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EXPORT ISTRUZIONI PER L’USO Australia, la disciplina in materia di importazioni ed etichettatura a cura di Francesco Montanari e Cesare Varallo Avvocati specializzati in diritto alimentare Le norme dell’ordinamento australiano di maggiore rilevanza per le importazioni, inclusi i requisiti di etichettatura che, stando ai controlli eseguiti dalle autorità di questo Paese, sono quelli che danno luogo al numero maggiore di non conformità 67 © Fotolia.com P aese relativamente giovane, l’Australia costituisce attualmente una delle economie più solide a livello globale, occupando il quinto posto del ranking mondiale per reddito pro capite ed il secondo per quanto concerne l’indice di sviluppo umano. In merito al commercio di prodotti alimentari, l’Australia ha sviluppato nel tempo una relazione privilegiata con la vicina Nuova Zelanda. Quest’ultima costituisce il primo partner commerciale dell’Australia per importazioni e esportazioni; applica, in linea di massima, gli stessi standard di sicurezza alimentare elaborati dalla Food Standards Australia and New Zealand (FSANZ) e, per tale ragione, gode di numerose facilitazioni commerciali nel contesto del TransTasman Mutual Recognition Agreement. L’Italia si colloca al sesto posto – e primo fra gli Stati membri dell’Unione europea (Ue) – nella classifica dei principali trade partners dell’Australia per numero di esportazioni. Frutta e verdura, prodotti dolciari, vino e altre bevande alcoliche e prodotti lattiero-caseari rappresentano le categorie di prodotti più rilevanti tra le esportazioni nostrane destinate al mercato australiano. La legislazione australiana prevede vari requisiti per l’importazione di alimenti: alcuni di questi sono contenuti in leggi di carattere generale (ad esempio, il Quarantine Act 1908), mentre altri, più specifici, sono previsti dalla Australia New Zealand Food Standards Code. Il sistema di controlli sui prodotti importati è fortemente incentrato sul rischio ed è pertanto concepito come un sistema flessibile in grado di adattarsi all’emergere di rischi noti come pure di rischi nuovi. Il presente articolo ha pertanto come obiettivo quello di illustrare le norme dell’ordinamento australiano di maggiore rilevanza per le importazioni, inclusi i requisiti di etichettatura che, stando ai controlli eseguiti dalle autorità di questo Paese, sono quelli che danno luogo al numero maggiore di non conformità. Anno XVI - 7 - Settembre 2014 export - istruzioni per l’uso Autorità competenti Monarchia costituzionale, l’Australia è allo stesso tempo una democrazia parlamentare di tipo federale costituita da sei Stati e vari Territori. Quest’ultimi godono di una certa autonomia legislativa nel contesto degli indirizzi politici e della legislazione adottata a livello federale. Nell’ambito della sicurezza alimentare, gli indirizzi politici sono dettati dal Food Regulation Ministerial Council, che raggruppa, sotto la direzione del ministro federale per la Salute, i ministri competenti delle varie entità sub-federali. La FSANZ sopra evocata svolge, per contro, un ruolo che è in parte quello di risk assessor e in parte quello di standard-setting body, competendole l’elaborazione di specifici requisiti di sicurezza alimentare. L’applicazione delle norme di food safety nazionali compete a diverse autorità presenti sul territorio, mentre, a livello centrale, l’Australian Quarantine Inspection Service (AQIS) si occupa dei controlli sulle importazioni e le esportazioni. 68 Requisiti per l’importazione Similarmente a quanto previsto dall’articolo 11 del reg. CE 178/2002, il Quarantine Act 1908 stabilisce, come principio generale, l’obbligo per i prodotti importati di rispettare gli standard di sicurezza alimentare previsti dall’ordinamento australiano. Restrizioni specifiche si applicano a uova e prodotti derivati, carni, frutta e verdura e prodotti lattiero-caseari, per l’importazione dei quali si richiede un import permit rilasciato dal Department of Agriculture, Fishery and Forestry (DAFF). Regimi speciali possono essere poi negoziati dagli importatori con il DAFF. Conosciuti come Food Import Compliance Agreements, tali regimi si basano sulle risultanze di audit che il DAFF esegue sul singolo importatore e sulle garanzie, in termini di gestione della sicurezza alimentare, che egli è in grado di offrire. Nel contesto dell’implementazione di tali accordi, gli importatori hanno l’obbligo di notificare al DAFF le non conformità rilevate nel contesto di autocontrolli e di porre in essere le misure correttive del caso. Controlli ufficiali in frontiera e mezzi di ricorso Le importazioni sono generalmente controllate al momento del loro ingresso in frontiera, anche se rimangono poi soggette ad ulteriori controlli nel mercato. L’Imported Food Control Act 1992 distingue fondamentalmente le importazioni in due categorie sulla base del rischio che presentano: da un lato, alimenti che comportano un rischio per la salute pubblica e che, come tali, sono soggetti a controlli sistematici (100%) in frontiera; dall’altro, prodotti che sono soggetti a monitoraggio e a frequenze di controlli minime (5%). Diversamente dal sistema UE che prevede liste positive o negative di prodotti in atti normativi, in Australia la classificazione delle importazioni e il relativo regime di controlli è determinato da un sistema informatico che, gestito dalle dogane e dalle autorità di controllo, contiene un risk profiling per ciascun prodotto. È opportuno notare che l’accertamento di non conformità in relazione ad un dato prodotto soggetto al regime di semplice monitoraggio fa innalzare automaticamente il livello dei controlli sui prodotti in entrata simili e con la stessa origine. Per ritornare alla frequenza minima di controlli, saranno necessarie 5 ispezioni consecutive in cui non sia identificata alcuna non conformità. I controlli in frontiera consistono in controlli d’identità accompagnati, ove opportuno, da campionamenti ed analisi. I costi di detti controlli, incluse le misure adottate in caso di non conformità (ad esempio distruzione o rinvio al Paese d’origine), sono interamente a carico dell’operatore. I prodotti in entrata sottoposti a controllo sono soggetti a vincolo sanitario. Contro le decisioni di sottoporre a vincolo sanitario il prodotto o quelle che accertano una certa non conformità l’operatore ha il diritto di presentare, nel termine di 28 giorni dalla notifica della decisione, una richiesta di revisione all’organo competente del DAFF. Nel caso quest’ultimo adotti una decisione sfavorevole all’operatore, rimane comunque sempre la possibilità di adire la giustizia amministrativa ordinaria ed, in particolare, l’Administrative Appeals Tribunal. Anno XVI - 7 - Settembre 2014 export - istruzioni per l’uso Gli operatori italiani che esportano in Australia o che desiderano farlo devono essere consapevoli che la legislazione di questo Paese prevede norme particolarmente rigorose in materia di pubblicità qualora vengano accertate non conformità. Sul sito ufficiale del DAFF vengono, infatti, pubblicate con cadenza trimestrale relazioni contenenti le violazioni rilevate dalle autorità competenti nel corso di controlli in frontiera nonché i nomi degli operatori responsabili (una pratica che il Sistema di Allerta rapido dell’Unione europea, per contro, ancora non contempla). L’operatore responsabile è generalmente il produttore, ossia l’azienda che ha coltivato, lavorato e/o trasformato l’alimento e che viene identificato sulla base delle informazioni fornite dall’importatore o presenti in etichetta. Il naming and shaming tuttavia si applica solo nel caso di contaminazioni o di inosservanza dei requisiti concernenti la composizione degli alimenti e non nel caso di etichettatura non conforme. Il DAFF pubblica anche relazioni semestrali che indicano il numero e le risultanze dei controlli sulle importazioni per categorie di prodotto e paese d’origine. Nel 2013 oltre 2000 partite di merci provenienti dall’Italia sono state sottoposte a controlli alle frontiere australiane, facendo dell’Italia il Paese esportatore più controllato dopo Cina, Stati Uniti e Tailandia. I risultati dei controlli degli ultimi anni indicano, complessivamente, un livello soddisfacente di conformità con la legislazione nazionale per ciò che riguarda le importazioni, per quanto il rispetto delle norme in materia di etichettatura dei prodotti (in particolare, origine, lista di ingredienti e dati dell’importatore) rimanga l’area in cui si registrano il numero più elevato di violazioni. Origine Il Country of Origin Labelling (COOL) è richiesto per la maggior parte degli alimenti sottoposti all’Australia New Zealand Food Standards Code, il che rende l’Australia uno dei Paesi nei quali l’applicazione di tale regola appare essere più estensiva. Tuttavia, le regole per poter utilizzare vanti di origine quali “product of” e “made in” sono contenute nella Australian Consumer Law e sog- © Fotolia.com Pubblicità dei controlli Anno XVI - 7 - Settembre 2014 69 export - istruzioni per l’uso gette al sindacato dell’Australian Competition and Consumer Commission (ACCC) invece che della FSANZ. I prodotti preconfezionati commercializzati in Australia devono riportare un’indicazione che dichiari: • il Paese dove l’alimento è stato fabbricato, prodotto o coltivato; • il Paese dove l’alimento è stato prodotto o confezionato e se l’alimento è un costituito da un mix di ingredienti importati o da un mix di ingredienti locali e importati. 70 Il Paese d’origine degli ingredienti può altresì essere dichiarato, ma solo su base volontaria. Sono previste alcune eccezioni, quali gli alimenti venduti per il consumo immediato, i ristoranti e gli alimenti preparati nel luogo in cui sono venduti (ad esempio, panetterie). Il COOL si applica anche ad alcuni prodotti preconfezionati, ed in particolare ai prodotti ortofrutticoli freschi e trasformati imballati, alla verdura, alla frutta a guscio, alle spezie, alle erbe, ai legumi, ai semi, al pesce (compresi i crostacei) ed alle carni (maiale, manzo, pecora e pollo). Il Paese d’origine del prodotto alimentare deve essere identificato anche in questo caso e, se esso è un mix di cibi provenienti da diversi Paesi, il rivenditore può dichiarare ciascun Paese di origine oppure che l’alimento è un mix di cibi locali e d’importazione oppure che trattasi di un mix di soli alimenti importati. Per i prodotti alimentari non preconfezionati, le informazioni sui Paesi di origine possono essere scritte su un cartello o, nel caso della frutta, su etichette adesive. L’ACCC ha sviluppato Linee guida in materia, che, aggiornate lo scorso aprile, precisano quanto segue: • “Australian grown” significa che l’alimento è stato coltivato in Australia; • “product of Australia” significa che una parte significativa dell’alimento è originaria dell’Australia e che praticamente tutto il processo produttivo si è svolto in tale Paese; • “made in Australia” significa che il prodotto ha subito una trasformazione sostanziale in Australia e che almeno il 50% delle spese di fabbricazione sono state sostenute in Australia, ma che, in ogni caso, nessuno degli ingredienti proviene necessariamente da tale Paese; • “made in Australia from local and imported ingredients” non richiede requisiti particolari relativi all’origine degli ingredienti, ai costi di produzione od alla trasformazione sostanziale. Tale indicazione è tuttavia soggetta alla regolamentazione ACCC relativa all’etichettatura ingannevole ed alle pratiche commerciali scorrette. Quest’ultima indicazione è comprensibilmente quella che ha creato i maggiori problemi applicativi ed il maggior numero di ricorsi all’ACCC. Unitamente alla complessità in generale della disciplina, essa costituisce uno dei principali motivi per cui i consumatori australiani chiedono a gran voce una riforma in materia. Riforma agognata e di cui si parla sin dal 2011, la cui corsa procede a rilento anche a causa dalle preoccupazioni sollevate dai produttori nazionali, i quali vedono nel COOL l’ultimo baluardo per le produzioni locali di qualità. Informazioni nutrizionali I cosiddetti Nutrition Information Panels forniscono informazioni su quantità media di energia (in kilojoule o sia in kj e kcal), proteine, grassi, grassi saturi, carboidrati, zuccheri e sodio negli alimenti, nonché eventuali altri nutrienti cui faccia riferimento un’indicazione nutrizionale. Ad esempio, laddove siano presenti claims relativi al colesterolo, agli acidi grassi trans, ai grassi polinsaturi, monoinsaturi o omega 3, i relativi valori medi dovranno essere riportati nella tabella nutrizionale. Quest’ultima deve essere presentata in un formato standard che indica l’apporto medio dei nutrienti per porzione e per 100 g (o 100 ml per i liquidi). Non molto diversamente da quanto previsto a livello UE, sono esentati dall’obbligo di fornire informazioni nutrizionali i seguenti alimenti: erbe e spezie, acque minerale, tè e caffè; alimenti venduti senza imballaggi e alimenti prodotti e confezionati presso il punto di vendita. Parimenti, gli alimenti in piccole confezioni – vale a dire pacchetti con superficie inferiore a 100 cm² – non sono tenuti a riportare un Nutrition Information Panel. Anno XVI - 7 - Settembre 2014