsistente,
sia in fatto che in diritto.
Deve quindi ritenersi che l’attore abbia proposto l’opposizione di cui è a causa, al solo fine di sottrarsi all’adempimento
delle proprie obbligazioni e per tale ragione lo si condanna, ai
sensi dell’art. 96, ult. comma, c.p.c. al risarcimento del danno
subito da parte opposta, liquidato in via equitativa. (P. Co.)
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RESPONSABILITÀ
CIVILE
Corte Appello - Sez. II civ. - n. 703 - 12 febbraio 2013 - pres.
est. Ongania
Reato di diffamazione e reato di appropriazione indebita - Danno all’onore e all’immagine delle persone - Risarcimento
del danno non patrimoniale - Mancata prova del danno - Rigetto.
Diversamente dal reato di diffamazione, che comporta di
per sé un danno all’onore in considerazione del suo specifico
oggetto, quello di appropriazione indebita - reato contro il patrimonio - non è assistito da alcuna presunzione che consenta
di affermare, in assenza di una specifica prova anche presuntiva, un danno alla reputazione della parte lesa.
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E invero anche quando il fatto illecito integra gli estremi del
reato, la sussistenza del danno non patrimoniale non può mai
essere ritenuta in re ipsa, ma va sempre debitamente allegata
e provata da chi lo invoca, anche attraverso presunzioni semplici (Cass. civ. n. 8421/2011).
Nella specie, le mere allegazioni dell’attore, rimaste prive di
riscontro, non consentono di ritenere provati i fatti da cui dovrebbe desumersi il danno lamentato. Segue il rigetto dell’appello. (M.C.R.)
Corte Appello - Sez. II civ. - n. 681 - 11 febbraio 2013 - pres.
est. Crivelli
Danno da vacanza rovinata - Risarcimento danno morale.
Il consumatore ha diritto al risarcimento del danno morale
derivante dall’inadempimento o dalla cattiva esecuzione delle
prestazioni fornite in occasione di un viaggio tutto compreso
(Corte C.E. 12.3.2002).
Il diritto al risarcimento del danno da vacanza rovinata, derivante dal disagio psicofisico che si accompagna alla mancata realizzazione, anche parziale, della vacanza programmata
è stato riconosciuto, in conformità all’indirizzo interpretativo
della Corte C.E. ed in ragione della prevalenza del diritto comunitario su quello interno (Cass. SS.UU. n.26972/2008) dalla recente, uniforme giurisprudenza della Suprema Corte
(Cass. civ. n. 4372/2012). (I.S.)
Corte Appello - Sez. II civ. - n. 673 - 11 febbraio 2013 - Pres.
Crivelli - est. Santosuosso
Risarcimento del danno tanatologico - Ammissibilità - Presupposti e limiti - Quantificazione del danno non patrimoniale
iure hereditatis - Richiesto riconoscimento, oltre che del
danno tanatologico, anche di quello da invalidità permanente e di quello temporaneo - Inammissibilità.
Il danno. risarcibile è rappresentato dal danno biologico subito dalla vittima nell’intervallo di tempo intercorso tra evento
dannoso e decesso. Infatti, la giurisprudenza è chiara nell’affermare che “in caso di lesione dell’integrità fisica con esito letale, un danno biologico risarcibile in capo al danneggiato,
trasmissibile agli eredi, è configurabile qualora la morte sia intervenuta dopo un apprezzabile lasso di tempo, sì da potersi
concretamente configurare un’effettiva compromissione dell’integrità psicofisica del soggetto leso, mentre non è configurabile quando la morte sia sopraggiunta immediatamente o
comunque a breve distanza dall’evento, giacché essa non
costituisce la massima lesione possibile del diritto alla salute,
ma lesione di un bene giuridico diverso, e cioè del bene della
vita (Cass. 870/2008, Cass. 18163/2007 e Cass. 10107/2011).
Il danno biologico c.d. terminale, quindi, è risarcibile agli
eredi solo ove sia intercorso un apprezzabile lasso di tempo
tra l’evento e il decesso, in modo tale che esso entri a far parte del patrimonio del de cuius. Certamente, il caso di specie
rientra in questa tipologia, atteso che è stato dimostrato che la
morte della de cuius è stata conseguenza diretta della condotta sanitaria. Tale danno, inoltre, è stato calcolato tenendo
conto dei valori tabellari massimi relativi all’invalidità temporanea e ulteriormente maggiorato con riferimento alle peculiarità della situazione concreta.
Non è in alcun modo possibile ipotizzare la sussistenza di
un parallelo e autonomo danno biologico da invalidità permanente, come vorrebbero sostenere gli appellanti incidentali,
che sarebbe maturato in capo alla de cuius nel periodo successivo agli interventi medici e anteriore al decesso, in quanto, il riconoscimento dell’invalidità permanente escluderebbe,
ex se, la risarcibilità dell’invalidità temporanea che ha poi condotto all’evento morte e che costituisce la base di calcolo per
il danno c.d, terminale. (M.C.R.)
GIUSTIZIA A MILANO
Corte Appello - Sez. IV civ. - n. 69 - 15 gennaio 2013- pres.
Buono - est. Bondi
Danno esistenziale - Risarcimento - Voce autonoma - Non sussiste.
La nota sentenza a SSUU 26972/2008 ha ormai negato al
danno esistenziale dignità di voce autonomamente risarcibile.
Per di più, anche a voler fare riferimento all’anteriore giurisprudenza di legittimità, peraltro per nulla pacifica, che al
contrario assegnava spazi applicativi alla categoria in esame,
è certo che la risarcibilità di questo genere di danno (pressoché totalmente inconfigurabile quando si verta in un caso di
micropermanenti dell’ordine del 6%) richiedeva comunque
l’adeguata allegazione, prima che la dimostrazione, della ricorrenza di specifici elementi differenzianti, rispetto a quelli
relazionali-esistenziali già inclusi nella nozione di danno biologico, indicativi di un “pregiudizio di natura non meramente
emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile, che alteri le abitudini (del danneggiato) e gli assetti reazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno”
(Cass. Civ. SSUU n. 6572/2006). (I.S.)
Corte Appello - Sez. Lavoro - n. 14 - 18 gennaio 2013 - pres.
Castellini - est. Pattumelli
Danno non patrimoniale - Prova - Presunzioni semplici - Gravità delle lesioni.
Il danno non patrimoniale, purché correttamente allegato e
provato, può essere accertato anche attraverso il ricorso a
presunzioni semplici, riferite anche soltanto alla gravità delle
lesioni. (F.D.)
26
che il titolare del diritto del vantaggio sacrificato abbia diritto
ad un indennizzo, ciò che nella fattispecie non è. (M.C.R.)
Corte Appello - Sez. I civ. - n. 711 - 12 febbraio 2013 - pres.
Secchi - est. Sodani
Condominio - Art. 63 disp. att. c.c. - Restituzione somme - Obbligo - Nuovo proprietario - Presupposti e limiti.
L’obbligo di restituzione delle somme versate dal nuovo
proprietario ex art. 63 disp. att. c.c. discende proprio dalla
sua natura di obbligazione propter rem e dal fatto che la sua
fonte costitutiva deve essere individuata nella delibera assembleare (Cass. civ. n. 24654/2010) secondo cui: “in caso di
vendita di una unità immobiliare in condominio, nel quale siano stati deliberati lavori di straordinaria manutenzione, ristrutturazione o innovazioni sulle parti comuni, qualora venditore e
compratore non si siano diversamente accordati in ordine alla
ripartizione delle relative spese, è tenuto a sopportarne i costi
chi era proprietario dell’immobile al momento della delibera
assembleare che abbia disposto l’esecuzione dei detti interventi, avendo tale delibera valore costitutivo della relativa obbligazione. Di conseguenza, ove le spese in questione siano
state deliberate antecedentemente alla stipulazione del contratto di vendita, ne risponde il venditore, a nulla rilevando che
le opere siano state, in tutto o in parte, eseguite successivamente, e l’acquirente ha diritto di rivalersi, nei confronti del
medesimo, di quanto pagato al condominio per tali spese, in
forza del principio di solidarietà passiva di cui all’art. 63 disp.
att. cod. civ.” (I.S.)
Tribunale - Sez. XIII civ. - n. 2413 - 20 febbraio 2013 - g.u.
Spinnler
Sublocazione - Intervento della Polizia Locale - Risoluzione ex
art. 1455 c.c.
10
LOCAZIONI
E CONDOMINIO
Corte Appello - Sez. II civ. - n. 803 - 19 febbraio 2013 - pres.
de Ruggiero - est. Calendino
Noleggio parete cieca condominio - Uso pubblicitario - Costruzione baracca di cantiere in prossimità della parete - Mancato utilizzo pubblicitario - Richiesta di indennizzo - Rigetto.
Il proprietario di un fondo è anche titolare della colonna d’aria o spazio aereo sovrastante il fondo, sopra il quale può svolgere tutte le attività ed erigere tutti gli impianti che siano da
ogni altro punto di vista leciti: nella fattispecie, pertanto, la società appaltatrice, nel costruire il cantiere e la baracca di cantiere in esecuzione dell’appalto commessole dall’Ente, che
era ed è proprietario del suolo, non ha fatto altro che fruire di
facoltà normalmente concesse al suo dante causa ente proprietario del suolo.
La facoltà di utilizzare lo spazio sovrastante il suolo con la
formazione di impianti e costruzioni è per il proprietario, subordinatamente al rispetto di tutte le altre norme conferenti,
del tutto libera. Orbene, è principio mutuato dal diritto romano
che qui iure suo utitur noeminem laedit’, ciò che, relazionato
alla fattispecie, significa che se l ‘Ente Regione, e per esso la
convenuta, ha il diritto di fare ciò che vuole dello spazio sovrastante il suolo di sua proprietà, è evidente che tale facoltà non
è limitata dall’obbligo di ricompensare il sacrificio di un vantaggio, di cui, per il semplice dato di fatto che lo spazio aereo
era prima libero, altri godeva.
Ciò a meno che l’ordinamento non preveda espressamente
Non cessare la sublocazione parziale dell’immobile locato
neppure dopo l’intervento della Polizia Locale, costituisce un
inadempimento contrattuale, che, in ragione del suo carattere
persistente e continuato nel tempo e dei disagi che crea alla
quiete e alla sicurezza dello stabile, con diretto coinvolgimento della società proprietaria dell’immobile locato, è di gravità
tale da giustificare la pronuncia di risoluzione del contratto di
locazione, a norma dell’art. 1455 c.c. (F.D.)
12
PROCEDURE
CONCORSUALI
Corte Appello - Sez. IV civ. - n. 859 - 21 febbraio 2013 - pres.
Roggero - est. Formica
Revocatoria fallimentare - Inefficacia delle rimesse in conto
corrente - Presupposti e limiti - Natura bilanciata delle operazioni bancarie - Presupposti e limiti - Dimostrazione - Presupposti e conseguenze.
In tema di revocatoria fallimentare, per poter escludere la
dichiarazione di inefficacia delle rimesse in conto corrente
bancario affluite su un conto scoperto, in quanto dipendenti
da cosiddette “operazioni bilanciate”, è necessario il venir
meno della funzione solutoria delle stesse, in virtù di accordi
intercorsi tra il solvens e lo accipiens, che le abbiano destinate a costituire la provvista di coeve o prossime operazioni di
pagamenti o prelievi mirati in favore di terzi o del cliente stes-
GIUSTIZIA A MILANO
so, in modo tale da poter negare che la banca abbia beneficiato dell’operazione sia prima, all’atto della rimessa, sia dopo, all’atto del suo impiego.
La prova dell’esistenza dei predetti accordi, che giovino a
caratterizzare la rimessa, piuttosto che come operazione di
rientro, come una specifica provvista per una operazione speculare a debito, in relazione ad un ordine ricevuto ed accettato o ad una incontestata manifestazione di volontà, ove non
derivi da un atto scritto, può anche essere desunta da facta
concludentia, purché la specularità tra le operazioni ne evidenzi con certezza lo stretto collegamento negoziale.
La natura bilanciata di un’operazione si desume dagli elementi (modalità e causali delle operazioni) inseriti nell’ordine
impartito alla banca dal cliente per iscritto, secondo la prassi
bancaria. Tuttavia, versandosi in materia per cui vige la libertà
difforme, non si può escludere che per risalire a detta natura si
possa fare ricorso a prova di altro genere, tra cui la presunzione, purché basata su indizi univoci e concludenti. Non è indispensabile la perfetta coincidenza d’importo tra il versamento
ed il prelievo, ovvero di importi pressoché coincidenti, né di
perfetta contestualità tra le rimesse.
La dimostrazione delle partite bilanciate può essere fornita
non solo documentalmente, perché l’accordo in ordine alla
funzione di bilanciamento attraverso versamenti e prelievi tra
banca e cliente non necessariamente deve essere consacrato in un atto scritto, ma può anche desumersi da facta concludentia, purché la specularità tra le operazioni di versamento e
prelievo sia tale da evidenziarne con certezza lo stretto collegamento funzionale; in tal senso, deve ritenersi la natura bilanciata anche delle rimesse costituite da bonifici di terzi.
(A.G.)
Corte Appello - Sez. III civ. - n. 734 - 13 febbraio 2013 - pres.
Marescotti - est. Brena
Amministrazione straordinaria - Azioni esecutive individuali e
domande di accertamento dei crediti svolte in giudizio ordinario - Improcedibilità - Accertamento dei crediti ex art. 93 e
seguenti L.F. - Necessità.
L’ammissione di un soggetto alla procedura concorsuale di
amministrazione straordinaria ai sensi dell’art. 3, comma 3
D.L. 347/2003 esclude, attraverso il rinvio alle norme del R.D.
267/1942, la possibilità di azioni esecutive individuali, anche
speciali, sui beni dei soggetti ammessi alla procedura di amministrazione straordinaria e, soprattutto, impone di accertare
il passivo secondo il procedimento previsto dagli articoli 93 e
ss della legge fallimentare (vedi articoli 2, comma 2 bis e art. 4
ter che richiamano gli articoli 42, 44, 45, 46, e 47 del R.D.
267/1942, l’art. 48 e l’art. 53 del D.lgs. 270/1999).
Pertanto, l’intervenuta ammissione del debitore all’amministrazione straordinaria preclude l’esame delle domande oggetto di un giudizio ordinario trattandosi di pretese creditorie
azionate nei confronti di un debitore sottoposto a procedura
concorsuale. Infatti tanto l’accertamento del diritto di credito,
quanto la decisione sul quantum dovuto sono improcedibili
davanti all’autorità ordinaria e devono essere fatte valere in
sede concorsuale nel rispetto della par condicio creditorum.
(A.P.)
18
PROCESSO DI
COGNIZIONE
Corte Appello - Sez. II civ. - n. 843 - 20 febbraio 2013 - pres.
de Ruggiero - est. Tragni
27
Giudizio di divisione - Divieto di abuso di ogni posizione soggettiva ex art. 2 Cost. e art. 1175 c.c. - Divieto di abuso processuale - Sussiste - Conseguenze.
Il generale divieto di abuso di ogni posizione soggettiva che, ai sensi dell’art. 2 Cost. e dell’art. 1175 c.c., permea le
condotte sostanziali - si applica anche in chiave processuale,
cosicché il divieto di abuso del diritto diviene anche divieto di
abuso del processo, inteso quale esercizio improprio, sul piano funzionale e modale, del potere discrezionale della parte
di scegliere le più convenienti strategie di difesa.
Laddove, pertanto, il comportamento tenuto dalla parte non
è conforme a correttezza e buona fede e comporta - come accaduto nel caso di specie - un irragionevole allungamento dei
tempi processuali, il Giudice del tutto legittimamente, anche
nei giudizi di divisione, può applicare i principi generali sulla
soccombenza quando si tratta di spese necessitate da inutili
resistenze o da atteggiamenti processuali ingiustificati.
(M.C.R.)
Corte Appello - Sez. II civ. - n. 843 - 20 febbraio 2013 - pres.
de Ruggiero - est. Tragni
Giudizio di divisione - Appello - Domanda dell’appellata di risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c. per responsabilità aggravata - Accolta.
La domanda formulata dalla difesa delle appellate di condanna dell’appellante al risarcimento del danno per responsabilità aggravata deve essere accolta ai sensi dell’art. 96
c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis.
L’accoglimento di tale domanda presuppone infatti: 1) una
totale soccombenza in relazione all’esito finale della lite; 2) la
temerarietà dell’iniziativa processuale o della resistenza nel
giudizio, riconducibile all’accertata malafede della parte, da
intendersi come comprovata consapevolezza dell’infondatezza del ricorso al giudice o della contestazione dell’altrui pretesa o, almeno, della sua colpa grave, che deve ravvisarsi ogni
volta che siano state omesse quella diligenza, prudenza e perizia minime che avrebbero consentito alla parte di avvertire
l’infondatezza della propria pretesa; 3) la possibilità di accertare l’effettiva esistenza di un danno quale conseguenza diretta della condotta processuale della parte rimasta soccombente.
Con riferimento a quest’ultimo presupposto, è affermazione
ripetuta che tale accertamento operi come necessaria premessa della liquidazione d’ufficio del danno, possibile anche
in via equitativa, e presupponga normalmente un’attività processuale di allegazione e prova della parte interessata sia sull’an che sul quantum debeatur, salvo che l’esistenza del pregiudizio possa essere desumibile da nozioni di comune esperienza.
In proposito e con specifico riguardo al caso di specie, è in
primo luogo possibile fare riferimento al pregiudizio che la
parte vittoriosa ha presumibilmente subito di per sé, per essere stata costretta a contrastare, ancora una volta e dopo anni
dall’inizio della vertenza processuale, la domanda dell’avversaria, attivandosi nuovamente e impiegando ulteriore tempo
ed energie per le valutazioni preliminari al contrasto processuale e il necessario approntamento del materiale da sottoporre al difensore tecnico: attività inevitabilmente sottratte alle
ordinarie occupazioni e non compensate in alcun modo dalla
pronuncia sull’obbligo di rimborso delle spese processuali, riguardanti la sola rifusione degli oneri economici sostenuti per
la difesa tecnica.
Sulla base delle considerazioni sin qui esposte, l’appellante
deve pertanto essere condannata al pagamento a favore di
ciascuna delle appellate della somma di euro 1.500,00.=, liquidata alla data odierna in via equitativa trattandosi di danno
non determinabile nel suo esatto ammontare, ritenuta la soccombenza totale e la temerarietà della condotta processuale
della stessa, quanto meno gravemente colposa, sulla base
GIUSTIZIA A MILANO
delle argomentazioni sopra ampiamente illustrate, avendo
l’appellante incardinato il presente giudizio nonostante la
chiara infondatezza delle pretese azionate, procrastinando
ulteriormente la libera ed esclusiva disponibilità del patrimonio ereditario spettante pro quota parte a ciascun condividente. (M.C.R.)
Corte Appello - Sez. I civ. - n. 719 - 12 febbraio 2013 - pres.
est. Tarantola
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Operazioni peritali interrotte - Oneri del consulente tecnico
d’ufficio - Nullità della consulenza.
L’inosservanza da parte del consulente tecnico d’ufficio,
quando riprende le operazioni peritali interrotte, del dovere di
avvertire i contendenti, determina la nullità relativa della consulenza tecnica, (sanata ove non dedotta nella prima difesa o
nell’udienza successiva) solo se abbia effettivamente comportato, con riguardo alle circostanze del caso concreto, un
pregiudizio del diritto di difesa. (S.C.)
Cancellazione della causa dal ruolo - Presupposti e limiti.
Tribunale - Sez. X civ. - n. 2081 - 13 febbraio 2013 - g.u. Spera
La cancellazione della causa dal ruolo e la conseguente
estinzione del processo è prevista dal secondo comma
dell’art. 164 c.p.c. nei soli casi di vizi della citazione inerenti alla vocatio in ius (e cioè se vi è omissione o assoluta
incertezza dei requisiti stabiliti nei numeri l e 2 dell’art. l63
c.p.c., se manca l’indicazione della data di udienza, se
non sono stati rispettati i termini a comparire o se manca
l’avviso di cui al numero 7 dell’art. 163 c.p.c.); qualora invece il vizio riguardi la edictio actionis (e quindi se è
omesso o assolutamente incerto l’oggetto della domanda
o se non viene indicata l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto a sostegno della stessa), il quarto comma
dell’art. 164 c.p.c. non prevede l’estinzione del processo
nel caso di omessa integrazione della domanda.
Questa chiara distinzione non può essere posta in discussione dal dettato del terzo comma dell’art. 307 c.p.c., che, come norma di chiusura, prevede l’estinzione del processo, oltre che nei casi specifici indicati nei precedenti commi, negli
altri casi in cui non sia stato eseguito l’ordine di “proseguire,
riassumere o integrare il giudizio”: il rinvio ad altre disposizioni contenute nel codice di procedura civile deve infatti tener
conto delle situazioni specificamente disciplinate e quindi
non può far riferimento all’ipotesi di cui al quarto comma dell’art. 164. Appare del resto conforme a ragione che conseguenza dei vizi del procedimento sia l’estinzione del processo
e quella dei vizi della domanda il suo rigetto. (A.G.)
Disconoscimento di sottoscrizione di scrittura privata - Art. 215
c.p.c. - Tardività - Rilevabilità d’ufficio - Non sussiste.
Il disconoscimento della sottoscrizione (illeggibile nel caso
di specie) di una scrittura privata avvenuta solamente al momento dell’assunzione dell’interrogatorio formale e quindi in
una fase del giudizio successiva a quella indicata nell’art. 215
c.p.c. (ovvero in un momento successivo alla prima udienza o
nella prima risposta successiva alla produzione) - non consegue l’effetto di tacito riconoscimento della firma in contestazione, così come disposto dal citato art. 215 c.p.c.
Infatti, secondo il consolidato orientamento della Suprema
Corte, “la tardività del disconoscimento di scrittura privata
non è rilevabile d’ufficio, ma deve essere eccepita dalla parte
che tale scrittura abbia prodotto” (Cass. sent. n. 9994/2003),
nella misura in cui quest’ultima “...soltanto ha interesse a valutare l’utilità dell’accertamento positivo della provenienza della
scrittura” (Cass. civ. n. 10147/2011).
Ebbene, patte attrice non ha eccepito l’anzidetta tardività:
né al momento dell’assunzione dell’interrogatorio formale, né
nelle udienze successive.
Consegue a quanto esposto la completa inutilizzabilità ai fini probatori del documento in questione. (P.Co.)
Tribunale - Sez. VI civ. - n. 2043 - 13 febbraio 2013 - g.u. Brat
Corte Appello - Sez. II civ. - n. 703 - 12 febbraio 2013 - pres.
est. Ongania
Rigetto istanze istruttorie - Mancata richiesta di revoca o modifica dell’ordinanza - Mancata riproposizione istanze istruttorie nella precisazione delle conclusioni - Istanza di ammissione delle prove formulata in grado di appello - Rigetto.
Qualora vengano rigettate le istanze istruttorie, la parte ha
l’onere di reiterare in sede di precisazione delle conclusioni
definitive le richieste di modifica o di revoca del provvedimento negativo, riproponendo i mezzi di prova dedotti e non ammessi, poiché, diversamente, gli stessi devono ritenersi abbandonati e non possono essere riproposti al giudice d’appello (Cass. civ. n. 10748/2012). (M.C.R.)
Corte Appello - Sez. IV civ. - n. 665 - 11 febbraio 2013 - pres.
Roggero - est. Colombo
Assenza della controparte - Onere di produzione dei documenti del contumace della parte costituita - Sussiste.
Opposizione a decreto ingiuntivo - Eccezioni.
Le eccezioni a un allegato prodotto dall’ingiungente sin dal
ricorso monitorio deve essere proposta sin dalla citazione e
non con la memoria istruttoria. (S.C.)
Tribunale - Sez. IV civ. - n. 1933 - 8 febbraio 2013 - g.u. Rolfi
Determinazione della competenza - Allegazioni contenute nella domanda - Decreto ingiuntivo.
Decreto ingiuntivo - Pagamento parziale - Revoca.
Adempimento dell’obbligazione - Onere della prova - Dicitura
contenuta nella bollette.
La competenza deve essere determinata esclusivamente
sulla base delle allegazioni contenute nella domanda salvi i
casi in cui tali allegazioni prestino caratteri di artificiosità volti
a sottrarre la causa al giudice precostituito per legge e che in
caso di opposizione a decreto ingiuntivo per “domanda” deve
intendersi l’atto con cui è stata avanzata la pretesa creditoria
(cioè il ricorso per decreto ingiuntivo). (F.D.)
In assenza della controparte, l’attore appellante è certamente tenuto a produrre in giudizio i documenti contestati, in
assenza dei quali la domanda non può essere accolta (Cass.
civ. n. 15660/07). (F.R.)
Tribunale - Sez. IV civ. - n. 1933 - 8 febbraio 2013 - g.u. Rolfi
Tribunale - Sez. X civ. - n. 2193 - 15 febbraio 2013 - g.u. Filippi
Il riconoscimento del pagamento parziale effettuato dall’opponente comporta automaticamente la revoca del decreto ingiuntivo, residuando spazio unicamente per una condanna
Decreto ingiuntivo - Pagamento parziale - Revoca.
GIUSTIZIA A MILANO
della parte opponente al pagamento della somma di cui risulta essere debitrice alla data della pronuncia.
Tribunale - Sez. IV civ. - n. 1933 - 8 febbraio 2013 - g.u. Rolfi
Adempimento dell’obbligazione - Onere della prova - Dicitura
contenuta nella bollette.
Deve escludersi che la mera dicitura contenuta nelle bollette - prive di sottoscrizione - possa essere equiparata ad una
prova dell’avvenuto adempimento dell’obbligazione, e men
che meno ad una quietanza. (F.D.)
Tribunale - Sez. XII civ. - n. 401 - 14 gennaio 2013 - g.u. Marconi
Contratto tra professionista e consumatore - Competenza territoriale esclusiva dove il consumatore ha la residenza o il
domicilio esclusivo - Sussiste - Nozione di consumatore e
professionista e conseguenti presupposti - Contratto di leasing per l’acquisto di un veicolo concluso da avvocato - Presunzione che sia finalizzato all’esercizio della professione Non sussiste - Funzione promiscua del bene - Possibilità di
qualificare l’acquirente consumatore - Sussiste - Nullità del
decreto ingiuntivo emesso da organo incompetente territorialmente - Sussiste.
L’art. 33, comma 2, lett. u), del d.lgs. 6 settembre 2005 n.
206, (cd. Codice del consumo) va interpretato nel senso che il
legislatore, nelle controversie tra consumatore e professionista, ha stabilito la competenza territoriale esclusiva del giudice del luogo in cui il consumatore ha la residenza o il domicilio elettivo, presumendo vessatoria la clausola che preveda
una diversa località come sede del foro competente, ancorché coincidente con uno di quelli individuabili sulla base del
funzionamento dei vari criteri di collegamento stabiliti dal codice di procedura civile per le controversie nascenti da contratto (Cass. civ. n. 24262\2008); quello che rileva ai fini della
identificazione di chi possa avvalersi, come consumatore,
della “tutela forte” di cui alla normativa sopra citata, in primo
luogo consiste nel fatto che una tale qualifica spetta solo alle
persone fisiche e quindi non alle società ed in secondo luogo
nel fatto che la stessa persona fisica anche quando svolga attività imprenditoriale o professionale potrà essere considerata
alla stregua del semplice “consumatore” solo allorché concluda un contratto per la soddisfazione di esigenze della vita
quotidiana estranee all’esercizio di dette attività, mentre deve
essere considerato “professionista” tanto la persona fisica,
quanto quella giuridica, sia pubblica che privata, che, invece,
utilizza il contratto nel quadro della sua attività imprenditoriale
o professionale.
Perché quindi ricorra la figura del “professionista”, seppure
non sia necessario che il contratto sia posto in essere nell’esercizio dell’attività propria dell’impresa o della professione,
occorre tuttavia che esso venga posto in essere per uno scopo connesso all’esercizio dell’attività imprenditoriale o professionale (Cass. civ. n. 13643/06).
Può pertanto ritenersi che debba essere considerato “consumatore” la persona fisica che, anche se svolge attività imprenditoriale o professionale, conclude un qualche contratto
per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all’esercizio di tale attività e che debba essere considerato “professionista” tanto la persona fisica, quanto quella giuridica, sia pubblica che privata, che, invece, utilizza il contratto
nel quadro della sua attività imprenditoriale o professionale.
29
La circostanza che l’opponente svolga la professione di avvocato, non comporta che ogni contratto dal medesimo concluso sia finalizzato all’esercizio dell’attività professionale.
Come affermato dalla Corte di Giustizia (Sentenza 20-12005 C-464\0 l), la funzione promiscua del bene acquistato
non permette di qualificare il soggetto come consumatore,
occorrendo invece che l’uso professionale dello stesso abbia
rivestito un ruolo insignificante.
L’acquisizione in locazione di una autovettura non può
considerarsi strumentale all’esercizio della suddetta attività
di avvocato, non ravvisandosi alcun nesso di strumentalità,
se non marginale e come tale insignificante (potendo anche
presumersi che il professionista possa essersi recato presso il proprio ufficio utilizzando l’autovettura oggetto del contratto) tra l’esercizio di detta professione e l’acquisizione di
una autovettura ad uso privato quale quella oggetto del
contratto.
Il decreto ingiuntivo opposto deve essere pertanto revocato, in quanto emesso da giudice incompetente, e quindi nullo.
(F.R.)
19
PROCEDIMENTI
SPECIALI
Corte Appello - Sez. IV civ. - n. 791 - 18 febbraio 2013 - pres.
est. Fabrizi
Arbitrato irrituale - Impugnabilità - Vizi lodo - Presupposti e limiti.
Nell’arbitrato irrituale, volto ad una manifestazione negoziate integrativa della volontà delle parti mandanti, “il lodo è impugnabile soltanto per i vizi, che possono vulnerare simile
manifestazione di volontà, con conseguente esclusione dell’impugnazione per nullità prevista dall’art. 828 cod proc. civ.;
pertanto, l’errore del giudizio arbitrale, deducibile in sede impugnatoria, per essere rilevante, deve integrare gli estremi
della essenzialità e riconoscibilità di cui agli artt. 1429 e 1431
c.c., mentre non rileva l’errore commesso dagli arbitri con riferimento alla determinazione adottata in base al convincimento raggiunto dopo aver interpretato ed esaminato gli elementi
acquisiti” né rilevano errori in procedendo o in iudicando,
comprensivi della violazione dei principi della collegialità e
del contraddittorio, che non siano sfociati in cause di invalidità
(incapacità o vizi del consenso) o di risoluzione della perizia
stessa (Cass. civ. n. 25268/2009). (I.S.)
Corte Appello - Sez. II civ. - n. 714 - 12 febbraio 2013 - pres.
Tarantola est. D’Anella
Ricorso per decreto ingiuntivo - Prova scritta ex art. 634 c.p.c.
In tema di ricorso per decreto ingiuntivo, secondo costante
orientamento della giurisprudenza di legittimità, la prova scritta del credito, cui si riferisce l’art. 634 c.p.c. è rappresentata
da qualsiasi documento, anche privo di efficacia probatoria
assoluta, che risulti attendibile in ordine all’esistenza del diritto azionato (nel caso di specie la prova scritta era costituita da
fatture commerciali, corredate dai documenti di trasporto)
(A.P.)
GIUSTIZIA A MILANO
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QUESITO MEDICO LEGALE
elaborato dall’Osservatorio della Giustizia Civile del Tribunale di Milano dopo la L. n.
27/2012.(Nota esplicativa di prossima pubblicazione a cura del Dott. Damiano Spera in “Officina
Civile e Processo”, Tabelle Milanesi 2013 e danno non patrimoniale, Giuffrè, 2013)
“Esaminati gli atti e i documenti di causa, visitato il sig.
, esperite le indagini tecniche ritenute necessarie, sentite le parti e i loro consulenti tecnici, tenuto conto dell’età e dello stato di
salute preesistente:
1) descriva il C.T.U. la sintomatologia soggettiva del periziando;
2) accerti il C.T.U., a seguito di riscontro medico legale,
• visivamente (anche attraverso le certificazioni cliniche di altri operatori), descrivendo (e se
necessario fotografando) escoriazioni, ferite, tumefazioni, ecchimosi, ematomi, cicatrici, amputazioni, dismetrie, alterazioni posturali, ecc.;
• e/o strumentalmente, ad esempio mediante radiografia, TAC, risonanza, ecografia, esame
elettromiografico, accertamento otovestibolare, ecc.;
• e/o a mezzo del richiamo a rilevanti evidenze scientifiche -con adeguata motivazione ed indicazione della dottrina medico legale e della letteratura scientifica più accreditate in relazione alla
fattispecie concreta (con particolare riguardo alle ipotesi in cui non sia possibile procedere ad
esami strumentali, come ad esempio in stato di gravidanza)- ad esempio mediante anamnesi, visite mediche, test psicodiagnostici (per i casi di danno psichico), ulteriori indagini tecniche, ecc.;
a) la natura e l’entità delle lesioni subite dal periziando in rapporto causale con l’evento per cui è
causa;
premesso che - per dettato normativo e giurisprudenza della Corte di Cassazione - “per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all’integrità psico-fisica della persona suscettibile
di accertamento medico-legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli
aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni
sulla sua capacità di produrre reddito”; premesso altresì che per la Tabella milanese di liquidazione
del danno biologico il C.T.U. deve tener conto della “incidenza della lesione in termini “standardizzabili” in quanto frequentemente ricorrenti (sia quanto agli aspetti anatomo-funzionali, sia quanto agli
aspetti relazionali, sia quanto agli aspetti di sofferenza soggettiva)”:
b) la durata dell’inabilità temporanea, sia assoluta che relativa, precisando quali attività della vita
quotidiana siano state precluse o limitate ed indicando il consequenziale grado di sofferenza psicofisica, in una scala da 1 a 5;
c) se residuino postumi permanenti precisandone l’incidenza percentuale sull’integrità psicofisica
globale (danno biologico), tenendo conto dell’eventuale maggior usura lavorativa; nell’ipotesi di
non cogente applicazione della “Tabella delle menomazioni” (richiamata dall’art. 139 Codice delle
Assicurazioni private), indichi i criteri di determinazione del danno biologico e la tabella di valutazione medico legale di riferimento (baréme); determini, infine, il consequenziale grado di sofferenza psicofisica, in una scala da 1 a 5;
d) la necessità e la congruità delle spese mediche occorse e documentate, la necessità di eventuali
spese mediche future.”
Milano,
il G.I.
il C.T.U.
I quesiti che seguono possono essere sottoposti dal G.I. al C.T.U. solo se nel
processo siano
già state allegate e provate dall’attore
circostanze di fatto non standardizzate
GIUSTIZIA A MILANO
31
(es. quesito 3 e 4: pratica hobbistica, attività di volontariato;
quesito 5: specifica attività lavorativa svolta al momento dell’evento lesivo;
quesito 6: non svolgimento di attività lavorativa al momento dell’evento lesivo)
3) dica il C.T.U. se l’attività abituale di
praticata dal periziando all’epoca dell’evento sia in tutto o in parte impedita in conseguenza dell’accertata inabilità temporanea
e/o dei postumi permanenti;
4) poiché si versa nell’ipotesi di cogente applicazione dell’art.138 Codice delle Assicurazioni private,
dica il C.T.U. se l’inabilità temporanea e/o i postumi permanenti incidano in maniera rilevante su
specifici aspetti dinamico-relazionali personali, in considerazione della seguente condizione soggettiva del danneggiato
;
5) dica il C.T.U. se l’inabilità temporanea e/o i postumi permanenti abbiano impedito e/o impediranno
in futuro, in tutto o in parte (indicandone la percentuale), l’attività lavorativa di
svolta dal periziando all’epoca dell’evento; nell’ipotesi di perdita o limitazione della capacità lavorativa, dica in quali settori di probabili attività il periziando possa impiegare le energie residue;
6) poiché il danneggiato non lavorava all’epoca dell’infortunio, dica il C.T.U. se i postumi gli impediscano del tutto o in parte ogni attività lavorativa, ovvero in quali settori di probabili attività il periziando possa impiegare le energie residue.
Milano,
il G.I.
il C.T.U.
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ampliato. Il risultato è stato raggiunto con notevole impegno che ci proponiamo di poter mantenere per il futuro, onde offrire un più ampio servizio che confidiamo venga
apprezzato.
L’editore Anthea srl
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