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Adrenalina: tante vie per tante indicazioni
Farmacologia ADRENALINA: TANTE VIE PER TANTE INDICAZIONI GIORGIO LONGO1, FULVIO BRADASCHIA2 Clinica Pediatrica dell’Università, 2Servizio di Farmacia, IRCCS “Burlo Garofolo”, Trieste 1 INDICATIONS AND ROUTES OF ADMINISTRATION OF ADRENALINE: WHAT’S NEW (M&B 1, 17-21, 1997) Key words Adrenaline, Anaphylaxis, Bronchiolitis, Croup, Bronchial asthma, Cardiopulmonary resuscitation Summary In recent years, new indications for adrenaline have been added to the most timehonored ones, such as anaphylaxis and cardiopulmonary resuscitation: Alternative routes of administration have also been evaluated. For anaphylaxis, nebulised adrenaline is very effective if administrated at an early stage and has the advantage of allowing a quick and easy administration, thus preventing the progress of anaphylactic reactions. Findings from recent studies show that both subcutaneous and nebulized adrenaline are effective in the treatment of acute bronchiolitis in infants and toddlers. Nebulized adrenaline is now an accepted indication in croup. Most of the studies in croup and bronchiolitis were made with racemic adrenaline, but there is evidence that the laevorotatory form is equally effective and does not produce cardiac effects even at relatively high dosages (0.1 mg/kg in croup and 0.25 mg/kg in bronchiolitis). L’ Adrenalina (A) o Epinefrina è il principio attivo della midollare surrenale. È l’ormone che ci permette di affrontare l’emergenza attivando sia i recettori alfa che beta-adrenergici. Aumenta la vigilanza, la tensione, stimola l’attività cardiaca, dilata i bronchi, fa arrivare più sangue ai muscoli scheletrici: in poche parole ci prepara all’azione. L’A come farmaco e nota a tutti per le sue indicazioni maggiori: lo shock anafilattico e l’arresto cardiocircolatorio. Indicazioni certamente non frequenti, specie per il pediatra. Ma negli ultimi anni l’A è diventata di attualità per l’uscita in letteratura di successive esperienze che ne hanno dimostrato l’efficacia per via inalatoria nel trattamento della bron- PREPARAZIONI DI ADRENALINA IN COMMERCIO ITALIA Iniezione parenterale 1:1000 1:2000 1:10.000 Adrenalina ISM Fastjekt Fastjekt junior - ESTERO + + + + Soluzione per nebulizzazione epinefrina 1:100 racepinefrina 2,5:100 - + + Spray predosato 160 microg/puff - + - + + + + - + Soluzione oftalmica 0,1% 0,5% 1% 2% Soluzione nasale 1:1000 Con anestetici locali 1:100.000 1:200.000 Eppy coll. Carbocaina + Adrenalina Carbocaina + Adrenalina + + Tabella I Medico e Bambino 1/1997 17 Farmacologia FARMACOLOGIA ED EFFETTI SECONDARI DELL’ADRENALINA Organo e apparato Recettore adrenergico interessato SNC Apparato cardiovascolare beta-1 alfa-1 Proprietà chimiche e stabilità Gli effetti farmacologici dell’A sono schematizzati nella Tabella II. Accanto a questi sono segnati gli effetti secondari negativi che rappresentano sostanzialmente l’esasperazione dell’effetto farmacologico. Sul cuore l’A ha un effetto cronotropo (nodo seno-atriale) e inotropo (miocardio) positivo. La gittata cardiaca viene aumentata così come il consumo di ossigeno, e questo può provocare una angina pectoris nei pazienti coronaropatici. L’aumentata eccitabilità della muscolatura cardiaca può portare ad aritmie ventricolari fino alla fibrillazione, in 18 vigilanza, ansia paura, tensione tremori, insonnia capogiri, disturbi psichiatrici frequenza cardiaca palpitazione, aritmia, extrasist.ventricol., fibrillazione ventric. angina pectoris angina pectoris emorragia cerebrale edema polmonare Apparato respiratorio alfa-1 beta-2 vasocostrizione arteriole precapillari dilatazione vasi muscolari pallore (vasocostrizione arter.) congestione edema broncodilatazione beta-2 inibizione rilascio dei mediatori mastocitari glicogenolisi rilascio di insulina → Altri effetti lavoro cardiaco consumo ossigeno pressione sistolica pressione polmonare → Farmacologia beta-2 Effetti negativi → → Sia l’A endogena che quella preparata sinteticamente sono isomeri levogiri. In commercio esiste, non in Italia, una formulazione di A racemica che è un miscuglio tra A levogira e destrogira. Quest’ultima ha un’attività 15-30 volte inferiore al composto levogiro. L’A è molto solubile in ambiente acido, imbrunisce se esposta alla luce, e si ossida facilmente prendendo una colorazione rosa a bruna (per questo motivo nei preparati commerciali è di solito associata al sodio bisolfito). Va conservata a temperatura ambiente (all’incirca 25 °C): questo aspetto va sottolineato in quanto la Farmacopea Ufficiale Italiana ne prevede la conservazione a temperatura tra i 2 e i 10°C. Non sappiamo il perché di questa indicazione, probabilmente riferita alle originali preparazioni galeniche, ma certamente senza alcun significato sulla stabilità del composto (che può quindi essere portata nella valigetta del medico, NAS permettendo). Azione → → → → chiolite. Sempre negli ultimi anni è stato dimostrato, nella terapia del croup, che l’utilizzo dell’A levogira (quella disponibile per iniezioni) non comporta, al pari della più collaudata A racemica, effetti collaterali cardiocircolatori importanti. E l’ultima “novità” è l’entrata in commercio anche in Italia della A con dispositivo di autoinoculazione per il trattamento dello shock allergico. Con questa confezione si è così, almeno in parte, ridotto il divario esistente tra l’Informatore Farmaceutico italiano e quello internazionale, dove l’A mostra di avere un peso e quindi verosimilmente un utilizzo molto maggiore (Tabella I). alfa e beta alfa-1 rilascio muscolat. gastroint. contraz. piloro e valvola ileo-cecale rilascio detrusore e contrazione trigono inibizione contraz. uterine iperglicemia iperglicemia ristagno vescicale Tabella II particolare in situazioni di miocardio già sensibilizzato da altri farmaci tra cui la digitale, gli antidepressivi triciclici, gli ormoni tiroidei e alcuni anestetici alogenati (alotano per es.). Nel soggetto sano le dosi tossiche sono variabili da l fino a 6 mg; molto dipende dalla velocità di inoculazione e dalle condizioni del paziente, ma sono state segnalate fibrillazioni ventricolari anche con il dosaggio terapeutico standard di 0,0l mg/kg quando la dose è stata iniettata inavvertitamente per via endovenosa anziché intramuscolare o sottocutanea. L’A costringe le arteriole della cute e delle mucose. Particolarmente sensibili all’effetto vasocostrittore dell’A sono le arteriole delle mani e dei piedi. L’aumento della gittata cardiaca e la vasocostrizione periferica producono un moderato aumento della pressione arteriosa sistolica. La pressione diastolica per contro diminuisce in quanto alle do- si terapeutiche predomina l’effetto vasodilatante (beta-2) sulla muscolatura scheletrica, con riduzione delle resistenze totali. Farmacocinetica L’A ingerita viene rapidamente metabolizzata dall’intestino e dal fegato, e risulta pertanto farmacologicamente inattiva per via orale. L’assorbimento per via intramuscolare è buono, mentre può risultare variabile e ritardato per via sottocutanea. L’A è assorbita in modo molto rapido dagli alveoli quando utilizzata per via inalatoria o intratracheale. L’effetto dell’A è molto rapido e di breve durata, massimo due ore. Passa la placenta, supera male la barriera ematoencefalica, entra nel latte. Viene metabolizzata principalmente nel fegato. Vediamo di analizzare più da vicino Medico e Bambino 1/1997 Adrenalina: tante vie per tante indicazioni Meccanismo d’azione: alfa 1: vasocostrizione arteriole → beta 1: effetto inotropo cronotropo Anafilassi edema pressione arteriosa → quelle che sono le indicazioni note e meno note di questo farmaco. alfa1 e beta2: soppressione liberazione e antagonismo sui mediatori dell’anafilassi L’A è il farmaco di scelta nel trattamento delle reazioni anafilattiche. La via sottocutanea è indicata per correggere l’orticaria e l’angioedema. L’A si dimostra più rapida e attiva rispetto agli antistaminici ed è potenzialmente in grado di antagonizzare il coinvolgimento sistemico della reazione allergica. Ma se la reazione anafilattica è già grave con interessamento respiratorio e cardiovascolare, l’iniezione di A va fatta per via intramuscolare. La dose da iniettare è di 0,0l mg/kg, fino a un massimo di 0,5 mg (Figura 1). In caso di mancata risposta la dose deve essere ripetuta anche dopo 5’ e, successivamente o, nei casi particolarmente gravi, va considerata la via endovenosa. Per questa via la dose “standard” è 0,1 mg (1/10 di fiala), diluita con 10 ml di soluzione fisiologica e iniettata lentamente in non meno di 5’. Nei pazienti più piccoli il dosaggio può essere inferiore (circa 0.01/mg/kg) mentre negli adulti la dose può variare da 0.1 a 0.25 mg/dose. Ovviamente il trattamento dello shock anafilattico non è limitato alla sola A. Nella Tabella III sono elencati gli interventi utili in questa condizione. È utile sottolineare come l’A debba essere il 1:1000 (1 mg/ml) RIPETERE LA DOSE + STOP monitorizzare il paziente – ADRENALINA E.V. 1. Somministrare i.m. se vi è shock (assorbimento troppo lento per via s.c.) 2. Ripetere la dose, se controllo insufficiente, dopo 15’, ma se il paziente non migliora dopo 5’ fare un’altra dose Figura 1. Meccanismo d’azione, dosaggio e modalità di somministrazione dell’adrenalmna nell’anafilassi (+ risposta favorevole; – risposta scarsa o non risposta). primo farmaco da somministrare, seguito dall’antistaminico e dal cortisonico e non al contrario, come usualmente succede di osservare. La crisi anafilattica è un evento che può essere rapidamente drammatico e il paziente che abbia avuto una tale esperienza e che sia al rischio di ripeterla (gravi allergie ad ali- Ossigenoterapia Adrenalina i.m. o e.v. Sostenere il circolo se shock plasma expander (20 ml/kg rapido) + dopamina (se non risposta) + cimetidina e.v. (300 mg nell’adulto) Antistaminici anti-H1 Clorfenamina (Trimeton fl. 10 mg) i.m. oppure e.v. lenta (diluire in 10 ml sol. fisiologica) Dose: 250 mg/kg da 4 sett. a 1 anno 5 - 10 mg da 6 anni in su, da ripetere ogni 6 ore, se necessario Medico e Bambino 1/1997 0,5 max – + STOP Assicurare la pervietà delle vie aeree: Beta-2 o adrenalina aerosol intubazione Tabella III ADULTI 0,3-0,5 ml dopo 15’ - 20’ (2) TRATTAMENTO DELLO SHOCK ANAFILATTICO Glucocorticoidi i.m o e.v. idrocortisone (4 mg/kg) o metilprednisolone (1 mg/kg) s.c. o i.m. (1) BAMBINI 0,01 ml/kg menti o a punture di insetto) deve essere provvisto di una confezione di A per autoinoculazione. È fondamentale che il medico che prescrive questo farmaco sappia anche fornire accurate indicazioni per il suo corretto utilizzo: la preparazione in commercio è molto facile da usare, ma nei momenti di emergenza non si possono avere incertezze. Vanno sottolineate in particolare la sede dell’inoculazione (parte esterna della coscia), la possibilità di iniettare anche oltre il vestito e la necessità di tenere ferma la siringa per circa 10 secondi dopo la fuoriuscita dell’ago. Va raccomandato infine di fare l’iniezione al primissimo segno di reazione allergica, senza aspettare di verificare se veramente sarà una cosa grave, e di non considerare questo come unico intervento ma di portarsi al Pronto Soccorso più vicino. Esiste in commercio una preparazione per adulti (Fast Jekt) con 0,330 mg di A e una pediatrica (“junior”) con soltanto 0,160 mg, che la casa farmaceutica produttrice indica per i bambini fino a 45 kg. Considerato però il dosaggio ottimale di 0,01 mg/kg questa preparazione appare insufficiente per bambini sopra i 20 kg. Il medico che prescrive l’A per autoinoculazione deve essere ben consapevole delle ripercussioni negative che questo comporta: il paziente riceve con l’A 19 Farmacologia anche l’implicita conferma che la sua è una forma potenzialmente mortale. Inoltre, per alcuni pazienti l’idea di poterla utilizzare è peggiore della paura dell’anafilassi; altri, al contrario, sono indotti ad abbassare pericolosamente le attenzioni confidando troppo nel farmaco. In considerazione della frequente compromissione respiratoria (broncospasmo e/o edema laringeo) vi sono alcuni che ritengono preferibile consigliare per l’autogestione dell’anafilassi l’A per via inalatoria. Esiste in commercio, anche se non in Italia, una preparazione di A spray (Medihaler Epi) che eroga 150 microgrammi di A a ogni puff. Chi ne ha esperienza afferma che il pronto utilizzo dell’A per questa via di somministrazione può prevenire la necessità di ricorrere alla via iniettiva. Un indiscutibile vantaggio dello spray è infatti la sua più facile e immediata esecuzione. Inoltre la via inalatoria permette un più costante e rapido assorbimento rispetto alla via sottocutanea, e consente peraltro di ottenere un effetto diretto sull’edema della glottide (ricordo a questo proposito che il 70% dei decessi per anafilassi è dovuto ad ostruzione delle vie aeree). Un suggerito possibile impiego dell’A spray potrebbe essere nelle scuole o in tutti gli altri luoghi dove non vi sono operatori capaci (o disponibili) a utilizzare una siringa e che sia frequentato da un bambino con anafilassi all’ingestione di qualche alimento. Anche per questa formulazione vi è però un retro della medaglia: per avere un buon assorbimento (alveolare) del farmaco, è necessario eseguire una corretta inalazione e che il paziente non abbia già una grave dispnea. Per raggiungere una dose adeguata sono inoltre necessari 10-15 puffs nel bambino e 15-20 puffs nell’adulto e questo richiede qualche minuto. Alle dosi più alte, la quota dell’A non inalata che viene ingerita produce vomito; con l’uso del distanziatore si evita questo disturbo. Personalmente ho cominciato a consigliare a ogni paziente entrambe le confezioni (iniezione e spray) e, probabilmente per il vissuto di soffocamento di questi soggetti, mi sembra che questo doppio “salvagente” sia molto ben accetto. Rianimazione cardio-polmonare L’A rimane il farmaco di prima scelta nell’arresto cardiaco. Viene generalmente utilizzata dopo la ventilazione artificia- 20 le e il massaggio cardiaco e/o dopo che una iniziale defibrillazione non ha dato esito positivo. Può risultare utile in condizioni di severa bradicardia con ipotensione e mancanza di polso. L’A non va usata nello shock cardiogeno perché aumenta il fabbisogno miocardico di ossigeno, né va usata nello shock emorragico o traumatico. Oppure: con questa indicazione l’A può essere somministrata per via endovenosa o intracardiaca (la dose nei bambini varia da 0.005 a 0.01 mg/kg; negli adulti da 0.3 a l mg/dose) o ancora per inoculazione diretta nell’albero tracheobronchiale (questa via è la preferita dai rianimatori in paziente intubato). Bronchiolite Negli ultimi anni, accanto a lavori che dimostravano e riconfermavano l’inefficacia dei beta-2 agonisti, della teofillina e dell’ipratropium bromuro nella terapia della bronchiolite, la letteratura ci ha proposto successive esperienze positive con l’utilizzo dell’A. La prima segnalazione risale a ben 10 anni fa con l’A per via sottocutanea (alla dose standard di 0.01 mg/kg, ripetuta due o tre volte nella prima ora in rapporto alla risposta clinica). Ma negli ultimi anni sono stati pubblicati almeno quattro lavori che hanno documentato il chiaro effetto terapeutico dell’A somministrata per via aerosolica con nebulizzatore. Il dosaggio utilizzato nelle diverse esperienze è molto variabile; si va da un minimo di 0,25 mg/kg a un massimo di 1 mg/kg (sic!). La nostra seppur piccola esperienza personale è stata fatta con il dosaggio più basso (l fiala di adrenalina ogni 4 kg di peso, diluita in soluzione fisiologica per ottenere almeno 3 ml di volume). I risultati che abbiamo avuto modo di osservare sono stati molto buoni e facilmente misurabili sia clinicamente (immediato miglioramento della dispnea e dell’agitazione) che con la saturazione di ossigeno. L’effetto del farmaco è di breve durata, e pertanto nelle fasi più critiche la nebulizzazione deve essere ripetuta ogni due ore. Seguendo il miglioramento della condizione respiratoria, la distanza tra le somministrazioni viene progressivamente aumentata. Asma bronchiale In questa condizione l’efficacia e l’estrema maneggevolezza dei farmaci be- ta-2 agonisti selettivi hanno lasciato poco spazio all’A. Due anni fa sono state pubblicate (Pediatrics, 93, 119, 1994), a cura dell’American Academy of Pediatrics, le linee guita per il trattamento ambulatoriale del bambino asmatico. In questo documento veniva raccomandato l’utilizzo dell’A per via sottocutanea, alla dose standard di 0,01 mg/kg (massimo 0.3 mg) nel bambino che arrivasse in ambulatorio con una grave crisi asmatica (quello che per la dispnea non riesce a pronunciare che poche parole per volta). È un bambino che va ovviamente ricoverato al più presto, ma che il medico può aiutare con un primo intervento e che non deve essere né l’aerosol di salbutamolo né l’iniezione di un cortisonico, entrambi troppo poco efficaci e relativamente troppo lunghi da somministrare o d’agire. Nei protocolli internazionali della terapia dell’asma l’A, per via sottocutanea o intramuscolare, è inoltre considerata come un possibile tentativo terapeutico nei pazienti non responsivi ai beta-2 agonisti ad alte dosi. In singoli casi della nostra esperienza ci è capitato di usarla in questa situazione e con apparente successo. Croup Che l’A fosse attiva in questa condizione è noto da sempre. Come da sempre era noto che l’efficacia terapeutica durava al massimo due ore, con possibile e temuto effetto rebound, e che per questa terapia doveva essere utilizzata la A racemica. Quest’ultima è un miscuglio di A levogira, che è la forma attiva, e destrogira, che dovrebbe impedire gli effetti negativi (sostanzialmente cardiocircolatori) della prima. La A racemica non è (e non è mai stata) in commercio in Italia, come non lo è in gran parte delle altre nazioni europee, per cui da sempre si sapeva della sua esistenza ma non la si poteva utilizzare. Nel 1992 veniva pubblicato un lavoro nel quale le due formulazioni, racemica e levogira, venivano paragonate nel trattamento aerosolico del croup. Contrariamente all’atteso, non vi era alcuna differenza né nell’effetto clinico né nella intensità degli effetti cardiocircolatori, anzi con entrambe vi era una tendenza alla riduzione della frequenza cardiaca e della PA (verosimile effetto di una migliorata respirazione). È curioso ricordare come la segnalata superiorità della racemica per uso inalatorio non trovi conforto in nessuna precedente esperienza, ma si è tra- Medico e Bambino 1/1997 Adrenalina: tante vie per tante indicazioni mandata acriticamente negli anni senza sapere chi fosse stato a diffondere questa notizia. Nel Servizio di Pronto Soccorso del nostro Ospedale l’A è entrata come farmaco di prima scelta nella terapia del croup. E lo si è fatto contestualmente all’altra novità degli ultimi anni: l’uso del cortisonico topico ad alte dosi (confronta Medico e Bambino, 3, 128, 1995, “Novità nella terapia del croup”, M. Canciani e G. Longo). Il nostro “protocollo” prevede la nebulizzazione di Clenil A (1 o 2 flaconcini) assieme a 1 o 2 fiale di A. 1:1000 (quella per uso iniettivo). Il dosaggio di A da noi utilizzato (più o meno 0.1 mg/kg, max 3 mg) è più basso di quanto le esperienze di letteratura indicherebbero (fino a 0.5 mg/kg, max 5 mg). La grande variabilità nel dosaggio dell’A per via aerosolica che troviamo in letteratura, sia in questa patologia che nella bronchiolite merita un commento. Da un lato ci conferma l’estrema innocuità di questa molecola, che ci permette dosaggi 10 volte superiori senza misurabili o significativi effetti secondari, ma dall’altro è certamente anche espressione di una grossolana variabilità nella quota di farmaco, erogata con i nebulizzatori,che raggiunge l’albeero bronchiale. Variabilità che dipende in primo luogo dall’apparecchio utilizzato. Per ottenere la stessa broncodilatazione nell’asma bronchiale noi sappiamo che possono essere usate dosi di salbutamolo 10 volte differenti a seconda che il nebulizzatore produca una nebbia a goccioline grosse o sottili e quindi in grado di raggiungere o meno le vie bronchiali. È per questo motivo che, a mio parere, considerando il rapidissimo assorbimento alveolare dell’A la dose di 0.1 mg/kg è la dose da utilizzare quando si usino apparecchi di aerosol efficaci. La dose di 0,1 mg/kg è dieci volte la dose standard iniettiva ma di fatto la dose inalata è all’incirca un decimo di quella erogata con il nebulizzatore. Nella bronchiolite i dosaggi vanno raddoppiati in considerazione della impossibilità del lattante a inalare l’intera quota nebulizzata. In conclusione 0,1 mg/kg nel croup e 0,25 mg/kg nella bronchiolite sono i dosaggi che noi utilizziamo e consigliamo, disponendo di un valido apparecchio nebulizzatore. Utilizzo come vasocostrittore L’A è correntemente utilizzata in associazione agli anestetici locali per ridurre, attraverso la vasocostrizione, l’assorbimento dell’anestetico e prolungarne così l’effetto. Esistono in commercio formulazioni a due concentrazioni: 1:100.000 e 1:200.000. Anche nella concentrazione più alta la dose di A. iniettata non raggiunge mai livelli sufficienti per determinare effetti sistemici. La vasocostrizione in loco può essere però particolarmente marcata e pertanto ne viene sconsigliato l’uso negli interventi sulla cartilagine auricolare, narici, estremità delle dita e genitali, per il rischio di lesioni necrotiche. L’applicazione con cotone o spray di una soluzione 1:1 000 di A può essere utile per ottenere un effetto emostatico su cute e mucose. È usata con questa indicazione nei piccoli interventi chirurgici in oculistica e odontoiatria. Segnalato il possibile impiego anche nell’epistassi. Per completezza si ricorda l’impiego dell’A per via endoarteriosa nelle gravi emorragie del tratto gastroenterico o renali. In questi casi il farmaco viene somministrato in infusione continua. Glaucoma ad angolo aperto Vi sono formulazioni di A per uso oftalmico. Attraverso la costrizione dei vasi congiuntivali e la contrazione del muscolo dilatatore della papilla produce una riduzione della pressione endo-oculare. L’effetto di l-2 gocce si misura entro un’ora e persite per 12 ore. Bibliografia 1. Patel L, Radivan FS, David TJ: Management of anaphylactic reactions to food. Arch Dis Child 71, 370, 1994. 2. Fisher M: Treatment of acute anaphylaxis. B M J 311, 731, 1995. 3. Heilborn H, Hjemdahl P, Daleskog M, Adamsson U: Comparison of subcutaneous injection and high-dose inhalation of epinephrine. Implications for self-treatment to prevent anaphylaxis. J All Clin Immunol 78, 1174, 1986. 4. Patel L, Radivan FS, David TJ: Management of anaphylactic reactions to food (letter). Arch Dis Child 72, 274, 1995. 5. Sanchez I, De Koster J, Powell E, Wolstein R, Chernick V: Effect of racemic epinephrine and salbutamol on clinical score and pulmonary mechanics in infants with bronchiolitis. J Pediatr 122, 145, 1993. 6. Waisman Y, Klein BL, Boenning DA, Young GM, Chamberlain J et al: Prospective randomized double-blind study comparing Lepinephrine and racemic epinephrine aerosols in the treatment of laryngotracheitis (croup). Pediatrics 89, 302, 1992. Me B Digest HEPATOTOXICITY AND TRANSAMINASE MEASUREMENT DURING ISONIAZID CHEMOPROPHYLAXIS IN CHILDREN PALUSCI VJ, O’HARE D, LAWRENCE RM Pediatr Inf Dis J 14, 144, 1996 La chemioprofilassi con idrazide previene l’evoluzione in malattia della infezione tubercolare nel 99% dei casi (Pediatrics 89, 161, 1992; JAMA 251, 1283, 1984). Tale profilassi è pressoché esente da effetti collaterali nel bambino (mentre per l’adulto l’assunzione di alcol costituisce un importante fattore di rischio): nell’infanzia si registra un aumento subclinico delle transaminasi Medico e Bambino 1/1997 nel 3-10% dei casi, la possibilità di un ittero (reversibile con la sospensione del farmaco) mentre l’insorgenza di una insufficienza epatica acuta è considerata eccezionale, e limitata a 7 casi pubblicati. (Pediatrics 88, 1976, 1976; Clin Pediatr 75, 1989; Infect Dis J 5, 490, 1986; Chest 101, 1298, 1992). L’articolo che si è qui ritenuto meritevole di recensione riguarda un caso di questo genere. Si tratta di una ragazza di 16 anni, ispano-americana, vaccinata per BCG alla nascita, risultata Mantoux positiva (15 mm) e RX-negativa, messa in profilassi con idrazide 300 mg/die+piridossina, che dopo 18 settimane di terapia, e essendo stata vaccinata di recente per l’epatite B, ha presentato un primo episodio di debolezza, insonnia, palpitazioni, per cui è stata vista in 21 Digest Pronto Soccorso e rimandata a casa dopo alcuni accertamenti non orientati al fegato; dopo una settimana aveva un quadro di epatite franca, con menorragia, ecchimosi, ittero, urine scure, edema, aumento moderato della bilirubina e delle transaminasi, ipoprotrombinemia, ipofibrinogenemia, difetto del fattore V e VII. Trattata con plasma fresco e vitamina K, lattulosio, neomicina, cimetidina e acetilaminocisteina; miglioramento delle transaminasi, ma peggioramento della bilirubinemia e della coagulazione; trasferimento e trapianto epatico. L’esame istologico mostrava un’atrofia acuta (peso del fegato dimezzato rispetto alla norma), necrosi massiva, estesa infiltrazione flogistica con isole di rigenerazione. Commento L’osservazione ci è sembrata rilevante per almeno due motivi. Il primo è, naturalmente, quello della sicurezza della tanto discussa profilassi idrazidica. Si tratta di una pratica universalmente accettata e considerata sicura (American Thoracic Society: Am J Resp Crit Care Med 149, 1359, 1994; American Academy of Pediatrics: Pediatrics 8 9, 151, 1992) che M&B, nel suo “disciplinato conformismo” ha sempre sostenuto. È chiaro che l’osservazione anche di singoli casi che mettono in dubbio tale sicurezza non può non far rimettere in discussione tutta la pratica. Infatti, come è vero per le vaccinazioni, ogni interevento di profilassi, rivolto per la sua natura al soggetto sano ancorchè a rischio, deve avere garanzie di innocuità maggiori di quante siano richieste per gli interventi terapeutici. In effetti, una revisione della letteratura pediatrica ha messo in evidenza che, su 4473 soggetti in profilassi valutabili < 20 anni, ci sono stati 59 casi con segni clinici di epatite, nessuno dei quali deceduti, mentre i casi con aumento delle transaminasi vanno, nelle diverse statistiche, dallo 0% al 13%. Queste alterazioni sono attribuite prevalentemente a “fattori idiosincratici”, sostanzialmente per acetilazione troppo rapida o per acetilazione troppo lenta; i casi di epatite fulminante, imprevedibile, la cui frequenza è grossolanamente valutabile a 0,018%) sono probabilmente espressione di autoimmunità e la loro relazione con l’idrazide è forse questionabile. Nell’insieme, per ora, M&B rimane sulle sue posizioni favorevoli alla chemioprofilassi. Tanto più, e questo è il secondo motivo di interesse del caso riferito, che nella ipotesi di un’epatite autoimmune non sembra che il ruolo della vaccinazione anti-epatite possa essere a priori scotomizzato. Segnalazioni della letteratura indicano una associazione possibile tra vaccinazione e sindrome di Guillain-Barré; dal nostro osservatorio “provinciale” abbiamo osservato casi di diabete e di epatite autoimmune (in fratelli), di miocardite autoimmune, di sindrome pseudolinfomatosa da ipersensibilità alla carbamazepina cronologicamente associate alla vaccinazione. La significatività statistica dell’associazione necessita di essere valutata; e anche la significatività clinica sembra, a priori, debole (la vaccinazione potrebbe avere un effetto “trigger” in una situazione di disequilibrio immunologico); tuttavia l’interesse concettuale non è per questo minore, e l’argomento meriterebbe una sorveglianza “mirata”. Chiediamo nzi fin d’ora ai lettori di rendere note signole osservazioni, che da sole restano sprovviste di peso, ma che possono prestarsi a un riesame del problema. 22 AUTOLOGOUS BLOOD STEM CELL TRANSPLANTATION FOR AUTOIMMUNE DISEASES SNOWDEN JA, BRIGGS JC, BROOKS PM Lancet 348, 1112, 1996 L’atteggiamento sempre più aggressivo della terapia medica nei riguardi della malattie autoimmuni (più frequenti negli ultimi anni? meglio conosciute? certo clinicamente sempre più importanti, anche in pediatria) sembra, almeno in parte, coronato da un certo successo (artrite reumatoide, lupus, vasculiti). L’autotrapianto di midollo, preceduto da un trattamento di mielosoppressione e accompagnato da un trattamento del midollo da impiantare mediante tecniche di deplezione dei T-linfociti, costituisce un modello di immunodepressione particolarmente intensivo ma ben controllabile o “pilotabile”, con una mortalità non superiore al 2%. Le indicazioni in questo senso ci vengono sia da terapie sperimentali nell’animale, sia da osservazioni “serendipitose” di lunghe remissioni di malattie autoimmuni in soggetti sottoposti a trapianto di midollo per cause oncologiche. VESCICOURETERIC REFLUX: ALL IN THE GENES? Report of a meeting of physicians at the Hospital for Sick Children GREAT ORMOND STREET, LONDON Lancet 348, 725, 1996 In un articolo rubricato “grand round”, che parte da un’osservazione clinica (una ragazza con infezioni urinarie ricorrenti, nefropatia da reflusso, insufficienza renale e ipertensione, con 12 fratelli, di cui 6 portatori di reflusso vescico-ureterale), viene affrontata a più voci una revisione del problema del reflusso, e dei problemi correlati: alla storia naturale (guarigione spontanea nella maggior parte dei casi); alle tecniche di immagine (radiocistoureterografia, scintigrafia con DMSA per individuare gli scar minori); alla istologia (copresenza di displasia renale nella quasi totalità dei maschi); e specialmente alla genetica (difetto di geni PAX, che sono dei geni che codificano per fattori genetici trascrizionali che intervengono nella strutturazione di strutture appaiate, come l’occhio, il cervello, la cresta naeurale, la muscolatura somatica): una mutazione di PAX-3 dà luogo alla sindrome di Waardenburg, con cecità, di PAX-6 dà luogo a aniridria, di PAX-2 dei reni. Il danno artificiale di PAX-2 nell’animale provoca una diplasia renale con megauretere e reflusso, associato a malformazione retinico; anche nell’uomo mutazioni eterozigoti in PAX-2 producono colobomi dell’ottico, reflusso vescico-ureterale e displasia renale. È quasi certo che il reflusso vescico-ureterale sia legato a un aplodifetto genetico: la metà dei fratelli e di figli dei soggetti con reflusso vescico-ureterale sono essi pure portatori di reflusso. La frequenza del reflusso è elevata (1-2% della popolazione generale) e la relativa mutazione genetica è dunque uno dei più comuni errori genetici. Commento Una revisione interessante, coerente con le conoscenze acquisite, quindi non una vera “novità”; tuttavia un aggiornamento meritevole di lettura. Medico e Bambino 1/1997