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l`intervento dei creditori nel nuovo processo esecutivo

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l`intervento dei creditori nel nuovo processo esecutivo
RELAZIONE SULLE MODIFICHE AL PROCESSO ESECUTIVO
L’INTERVENTO DEI CREDITORI (art. 499 ss. c.p.c.)
I presupposti e le modalità attraverso le quali un creditore può intervenire in una
procedura esecutiva già iniziata da altri hanno subìto modifiche significative a sèguito delle
riforme al codice di procedura civile intervenute nel maggio e nel dicembre 2005.
Quanto ai presupposti, la novità più rilevante è la seguente: mentre il vecchio art. 499
non richiedeva espressamente che il creditore che interviene dovesse essere munito
necessariamente di titolo esecutivo contro il debitore esecutato, ora la nuova formulazione
del predetto articolo (decisamente più dettagliata rispetto al contenuto normativo di quella
precedente) stabilisce la regola (non sprovvista delle eccezioni che esamineremo)
secondo la quale possono intervenire:
a) i creditori che hanno nei confronti del debitore un credito fondato su un titolo
esecutivo, nonché
b) quelli che avevano eseguito un sequestro sui beni pignorati, ovvero
c) avevano un diritto di pegno o prelazione risultante da pubblici registri, ovvero
d) erano titolari di un credito risultante dalle scritture contabili di cui all’art.
2214 c.c. (il libro giornale, il libro degli inventari, e tutte le altre scritture contabili che
l’imprenditore deve tenere in ragione della natura o delle dimensioni dell’impresa).
Dunque, salvo l’eccezione prevista nel 3° comma dell’art. 499, l’intervento è consentito
nelle sole ipotesi in cui il credito per il quale si vuole procedere scaturisca da
titolo esecutivo.
L’intervento del creditore titolato si esegue secondo le modalità di cui al 2° co. dell’art.
499, e cioè mediante ricorso, depositato prima che si sia tenuta l’udienza per la vendita o
l’assegnazione, contenente: a) l’indicazione del credito e del titolo; b) la domanda per
partecipare alla distribuzione del ricavato; c) la dichiarazione di residenza o l’elezione di
domicilio nel comune in cui ha sede il giudice dell’esecuzione competente; d) se il credito
riguarda una somma di denaro risultante da scritture contabili di cui al 2214 c.c., l’estratto
notarile delle medesime scritture (altra novità rilevante).
I creditori “titolati” acquisiscono, con l’intervento, il diritto di provocare (rectius: dare
impulso a) gli atti della procedura esecutiva ed a partecipare alla distribuzione.
Maggiori difficoltà interpretative pone l’intervento “non titolato” (di cui alla lettera d)
pag. 1) eseguito sulla base delle scritture contabili di cui all’art. 2214 c.c.
La prima caratteristica di questo tipo d’intervento è ch’esso può essere eseguito solo
dagli imprenditori commerciali.
In secondo luogo, il generico riferimento della norma, induce a ritenere che possano
legittimamente fondare l’intervento tutti i tipi di scritture contabili, siano esse
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“generalmente obbligatorie” (libro giornale, libro degli inventari e fascicolo della
corrispondenza) ovvero “relativamente obbligatorie” (libri sociali, libro mastro, libro cassa,
libro magazzino, libro delle scadenze cambiarie, etc.).
Le altre questioni interpretative poste dalla dottrina sono le seguenti:
1) L’intervento sulla base delle scritture di cui al 2214 c.c. può essere eseguito dagli
imprenditori solo in danno di altri imprenditori? No, stante la genericità
dell’art. 499 c.p.c., nonché avuto riguardo alla ratio della norma, volta a fornire agli
imprenditori commerciali un valido strumento di recupero dei crediti contro tutti i
debitori, siano essi imprenditori o meno. Le scritture contabili non svolgono, rispetto
all’intervento efficacia probatoria, pertanto non sussistono le limitazioni alla loro
utilizzazione previste dagli artt. 2709 (“i libri e le altre scritture contabili delle imprese
soggette a registrazione fanno prova contro l’imprenditore”) e 2710 c.c. (“i libri bollati
e vidimati nelle forme di legge, quando sono regolarmente tenuti, possono fare prova
tra imprenditori per i rapporti inerenti all’esercizio dell’impresa”); le scritture, infatti,
servono solo a fornire una documentazione “minima” idonea a legittimare
l’intervento, e non a “provare” l’esistenza del credito, che dovrà invece essere
accertato in giudizio.
2) I crediti azionabili sono solo quelli relativi a somme di denaro o sono riferibili a tutti
gli ipotetici crediti d’impresa? Solo i crediti di somme di denaro, stante il tenore
letterale del 499 c.p.c.;
3) Le scritture possono prodursi in estratto autentico solo se regolarmente
tenute? Si, solo se il notaio attesta che l’estratto è stato redatto in forza di scritture
contabili regolarmente tenute e vidimate, e ciò sia per l’indubbio vantaggio concesso
all’imprenditore di vedersi formato con assoluta celerità un titolo (non nel senso
“tecnico” del termine: ricorda che l’intervento de quo è sempre considerato “non
titolato”) per procedere ad esecuzione, sia per un principio di ragionevolezza;
4) Tra le scritture utilizzabili sono comprese quelle prescritte dalle leggi
tributarie? No, anche perché l’art. 634 c.p.c. le richiama espressamente, ma solo ai
fini del procedimento monitorio;
5) Infine, è applicabile l’art. 50 T.U. bancario? No, gli istituti di credito potranno
intervenire solo in base all’estratto notarile delle scritture contabili, e non anche
mediante l’esibizione dell’estratto conto certificato conforme alle scritture dal
dirigente.
Infine, la circostanza che la norma prevede espressamente che al ricorso per intervento
per un credito risultante dalle scritture di cui al 2214 c.c. debba essere allegato l’estratto
autentico notarile delle stesse fa propendere per la tesi che vuole come necessaria la prova
scritta in questa sola ipotesi, in quanto negli altri casi d’intervento non è prevista alcuna
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sanzione
per
l’omessa
allegazione.
Ciò
confermerebbe
quell’orientamento
giurisprudenziale consolidato che non reputava necessario il deposito del titolo al
momento dell’intervento nella procedura esecutiva.
2. - EFFETTI
Abbiamo visto che l’intervento “titolato”, ovvero quello effettuato nelle forme di cui al 1°
co. dell’art.499 c.p.c., dà diritto a partecipare all’espropriazione, provocandone gli atti e
partecipando alla distribuzione del ricavato.
Tuttavia, il Legislatore della riforma non ha escluso la possibilità che vi sia anche un
intervento “non titolato”: il 3° co. del 499 stabilisce, infatti, che, il creditore privo di
titolo che voglia intervenire deve notificare al debitore, entro i 10 giorni successivi al
deposito in cancelleria, una copia del ricorso ed una copia dell’estratto autentico notarile
attestante il credito. Tale notificazione (che produce anche il decorso del termine per
proporre opposizione ex art. 617 c.p.c.) costituisce una novità nel nostro sistema prevista
allo scopo di rendere il debitore immediatamente edotto dell’intervento non titolato, così
da provocare ogni possibile contestazione in merito. Infatti, se il debitore non fosse messo
subito in condizione di contestare l’ammissibilità di tali interventi, l’eventuale fase
contenziosa (iniziata dal debitore con un’opposizione agli atti esecutivi) si sposterebbe
inevitabilmente all’udienza fissata per il riconoscimento del debito (della quale parleremo
tra poco), con un evidente grave ritardo per la definizione di questa fase del processo.
L’intervento “non titolato”, diversamente da quello eseguito in forza del titolo
esecutivo, non conferisce al creditore il diritto all’immediato soddisfacimento
del credito dopo l’approvazione del progetto di distribuzione, bensì gli attribuisce una
tutela di tipo “prenotativo”: le somme che a costui spetterebbero vengono
momentaneamente
accantonate,
in
attesa
dell’espletamento
dell’accertamento
giudiziale in merito all’esistenza del credito con un provvedimento esecutivo. In proposito,
il 3° co. dell’art. 510 c.p.c. stabilisce che: “ l’accantonamento è disposto dal giudice
dell’esecuzione per il tempo ritenuto necessario affinché i…creditori possano munirsi di
titolo esecutivo e, in ogni caso, per un periodo di tempo non superiore a tre anni”.
Una volta decorso tale termine, il giudice, anche ex officio, dispone la comparizione del
debitore e del creditore procedente e degli intervenuti (ad eccezione di quelli – i “titolati” –
già soddisfatti) e provvede alla distribuzione della somma accantonata.
2.1 - ANCORA SULL’INTERVENTO SENZA TITOLO: IL “RICONOSCIMENTO”
DEL DEBITORE.
Con l’emissione dell’ordinanza con la quale il g.e. fissa la vendita o l’assegnazione viene,
altresì, fissata una ulteriore udienza di comparizione del debitore e dei creditori
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senza titolo, nella quale il primo potrà riconoscere totalmente o parzialmente il debito
per il quale è stato spiegato intervento “non titolato”, ovvero potrà negare l’esistenza dei
predetti crediti.
Se il debitore non compare all’udienza, la legge prevede l’effetto del riconoscimento
“implicito” di tutti i crediti per i quali si è intervenuto senza titolo.
Nel caso di riconoscimento (che per espressa previsione di Legge, “rileva ai soli fini
dell’esecuzione”: infatti, se il creditore destinatario di un riconoscimento totale del suo
credito non ottiene il soddisfacimento integrale dello stesso in sede distributiva, nel
giudizio successivamente instaurato per munirsi del titolo esecutivo in relazione alla quota
non soddisfatta il creditore medesimo non potrà giovarsi del riconoscimento effettuato in
sede esecutiva), espresso o tacito che sia, il creditore ha diritto all’immediata
attribuzione in fase distributiva, senza dover svolgere altre attività.
Ove,
invece,
il
debitore
contesti
il
credito,
l’intervenuto
ha
diritto
all’accantonamento della quota in suo favore, nonché al riconoscimento di una
collocazione nella posizione che gli sarebbe spettata ove avesse agito nella procedura
munito di titolo esecutivo. Per ottenere ciò, il creditore dovrà “farne istanza” e dimostrare
di aver proposto, nei trenta giorni successivi all’udienza fissata per il riconoscimento,
“l’azione necessaria per munirsi del titolo”. E’ evidente che l’effettiva attribuzione in sede
di distribuzione del ricavato sarà subordinata all’ottenimento del titolo nel termine fissato
dal g.e. nel progetto di distribuzione o, al massimo, nei 3 anni previsti dalla Legge (art. 510,
3° co. c.p.c.).
3. - L’INTERVENTO TARDIVO
Nonostante la dizione dell’art. 499 c.p.c. si riferirsca esclusivamente all’intervento dei
creditori “tempestivi”, il legislatore del 2005- 2006 non ha apportato modifiche rilevanti
sul profilo dell’ammissibilità dell’intervento successivo al provvedimento del giudice che
autorizza la vendita o l’assegnazione. Non sono stati, infatti, modificati gli artt. 528 e 565
c.p.c. (che regolano l’intervento tardivo, stabilendo che i creditori tardivi concorrono alla
distribuzione del ricavato che sopravanza dopo aver soddisfatto i diritti del creditore
pignorante, dei privilegiati e dei creditori intervenuti tempestivamente), e l’art. 566 (che
disciplina la graduazione dei crediti).
Il problema interpretativo da porsi, piuttosto, è il seguente: l’intervento tardivo è
ammissibile per tutte le categorie di creditori ovvero è limitato solo ad alcune
di esse?
Sicuramente dev’essere ritenuto ammissibile l’intervento tardivo del creditore munito di
titolo (visti gli articoli 528 e 565 c.p.c.), potendo tale creditore concorrere alla distribuzione
del ricavato direttamente, ovvero senza accantonamenti di sorta.
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Ma quale sarà la sorte dei creditori che al momento del pignoramento avevano eseguito
un sequestro sui beni pignorati, ovvero avevano un diritto di prelazione o pegno, ovvero
ancora erano titolari di un credito risultante da scritture contabili di cui al 2214 c.c. (tutti
interventi “non titolati”)? Per questo tipo di interventi, infatti, sappiamo che l’ultimo
comma dell’art. 499 c.p.c. prescrive che essi partecipino alla distribuzione, direttamente o
previo accantonamento, secondo gli esiti del procedimento di riconoscimento, e la
legge colloca l’avvio di tale procedimento contestualmente all’ordinanza del g. e. che
autorizza la vendita. Dunque, il procedimento de quo sarebbe ammissibile solo per i
creditori intervenuti prima che sia emessa tale ordinanza.
Tuttavia, sono state prospettate varie ipotesi per ammettere l’esperibilità dell’intervento
tardivo “non titolato”. Innanzitutto, si è detto ch’esso, stante la lettera assolutamente
generica dell’art. 510 c.p.c. (che consente l’accantonamento di tutti i crediti non muniti di
titolo), potrebbe anche prescindere dal procedimento di riconoscimento di cui
all’ult. co. del 499; tale procedimento, infatti, sarebbe un “vantaggio” (perché il debitore
potrebbe, riconoscendo esplicitamente o implicitamente il credito, provocare la
soddisfazione immediata del credito) p
er il solo creditore non titolato tempestivo.
Altra ipotesi prospettata esclude, invece, la possibilità di esperire un intervento “non
titolato” a prescindere dal procedimento di riconoscimento, in quanto i termini (30 gg.
successivi all’udienza per il riconoscimento del debito) per la presentazione dell’istanza e
per fornire la prova di aver iniziato il procedimento volto all’ottenimento del titolo
sarebbero perentori e, dunque, spirati questi, non sarebbe più ammissibile alcun
intervento senza titolo esecutivo.
La posizione processuale degli intervenuti “tardivi” rispetto ai “tempestivi” ed il principio
secondo il quale l’impulso al compimento degli atti esecutivi rimane di competenza dei soli
“titolati”, siano essi tempestivi o tardivi, sono invece rimasti invariati.
4. - L’ESTENSIONE DEL PIGNORAMENTO.
Una delle più rilevanti modifiche apportate dalla riforma è l’introduzione (o meglio,
l’applicazione generalizzata a tutti i tipi di procedimenti esecutivi, in quanto l’istituto era
già previsto nell’ambito della procedura esecutiva mobiliare dall’ora abrogato art. 527
c.p.c.), al comma 4 dell’art. 499, dell’istituto dell’estensione del pignoramento ad
altri beni del debitore nel caso d’intervento di creditori chirografari, ai quali il creditore
pignorante ha la facoltà d’indicare, con atto notificato all’udienza per l’autorizzazione alla
vendita o all’assegnazione, l’esistenza di altri beni del debitore utilmente pignorabili,
invitandoli ad estendere il pignoramento (se sono forniti di titolo esecutivo) ovvero ad
anticipare le spese occorrenti per l’estensione (in questo caso è lo stesso pignorante che
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estende direttamente il pignoramento agli altri beni); gli intervenuti possono anche
rifiutare tale invito, ma se rifiutano senza giusto motivo il pignorante ha diritto d’essere
loro preferito in sede di distribuzione.
Un problema interpretativo può porsi ove si ponga attenzione al fatto che il legislatore
parla genericamente di “beni utilmente pignorabili”, senza specificare se essi debbano
essere solo beni omogenei (rispetto a quelli già pignorati dal procedente) ovvero anche
beni eterogenei (ad esempio: se l’intervento è esplicato in una procedura esecutiva
immobiliare, può il pignorante indicare ai chirografari anche beni mobili?). L’abrogato art.
527 c.p.c., in proposito, era interpretato nel senso “restrittivo”, ritenendo ammissibile solo
un’estensione a beni omogenei (solo mobili, dunque), ma la ratio dell’intervento
riformatore, nonché la collocazione della disposizione nella norma sull’intervento in
generale, potrebbe indurre un’interpretazione più ampia (in favore di questa
interpretazione anche Guida al Diritto), anche se ciò porrebbe dei problemi di competenza
dei diversi uffici giudiziari ove l’estensione riguardi beni rientranti in territori diversi.
Dott. Massimo Teresi
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