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Rotte e commerci lungo la costa volterrana tra ii ei sec. aC Materiali

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Rotte e commerci lungo la costa volterrana tra ii ei sec. aC Materiali
Rotte e commerci lungo la costa volterrana tra ii e i sec. a.C. Materiali inediti da relitti
e rinvenimenti sporadici del tratto costiero tra il Fine e il Cecina
Introduzione
Il lavoro di riordino dei magazzini che ospitano
i materiali di proprietà statale del Museo Civico
Archeologico di Cecina ha permesso di riesaminare
importanti contesti di materiali provenienti da scavo,
nonché di documentare gruppi di manufatti acquisiti
mediante consegna spontanea o confisca. E proprio
da una consegna avvenuta in forma anonima nel 2010
presso il Museo deriva il gruppo di materiali che qui
vengono presentati, costituito da un cospicuo numero di oggetti in ceramica, in bronzo e da un lingotto
di piombo. Le caratteristiche di conservazione degli
oggetti, che presentano abbondanti incrostazioni
e concrezioni calcaree, hanno suggerito una loro
provenienza dai fondali marini. L’esame dettagliato
dei reperti ha consentito di rivedere alcune interpretazioni fornite in precedenza 1, di riflettere sulle
attribuzioni ai singoli contesti e di enucleare altri
reperti di età moderna.
I dati cronologici delle varie classi di materiali
consentono di definire l’esistenza di due principali
gruppi con caratteristiche cronologiche omogenee,
rispettivamente databili ai primi decenni del ii sec.
a.C. (contesto a) e ai decenni iniziali del i sec. a.C.
(contesto b). Tali gruppi sono verosimilmente pertinenti a due distinti relitti, almeno uno dei quali
(contesto b) da identificare con quello recuperato
nel 1978 alla foce del fiume Fine (v. infra) e noto in
letteratura come relitto di Vada a 2.
Ai contesti menzionati si aggiunge un’anfora di
produzione massaliota databile tra la seconda metà
del vi e i primi decenni del v sec. a.C., pertinente
ad un contesto diverso dai due precedenti, forse ad
un terzo e più antico relitto.
Con l’eccezione dell’anfora massaliota, non sono
stati inseriti in questo contributo altri reperti, che,
pur facendo parte dello stesso lotto in deposito al
Museo di Cecina, non è stato possibile identificare
e/o attribuire ai contesti proposti.
I materiali qui presentati gettano quindi nuova
luce sull’importanza economica e commerciale che,
all’interno dell’ager Volaterranus, rivestiva la fascia
costiera, vera e propria cerniera tra il centro urbano
1
Cfr. il contributo preliminare: Genovesi, Rizzitelli,
Sarti 2012, pp. 457-459.
2
Massa 1980-81, pp. 245-249; Martelli 1982, pp. 57-58,
figg. 26-27; Parker 1992, p. 442; Olcese 2011-2012, p. 546,
tav. 2.vi.
e il suo vasto territorio e le rotte commerciali mediterranee cui essi afferivano.
A questo studio si aggiungono i risultati delle
analisi spettroscopiche effettuate sui bronzi del contesto b ad opera dell’équipe del prof. V. Palleschi del
cnr di Pisa.
[S. G., C. R.]
1. Un relitto di età arcaica?
È ipoteticamente pertinente ad un contesto subacqueo di età tardo-arcaica un’anfora di produzione
massaliota (tav. i.1), della quale risulta conservata la
parte superiore, a partire dal punto di attacco delle
anse con la spalla. L’orlo (diam. 13 cm), del tipo a
echino, ha il punto di massima espansione nella parte
alta; esso termina con un listello e si imposta su un
collo quasi perfettamente cilindrico, alto 12 cm circa; le anse, a sezione ovale, risultano incurvate nella
parte superiore e dritte nella parte che si ricongiunge
alla spalla.
La morfologia dell’anfora del Museo Archeologico di Cecina è affine a quella delle anfore di tipo
1 della classificazione realizzata da G. Bertucchi per
le produzioni massaliote 3, mentre la conformazione
dell’orlo rientra nel tipo 1 della classificazione di M.
Py 4. Essa trova confronto con anfore del relitto del
Grand Ribaud a 5, pertinente ad un’imbarcazione
naufragata nel primo quarto del v sec. a.C. presso la
penisola di Giens (Hyères, Var), e del relitto di La
Palud, ubicato in prossimità dell’isola di Port Cros
(Hyères, Var) e datato tra la fine del vi e il primo
quarto del v sec. a.C. 6. Limitatamente all’Etruria
settentrionale, è inoltre possibile ricordare un’anfora
massaliota di tipo Bertucchi 1 dal sito di Parlascio
(fig. 1.7), ubicato nell’area collinare posta a sud della
Valle dell’Arno 7.
Bertucchi 1992, pp. 37-51.
Per le concordanze tra le classificazioni di Bertucchi e Py
vedi Bats 1990, pp. 9-12.
5
Long, Gantès, Rival 2006, pp. 469, fig. 10.4. L’imbarcazione trasportava alcune centinaia di anfore vinarie etrusche
di tipo Py 3a-3b, ceramiche di produzione greca ed etrusca e un
gruppo di anfore di produzione greca (3 anfore greco-occidentali,
un’anfora egea, e quattro anfore massaliote, tutte del tipo Bertucchi 1), queste ultime attribuite al corredo di bordo.
6
Long, Volpe 1996, pp. 1276-1280, figg. 29-30. Al gia­
cimento sono pertinenti quattro anfore massaliote di tipo
Bertucchi 1 e l’orlo di una coppa in argilla chiara, di produzione
massaliota, verosimilmente pertinente al corredo di bordo.
7
Bruni 2006, pp. 72-73, nn. 210 (tipo Bertucchi 1, datato
3
4
70
S. Genovesi, M. Giorgio, V. Palleschi, C. Rizzitelli
fig. 1 – Distribuzione delle anfore di produzione massaliota
in area nord-etrusca (seconda metà vi-vsec. a.C.). 1: Genova; 2: Pozzi, Seravezza; 3: Pisa (P.zza dei Cavalieri; Via S.
Apollonia); 4: Spuntone di Calci; 5: Fossanera; 6: Marti;
7: Parlascio; 8: Punta del Miglio (relitto); 9: Museo Civico
Archeologico di Cecina (località del ritrovamento ignota);
10: San Dazio; 11: Barbarossa (relitto?); 12: Castiglione di
San Martino; 13: Monte Castello.
L’impasto, caratterizzato da colore beige chiaro
(7.5 yr, 7.1: light brownish), contiene numerosissimi
inclusi di forma lamellare e medie dimensioni di mica
argentata e altri inclusi di colore bianco e rosso scuro;
è, in particolare, la consistente presenza della mica
che consente, anche se sulla base di una osservazione macroscopica, l’attribuzione del contenitore alle
produzioni anforiche di Massalìa e nella sua chora 8.
La commercializzazione del vino massaliota ha
inizio alla metà del vi sec. a.C., con la produzione
dei contenitori di tipo Bertucchi 1, anfore che si
inseriscono nel quadro delle anfore cosiddette “grecooccidentali”; caratterizzate da un caratteristico corpo
a trottola, alto tra 47 e 55 cm circa e capace di 17-25 l,
risultano ancora prodotte nel primo quarto del v sec.
a.C. 9. Alla fine del vi sec. a.C. ha inizio la produzione
all’inizio del v sec. a.C.). Ulteriori confronti, morfologicamente
non altrettanto puntuali, sono costituiti da esemplari integri di
anfore di tipo Bertucchi 1 provenienti dai contesti di età tardoarcaica dell’insediamento di Florensac (bassa valle dell’Hérault;
Nickels 1990, pp. 101-102, fig. 2.2) e da un giacimento di materiali eterogenei (cosiddetto Agde v), ubicato nel tratto di mare
antistante Agde, in prossimità della foce dell’Hérault (Long
1990, p. 32, fig. 8, 1).
8
Bertucchi 1992, pp. 39-43, n. 1.
9
Bats 1990, p. 16, fig. 1.1; Nickels 1990, pp. 100-103,
fig. 1; Bertucchi 1992, pp. 37-51; Sacchetti 2012, pp. 43-48.
delle anfore vinarie di tipo Bertucchi 2; caratterizzate
da un corpo più arrotondato e di minori dimensioni,
con un collo più corto e anse più basse, esse si affiancano al tipo 1 per alcuni decenni, per essere prodotte
fino agli inizi del iv sec. a.C. 10.
Tra la metà del vi e il v sec. a.C. il commercio del
vino massaliota interessa un vasto settore del bacino
occidentale del Mediterraneo, costituito, oltre che dal
territorio di Massalìa e delle sue colonie, dalla Gallia
meridionale, dalla costa occidentale della penisola
iberica, dalle isole maggiori (Baleari, Sicilia, Sardegna) e dalla costa tirrenica. Una parte consistente
dei contenitori rinvenuti in area nord-etrusca 11 ha
certamente viaggiato lungo la rotta di cabotaggio
che seguiva le coste liguri e che aveva uno dei suoi
principali porti di riferimento in quello dell’oppidum
di Genova (fig. 1.1). Le stratigrafie individuate negli
scavi di Portofranco registrano l’arrivo delle anfore
massaliote alla fine del vi sec. a.C., all’interno di un
quadro economico ancora dominato dai contenitori
etruschi 12, mentre la loro presenza nell’insediamento
fortificato ubicato sulla collina di Castello (tipo Bertucchi 2) è attestata per la prima metà del v sec. a.C. 13.
Più a sud, lungo la costa della Versilia, frammenti
di pareti caratterizzati dal tipico impasto micaceo di
questi contenitori sono stati rinvenuti nell’insediamento di Pozzi (Seravezza, fig. 1.2; Paribeni 1990,
pp. 145, n. 27), attivo in prossimità dell’antica foce
del fiume Versilia, tra il vi e il terzo quarto del v
sec. a.C. 14.
Consistenti sono le attestazioni di anfore massaliote di tipo Bertucchi 1 e 2 presso il centro urbano
di Pisa (fig. 1.3), il cui notevole sviluppo tra vi e metà
del v sec. a.C. è certamente da porre in relazione
Bats 1990, p. 16, fig. 1.2.
Nel quadro delle importazioni di anfore massaliote in
area etrusco-settentrionale che segue abbiamo fatto riferimento
ai contenitori di tipo Bertucchi 1 e 2, in considerazione della
loro pertinenti allo stesso fenomeno commerciale e del fatto
che, almeno in parte, esse appartengono allo stesso orizzonte
cronologico.
12
Melli 2006, pp. 612-613, fig. 1 (frammenti di parete,
non tipologizzabili).
13
Milanese 1987, p. 213, n. 534, fig. 95; p. 260, n. 762, fig.
112; Milanese 1990, p. 220, fig. 6 (fase 3 dell’oppidum, prima
metà del v sec. a.C.).
14
Di notevole interesse è l’apparente assenza, nei livelli
della seconda metà del vi e di v sec. a.C., di anfore massaliote
presso il sito emporico di San Rocchino (per il quale vedi in generale Paribeni 1990, pp. 69-110); tale dato viene ipoteticamente
messo in relazione con il fatto che le anfore massaliote si sarebbero
diffuse successivamente alla metà del v sec. a.C., quando il sito
risulta abbandonato (Bonamici 2006, pp. 497-511, in particolare
pp. 506-507, tab. 1). In realtà, come mostrano i contesti genovesi
e pisani (per i quali v. infra) e la tipologia dei contenitori noti la
circolazione in area nord-etrusca del vino di Marsiglia ha inizio
già nel corso della seconda metà del vi sec. a.C.
10
11
Rotte e commerci lungo la costa volterrana tra ii e i sec. a.C.
tav. i – Contenitori da trasporto e tappi d’anfora in pozzolana dai contesti subacquei del Museo Archeologico
di Cecina. 1: anfora massaliota. Contesto a. 2: anfora
greco-italica. Contesto b. 3-4: Dressel 1 b; 5: anfora punica; 6-7: tappi d’anfora in pozzolana. Relitto della foce
del Fine: 8: tappo d’anfora in pozzolana; 9-10: Dressel 1b;
11: Dressel 1c.
con il ruolo commerciale di primo piano svolto dal
centro urbano nell’area compresa tra i Mari Tirreno
e Ligure. I rinvenimenti, purtroppo decontestualizzati, effettuati nell’area di Piazza dei Cavalieri negli
anni ’80 hanno restituito un notevole numero di
anfore di produzione massaliota di tipo Bertucchi
1 e 2 15, pari al 70% dei contenitori di produzione
greco-occidentale; contenitori di questo stesso tipo
provengono inoltre dallo scavo effettuato nel 1994
dalla Scuola Normale Superiore di Pisa in Via S.
Apollonia, in particolare dai livelli pertinenti ad una
struttura abitativa realizzata alla fine del vii sec. a.C.
e definitivamente abbandonata nella seconda metà
del v sec. a.C. 16.
Ulteriori attestazioni provengono da insedia­
menti dal territorio di Pisa, a testimonianza di una
circolazione che, a partire dal centro urbano, interessava anche abitati minori dell’entroterra. Alcuni
frammenti, forse pertinenti a contenitori di tipo
Bertucchi 2 o 3 (fine del vi-inizio del iv sec. a.C.),
15
Pancrazzi 1982, p. 339 (tipo Bertucchi 1); ibid., pp. 339340, fig. 3, 26 (tipo Bertucchi 2). Alla fine del v sec. a.C. fanno
inoltre la loro comparsa le anfore massaliote di tipo Bertucchi
3 (Pancrazzi 1982, p. 339). Per gli stessi contesti vedi anche
Pancrazzi 1993, pp. 45-50.
16
Corretti 2003, p. 62 e schede n. 11 (tipo Bertucchi 1,
datata tra la fine del vi e l’inizio del v sec. a.C.) e 12 (tipo Bertucchi 2a, datata alla prima metà del v sec. a.C.).
71
provengono dall’insediamento a carattere militare
dello Spuntone di Calci (fig. 1.4), la cui frequentazione appare circoscritta al periodo compreso tra il
secondo quarto e la fine del v-inizio del iv sec. a.C. 17.
Un frammento di forma non definibile è stato
inoltre rinvenuto in una discarica afferente all’abitato
di Fossa Nera (fig. 1.5: Ciampoltrini 1993, p. 77, nota
41), attivo tra l’inizio e la fine del v sec. a.C. nella
bassa valle del Serchio (area dell’antico lago di SestoBientina), mentre un’ansa, anche in questo caso non
tipologizzabile ma caratterizzata da impasto micaceo,
proviene dall’insediamento di Marti (fig. 1.6), attivo a
partire dalla seconda metà del vi sec. a.C. nel settore
più orientale del territorio afferente a Pisa (Bruni
2001, p. 34, fig. 2.g). Fanno parte del consistente
gruppo di contenitori da trasporto di età arcaica e
classica rinvenuto nel già ricordato sito di Parlascio
due orli di anfore massaliote, rispettivamente riconducibili ai tipi Bertucchi 1 e 2 18.
Un’anfora massaliota di tipo Bertucchi 2 fa parte,
assieme ad un consistente numero di anfore etrusche
di tipo Py 4a e ad un contenitore fenicio-punico di
tipo Ramon t 1.4 o t 4.1/2, del carico di un relitto
di fine V-inizi iv sec. a.C., ubicato presso la Punta
del Miglio (fig. 1.8), a 2 km circa a sud del Castello
del Boccale a Calafuria 19.
Con l’unica eccezione dell’esemplare del Museo Archeologico di Cecina, appare rilevante, a sud
del territorio di Pisa, l’assenza di attestazioni di
contenitori massalioti a Volterra e/o nel suo territorio, mentre un secondo polo ricettivo rispetto a
tali produzioni è il distretto minerario che fa capo
a Populonia 20. Le caratteristiche macroscopiche
Taddei 2000, pp. 370, 419, tav. iv, 14-16.
Bruni 2006, pp. 72-73, nn. 210 (tipo Bertucchi 1, datato
all’inizio del v sec. a.C.) e 211 (tipo Bertucchi 2, datati ai decenni
centrali del v sec. a.C.); l’arrivo di anfore di produzione massaliota nell’insediamento di Parlascio è attestata ancora nel corso del
iv sec. a.C., fase alla quale è pertinente l’orlo di un contenitore
di tipo Bertucchi 3 (Bruni 2006, p. 72, nn. 214).
19
I materiali in oggetto, editi in Papò, Citi, Marini
2003, pp. 20 sgg., fig. 10, sono frutto di un recupero effettuato,
in circostante non chiare, dal Gruppo Archeosub Labronico nel
2000 e solo successivamente comunicato alla Soprintendenza (in
proposito vedi anche Cibecchini 2006, p. 548; Bargagliotti,
La Monica 2013, pp. 28-29).
20
Le anfore massaliote di vi e v sec. a.C. risultano apparentemente assenti proprio presso il centro urbano di Populonia e
nelle sue necropoli, senza che sia al momento possibile comprendere se tale dato sia dovuto ad una lacuna nelle attuali conoscenze
o se esso trovi corrispondenza nel quadro storico e archeologico
di Populonia. Un certo numero di «frammenti di anfore del
tipo ionico-marsigliese» è stato rinvenuto nel corso degli scavi
effettuati nel 1989 nella Tomba dei Carri (Romualdi 1993), ma
la mancanza di una più approfondita descrizione di morfologie
e impasti in letteratura non consente di stabilire se esse siano in
effetti riconducibili, almeno in parte, alle produzioni massaliote
e/o ad altri centri greco-occidentali (per la problematica perti17
18
72
S. Genovesi, M. Giorgio, V. Palleschi, C. Rizzitelli
dell’impasto consentono di attribuire ancora alle
produzioni massaliote un puntale proveniente dalla
tomba 1 della necropoli orientalizzante e arcaica di
San Dazio, ubicata nel settore settentrionale del
territorio di Populonia, presso il moderno centro di
S. Vincenzo (fig. 1.10) 21. La morfologia del puntale,
troncoconico e cavo, riconduce al tipo Bertucchi 1
(seconda metà vi-inizio v sec. a.C.) e ne consente
contestualmente l’attribuzione alle deposizioni di
età tardo-arcaica della tomba.
Consistente appare, infine, l’arrivo del vino
di Marsiglia negli insediamenti dell’isola d’Elba 22.
Presso Barbarossa (fig. 1.11), 2 km circa ad Est di
Porto Azzurro, è stata recuperata un’anfora di tipo
Bertucchi 1, ipoteticamente pertinente ad un relitto
di età tardo-arcaica 23. Anfore massaliote, di tipologia
non meglio definita, sono presenti, in associazione
con anfore etrusche di tipo Py4, nei livelli più antichi degli insediamenti fortificati di Castiglione di
S. Martino (prima metà v-metà iv sec. a.C.; (fig.
1.12: Zecchini 2001, pp. 107-108) e Monte Castello
(seconda metà v-metà iv sec. a.C.; fig. 1.13: Zecchini
2001, pp. 99-100).
La presenza dell’anfora in oggetto lungo le coste
volterrane, per quanto isolata e decontestualizzata,
costituisce una ulteriore testimonianza dell’arrivo
dei primi contenitori vinari massalioti in area nordetrusca, ben attestato nel territori di Pisa e Populonia. Se tale presenza si collochi all’interno di un
traffico commerciale di ritorno, gestito da mercanti
etruschi – in particolare dell’Etruria meridionale –
nel corso del viaggio verso la penisola italica, o se,
diversamente, abbia giocato un suo ruolo anche una
componente massaliota 24, non può essere inferito
sulla base dell’esemplare del Museo di Cecina.
Altrettanto difficile appare definire quale fosse
la destinazione finale dell’anfora; l’apparente assenza, allo stato attuale degli studi, dei contenitori
massalioti a Volterra e/o nel suo territorio potrebbe
nente all’ambigua espressione “anfore ionico-marsigliesi” vedi,
da ultimo, Sacchetti 2012, pp. 44-45).
21
Romualdi, Settesoldi, Pacciani 1994-1995, pp. 295,
297, fig. 11, 1. L’impasto, di colore giallo-grigio, contiene numerosi inclusi di colore bianco e lamelle di mica. La necropoli, costituita da due tombe a tumulo prive di crepidine costruite nella
seconda metà del vii e frequentate fino agli inizi del v sec. a.C.
22
Per un quadro dei traffici commerciali che coinvolgono
l’isola d’Elba in età arcaica e classica vedi Corretti, Pancrazzi
2001, pp. 19-20.
23
Zecchini 2001, pp. 125-126, tav. 57, n. 4; Cibecchini
2006, p. 539. Nel tratto di mare antistante Punta dei Ripalti, in
un punto del quale si è tuttavia attualmente persa l’ubicazione,
è stata individuata un’anfora genericamente definita come massaliota (Zecchini 2001, p. 126).
24
Per un quadro generale di tale problematica vedi, in
particolare, Long, Gantès, Rival 2006, pp. 482-487.
in effetti essere legata unicamente a lacune nella
documentazione 25.
La localizzazione del rinvenimento, per quanto
tutt’altro che precisa, sembra comunque indicarne
la pertinenza alla rotta commerciale di cabotaggio
che, già nella prima metà del vi sec. a.C., metteva
in contatto le coste dell’Etruria settentrionale con la
Liguria e, infine, con la Gallia 26. Alternativa alle rotte
che, appoggiandosi sulle isole del Giglio, d’Elba e su
Capo Corso, mettevano in comunicazione i centri
etruschi meridionali alla Gallia 27, questa direttrice
commerciale ha consentito la diffusione del vino
massaliota nell’ambito della vasta area controllata
– commercialmente e/o politicamente – da Pisa e,
forse, nel territorio di Volterra.
[S. G.]
2. Il contesto a
Risulta caratterizzato da una notevole coerenza
cronologica un primo gruppo di materiali, costituito da coppe e patere in ceramica a vernice nera
appartenenti alla produzione campana a e da undici
balsamari fusiformi, nel complesso attribuibili ai
decenni iniziali del ii sec. a.C.
Ceramica a vernice nera
Le coppe f3131a (almeno 39 esemplari: diam.
da 10 a 11,3 cm: tav. ii.a), con le caratteristiche anse
bifide annodate e l’alto piede strombato, presentano
una decorazione sovradipinta in bianco consistente in
una fascia orizzontale subito sotto l’orlo e in un disco
delimitato da una fascia sul fondo interno. Questa
forma, a peculiare diffusione marittima, si diffonde
a partire dalla fine del iii secolo a.C. e raggiunge il
picco delle attestazioni nella prima metà del ii secolo
a.C., periodo in cui viene venduta nella maggior
parte dei siti costieri del Mediterraneo occidentale,
anche etruschi 28.
Le coppe coniche f2574 a1 (almeno 11 esemplari:
diam. da 14 a 16 cm: tav. ii.b) sono caratterizzate da
una decorazione sovradipinta in bianco costituita
da un fascia subito sotto l’orlo ai lati della quale
pendono, alternativamente in alto e in basso, foglie
trilobate stilizzate e, sul fondo interno, da un disco
25
Significativo è, in questo senso, il ripostiglio monetale
rinvenuto nel 1868 nella stessa Volterra; la presenza contestuale
di emissioni di Focea, di Marsiglia e delle colonie da essa dipendenti e di Populonia appare indicativa delle relazioni esistenti,
nei decenni iniziali del v sec. a.C., tra le due città etrusche e gli
insediamento focei occidentali (Martelli 1981, pp. 413-414).
26
Su tale rotta vedi, in particolare, Bonamici 1995, pp. 3-43.
27
Cibecchini 2006, p. 541.
28
Populonia, Elba, Castiglioncello, Aleria, Luni: Guzzi,
Settesoldi 2009, p. 82 con bibl. prec.
Rotte e commerci lungo la costa volterrana tra ii e i sec. a.C.
73
fig. 2 – Balsamari fusiformi dal contesto a.
tav. ii – Ceramica a vernice nera dal contesto a.
circondato da una fascia con quattro foglie trilobate
stilizzate tangenti. Questa particolare sintassi decorativa consente di datare questi esemplari negli anni a
cavallo tra il primo e il secondo quarto del II secolo
a.C. 29. La forma, molto diffusa nei centri costieri del
Tirreno, da Populonia a Castiglioncello, a Pisa 30, a
Luni, è tra le più tipiche della ceramica campana A
a diffusione prettamente marittima 31.
Le coppe f2825a 32 (almeno 43 esemplari: diam.
14 cm: tav. ii.c) sono decorate con una rosetta a sei
petali separati da trattini, alcune conservano il disco di empilement decentrato a contorno impresso.
Questa forma, tra le più antiche della produzione
campana a, è molto diffusa lungo la costa dell’Etruria settentrionale, a Populonia, Castiglioncello,
Quercianella 33; il tipo di stampiglio è databile agli
inizi del ii secolo a.C. 34.
La decorazione del fondo è un retaggio della fase antica
della produzione, mentre quella all’interno dell’orlo è più tipica
della fase media: Bats 1988, pp. 124-125.
30
Rizzitelli c.s.
31
Gambogi, Palladino 1999, p. 73.
32
Diversamente da quanto indicato in Genovesi, Rizzitelli, Sarti 2013, p. 457.
33
[Arbeid] in Bruni 2009, p. 216, n. xiv.3.71 con bibl.
prec.
34
Per la forma Bats 1988, p. 117, pl. 14.455; per lo stampiglio: Bats 1988, p. 127; Albanesi 2002, p. 86, tav. iv.4.
29
Si conserva un solo esemplare della coppa f3311
c1 (diam. 10 cm: tav. ii.d) biansata a parete verticale
con alto piede troncoconico ad attacco stretto e un
listello angoloso sulla faccia esterna. Le anse verticali
a nastro sono caratterizzate da un poggiapollice a
linguetta. Orlo abraso. Il tipo è databile tra la fine
del iii e la prima metà del ii secolo a.C.
È stato recuperato un solo esemplare anche
della coppetta f2733 (diam. 6 cm: tav. ii.e) con orlo
rientrante e piede stretto. Argilla colore beige scuro,
ruvida, abbastanza dura; vernice nera opaca, coprente. La forma è databile tra la fine del III e la prima
metà del II secolo a.C.
Un piccolo lotto di patere comprende almeno
dodici esemplari con orlo pendente f1312h (diam.
da 24,8 a 25,6 cm: tav. ii.g) e due patere di minori
dimensioni f1312b (diam. 18,2 cm: tav. ii.f ). Le patere
hanno la vasca a profilo rettilineo, piede ad anello
verniciato, fondo esterno risparmiato dalla vernice
con colature. Argilla di colore rossiccio, dura, compatta, granulosa. Vernice nera coprente. Tra il piede e
il punto di innesto della parete sono ben visibili tracce
di impronte digitali. Sul fondo interno di alcuni piatti
compare il disco di empilement decentrato di colore
rossiccio, a contorno impresso. Gli esemplari con
labbro aggettante moderatamente incurvato e vasca
piuttosto profonda appartengono alla fase più antica
della produzione, databile nei primi decenni del ii
secolo a.C. Patere identiche sono state rinvenute nella
necropoli del Poggetto di Vada (esposte al Civico
Museo Archeologico di Rosignano Marittimo). Due
fondi, genericamente attribuibili alla serie f1312-1314
(tav. ii.h), sono decorati con quattro stampigli radiali a palmette con stelo centrale e tre foglie laterali
74
S. Genovesi, M. Giorgio, V. Palleschi, C. Rizzitelli
pendenti unite alla base 35 circondati da una fascia a
rotella, databili nella prima metà del ii secolo a.C. 36.
Questa decorazione è già attestata a Pisa 37. Si
tratta di una forma a peculiare diffusione marittima,
in assoluto tra le più esportate, la cui presenza su
scala così massiccia sia nei relitti che nella maggior
parte dei siti del Mediterraneo occidentale sembra
giustificata dalla estrema facilità di impilaggio di
questi piatti come merce di accompagno nelle stive
delle navi che trasportavano il vino campano 38.
L’unico esemplare di piatto da pesce F1122a
(diam. 23,8 cm: tav. ii.i) è databile tra la fine del iii
e la prima metà del ii secolo a.C. Questi piatti, la cui
evoluzione morfologica scandisce anche variazioni
temporali, sono spesso presenti nei relitti nel corso
del ii secolo a.C.: sono infatti stati rinvenuti nel
relitto della nave ellenistica a San Rossore (Pisa), nel
Grand Conglouè 1, nel relitto del l’Île de Riou e in
quello delle Formiche di Capraia 39.
Balsamari
Il contesto comprende anche undici balsamari
fusiformi con orlo triangolare (fig. 2), alto collo
cilindrico tendente al troncoconico, corpo espanso
con spalla arrotondata, piede sagomato. Sei esemplari
conservano tracce di decorazione a bande brune
dipinte sulla spalla con vernice opaca e diluita. I confronti suggeriscono una datazione compresa tra il iii
ed il ii secolo a.C. con una maggiore concentrazione
delle presenze nel ii secolo a.C. 40.
[C. R.]
Contenitori da trasporto
Fa infine parte del carico di anfore un ridotto
numero di frammenti pertinenti a due contenitori
di tipo greco-italico (mgs vi) 41. È, in particolare,
riconducibile alla fase tarda della produzione (fine
iii-prima metà ii sec. a.C.) 42 un orlo a sezione triangolare (diam. 18 cm), inferiormente piatto e dotato di
un sottile gradino; il collo, lungo 15 cm (lungh. max.
conservata), è leggermente svasato verso l’alto. Poco
al di sotto dell’orlo si trovano i punti di attacco di due
anse a sezione ellittica (tav. i.2). Entrambi gli esemplari
Bats 1988, pl. 64.676.
36
Morel 1990, p. 67.
37
Piazza Arcivescovado: Pasquinucci, Storti 1979, p.
45, tav. 8.25.
38
Settesoldi 2006, p. 13, note 98-100.
39
Settesoldi 2003, p. 127.
40
Camilli 1999, p. 93, tav. 22: forma b.31.1.10.
41
Di uno dei due esemplari rimane solo parte del collo.
42
Cfr. le anfore greco-italiche tarde del relitto della Ciotat
1 (gruppo vi di Vandermersch), relativo ad una imbarcazione
naufragata nel settore orientale delle Bocche del Rodano nella
prima metà del ii sec. a.C. (Olcese 2011-2012, p. 607, tav. 7,
viii, 2); Lyding Will 1982, pp. 338-356.
35
risultano caratterizzati da un impasto di colore rosa
(5 yr 8/4: pink), contenente numerosi inclusi scuri,
verosimilmente di origine vulcanica; è esternamente
presente un tenue schiarimento di colore giallo.
Del tutto ipotetica è l’identificazione delle anfore
in oggetto – e quindi dell’intero contesto a – con
quelle di un relitto individuato negli anni ’70 in corrispondenza del versante settentrionale delle Secche
di Vada, ad una distanza di circa 1,5 km dall’attuale
linea di costa 43; unici materiali rinvenuti sarebbero
due anfore vinarie greco-italiche, successivamente
identificate da A. J. Parker come contenitori di tipo
Lyding-Will e (prima metà del ii sec. a.C.) 44, e purtroppo attualmente non rintracciabili 45.
[S. G.]
La coerenza cronologica delle coppe, dei piatti,
dei balsamari e delle anfore consente di ipotizzare con
buona probabilità che questi oggetti fossero trasportati da un’unica nave, proveniente dalla Campania,
che percorreva la rotta tirrenica verso nord, e che
naufragò nei primi decenni del ii secolo a.C. forse al
largo di Vada. La destinazione finale di questa nave
era con ogni probabilità il golfo del Leone o le coste
galliche, e lungo il tragitto erano previsti scali tecnici
o scambi di piccola entità: in questi mercati dovevano
essere venduti il vino e le ceramiche che costituiscono
il contesto a, imbarcate come merce d’accompagno, e
che sono attestate lungo tutte le coste del Mediterraneo occidentale, da Aleria 46, a Genova-Portofranco 47
e nella penisola iberica 48, tutti siti in cui le richieste di
vasellame fine da mensa di uso quotidiano erano per
gran parte soddisfatte dalle intense esportazioni. La
particolare distribuzione della coppa f3131 dimostra
chiaramente l’esistenza, agli inizi del ii secolo a.C., di
rotte dirette che lungo la navigazione toccavano solo
alcuni porti principali: la sua presenza a Populonia,
all’Elba, a Castiglioncello, a Luni, in scarsa quantità
in Francia e invece in modo più capillare in Spagna
consente di seguire il percorso delle navi di quell’epoca lungo la rotta settentrionale 49.
43
Barbieri, Maleci 1978, pp. 30-31; Olcese 2011-2012,
p. 546= Vada b.
44
Parker 1992, p. 442 (rimangono ignote le modalità della
classificazione di Parker: visione autoptica? Documentazione
grafica e/o fotografica?).
45
Nel contributo relativo al rinvenimento (Barbieri,
Maleci 1978, pp. 30-31) si afferma che i materiali sarebbero stati
depositati presso il Museo Archeologico di Rosignano M.mo,
dove tuttavia non è stato possibile rintracciarli (si ringrazia, per la
disponibilità e cortesia, il direttore del Museo, dott.ssa E. Regoli).
46
Jehasse, Jehasse 1973, p. 126, tb. 3.
47
Melli, Gambaro 2000, p. 20, in Gallia Bats 1988.
48
Principal 2006, p. 48.
49
Cibecchini 2004, p. 63.
75
Rotte e commerci lungo la costa volterrana tra ii e i sec. a.C.
Questi materiali ceramici risultano già presenti
contestualmente su imbarcazioni naufragate lungo
questa rotta, ad esempio nel relitto 1 del Grand
Conglouè, datato tra il 210 e il 180 a.C. 50, in quello
di Pointe Lequin 2, nel Redonne b1 e nel relitto di El
Lazareto 51. Ancora altre associazioni sono istituibili
con il relitto Sanguinaires A databile ai primi anni
del ii secolo a.C. 52. L’analisi dei carichi di questi
relitti, databili nei primi decenni del ii secolo a.C.,
dimostra che in molti casi le merci trasportate risultano di tipologie identiche o comunque molto
simili, e che la ceramica a vernice nera campana a è
presente in percentuali rilevanti rispetto alle anfore
in tutti i relitti conosciuti in viaggio verso i mercati
occidentali 53.
[C. R.]
3. Il contesto b
Ad un contesto subacqueo più tardo del precedente (primo quarto del i sec. a.C.) può essere
attribuito un secondo gruppo di materiali, costituito
da oggetti in ceramica e in metallo (contenitori in
bronzo, un lingotto di piombo) e caratterizzato da
una forte omogeneità, tipica dei relitti di origine
italica di questo stesso periodo. In questo secondo
caso è possibile proporre un’ipotesi in merito all’origine del contesto in oggetto, i cui materiali trovano
confronti precisi col carico del relitto cosiddetto “del
Fine” 54 o di Vada a 55, relativo ad una imbarcazione
da carico naufragata in prossimità della foce dell’omonimo fiume 56.
Il giacimento, ubicato ad una profondità di 9
m, è stato identificato nel 1971 grazie ad una ricognizione dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri; un
secondo sopralluogo nel 1978, ad opera del Gruppo
Archeologico Fiorentino, ha portato al recupero di
parte del carico, senza, tuttavia, l’avvio di una vera e
propria campagna di scavo. Al carico appartengono
venti anfore di tipo Dressel 1b e tre del tipo 1c 57; dieci
Long 1987, p. 12, fig. 1; p. 34.
51
Cibecchini 2004, p. 61.
52
piatti da pesce, coppe biansate f3131, piatti f1312-1314:
Cibecchini 2011, p. 43, fig. 14.
53
Cibecchini 2004, p. 62.
54
Massa 1980-81, pp. 245-249; Martelli 1982, pp. 57-58,
figg. 26-27; Parker 1992, p. 442.
55
Olcese 2011-2012, p. 546, tav. 2.vi.
56
Conservati presso il Civico Museo Archeologico di
Rosignano insieme ad un’ansa a braccetti in bronzo con poggiapollice a linguetta: si ringraziano la dott.ssa E. Regoli e la
dott.ssa L. Alderighi che ci hanno concesso di prendere visione
di tutto il materiale.
57
Massa 1980-81, pp. 225-232, figg. 2-5. I materiali menzionati, insieme ad un’ansa a braccetti in bronzo con poggiapollice
a linguetta, sono attualmente conservati presso il Civico Museo
50
anfore di tipo Dressel 1b risultano chiuse da opercula
in pozzolana (tav. i.8-11). Il bollo, leggibile in soli
cinque casi, è realizzato con punzoni a mezzaluna,
impressi per due volte a formare un anello; il testo
riporta la formula onomastica M’(ani) Rufi M’(ani) 58.
Gli impasti, notevolmente omogenei, risultano caratterizzati da un colore rosso molto intenso e dalla
presenza di inclusi di colore nero, verosimilmente di
origine vulcanica; la generica attribuzione all’Etruria
meridionale, proposta da M. Massa 59, è stata più
di recente riproposta da F. Cibecchini, che ne ha
individuato l’origine nell’ambito delle produzioni
anforiche dell’ager Cosanus 60. Al carico possono
inoltre essere attribuiti anche frammenti di ceramica
a vernice nera e di bicchieri a pareti sottili di tipo
Marabini i e iv 61, mentre è alla dotazione di bordo
che dovevano appartenere tre brocche in ceramica
comune e i frammenti di un tegame e di un coperchio
in ceramica da fuoco 62.
La perfetta coincidenza tra i frammenti anforici
e in ceramica a vernice nera del contesto b – qui
presentato – e quelli descritti dalla Massa per il
relitto del Fine, l’accenno a «tradizioni orali» riguardanti la presenza all’interno del carico di almeno
un «kyathos con manico plastico a testa di cigno ed un
lingotto d’argento» 63 e soprattutto la presenza dello
stesso tipo di bolli (non altrimenti attestati) sugli
opercula in pozzolana rende altamente probabile la
provenienza di tutti i materiali dallo stesso relitto,
saccheggiato a più riprese, di cui forse soltanto ora
si può cominciare a ricostruire il carico, proprio
associando i materiali dei due gruppi. Il contesto
recuperato negli anni ’70 riunisce quindi una parte
del carico di anfore Dressel 1b e 1C, mentre quello
qui in esame fornisce la merce d’accompagno, ossia il
vasellame da mensa in ceramica e in bronzo, mentre
scarsi sono i frammenti di contenitori da trasporto.
In entrambi i nuclei sono inoltre presenti gli oggetti
di bordo, in ceramica comune.
[S. G.]
Ceramica a vernice nera
I piatti f2257 (almeno tredici esemplari integri
e mutili: diam. da 17,4 a 23 cm: tav. iii.a) presentano
un orlo pressoché verticale e la vasca a profilo orizzontale. Sul fondo interno due solcature concentriche
all’esterno e una all’interno delimitano una fascia deArcheologico di Rosignano.
58
Massa 1980-81, pp. 226, 228-229, 230, fig. 5.2434.
59
Massa 1980-81, pp. 232-233.
60
Cibecchini 2011, p. 16.
61
Massa 1980-81, pp. 245-247, fig. 9.
62
Massa 1980-81, pp. 248-249, figg. 10-11.
63
Massa 1980-81, p. 245, nota 74.
76
S. Genovesi, M. Giorgio, V. Palleschi, C. Rizzitelli
corata a rotella e racchiudono un cerchiello centrale.
Argilla beige, polverosa, con numerosi piccolissimi
inclusi micacei; vernice nera, grigia in alcuni punti,
opaca, diluita. Otto esemplari hanno invece una
vernice nero-bluastra semilucida, coprente, violacea
in alcuni punti. Tre esemplari conservano un solco
nella faccia inferiore del piede. Si datano tra la fine
del ii e gli inizi del i secolo a.C.
Le patere f2255 (almeno otto esemplari: diam.
36 cm: tav. iii.b) hanno orlo pressoché verticale,
vasca poco profonda ad andamento obliquo, piede
“a bourrelet”. Sul fondo interno due solcature concentriche delimitano una fascia decorata a rotella e
racchiudono un cerchiello centrale. Gli esemplari
hanno in alcuni casi la superficie fortemente abrasa.
Argilla beige, polverosa; vernice nera, opaca, dilavata
in alcuni punti. Impronte digitali intorno al piede.
Sono databili tra la seconda metà del ii e la prima
metà del i secolo a.C.
Due patere frammentarie (f2240?: tav. iii.c)
conservano sul fondo interno una fascia con solcature
(2+1) e decorazione a tre file di rotellature che racchiude una stampigliatura a losanga a quattro bracci
con terminazioni a palmetta incusa, al centro un punto cerchiato 64. Fondo esterno formante un cono in
rilievo delimitato da un solco 65. Argilla beige-rosata
con inclusi micacei; vernice nero-bruna, poco lucida,
con riflessi metallici, disco d’impilaggio centrato
delimitato da un alone violaceo, impronte digitali
sull’esterno del piede, fondo esterno verniciato.
Questa decorazione è un vero e proprio fossile-guida
della ceramica calena del periodo tardo, databile cioè
tra l’età sillana e quella cesariana (80-40 a.C. circa).
I siti di rinvenimento dimostrano come il vasellame
con questa decorazione fosse diffuso soprattutto per
via marittima, che è inoltre presente su diversi relitti
(Spargi, Piantarella, Titan); in Etruria è attestata a
Cosa e a Populonia 66.
Si conservano soltanto due pissidi f7544 (diam.
7 cm: tav. iii.d) con orlo indistinto, parete a profilo
concavo, una scanalatura sull’esterno del piede. Argilla beige, polverosa, con numerosi piccolissimi inclusi
micacei. La pisside più integra presenta vernice nera,
grigia in alcuni punti, opaca, coprente. La seconda
pisside, di cui si conserva solo la parte inferiore,
presenta vernice nera con riflessi bluastri. Queste
pissidi, databili tra il ii ed il i secolo a.C., furono
ampiamente esportate tramite traffici marittimi e
quindi sono spesso attestate a bordo dei relitti.
Pedroni 1986, n. 760; Pedroni 1990, tipo 4g.
Pedroni 1986, n. 570.
66
Costantini, Gasperi 2008, pp. 170-172, fig. 1.3 con
bibl. prec.
64
65
tav. iii – Ceramica a vernice nera dal contesto b.
Sono almeno due gli esemplari di coppetta
f1222 (diam. 9,4 cm: tav. iii.e) con orlo estroflesso
e parete verticale carenata. Argilla beige, polverosa,
con numerosi piccolissimi inclusi micacei; vernice
nero-bluastra, opaca, coprente. La forma si data tra
la metà del ii e la prima metà del i secolo a.C.
Una piccola patera su alto piede (perduto) f1413
(diam. 7,5 cm: tav. iii.f ) con orlo con faccia superiore
convessa conserva sul fondo interno una decorazione incisa con coppia di solcature concentriche
che delimitano un cerchiello centrale. Argilla beige,
polverosa, con numerosi piccolissimi inclusi micacei; vernice nera, chiazze violacee sul fondo interno,
opaca, coprente. Databile tra il ii ed il i secolo a.C.
Le ciotole a largo piede f2321a sono attestate
in due dimensioni: quella di dimensioni maggiori
(diam. 14,2 cm: tav. iii.g) è rappresentata da quattro esemplari, di cui soltanto uno conserva l’intero
profilo, ed è decorata da due solcature subito sotto
l’orlo e da due cerchi concentrici sul fondo interno
più un cerchiello centrale, un’altra solcatura è inoltre
presente sul fondo esterno nel punto di innesto della
parete. La ciotola più piccola (diam. da 12 a 12,4 cm:
tav. iii.h) invece è rappresentata da undici esemplari
facilmente distinguibili, anche laddove si sia conser-
Rotte e commerci lungo la costa volterrana tra ii e i sec. a.C.
vata solo una piccola porzione dell’orlo, dalla diversa
resa delle due solcature subito sotto l’orlo e dal differente corpo ceramico. Gli esemplari hanno argilla
beige, in alcuni casi con numerosi inclusi micacei,
la vernice è in un caso nero-bluastra semilucida, coprente, in altri è invece nera con chiazze grigie, più
o meno diluita, il fondo esterno è sempre verniciato,
con impronte digitali e colature. La forma è databile
nella prima metà del i secolo a.C.
Il set delle ceramiche è interamente riconducibile a produzione calena, e comprende alcune
delle forme tipiche della fase tarda di questa classe,
caratterizzata da decorazioni semplici (solcature
concentriche che a volte racchiudono una fascia con
rotellatura e un cerchiello centrale) e standardizzate
(stampiglio a losanga) indici di una velocizzazione
del processo produttivo dovuto all’aumento nella
richiesta dei prodotti 67.
Le ceramiche a vernice nera del contesto b
mostrano evidenti somiglianze con parte del carico
del relitto di Spargi (La Maddalena) datato intorno
al 75 a.C. 68, in particolare le ciotole F2321, le pissidi
e le coppette f1222, la piccola patera su alto piede,
nonché la ceramica calena con lo stampiglio a losanga
(a Spargi f2566). Ulteriori raffronti sono possibili
anche con i materiali del carico del relitto del Grand
Congloué 2 databile tra il 110 ed il 70 a.C., dove
sono presenti tutte le forme qui analizzate anche
se prive del decoro con stampigli a losanga. Ancora
altri confronti sono istituibili con il relitto della Baia
del Cavaliere datato agli inizi del i secolo a.C. che
trasportava, tra l’altro, anfore Dressel 1a e 1c, anfore
puniche, le coppette f1222, la piccola patera su alto
piede f1413, e i piatti di due dimensioni distinte
decorati con cerchi concentrici sul fondo interno 69.
Questi relitti dimostrano come verso la fine
del ii secolo a.C. la composizione dei carichi fosse
cambiata rispetto al secolo precedente: in questo
momento i carichi sono costituiti quasi esclusivamente da migliaia di anfore da trasporto e le vernici
nere (ora per lo più campana b o altre produzioni
coeve) rappresentano il carico complementare, ma,
a differenza del secolo precedente, non si tratta di
centinaia di pezzi ma di percentuali minime. Inoltre,
nei relitti databili tra la fine del ii e gli inizi del i secolo
a.C., le presenze di ceramica calena raggiungono e
superano numericamente quelle di campana A, che
in questo momento viene per lo più utilizzata come
dotazione di bordo; un ruolo molto più marginale
ricopre invece la campana b etrusca, che sembra aver
Pedroni 2000, pp. 350-351.
Beltrame 1998, p. 38.
69
Charlin, Gassend, Lequément 1978.
67
68
77
tav. iv – Ceramica comune e bronzi dal contesto b.
avuto una diffusione marittima molto limitata al di
fuori dell’Etruria 70.
Ceramica comune
In questa classe rientrano due coperchi troncoconici per olle (tav. iv.a), con pareti a profilo
rettilineo e presa a pomello modellata a mano,
asimmetrica e irregolare, internamente cava. Argilla
beige con numerosi inclusi piccoli neri e piccolissimi
brillanti. Evidenti segni di tornio sia all’interno che
all’esterno sulle pareti. La superficie è parzialmente
ricoperta da incrostazioni marine. Coperchi con presa
a pomello di questa tipologia sono molto diffusi in
area centro-tirrenica in età tardo-repubblicana 71;
particolari somiglianze si riscontrano con esemplari
rinvenuti a Cecina 72 e Pietrasanta 73 databili tra il ii
secolo a.C. ed il i secolo d.C. Prese asimmetriche
simili a queste in esame sono presenti a Cosa tra la
fine del ii e l’inoltrato i secolo a.C. 74.
È inoltre pertinente al corredo da cucina la parte
superiore di un’olletta (diam. 12 cm: tav. iv.b) con
orlo a mandorla e corpo ovoide: argilla di colore nero,
Cibecchini 2004, pp. 64-66.
Siano 2002, p. 181, tipo Cp.2.b, tav. xvii.74 con ampia
bibl. prec.
72
Gagliardi 2013, p. 504, fig. 10.64.
73
Crocialetto: Storti 1995, p. 161, fig. 162.27.
74
Dyson 1976, fig. 35, pd91.
70
71
78
S. Genovesi, M. Giorgio, V. Palleschi, C. Rizzitelli
con scarsi inclusi piccolissimi bianchi e brillanti. Si
tratta di una forma corrispondente al tipo 35 b di
Luni, documentata nel ii e soprattutto nel i secolo
a.C. lungo tutta la costa tirrenica fino ad Albintimilium e ad Ampurias 75, è presente anche sul relitto del
Grand Conglouè 2 76.
[C. R.]
Contenitori da trasporto
Al carico di anfore può essere attribuito un limitato numero di frammenti, pertinenti a contenitori
di produzione italica (Dressel 1) e, limitatamente ad
un frammento, punica.
Ad un’ansa a sezione ellittica e un lungo collo
cilindrico, ancora chiuso da un tappo in pozzolana
(v. infra), si aggiungono due orli, entrambi pertinenti
alla variante b. Un alto orlo a fascia (diam. 20 cm;
tav. i.3) a sezione triangolare e profilo esterno quasi
verticale, trova un preciso confronto in un secondo
gruppo di contenitori di tipo Dressel 1b del relitto
del Fine, caratterizzati da orli alti non meno di 6 cm
circa 77. Il secondo frammento, un basso orlo a sezione
triangolare (diam. 18 cm; tav. i.4), con labbro pendente e alloggiamento interno per il tappo, può essere
anch’esso accostato ad alcune delle Dressel 1b del
relitto del Fine, dotate di analoghe caratteristiche 78.
I frammenti di Dressel 1 risultano caratterizzati
da un impasto di colore rosso (2.5 yr 6/6-6/8: light
red) contenente numerosi inclusi neri di verosimile
origine vulcanica, molto compatto, compatibile con
quello delle produzioni dell’ager Cosanus, in particolare con quelle albiniesi 79.
Fa inoltre parte del carico un’ansa ad orecchio
con sezione ellittica, morfologicamente inquadrabile
all’interno dei contenitori di tradizione punica (tav.
i.5); il frammento, caratterizzato da un impasto di colore rosso (2.5 yr 6/6: light red) contenente inclusi di
quarzo eolico di colore bianco e da una superficie di
colore grigio, è pertinente, in particolare, cosiddette
neopuniche o tardopuniche, i cui ateliers si collocano
in Tunisia, forse nella regione di Cartagine 80. L’ansa
non permette di definire la morfologia del contenitore in oggetto, da ricercarsi comunque nell’ambito
del gruppo dei contenitori di tipo Van der Werff 1
(=Maña C=Ramon Torres serie 7.0.0.0), caratterizzati
75
Olcese 1993, p. 186, fig. 29.4; Alberti 2002, p. 170,
tipo ofiiia, tav. xvi.64 con ampia bibl. prec.
76
Long 1987, p. 13, fig. 2.8g.
77
Massa 1980-81, p. 238, fig. 5, sn.b e, ibid., p. 227, fig. 3,
n. 2479 (cfr. anche Benquet, Mancino 2007, pp. 57-58, fig. 8,
dal quartiere artigianale di Albinia).
78
Massa 1980-81, p. 239, fig. 4, 2434.
79
Sulle quali vedi, in generale, Benquet, Mancino 2007,
pp. 51-66.
80
Ramon Torres 1996, pp. 203-218; Bonifay 2004, p. 89.
da orlo svasato, corpo affusolato e anse a orecchio;
databili tra il ii e l’inizio del i sec. a.C., questi contenitori erano verosimilmente destinati al trasporto
di prodotti a base di pesce.
La presenza contestuale di anfore di tipo Dressel
1 e di contenitori punici su relitti tardo-repubblicani
del bacino occidentale del Mediterraneo è attestata, in
particolare, nel carico del relitto del Grand Conglouè
2, di qualche decennio più antico rispetto a quello
naufragato presso la foce del Fine (110-70 a.C. 81).
Il carico di anfore del contesto B – per gli
scriventi da identificare con quello del relitto del
Fine 82 – rimane tuttora noto solo in minima parte;
alle 23 Dressel 1c e b già pubblicate da M. Massa si
aggiungono adesso quattro ulteriori esemplari di
Dressel 1 e un’anfora punica, per un totale di almeno
28 contenitori. Il vino sembra apparentemente la
merce principale del carico, mentre una quantità
inferiore di anfore veicolava prodotti a base di pesce
(all’anfora punica potrebbero aggiungersi le Dressel
1c dell’ager Cosanus 83) e, forse, olio.
Tappi d’anfora in pozzolana
Pertinenti ai contenitori da trasporto sono tre
tappi d’anfora in pozzolana, di un tipo diffuso per
le anfore di tipo Dressel 1, in particolare tra il ii e la
metà del i sec. a.C. 84
Un primo esemplare (tav. i.7), di forma circolare,
raggiunge un diametro di 9,5 cm ed uno spessore
di 3 cm; alla parte inferiore, caratterizzata da una
superficie grezza, corrispondono, sul lato superiore,
due cartigli semilunati che definiscono al centro
uno spazio vuoto di forma ellittica. L’altezza dei due
cartigli è di 1,5 cm, mentre le lettere, in caratteri
capitali, misurano 1,6-7 cm circa. Il testo è lo stesso
in entrambi i casi:
M’(ani) Rufi M’(ani)
M’(ani) Rufi M’(ani)
Elemento paleografico caratterizzante del testo
è l’impiego della m arcaica a cinque tratti, impiegata
in età repubblicana per l’abbreviazione del praenomen
Manius 85.
Per quanto riguarda il testo è possibile notare
l’assenza, dopo il secondo M’(ani), di indicazioni
di patronato o filiazione, secondo un uso diffuso
nell’epigrafia degli opercula in pozzolana di tarda età
repubblicana, spesso caratterizzati da questa formula
Long 1987, p. 14, fig. 2, 2; Olcese 2011-2012, p. 611.
Vada a in Olcese 2011-2012.
83
Per il cui impiego come contenitori da garum vedi
Benquet, Mancino 2007, pp. 65-66.
84
Hesnard, Gianfrotta 1989, pp. 393-441.
85
Hesnard, Gianfrotta 1989, p. 423, b30.
81
82
Rotte e commerci lungo la costa volterrana tra ii e i sec. a.C.
79
abbreviata 86. È, a questo proposito, possibile osservare che, quando l’indicazione del rapporto è esplicita,
l’uso di uno stesso praenomen non è in alcun modo
indicativo di una filiazione 87 né di un patronato 88.
Il secondo esemplare (tav. i.6), purtroppo in
cattivo stato di conservazione, presenta forma e
dimensioni (diam. 9,6 cm; spessore 2,5 cm) pressoché analoghe al precedente; mancante di uno dei
cartigli e lacunoso nella parte finale del secondo, il
testo del bollo, in analogia con il primo esemplare,
è ricostruibile come segue:
[M’(ani) Rufi M’(ani)]
M’(ani) Rufi [M’(ani)]
Le caratteristiche paleografiche risultano le stesse
già evidenziate nel primo operculum.
Il terzo esemplare (diam. 9,7 cm; spessore 2,8
cm), che al momento del recupero era ancora inserito
all’interno del collo di un’anfora di tipo Dressel 1, è
risultato del tutto illeggibile nonostante la ripulitura
dal consistente strato di concrezioni che lo ricopriva.
Centrale, per la comprensione delle proble­
matiche relative all’origine del carico d’anfore del
contesto b è proprio l’identità del personaggio
menzionato nel bollo degli opercula delle Dressel 1.
Il corpus degli opercula in pozzolana, databile
tra il terzo quarto del ii ed il i sec. a.C. 89, consente
di identificare i personaggi menzionati nei bolli
con liberti e/o servi; tali personaggi sarebbero stati
normalmente presenti a bordo delle imbarcazioni, in
alcuni casi – quando lo stesso bollo compare sugli
opercula e sulle ancore – in qualità di armatori o, più
spesso, come semplici mercatores, in viaggio assieme
alle merci sulle quali apponevano il proprio sigillo 90.
Si rendono necessarie alcune precisazioni in merito alla lettura del gentilizio del nostro personaggio,
per il quale è stata indistintamente proposta la lettura
Rufius o Rufus, ponendo in evidenza come l’eccessiva
diffusione non permetta di ottenere dati utili 91. È
tuttavia lecito osservare come il gentilizio in oggetto
debba essere identificato unicamente come Rufius,
forma nella quale appare in alcune delle più antiche
attestazioni di età repubblicana in lingua latina e
in quelle, numerosissime, databili all’età imperiale.
fig. 3 – Localizzazione delle attestazioni della gens Rufia
in età tardo repubblicana. 1: relitto della Foce del Fine; 2:
Perugia; 3: Ascoli Piceno; 4: ager Caeretanus; 5: Benevento.
In evidenza la ricostruzione ipotetica della rotta dell’imbarcazione naufragata alla foce del Fine (contesto b). La stella
indica le aree dalle quali provengono le merci imbarcate.
Il gentilizio Rufus, derivato dal cognomen Rufus 92,
risulta al contrario attestato in rarissimi casi, tutti
attribuibili alla piena età imperiale e per la maggior
parte riferibili ad ambito provinciale. Ad un consistente gruppo di epigrafi dell’Africa Proconsularis 93 si
aggiungono, limitatamente alle province occidentali,
singole attestazioni dalla Baetica 94, dalla Britannia 95,
dalla Germania Superior 96 e dalla Moesia Superior 97,
mentre quasi inesistente appare il gentilizio Rufus
nel settore orientale dell’impero 98. Si datano ai primi
secoli dell’impero anche le scarsissime attestazioni
nella penisola italica 99.
Appare in definitiva improbabile che nel corso
della tarda età repubblicana, quando l’uso del cognomen è normalmente riservato ai membri degli ordini
equestre e senatorio, un personaggio quale il nostro,
verosimilmente appartenuto a quel ceto di mercatores
che Cicerone definisce come homines tenui, obscuro
loco nati 100, abbia assunto o ereditato dal padre o
Kajanto 1965, pp. 65, 121, 134, 229.
cil viii, 1058, da Cartagine; 25655, da Chemtou; 27497,
da Guergour; 27563d, da Bernoussa; 23638, da Hammam
Zouakra.
94
cil ii, 1220, da Siviglia.
95
cil vii, 67, da Gloucester/Glevum.
96
cil xiii, 7088, da Mainz.
97
cil iii, 8139, da Kostolac/Viminacium.
98
i.g.l.s. vi, 2989, da Heliopolis.
99
cil iv, 6708, da Pompei; cil xiv, 4005, da Casale Cesarina, presso Roma.
100
Cic., Verr. ii, 5, 167.
92
93
86
Cfr. il testo L(uci) Volc(ei) L(uci), su un operculum in
pozzolana da Cagliari; Hesnard, Gianfrotta 1989, p. 439, b39.
87
Cfr. L. Asuini L(uci) l(iberti); Hesnard, Gianfrotta
1989, p. 412, b8.
88
Cfr. M. Alfi M(arci) f(ili); Hesnard, Gianfrotta 1989,
p. 409, b3.
89
Per il quale vedi Hesnard, Gianfrotta 1989, pp.
408-441, b1-b39.
90
Hesnard, Gianfrotta 1989, pp. 395-405.
91
Hesnard, Gianfrotta 1989, pp. 432, b30.
80
S. Genovesi, M. Giorgio, V. Palleschi, C. Rizzitelli
ricevuto dal patronus – nel caso non da escludere di
una sua condizione libertina – un gentilizio tratto
proprio da un cognomen.
Le limitate attestazioni di età repubblicana della
gens Rufia – per noi quindi maggiormente significative – si concentrano in Etruria, presso Perugia
e Caere, con una attestazione isolata in Campania
presso Benevento (fig. 3).
Tra la fine del ii e la metà del I sec. a.C. nella città
umbra è attivo il s(igillator) o s(igillarius) C. Rufius,
noto dal bollo C. Rufius s(igillator) – o s(igillarius)
– finxit, impresso sul basamento della statua in terracotta di un lare domestico 101.
Una tomba scavata nel 1887 presso il Cimitero
comunale di Perugia 102 ha restituito 30 urne in travertino e numerose olle monoansate in terracotta,
anch’esse impiegate come cinerari, pertinenti ad un
contesto cronologicamente inquadrabile tra iii e i sec.
a.C. In 22 casi le urne, in larga parte caratterizzate
da casse scolpite con motivi tipici dell’artigianato
artistico di età tardo-etrusca (rosoni inquadrati da
pelte, testa di medusa, Achille e Troilo), recavano
sul coperchio iscrizioni in lingua etrusca pertinenti
a membri della famiglia dei Rafi o (quattro casi)
Rufi; iscrizioni in etrusco, graffite o dipinte in rosso,
ricordano membri della stessa famiglia anche su
quattro cinerari fittili.
Testi in latino, nei quali il gentilizio risulta traslitterato in Rufius, compaiono sui coperchi di due
urne e di tre cinerari, uno dei quali con testo bilingue:
– cil i2, 2079= xi, 7096 (coperchio in pietra, cassa
con rosone tra pelte): Ar(runs) Rufius An[caria] natus
Cepa,
– cil i2, 2080= xi, 7097 (coperchio in pietra, cassa con
rosone tra pelte): Tertia Avilia C(ai) f(ilia) Rufi uxor,
– cil i2, 2081=xi, 7098 (olla fittile, iscrizione graffita):
Aro(n)s 103 Rufius Atinea natus,
– cil i2, 2082=xi,, 7099 (olla fittile, iscrizione graffita
bilingue): A(uli) Ru(fi) / aule rafi cutunial,
– cil i2, 2083=xi,, 7100 (olla fittile, iscrizione graffita):
L(ucius) Rufius Cotonia / natus.
Sono databili tra la fine del ii e la metà del i sec.
a.C. – sulla base del ductus e dei supporti sui quali
compaiono – due brevi testi epigrafici provenienti
dall’ager Caeretanus; menziona il liberto M(arcus)
Rufi(us) Felix 104 il testo di un cippo a colonnetta in
cil ix, 6709.
Brizio 1887.
103
Forma alternativa per Arruns.
104
cil i2, 3313=ae 1968, 184: M(arcus) Rufi(us) / (mulieris)
l(ibertus) Felix; cie i, 4, 1, 1, p. 456, n. 6223.
101
102
nenfro, rinvenuto nel 1962 all’ingresso della tomba
221 nella necropoli della Banditaccia-Laghetto 105.
Era ubicata lungo la via principale della necro­
poli della Banditaccia la sepoltura di Sequnda Rufia,
genericamente databile alla tarda età repubblicana; il
testo dell’epigrafe funeraria, che riporta unicamente
la formula onomastica e il patronimico della defunta 106, è incisa sul fastigio di una lastra in peperino.
Il radicamento della gens nell’ager Caeretanus è
peraltro attestato ancora nel corso della prima età
imperiale, quando tre bolli su tegola, provenienti da
siti dell’immediato retroterra di Pyrgi, consentono di
localizzare in questa stessa area l’attività produttiva
della figlina di L. Rufius 107.
Si data ad età repubblicana anche il testo di
un’iscrizione funeraria beneventana, attualmente
divisa in due frammenti, rispettivamente murati
sulla parete della chiesa di S. Salvatore e sulla facciata di un palazzo in via Belledonne; il testo ricorda
la costruzione, da parte di un C(aius) Rufius, di un
sepolcro uxsor[i] / et suieis 108.
Un M(arcus) Ruf(ius), del quale ignoriamo tuttavia la città di origine, appone infine la sua firma su
una glanda missilis della legio xv 109, impegnata tra il
90 e l’89 a.C., sotto il comando di Pompeo Strabone,
nell’assedio del centro piceno ribelle di Ausculum 110.
Nel complesso le attestazioni del gentilizio Rufius
attribuibili con certezza alla tarda età repubblicana
appaiono concentrate in Etruria, con 2 casi a Caere,
5 nel centro tiberino di Perugia, dove peraltro la
gens è nota nell’ambito di un contesto funerario che
riconduce ad una certa origine etrusca, mentre isolate
appaio le attestazioni di Ascoli e Benevento.
Non consente di definire con certezza la presenza
della gens Rufia nella stessa Volterra già in età repubblicana l’epigrafe funeraria del pretoriano A(ulus)
Rufius Verus, originario della città etrusca e sepolto
a Roma in un momento imprecisabile della prima
età imperiale 111.
Contesto di iii-i sec. a.C.: Cavagnano Vanoni 1967.
cil i, 2610=xi, 7713: Sequnda Rufi(a) // M(arci) f(ilia).
107
Enei 2001, pp. 72-72; ibid., sito n. 471, fig. 210, tav. 32,
1 – mansio di Ad Turres, presso Statua: De figli(nis) L(uci) Ru[fi]
[---] / tegul(as) M. Pu[pi Antio(chi)]; ibid., sito n. 471 – Casale
Porcarecca: De figli(nis) L(uci) Rufi [---] / tegul(as) M. Pupi
An[tio(chi)]; cil xi, 6689, 204 xv, 2191: [Ex] figli(nis) L(uci) Rufi
/ [teg]ul(as) M(arci) Pupi Antio(chi).
108
cil i2, 1741= ix, 6287: [---]v / C(aius) Rufius / Cn(aei)
f(ilius) Ste(llatina tribu) / [R]utiliae Q(uinti) f(iliae) / [R]ufae
uxsor[i] / et suieis / [i]n f(ronte) p(edes) xii in ag(ro) / [p(edes) ---].
109
cil i2, 2, 870= cil ix, 6086.
110
App., b.c. i, 47; Liv. Periochae, 76; Oros., v, 18; Strabo,
v, 4, 2; Vell. Pat., ii, 21.
111
cil vi, 2587: A(ulus) Rufius / A(uli) f(ilius) Sab(atina)
/ Verus / Volaterris / mil(es) coh(ortis) V pr(aetoriae) / (centuria)
Rutili / mil(itavit) an(nos) xvi.
105
106
Rotte e commerci lungo la costa volterrana tra ii e i sec. a.C.
Le scarse attestazioni di età tardo-repubblicana
della gens Rufia non consentono di definire in modo
soddisfacente il rapporto tra il mercator Manius Rufius e l’origine dell’imbarcazione naufragata presso il
Fine. La pertinenza al carico della ceramica calena e
dell’anfora punica, assai verosimilmente imbarcate
presso uno stesso porto campano, trova solo un parziale riscontro con l’attestazione di membri della gens
a Benevento, mentre non sembra di poter cogliere
nessun legame apparente con le altre attestazioni 112.
[S. G.]
I bronzi
Il contesto b comprende anche un insieme di oggetti in bronzo rappresentati sia da esemplari singoli,
sia da gruppi tipologicamente omogenei, ricoperti da
incrostazioni marine, e in parte restaurati.
Una produzione vinaria è attestata, nell’ager Caeretanus,
da fonti letterarie della prima età imperiale (Columella, De re
rustica, iii, 9, 6; Mart., Epigr., 6, 73) e dalla diffusa presenza di
dolia e torcularia negli insediamenti rurali del settore costiero
dell’ager Caeretanus (Enei 2001, pp. 66, 72). In loc. Pian Sultano,
3 km circa a Nord del sito della colonia romana di Pyrgi (l’attuale
castello di Santa Severa), si sviluppa, a partire dal ii sec. a.C., una
produzione manifatturiera di contenitori da trasporto, ceramica
di uso comune, pesi da telaio, tegole e coppi (Colonna 1963, pp.
152-155, figg. 1-2; Enei c.s., figg. 4-5; Olcese 2011-2012, pp. 202203, tav. xxxvi-xxxvii). Al rinvenimento (1963) di uno scarico di
frammenti anforici hanno fatto seguito le più recenti indagini
di superficie effettuale nell’ambito del Progetto Ager Caeretanus,
nell’ambito del quale è stata individuata una fornace a pianta
rettangolare. I due siti hanno restituito frammenti di anfore di
tipo greco-italico (Olcese 2011-2012, tav. 2, xxxvii, 15, 17), affini
alla forma Vandermersch mgs vi (Vandermersch 1994, pp. 8187; metà-fine del iii sec. a.C.), e di anfore con orli arrotondati
ed estroflessi analoghe a quelle del relitto di Spargi (Beltrame
1999, p. 38; Olcese 2011-202, tavv. 2, xxxvi, 1-7; 2, xxxvii,
8-14), accostate da Colonna alle forme Dressel 1a e Lamboglia
3 (Colonna 1963, pp. 153-154) e affini alle anfore brindisine di
tipo ii (Palazzo 1988, p. 111, tav. xxix, 2; Palazzo 1989, p. 548,
fig. 1.2) e iv (Palazzo 1988, p. 112, tav. xxx, 1; Palazzo 1989,
p. 549, fig. 4) del quartiere artigianale di Apani e di forma 5 di
Giancola (Manacorda, Pallecchi 2012, pp. 154-159, figg. 3.1
e 3.19). La discarica ubicata presso la fornace ha restituito tre
frammenti di anse a sezione ovale recanti il bollo Purg(ensium),
da riferire ad una produzione di anfore posta sotto il controllo
dalla colonia romana di Pyrgi, dedotta nel 191 a.C. (Enei c.s.,
fig. 6); essi si aggiungono a due bolli già noti, rispettivamente
presenti sull’ansa di un’anfora identificata come greco-italica,
residuale in un contesto della prima metà del i sec. d.C. del teatro
di Volterra (Marletta 1994, p. 506-508, fig. 2, qui sciolto come
P(ublius) Urg(ulanius); vd. anche Enei c.s., nota 16), e sull’ansa
di una Dressel 1 appartenente ad un contesto della seconda
metà del ii sec. a.C. del foro di Sagunto (Aranegui 2004, pp.
205-206; Marquez Villora, Molina Vidal 2005, p. 164). Nel
complesso si tratta di una produzione verosimilmente volta alla
produzione di contenitori da vino e olio, attiva tra la metà-fine
del iii e la prima metà del i sec. a.C., ma della quale non è in
alcun modo noto alcun legame con i Rufii dell’ager Caeretanus
e/o con il Rufius del relitto del Fine.
112
81
fig. 4 – Simpulum in bronzo dal contesto b.
Si conserva un unico esemplare di un simpulum a
due pezzi con manico orizzontale (diam. 8 cm; lungh.
40,8 cm: tav. iv.c; fig. 4): coppa emisferica in lamina
martellata e tornita con gola stretta, labbro obliquo,
distinto mediante una gola. Restaurato. Il manico,
fuso entro stampo, è articolato morfologicamente
in due parti: prima un elemento più esterno piatto,
liscio, “a remo” con lati concavi ed estremità apicate
e poi un elemento a bastoncello a sezione circolare
decorato da modanature quadrangolari alle estremità fungono da raccordo con la coppa tramite una
protome d’oca. Il manico termina con un gancio
ornato con due protomi d’oca, dalla parte opposta
invece si biforca in due fili che si agganciano intorno
alla gola della coppa 113. L’utilizzo dei fili di bronzo
agganciati evitava di dover ricorrere alla saldatura
per unire i due pezzi 114. Simpula di questa tipologia
sono diffusi in Italia centrale 115 e settentrionale, nella Francia meridionale e in Europa centrale, e non
mancano attestazioni anche nella penisola iberica,
dove i rinvenimenti si concentrano lungo la costa
sud-occidentale ed il corso dei principali fiumi 116. Si
ipotizza che i centri di produzione siano localizzati
in area etrusca in un periodo compreso tra gli inizi
del i secolo a.C. e l’età augustea 117. Le caratteristiche
morfologiche di questi simpula a manico orizzontale e
la coesistenza con i simpula a manico verticale hanno
fatto inizialmente ipotizzare un loro uso specifico e
particolare, quale distribuire bevande miscelate oppure come recipiente di misura 118, ma il rinvenimento di
quest’oggetto all’interno di una situla in una tomba
del Veronese sarebbe invece la conferma del suo
utilizzo per attingere e versare vino, soprattutto da
recipienti di grandi dimensioni, profondi o di ampio
diametro 119. Soprattutto nelle necropoli dell’Italia
Tipo b: Castoldi, Feugère 1991, p. 66, fig. 6.
Pernot 1991, p. 134.
115
Per l’Etruria oltre alle segnalazioni in Castoldi,
Feugère 1991, p. 70, fig. 10, dall’acropoli di Talamonaccio:
Ciampoltrini 1994, p. 374, fig. 4.1-3.
116
Castoldi, Feugère 1991, p. 70, fig. 10; Mansel 2004,
p. 21, fig. 1.
117
Castoldi, Feugère 1991, p. 66; Bolla 1994, p. 19.
118
Castoldi, Feugère 1991, p. 63.
119
Bolla 2002, p. 202, fig. 2.
113
114
82
S. Genovesi, M. Giorgio, V. Palleschi, C. Rizzitelli
fig. 5 – Boccale in bronzo dal contesto b.
fig. 6 a-b – Anse in bronzo pertinenti a boccali dal contesto b.
fig. 7 – Due brocche restaurate dal contesto b.
tav. v – Brocche bitroncoconiche in bronzo dal contesto b.
settentrionale è frequente l’associazione di questo
simpulum con i boccali tipo Idria, forse connessa a
qualche funzione specifica attribuita a questi oggetti
nell’ambito del servizio per bere, ma a tutt’oggi di
difficile interpretazione 120.
Un gruppo è composto da sette boccali a pareti
concave 121 in bronzo fuso e laminato (diam. 10 cm; alt.
10,5 cm: tav. iv.d; fig. 5). Corpo in lamina martellata
e rifinita al tornio (punto centrale di posizionamento
del tornio e due cerchi concentrici sul fondo esterno).
Orlo estroflesso leggermente ingrossato con solcature,
parete a profilo concavo. Fondo esterno concavo.
Ansa a braccetti fusa con le estremità modellate a
protomi di volatile, saldata sull’orlo, con poggiapollice
a rocchetto nell’estremità superiore 122 e una applique
con foglia cuoriforme in quella inferiore. Un solo
esemplare è stato restaurato ed è completo di ansa.
Si conservano tre anse pertinenti a questi contenitori,
tutti i braccetti sono modellati a protomi di volatile
(fig. 6 a-b). In Etruria questi boccali sono stati rinvenuti nella necropoli del Profico di Capoliveri 123,
nella necropoli del Portone 124, a Castiglioncello 125,
sull’acropoli di Talamonaccio 126. La distribuzione di
questi boccali è vastissima: sono stati rinvenuti in Italia centrale e settentrionale, in Grecia e in Slovacchia,
Bolla 1991b, p. 147.
Tipo Eggers 159; tipo Idria, variante Manching:
Feugère 1991a, p. 55, fig. 4.1.
120
121
Tipo b2aiii: Bini, Caramella, Buccioli 1995, p. 57.
Zecchini 1978, tav. 75; Maggiani 1981, p. 179, nota
16; Firmati 2013, p. 212.
124
Altri sono visibili al Museo Guarnacci a Volterra: Cristofani 1975, p. 27, n. 67, nota 31.
125
Gambogi, Palladino 1999, p. 83 con bibl. prec.
126
Ciampoltrini 1994, p. 374, fig. 4.4-5.
122
123
Rotte e commerci lungo la costa volterrana tra ii e i sec. a.C.
nella Francia meridionale, in Spagna e in Marocco 127;
dai contesti si ricava una datazione compresa tra
l’ultimo quarto del II e la metà del I secolo a.C. forse
con qualche attardamento fino ad età augustea 128. La
funzione di questi boccali non è ancora chiara, forse
facevano parte del servizio per le abluzioni insieme
con la padella 129, altri propendono invece per un loro
impiego potorio nel servizio da tavola 130.
Un altro gruppo comprende sette brocche bitroncoconiche a carena bassa in lamina martellata e rifinita
al tornio (punto di centratura e tre cerchi concentrici
sul fondo esterno: tav. v) 131. Orlo svasato, labbro a
fascia verticale sottolineato da linee incise, collo breve,
ventre carenato nel terzo inferiore. Fondo piatto. Su
un esemplare, lungo il bordo inferiore, sono saldati
due supporti ad arco di cerchio. Ansa a braccetti con
le estremità modellate a testa di volatile stilizzato,
poggiapollice a linguetta sopraelevato rispetto ai due
bracci; l’estremità inferiore termina in una applique
cuoriforme che si prolunga in un lungo peduncolo
verticale con due volute laterali 132. Le brocche sono
di dimensioni diverse 133. Due esemplari sono stati restaurati e sono completi di ansa (fig. 7), le altre cinque
brocche sono lacunose e fortemente corrose (fig. 8).
Si conservano tre anse con le estremità modellate a
testa di volatile (fig. 9 a-b); probabilmente pertinenti
a queste brocche sono anche tre terminazioni foliate
(fig. 10) e due piccoli supporti in bronzo ad arco
di cerchio a faccia esterna convessa (a pelta), faccia
interna e laterali concave (fig. 11) 134. Fabbricate probabilmente da officine dell’Etruria, queste brocche sono
attestate in numerosi siti dell’Europa centrale, assai
limitati sono invece i rinvenimenti nel Mediterraneo
occidentale (alcuni esemplari in Marocco, assenti in
Spagna), dove prevale la brocca bitroncoconica tipo
Piatra Neamt 135. Una tomba di Volterra assegna la datazione più alta per queste brocche alla prima metà del
ii secolo a.C.; al di fuori di questo ambito le datazioni
fornite sia da rinvenimenti in area etrusca che dalle
necropoli della Cisalpina si concentrano tra l’ultimo
quarto del ii e i primi decenni del i secolo a.C. 136,
Mansel 2004, p. 22, fig. 2.
Bolla 1994, p. 21.
129
Feugère 1991a, p. 54.
130
Bolla 1994, p. 21.
131
Tipo Gallarate: Boube 1991; tipo 1 collezione Gorga:
Finaroli 1999, p. 39, fig. 15.
132
Variante 3: Boube 1991, p. 24.
133
Diam. 10-alt. 15,3 cm; diam. 11-alt. 17,6 cm (restaurate).
Diam. 12,8-alt. 20,5 cm (fig. abc); diam. 9,6-alt. 14,5 cm; diam.
13,6-alt. 20,5 cm (2 esemplari); diam. 14-alt. 22 cm.
134
Alcuni supporti della medesima tipologia sono esposti
al Museo Guarnacci di Volterra.
135
Boube 1991, p. 32, fig. 9; Mansel 2004, p. 23, fig. 3.
136
Boube 1991, p. 26.
127
128
83
con attardamenti fino alla prima età imperiale nelle
città vesuviane 137. Queste brocche erano destinate a
contenere acqua e, in associazione con le padelle tipo
Aylesford o con i bacili tipo Eggers 94, erano adibite
alle abluzioni durante i banchetti, come testimoniano
anche i rinvenimenti funerari 138.
Un ulteriore gruppo è costituito da almeno tre
anforette (diam. da 10,8 a 11 cm): labbro a fascia verticale sottolineato da linee incise, con incavo all’interno,
collo a pareti concave, ventre largo, piede basso e largo
con fondo esternamente concavo decorato con punto
centrale e tre cerchi concentrici eseguiti al tornio. Un
esemplare (restaurato: tav. vi.a; fig. 12) privo di orlo
conserva gli attacchi inferiori delle anse disposti a
formare un angolo di 90° consistenti in un’applique
foliata con terminazione a coda di rondine 139. La terza
applique posizionata con il restauro non è pertinente.
In un altro esemplare (fig. 13 b) invece gli attacchi
inferiori sono diametralmente opposti 140 e sono costituiti da una applique cuoriforme che si prolunga
in un lungo peduncolo verticale con volute laterali.
Del terzo esemplare si conserva solo l’orlo con il collo
(tav. vi.b; fig. 13 a). Non è possibile stabilire allo stato
attuale la pertinenza di un fondo (diam 14 cm: fig. 14)
e di un terzo orlo (fig. 13 c), completamente ricoperto
di incrostazioni marine, agli esemplari già menzionati.
Le anse dalla caratteristica forma a ‘s’ sono provviste
di una nervatura centrale a rilievo e terminano sulla
sommità con un poggiapollice a rocchetto (tav. vi.c).
Collegate a queste anforette sono cinque anse ancora
da restaurare, nelle tre prive di concrezioni sono ben
visibili i braccetti modellati a testa di volatile; una
conserva la terminazione inferiore ad applique foliata
(fig. 15 a-b). La produzione si data tra la metà del II e
la prima metà del i secolo a.C., i rinvenimenti si concentrano per lo più in Italia, con alcune attestazioni
in Spagna e in Grecia 141. Nonostante la particolare
posizione delle anse sia probabilmente legata ad una
funzione specifica che resta al momento priva di
spiegazione, si ipotizza che questi contenitori servissero per conservare piccole quantità di vino, o per
miscelare il vino con altre sostanze, e quindi fossero
utilizzati nell’ambito dei servizi da banchetto, anche
se i rinvenimenti all’interno delle tombe suggeriscono
un ulteriore impiego nelle libagioni funebri 142.
Si conservano inoltre due padelle in bronzo fuso
e laminato tipo Aylesford (diam. 24 cm, alt. 6,8 cm;
Bolla 1994, p. 23.
Bolla 1994, p. 22.
139
Feugère 1991b, p. 47.
140
Feugère 1991b, p. 49, fig. 3.6a.
141
Feugère 1991b, p. 50, fig. 4.
142
Feugère 1991b, p. 48; in ambito peligno: Rizzitelli
2010, pp. 91-92.
137
138
84
S. Genovesi, M. Giorgio, V. Palleschi, C. Rizzitelli
fig. 8 – Brocche frammentarie non restaurate dal contesto b.
fig. 9 a-b – Anse in bronzo pertinenti a brocche dal contesto b.
fig. 10 – Tre terminazioni foliate in bronzo dal contesto b.
fig. 11 – Due supporti ad arco di cerchio in bronzo dal
contesto b.
fig. 12 – Anforetta restaurata dal contesto b.
fig. 13 a-c – Anforette frammentarie non restaurate dal
contesto b.
Rotte e commerci lungo la costa volterrana tra ii e i sec. a.C.
fig. 14 – Fondo di anforetta in bronzo dal contesto b.
diam. 26,8 cm, alt. 7,6 cm). Orlo ingrossato a sezione
triangolare, corpo con pareti convesse, fondo quasi
piano. Manico orizzontale a lati inflessi con margini
rilevati e spina mediana poco accentuata desinente,
dopo un’espansione, in un gancio ricurvo terminante
a protome di cigno con dettagli del piumaggio incisi.
Un esemplare è privo di decorazione (tav. vi.d), il
secondo, di minori dimensioni, conserva una decorazione incisa con motivo a lisca di pesce sui bordi
del manico e con motivo a lisca di pesce a direzione
alterna sull’orlo ai lati della base del manico, con
bordo decorato da tacche (tav. vi.e). Il tipo è attestato
per lo più in Italia settentrionale, minore invece il
numero di esemplari in Italia centro-meridionale 143.
In Etruria è presente a Volterra, a Castiglioncello 144,
all’isola d’Elba 145, a Vada 146. Queste padelle, per le
quali la distribuzione dei rinvenimenti fa ipotizzare
una produzione destinata prevalentemente all’esportazione, furono prodotte tra la seconda metà del
ii secolo a.C. e l’età augustea in territorio etrusco;
l’esistenza di formati differenti sembra essere legata a
valutazioni di tipo commerciale, e quindi per fornire
alla clientela una scelta più articolata, piuttosto che
a distinzioni cronologiche 147. La padella era usata
Feugère, De Marinis 1991, fig. 5; per l’Abruzzo:
Rizzitelli 2010, p. 91.
144
Gambogi, Palladino 1999, p. 82 con bibl. prec.
145
Zecchini 1978, tavv. 72-73; Maggiani 1981, p. 185,
nota 44.
146
necropoli del Poggetto: esposta al Civico Museo Archeologico di Rosignano.
147
Bolla 1994, p. 16.
143
85
fig. 15 a-b – Anse in bronzo pertinenti ad anforette dal
contesto b.
tav. vi – Bronzi dal contesto b.
per recuperare l’acqua versata durante i frequenti
lavaggi delle mani nei banchetti 148, il gancio terminale
rendeva inoltre possibile la sospensione. Di solito nei
contesti funerari, italici e non-italici 149, è associata
Feugére, De Marinis 1991, p. 108.
Bolla 1991b, p. 147.
148
149
86
S. Genovesi, M. Giorgio, V. Palleschi, C. Rizzitelli
alla brocca, che serviva invece a contenere il liquido;
nelle tombe tardo-repubblicane della Cisalpina si
nota in particolare l’associazione con le brocche tipo
Gallarate 150.
È attestato un solo piede di bacile in bronzo tipo
Eggers 94 (diam. cm. 12; alt. cm 5,5: tav. iv.e; fig. 16).
Il piede, fuso e tornito, è stato lavorato separatamente
e poi unito alla vasca con una saldatura di cui restano
tracce sull’appoggio superiore. È caratterizzato da
un elemento superiore cilindrico e da un elemento
inferiore cavo a profilo sinuoso. Questi bacili, caratterizzati da una ampia vasca quasi emisferica in lamina
di bronzo e da anse con attacchi sagomati a foglia
di vite, erano oggetti di gran pregio prodotti molto
probabilmente in numero limitato e di conseguenza
esportati in quantità molto più esigue rispetto agli
altri bronzi coevi 151. Erano utilizzati come vasi per
le abluzioni e possono essere considerati parte del
servizio da bagno insieme alle brocche a carena bassa, con cui sono a volte associati in corredi tombali
appartenenti a soggetti di elevato status sociale. Il
tipo è databile nel i secolo a.C. e scompare con la
piena età augustea 152; sulla base della diffusione e
della cronologia si ipotizza che sia stato elaborato
in area greca 153. Confrontabile con un piede dalle
raccolte archeologiche di Milano 154, ed altri rinvenuti a Fino Mornasco, loc. La Madonnina (co) 155 e
a Ornavasso 156.
Le analisi eseguite su alcuni di questi oggetti (v.
infra) hanno fornito dati interessanti riguardo alla
composizione del bronzo, in particolare sulla percentuale di stagno utilizzato. Per oggetti di questo tipo, e
più in generale per il vasellame che dopo la colatura
necessita della martellatura per essere modellato, di
solito si utilizzava un bronzo con una percentuale
di stagno intorno al 10-12%: esso forniva una buona
resistenza meccanica e non presentava grosse difficoltà nella lavorazione. Bronzi con il 15% di stagno
richiedevano una capacità tecnica superiore sia nella
colatura che nella martellatura, e con un tenore di
Bolla 1994, p. 17.
Il cratere in ceramica calena f4753, che ha un’area di
diffusione (carta di distribuzione della forma in Burgueño
Villarejo 2002, fig. 2 e in Cibecchini 2004, fig. 3) simile a
quella delle altre forme in bronzo, potrebbe essere funzionalmente considerato una versione più economica di questo bacile
o comunque essere stato utilizzato per le stesse funzioni. Orienta
in questo senso la sua presenza in corredi tombali in associazione
con le altre forme in bronzo più diffuse (Gambogi, Palladino
1999, tomba 1, p. 45).
152
Bolla 1991a, p. 117.
153
Bolla 1996, p. 189.
154
Bolla 1994, p. 84, n. cat. 98.
155
Castoldi 2006.
156
Tomba 7: Bianchetti 1895, p. 98, tav. XVII.1; Piana
Agostinetti 1972, fig. 16.3.
150
151
fig. 16 – Piede di bacile in bronzo dal contesto b.
stagno attorno al 20-30% si otteneva una lega dura,
fragile e non martellabile, color argento 157. Questi
bronzi ad alto tenore di stagno (cd. bronzi bianchi)
devono quindi essere forgiati ad alte temperature e
poi sottoposti ad un processo di tempra con rapido
raffreddamento in acqua fredda (Giardino 2010,
pp. 142-143). La percentuale di ferro è invece legata
all’uso di scorificanti; l’argento si conserva nel rame
metallico come metallo accessorio dopo la fusione
(Giardino 2010, p. 131, tab. 2). Questi dati mostrano quindi che le officine che hanno prodotto questi
oggetti erano dotate di grande abilità e approfondite
conoscenze tecniche: probabilmente questi vasi,
pur appartenendo a tipologie note e diffuse, furono
espressamente richiesti da una clientela facoltosa, che
non si accontentava del bronzo “più comune”, ma era
disposta a affrontare una spesa maggiore per ottenere
oggetti con caratteristiche particolari, esteticamente
simili all’argento.
Si tratta dunque di tipologie di oggetti più o
meno largamente diffusi in Italia e nel Mediterraneo occidentale, ed utilizzati in momenti diversi del
banchetto, sia come servizio da vino sia nell’ambito
dell’igiene personale, in cui sono inclusi anche i boccali tipo Idria 158. Gli antecedenti di questi recipienti
si ravvisano in oggetti morfologicamente affini, prodotti in Etruria in età tardo-arcaica ed ellenistica 159.
Probabilmente la produzione, iniziata intorno alla
metà del ii secolo a.C., era localizzata in una molteplicità di officine eredi quindi di una lunga tradizione
regionale, e continuò per più generazioni 160; inoltre,
elementi strutturali o decorativi comuni, quali l’appendice poggiapollice a rocchetto, la terminazione
Pernot 1991, p. 133.
Feugère 1991a, p. 54.
159
Feugère 1991a, p. 55; Castoldi, Feugère 1991, p. 67;
Castoldi 1991, p. 140.
160
Castoldi 2004, p. 90.
157
158
87
Rotte e commerci lungo la costa volterrana tra ii e i sec. a.C.
a protome d’oca, le appliques cuoriformi, ma anche
l’associazione in servizi evidenziano senza dubbio
la matrice e le ascendenze comuni a più atéliers. La
particolare concentrazione di rinvenimenti in Etruria, in assenza di scarti di lavorazione o matrici, è per
ora l’unico appiglio per poter localizzare, seppure
in modo incerto e indistinto, questi atéliers 161 forse
nell’Etruria settentrionale 162. Ciò ovviamente non
esclude che altre botteghe fossero presenti altrove,
tanto più che nel corso del i secolo a.C. la produzione
per alcuni tipi si spostò in Campania dove perdurò
fino agli inizi dell’età imperiale 163.
Questo vasellame tardo-repubblicano fu interessato da un duplice canale di diffusione: per via
terrestre venivano sfruttati i tragitti che, attraverso i
valichi dell’Appennino tosco-emiliano, giungevano
nella pianura padana per poi proseguire nei territori
celtici dell’Europa centrale dove i contesti funerari
attestano una lunga fase di commercializzazione che
arriva fino all’età augustea 164. Per mare invece questi
oggetti circolavano con il vino italico insieme con
le ceramiche a pareti sottili e con la ceramica a vernice nera nell’ambito degli intensi traffici marittimi
esistenti nel Mediterraneo occidentale 165. La loro
diffusione tra la fine del ii e gli inizi del i secolo a.C.,
anche se numericamente assai inferiore rispetto alla
ceramica e quindi legata comunque ad un mercato
“di nicchia”, rispecchia una forte penetrazione nei
mercati occidentali di usi e costumi italici, grazie
soprattutto all’instaurazione di condizioni politiche
favorevoli 166.
Questi gruppo di oggetti in bronzo fornisce allo
studioso un punto di osservazione privilegiato perché
consente di esaminare questo vasellame non più,
come è accaduto finora, nel suo contesto di arrivo,
e quindi come merce di maggiore o minore pregio
venduta in mercati anche molto lontani rispetto al
luogo di produzione, ma nell’eccezionale e, a tutt’oggi, unica, circostanza della partenza o comunque del
viaggio, quando essi, insieme alla ceramica, furono
imbarcati come merce di accompagno su una nave
diretta forse verso le coste liguri e da lì, con ogni probabilità, verso il Mediterraneo occidentale. È chiaro
che le modalità di recupero lasciano il campo aperto
a tanti interrogativi, e cioè quale potesse essere il
numero complessivo degli oggetti imbarcati, in quale
percentuale gli uni rispetto agli altri, e soprattutto se
è corretto considerarli un unico contesto insieme con
Castoldi 1991, p. 141; Bolla 2002, p. 207.
Bolla 1994, p. 14.
163
Castoldi, Feugère 1991, p. 68; Finaroli 1999, p. 39.
164
Castoldi 2004, p. 89.
165
Menchelli, Pasquinucci 2006, p. 1631.
166
Castoldi 1991, p. 68; Castoldi 1994.
161
gli altri materiali presentati in questa sede. Certo, non
ci sono in letteratura altri relitti con lo stesso insieme di oggetti bronzei, e anche gli altri materiali del
contesto sono ‘viziati dallo stesso peccato originale’
derivante dalle modalità di recupero, ma la coerenza
cronologica e soprattutto il fatto che, invece, i reperti
ceramici ed anforici ricorrono più e più volte nei
relitti incoraggia ad ipotizzare per tutti gli oggetti
una provenienza unica, dal mare, e verosimilmente
dal relitto alla foce del Fine.
[C. R.]
Il lingotto di piombo
Di notevole interesse, anche in relazione alle
problematiche pertinenti alla commercializzazione
dei metalli in età tardo-repubblicana, è la presenza
tra i materiali del contesto b di un lingotto di piombo di un tipo ampiamente attestato in questo stesso
periodo nel bacino occidentale del Mediterraneo
(fig. 17). Appare importante, a tal proposito, mettere
ancora in evidenza la segnalazione orale secondo la
quale tra i materiali presenti nel 1978 nel sito del
relitto era presente anche un «lingotto d’argento» 167,
forse da identificare con il lingotto in oggetto o con
altri esemplari non recuperati.
Sotto il profilo morfologico il lingotto risulta
caratterizzato da una base piatta di forma rettangolare (47,6×9 cm) e da un dorso curvo, la cui altezza
raggiunge gli 8 cm. Il peso raggiunge i 32,2 kg, corrispondenti a 98,3 libbre romane (1 libbra=327,5 g);
tale valore, assai vicino al peso standard di 100 libbre,
viene normalmente osservato nella produzione delle
massae plumbeae di età tardo repubblicana, mentre,
a partire dall’età augustea, si registra la tendenza a
produrre lingotti di peso superiore, in alcuni casi
eccedenti del doppio tale peso 168.
Sulla parte superiore del dorso è presente un
bollo, suddiviso in tre distinti cartigli, di dimensioni difformi; il cartiglio centrale, il maggiore dei
tre, misura 17×2,1 cm, mentre i due cartigli laterali
misurano rispettivamente 5,6×2,1 cm (quello di sinistra) e 5,5×2 cm (quello di destra). Questi ultimi
contengono rispettivamente un caduceo e un delfino,
mentre nel terzo è presente un testo in lettere capitali
altre 1,8 cm circa:
(caduceus) // L(ucii) Pontilieni C(ai) f(ilii) // (delphinus).
La parte iniziale del bollo è parsa, in un primo
momento, caratterizzata da una lacuna, relativa ad
una sola lettera 169; ad una più attenta lettura, tuttavia,
162
Massa 1980-81, p. 245, nota 74.
Domergue, Liou 1997, pp. 11-30.
169
Genovesi, Rizzitelli, Sarti 2012, p. 458.
167
168
88
S. Genovesi, M. Giorgio, V. Palleschi, C. Rizzitelli
fig. 17 – Immagine e disegno del lingotto in piombo dal contesto b.
è possibile ravvisare in questo stesso spazio la presenza
di una L seguita da un segno di interpunzione di
forma irregolare.
Il testo non presenta legature mentre da notare
sono, nel termine Pontilieni, l’apertura della P, indizio di una cronologia tardo repubblicana, e la grafia
rovesciata della T; due segni di forma irregolare,
ubicati tra le ultime tre lettere, permettono infine di
riconoscere in una formula patronimica (C(ai) f(ilii))
le due ultime lettere del testo.
La formula onomastica riportata nel bollo
centrale, in caso genitivo, si compone quindi del
gentilizio (Pontilieni) e del patronimico, mentre,
secondo l’uso invalso in età repubblicana, non si fa
menzione del cognomen. La prima lettera del testo,
di conseguenza, è certamente da identificare con
l’abbreviazione del praenomen Lucius, mentre il personaggio menzionato dal bollo è un membro della gens
italica dei Pontilieni, forse di origine picena 170. Di tale
gens sono attualmente noti sei membri e un liberto,
menzionati su bolli di lingotti di piombo prodotti
nelle miniere di Carthago Nova e da epigrafi di vario
tipo, comunque provenienti dal centro urbano o dal
territorio di questa stessa città.
La costituzione di una societas tra due membri
della gens, certamente fratelli, è attestata dal bollo
soc(ietatis) M(arci et) C(ai) Pontilienorum M(arci)
f(iliorum), presente su 643 lingotti del relitto sardo di
Mal di Ventre a (fig. 18.6), datato ai decenni centrali
del i sec. a.C. 171, e su tre ulteriori esemplari rinvenuti
Cfr. cil ix, 5232; ae 1987, 191, con attestazioni del
gentilizio Portulenus.
171
Salvi 1992, pp. 662-664.
170
presso la spiaggia di Marseillan (costa sud-orientale
della Francia: fig. 18.4 172).
La società stretta da Marcus e Caius, ancora
esistente, non viene esplicitata nel testo del bollo di
altri 66 lingotti del carico dello stesso relitto di Mal
di Ventre a: M(arci et) C(ai) Pontilienorum M(arci)
f(iliorum) 173. Una parte dell’attività mineraria della
gens dei Pontilieni risulta condotta dal solo Caius,
senza che sia apparentemente possibile determinare
se essa sia successiva o posteriore alla societas da
questi costituita con Marcus. La bollatura risulta
effettuata per mezzo di due serie di punzoni, distinte
dalla presenza o meno dell’indicazione della tribù di
appartenenza dello stesso Caius.
Lingotti recanti il bollo C(ai) Pontilieni M(arci)
f(ili) sono stati rinvenuti nel porto di Carthago Nova
(fig. 18.1) 174 e nella località di Palavas (due esemplari
inediti), ubicata lungo la costa meridionale della
Francia (fig. 18.5) 175. È inoltre attestato su una massa plumbea rinvenuta, purtroppo fuori contesto,
a Volubilis (fig. 18.2) 176; da sottolineare, in merito
alla supposta origine picena della gens Pontiliena,
172
Laubenheimer-Leenhardt 1973, pp. 140-145, 178183, nn. 23-25; Borja Díaz 2008, p. 286, sp31, con bibliografia
precedente.
173
ae 1992, 482b; Salvi 1992, pp. 662-664.
174
Un esemplare isolato (ee ix, 428, 2; Borja Díaz 2008,
p. 286, sp 27, con bibliografia precedente).
175
Trincherini et al. 2010, tab. 4, n. 1047. Le preziose
informazione sui due lingotti di Palavas e sul lingotto isolato
de La Baie de la Squille (Linguadoca) sono state cortesemente
fornite dal prof. C. Domergue, che qui ringraziamo.
176
Chatelain 1928-29, pp. 416-418; ae 1930, 38 = ae 1976,
783; Euzennat 1968-70, pp. 86-87; Borja Díaz 2008, p. 286,
sp28.
Rotte e commerci lungo la costa volterrana tra ii e i sec. a.C.
89
fig. 18 – Diffusione dei lingotti in piombo della gens Pontiliena. 1: Cartagena/Carthago Nova; 2: Volubilis; 3: Baie de la
Roquille; 4: Marseillan; 5: Palavas; 6: Mal di Ventre (relitto); 7: Capo Carbonara; 8: Museo Civico Archeologico di
Cecina (località del ritrovamento ignota). A: bollo su uno dei lingotti di Marseillan (da Laubenheimer-Leenhardt
1973); B: bollo su lingotto del relitto di Mal di Ventre (da Giacomelli 1991); C: contromarca Pilip(pus) da lingotti del
relitto di Mal di Ventre (da Salvi 1992); D: bollo su lingotto da Carthago Nova (da Borja Dìaz 2008).
l’appartenenza del centro di Ausculum Picenum alla
tribù Fabia 177.
Più dubbia è, infine, l’identificazione del Pontilienus che bolla un lingotto isolato rinvenuto nel
tratto di mare antistante Capo Carbonara (Sardegna
sud-orientale; fig. 18.7) e attualmente conservato
presso il Museo Archeologico di Cagliari 178. Per
quanto una lacuna nella parte iniziale del bollo
([-] Pontil(lieni) M(arci) f(ilii)) renda difficoltosa la
lettura del praenomen, più studiosi propongono una
identificazione della lettera iniziale con una M. Il
bollo, da sciogliere quindi in [M(arci)] Pontil(lieni)
M(arci) f(ili), costituirebbe la prima attestazione di
una attività produttiva del piombo gestita dal solo
Marcus Pontilienus.
Un ulteriore membro della gens coinvolto nello
sfruttamento delle miniere iberiche è noto grazie ad
un lingotto isolato, rinvenuto nella Baie de la Roquille, poco a Nord del centro di Agde (Linguadoca; fig.
18.3) 179. Il testo menziona un Caius Pontilienus figlio
di un Servius, di cui risulta evidentemente impossibile
definire eventuali legami di parentela o di patronato
con i fratelli Caius e Marcus e con il loro padre.
Le caratteristiche morfologiche, il corredo
epigrafico e le analisi degli isotopi – ormai largamente impiegate nel caso dello studio dei manufatti
antichi in piombo – hanno permesso di attribuire
con assoluta certezza le massae plumbeae bollate dai
Pontilieni alla produzione delle miniere di Carthago
Nova, ubicate nel settore Sud-orientale della penisola
iberica e oggetto di uno sfruttamento intensivo da
parte dello stato romano in particolare tra la metà
del ii e la fine del i sec. a.C. 180. Le ricchezze del
sottosuolo della città iberica, già oggetto degli interessi di Cartagine nel corso dell’ultimo quarto del
iii sec. a.C. 181, cadono in mano dello stato romano
all’indomani della conquista della città da parte di
Publio Scipione nel 209 a.C. 182. A partire dal 195 a.C.
Catone, governatore della Hispania, impone un vectigal sui metalla, da quel momento parte integrante
Sotgiu 1988, p. 657; ae 1992, 863d; Giacomelli 1991,
180
Vedi i lingotti di tipo Domergue i in Domergue 1990,
p. 253; Trincherini et al. 2010, pp. 1-18.
181
Polib., 10, 8-12; Plin., n.h., 33, 97.
182
Liv. xxvi, 47, 2.
177
p. 126.
Domergue 1990, p. 322.
Informazioni ottenute dal prof. C. Domergue.
178
179
90
S. Genovesi, M. Giorgio, V. Palleschi, C. Rizzitelli
tab. 1 – lingotti di piombo e epigrafi pertinenti alla gens Pontiliena. Tabella riassuntiva.
dell’ager publicus populi Romani 183. La ricchezza dei
giacimenti richiama a Carthago Nova numerosi cives
Romani e Italici 184 che, singolarmente o nell’ambito
di societates, ottengono dallo stato romano appalti
per lo sfruttamento dei metalla; tale attività, secondo la testimonianza autoptica di Polibio 185, assume
proporzioni notevolissime, arrivando ad impiegare,
attorno alla metà del ii sec. a.C., 40.000 persone e
fornendo una rendita giornaliera di 25.000 dracme
d’argento allo stato romano.
Tratto saliente dell’assetto sociale e politico di
Carthago Nova, in particolare tra la fine del ii e la
metà del i sec. a.C. è il forte processo di integrazione
nella comunità cittadina di personaggi di origine
italica e, assai spesso, dei loro servi e/o liberti (tab.
1) 186. Non fanno in questo eccezione i Pontilieni,
attestati da tre epigrafi, provenienti dal territorio e
dal centro urbano; la più antica, rinvenuta presso
il promontorio di Palos e databile ai decenni di
passaggio tra ii e i sec. a.C., menziona un Pil(ippus)
Pontili(enorum) M(arci et) C(ai) s(ervus), membro di
un collegio di magistri incaricati della curatela di un
monumento o di un edificio ignoto 187. Quest’ultimo
183
Liv. xxiv, 21, 7: pacata provincia, vectigalia magna instituit ex ferrariis argentariisque quibus tum institutis locupletior in
dies provincia fuit; vedi anche Cato, Orig., fr. 93 P. e Cic., Leg.
Ag., i, 5; ii, 51.
184
Diod. Sic., v, 36, 3.
185
Polib. 39, 8-11, ripreso in Strabo iii, 2, 10.
186
Domergue 1990, pp. 326-327; Orejas, SÁnchezPalencia 2002, p. 589, con bibliografia.
187
cil ii, 3433 (vedi anche Borja Díaz 2008, pp. 137-139,
c50).
è stato messo in relazione con il titolare della contromarca Pilip(---), presente su 66 dei 709 lingotti
bollati dai Pontilieni del relitto di Mal di Ventre 1 188; la
cronologia dell’epigrafe appare tuttavia troppo alta in
relazione a quella del relitto, che è stato invece datato
alla metà del i sec. a.C. La presenza fisica di Pil(ippus)
a Carthago Nova e quella della sua contromarca sui
lingotti di Mal di Ventre sono evidentemente legate
all’attività che egli svolgeva, nell’ambito dello sfruttamento dei metalla iberici, per conto dei suoi domini.
Se in linea teorica un’attività di 40-50 anni non può
essere esclusa, l’assenza di una pubblicazione integrale
dei materiali del relitto (la cronologia proposta si basa
sul carico di anfore Dressel 1) obbliga, quantomeno,
a non escludere una cronologia diversa (più alta?)
per il relitto.
Si datano rispettivamente alla prima metà e ai
decenni centrali del i sec. a.C. due epigrafi funerarie
con testo in metrica, rinvenute in prossimità del
centro urbano di Cartagena; nella più antica viene ricordato un Pontilienus figlio di un Lucius 189 mentre la
seconda ricorda una Pontiliena di rango libertino 190.
Il lingotto presente sull’imbarcazione naufragata
presso la foce del Fine rende infine possibile proporre
alcune puntualizzazioni in merito alle problematiche
relative alla commercializzazione del piombo dei
Pontilieni. È necessario sottolineare come il rinvenimento di una singola massa plumbea tra i materiali
Salvi 1992, pp. 670-671.
cil i, 3449g (vedi anche Borja Díaz 2008, pp. 122123, C31).
190
Borja Díaz 2008, pp. 130-131, C42 (con bibl. prec.).
188
189
91
Rotte e commerci lungo la costa volterrana tra ii e i sec. a.C.
di un relitto non costituisca affatto una prova della
sua pertinenza al carico; era infatti buona prassi, in
particolare sulle imbarcazioni che affrontavano rotte
di lungo percorso, avere a bordo alcuni lingotti di
piombo da poter impiegare per piccole riparazioni
di parti della nave – quale la pompa di sentina,
normalmente in piombo – direttamente durante la
navigazione 191.
Il lingotto del contesto b costituisce quindi una
ulteriore attestazione della notevole diffusione nel
settore occidentale del Mediterraneo del piombo
estratto nelle miniere di Carthago Nova e dell’intenso
coinvolgimento in tale attività della gens Pontiliena,
mentre non appare possibile dimostrare che il lingotto fosse commercializzato, assieme ad altri esemplari,
lungo la rotta tirrenica seguita dall’imbarcazione
naufragata alla foce del Fine.
Vale tuttavia sottolineare come l’esistenza di una
filiera redistributiva del piombo iberico, che a partire
da Roma risalisse la costa nord-etrusca seguendo le
normale rotta tirrenica di cabotaggio, potrebbe in
effetti essere attestata da due ulteriori rinvenimenti,
purtroppo anch’essi isolati.
Nell’undicesimo volume del cil viene riportato
il testo di una iscrizione presente su una lamina di
piombo rinvenuta presso Castagneto Carducci (li):
L(ucii) Plan(ii) [---] 192. Tale rinvenimento, successivamente ricordato anche da Besnier nel suo corpus
dei lingotti di piombo 193, è con ogni probabilità
relativo ad un lingotto di piombo frammentario
riconducibile alla produzione della gens dei Planii,
appaltatori – al pari dei Pontilieni – presso le miniere
di Carthago Nova tra il secondo ed il terzo quarto del
i sec. a.C. 194.
Si colloca più a Sud, nel tratto di mare antistante
il castello di Santa Severa a Pyrgi, il rinvenimento, ancora una volta isolato, di un terzo lingotto di piombo,
caratterizzato dalla stessa morfologia (alt. 8 cm; base
45×8,5) delle massae plumbeae di età repubblicana e
da un peso di 31,6 kg, pari a 96,5 libbre circa 195. Il
bollo, che riporta il testo Q(uinti) Virei C(ai) f(ilii)
// Ste(latina tribu), attesta ancora una volta il coinvolgimento degli Italici 196 nello sfruttamento dei
giacimenti di Carthago Nova.
191
Cfr. il caso dei relitti Port-Vendres 2 (Colls et al. 1977,
pp. 118-122; Colls, Lequément 1981, pp. 177-186) e Lavezzi 1
(Liou 1990, pp. 145-149).
192
cil xi, 6722, 15-16.
193
Besnier 1920-21, pp. 99-130, n. 60.
194
Domergue 1965, pp. 9-27; Salvi, 1992, pp. 667-668.
195
Enei 2008, p. 46, fig. 64.
196
Per la gens Vireia vedi cil x, 104, 186 a.C.; Morizio
2001, p. 101.
Il relitto del Fine, attribuibile ai decenni iniziali
del i sec. a.C., e il relitto di Mal di Ventre, comunemente datato al secondo quarto dello stesso secolo,
sembrano essere i due capisaldi cronologici dell’attività dei Pontilieni. Lucius Pontilienus, che compare
sul bollo del lingotto del Museo di Cecina, potrebbe
quindi essere il primo membro della gens a ottenere
dallo stato romano un appalto per lo sfruttamento dei
metalla iberici, mentre di qualche decennio successiva
sarebbe l’attività della societas dei fratelli Marcus e
Caius, dei quali non è tuttavia possibile determinare
gli eventuali rapporti di parentela con Lucius.
La decontestualizzazione dei lingotti bollati dal
solo Caius – 4 in tutto – e del lingotto di Capo Carbonara, bollato da Marcus, non permette di stabilirne
la cronologia e, in definitiva, il rapporto con la produzione di piombo condotta congiuntamente dai due
fratelli. Quest’ultima appare oggi come più articolata,
verosimilmente legata a diverse generazioni e/o a
diversi rami della gens che, in un arco cronologico
compreso tra l’inizio e la metà del i sec. a.C., si sono
succedute tramandandosi la stessa attività.
Per quanto riguarda la diffusione del piombo dei
Pontilieni, è in primo luogo possibile puntualizzare
la certezza dell’origine del metallo, che le analisi
isotopiche 197 e il significativo rinvenimento nel porto
di Cartagena di un lingotto di Caius consentono di
attribuire ai metalla di Carthago Nova. L’esistenza di
una commercializzazione su scala locale, alla quale
afferiscono la stessa penisola iberica e l’area dello
stretto di Gibilterra, è attestata dal lingotto rinvenuto
a Volubilis, mentre sono da contestualizzare all’interno delle rotte marittime del bacino occidentale del
Mediterraneo romano gli altri rinvenimenti. Viaggiavano lungo la rotta diretta che da Carthago Nova
conduceva a Roma per mezzo delle Baleari e della
Sardegna i lingotti del relitto di Mal Di Ventre e la
massa plumbea, isolata, di Capo Carbonara. Anche
in assenza di contesti archeologici precisi, è comunque alla rotta di cabotaggio che costeggiava le coste
iberiche, francesi e italiane che possono essere infine
attribuiti i lingotti rinvenuti ad Agde, Marseillan e
nella Baie de la Roquille.
Estraneo a questi circuiti è invece l’esemplare
conservato presso il Museo di Cecina, che, viaggiando
su un’imbarcazione diretta certamente verso il settore
settentrionale del Mar Tirreno, era con ogni probabilità già giunto nella penisola italica – a Roma o in un
altro porto – per essere rimesso in circolazione come
dotazione di bordo di una nave da carico.
[S. G.]
197
V. da ultimo Trincherini et al. 2010, pp. 1-18.
92
S. Genovesi, M. Giorgio, V. Palleschi, C. Rizzitelli
4. I due probabili relitti nel contesto
dei commerci e delle rotte della costa volterrana
tra ii e i sec. a.C.
La fascia costiera compresa tra i fiumi Fine e
Cecina ha costituito, durante tutta l’età antica, il naturale sbocco sul mare dello stato etrusco di Velathri
prima e del successivo centro romano – municipium
e poi colonia di diritto romano a partire dall’età augustea – di Volaterrae. Tale ruolo ha favorito nei secoli
lo sviluppo di un sistema portuale progressivamente
sempre più complesso e articolato, contestualmente
funzionale alla redistribuzione delle merci di importazione e alla commercializzazione, in questo stesso
territorio e all’esterno, delle produzioni locali 198.
Nel primo paragrafo abbiamo brevemente accennato, a partire dall’esile spunto offerto dall’anfora
massaliota del Museo di Cecina, alle problematiche
relative alle rotte commerciali che tra vi e v sec. a.C.
hanno interessato la costa nord-etrusca e, in particolare, volterrana; di seguito tenteremo di inquadrare
i contesti a e b nel quadro delle rotte commerciali
tirreniche tra ii e i sec. a.C., e di definirne, in particolare per il relitto più tardo (contesto b=Vada a), il
rapporto con il sistema portuale della costa volterrana
in età tardo-repubblicana.
L’intero tratto costiero afferente al municipio
di Volaterrae risulta interessato da numerose
segnalazioni di rinvenimenti subacquei, spesso caratterizzati da dati frammentari e di difficile lettura;
limitatamente alla tarda età repubblicana, è certa
la presenza di almeno quattro relitti, pertinenti al
periodo compreso tra il ii e la metà del i sec. a.C. 199.
Il più antico di questo gruppo è il già ricordato
relitto Vada b (prima metà del ii sec. a.C.; fig. 19.11),
del quale non sono purtroppo attualmente rintracciabili le anfore greco-italiche recuperate; esso costituisce tuttavia un potenziale e significativo riscontro per
il gruppo di materiali pertinenti al nostro contesto a,
del quale abbiamo già messo in evidenza la coerenza
cronologica e come carico. La contestuale presenza
a bordo di ceramiche a vernice nera di produzione
campana A e di anfore greco-italiche tarde di probabile produzione campana, tipica dei relitti pertinenti a
questo orizzonte cronologico, costituisce un ulteriore
elemento a favore della pertinenza di tali materiali
al carico di un’unica nave che, a partire dalle coste
fig. 19 – Relitti e insediamenti della costa volterrana in
età tardo-repubblicana (ii-metà i sec. a.C.). 1: relitto del
Fine; 2: Galafone; 3: San Gaetano; 4: Vada-Il Poggetto;
5: La Mazzanta; 6: Pod. Del Pozzo; 7: San Vincenzino; 8:
relitto della Foce del Cecina; 9: area della Secchitella; 10:
relitto delle Secche di Vada; 11: relitto Vada b.
campane, risaliva il Tirreno fino ai mercati dell’arco
nord-tirrenico o della Gallia 200. Tale direttrice commerciale si configurava come rotta di lungo percorso,
con scali intermedi di tipo tecnico che normalmente
non prevedevano rotture di carico 201. È quindi verosimile che entrambe le imbarcazioni 202 fossero solo
in transito lungo le coste volterrane, dirette dalla
Campania verso le coste galliche e/o iberiche.
Il pieno sviluppo, dalla seconda metà del ii sec.
a.C., delle produzioni vinarie e di altro tipo (quali i
salsamenta) lungo le coste campano-laziali ed etrusche, determinato dalla progressiva integrazione nel
mercato mediterraneo della penisola iberica e delle
Gallie, comportò un consistente e generalizzato aumento dei volumi di traffico, mutandone contestualmente le caratteristiche delle rotte. Il coinvolgimento
di queste ultime all’interno di un più vasto numero di
centri tirrenici capaci di produrre derrate alimentari e
le relative anfore da trasporto – in particolare di tipo
Dressel 1 – ebbe come dirette conseguenze l’aumento
Cibecchini 2011, pp. 11-19.
Cibecchini 2004, pp. 9-10. Lungo le coste dell’Etruria
settentrionale la sua attivazione risulta attestata già tra la metà e
la fine del iii sec. a.C., periodo al quale risalgono i relitti di Cala
Diavolo (isola di Montecristo) e della Meloria a, ubicato presso
la costa livornese (Cibecchini 2011, pp. 14-15).
202
Non è da escludere, anche se attualmente di fatto indimostrabile, che i materiali del contesto a del Museo Archeologico
di Cecina siano in realtà pertinenti al relitto Vada b.
200
Su tali problematiche vedi, in generale, Pasquinucci,
Menchelli 1999, pp. 122-141 e, in particolare per il periodo
romano, Genovesi 2013b, pp. 556-554.
199
Massa 1980-81, pp. 223-263; Massa 1982, pp. 56-60;
Massa 1982-1983, pp. 167-181; Parra 1986, p. 435; Regoli,
Terrenato 2000, pp. 94-95. Sui relitti della costa volterrana
vedi, da ultimo, Bargagliotti, La Monica 2013, pp. 44-51 (non
esente da imprecisioni).
198
201
Rotte e commerci lungo la costa volterrana tra ii e i sec. a.C.
degli scali intermedi a fini commerciali e la diffusione
della pratica della rottura dei carichi 203.
Paradigmatico appare, in questo senso, proprio
il caso del relitto del Fine (fig. 19.1: contesto b=Vada
a), per il quale costituisce un cogente termine di confronto il già citato relitto di Spargi. L’imbarcazione,
il cui carico venne, almeno in parte, assemblato dal
mercator Manius Rufius, dovette salpare da un porto
campano (fig. 3) con un carico che, con l’eccezione
dell’anfora punica e della ceramica a vernice nera di
produzione calena, rimane per noi in quasi del tutto
ignoto; in una tappa successiva, presso un approdo
dell’ager Cosanus (Albinia?), entrano a far parte del
carico anfore di tipo Dressel 1b e c. L’ultimo scalo
avviene infine lungo le coste dell’ager Volaterranus,
dove verosimilmente vengono imbarcati i manufatti
in bronzo.
Testimonianze isolate e segnalazioni pertinenti al
periodo compreso tra la seconda metà del ii e la metà
del i sec. a.C. – spesso non riconducibili con certezza
a relitti – sono attestate lungo tutta la fascia costiera
compresa tra le foci del Cecina e del Fine e nell’area
delle secche di Vada. Dal tratto di mare antistante la
foce del Cecina – in particolare dall’area nota come
la “Secchitella”, a nord della foce (fig. 19.9) – provengono due anfore olearie di forma Lamboglia 2 di
produzione adriatica (fine ii-metà i sec. a.C.), una
pelvis (iii-ii sec. a.C.), una macina in pietra lavica e
anfore della prima età imperiale 204.
Tre, incluso quello della foce del Fine, sono i
giacimenti che è possibile identificare con relitti con
carichi di Dressel 1, databili tra l’ultimo quarto del ii
e i decenni centrali del i sec. a.C. All’individuazione
(1974), ad opera dei sub del Circolo Subacqueo
Nettuno di Cecina, di un giacimento di anfore alla
distanza di 1 km circa a sud-ovest della foce del Cecina (fig. 19.8), ha fatto seguito nel 1979 il recupero
di dodici anfore di tipo Dressel 1b e 1c di incerta
produzione; due contenitori dello stesso tipo, porzioni del fasciame e una macina in pietra sono stati
recuperati successivamente 205.
Cibecchini 2004, p. 10.
Si tratta di due anfore vinarie di tipo Dressel 2-4 di
produzione tarraconense e di una Dressel 2-4 di produzione
italica (Massa 1982, p. 56), attualmente esposte presso il Museo
Archeologico di Cecina, assieme agli altri materiali ricordati.
L’eterogeneità dei materiali consente di escluderne la pertinenza
ad un unico relitto, mentre esiste la possibilità che nell’area della
Secchitella, prossima alla foce del Cecina, vi fosse un punto di
ancoraggio per tutte quelle imbarcazioni non in grado di risalire
il fiume (v. infra). I rinvenimenti in oggetto sono invece definiti
come “relitto della Secchitella” in Bargagliotti, La Monica
2013, p. 51.
205
Massa 1982, p. 56; Parra 1986, pp. 434-435; Parker
1992, p. 442; Bargagliotti, La Monica 2013, pp. 50-51 (con
riferimenti ai documenti dell’archivio sbat di Firenze). I materiali
203
93
Ancora più scarse sono le notizie relative ad un
terzo relitto, ubicato in corrispondenza delle Secche
di Vada (fig. 19.10); un recupero del 2000, realizzato
durante una battuta di pesca, ha portato al recupero
sei anfore di tipo Dressel 1 integre e di altri frammenti
pertinenti ad almeno quattro anfore, delle quali tre
da identificare con certezza con Dressel 1 206.
Se da un lato i rinvenimenti subacquei consentono di cogliere l’intensità dei traffici lungo la costa
volterrana tra ii e i sec. a.C., più difficile appare, sulla
base dei dati archeologici noti, la lettura dell’assetto
del sistema portuale di questa stessa regione.
In loc. Galafone (fig. 19.2), in corrispondenza della riva meridionale della foce del Fine, rinvenimenti
occasionali 207 e ricognizioni di superficie 208 hanno
individuato l’esistenza di un insediamento con tracce
di frequentazione di epoca protostorica 209, ancora
attivo in età repubblicana (iii-i sec. a.C.) e nella
prima età imperiale, quando il sito ospita anche una
manifattura di anfore da trasporto di tipo Dressel 2-4
e di ceramica di uso comune.
Poco più a sud, in corrispondenza di una duna
costiera, un secondo insediamento si sviluppa,
anch’esso già in età protostorica (viii-vii sec. a.C.),
presso S. Gaetano di Vada (fig. 19.3); un ridotto
numero di frammenti di ceramica a vernice nera ne
attesta la frequentazione in età tardo-repubblicana,
prima che un vasto quartiere portuale venga realizzato
in questa stessa area in età augustea, fino al vi-vii sec.
d.C. 210. La presenza di un insediamento – del quale
appare impossibile determinare l’eventuale vocazione
commerciale – presso l’attuale centro abitato di Vada
è peraltro confermata da più rinvenimenti pertinenti
ad almeno due distinte aree di necropoli ubicate nelle
immediate vicinanze dell’attuale centro abitato di
Vada; in loc. il Poggetto (fig. 19.4) ad una prima fase
attestata da una sepoltura a ziro databile tra v e iii sec.
a.C. fa seguito una più consistente frequentazione
con numerose sepolture, tra la fine del ii e il i sec.
a.C. 211; è inoltre genericamente riferibile a Vada anche
il ritrovamento di una tomba a camera con materiali
databili tra iii e i sec. a.C. 212.
204
in oggetto sono attualmente esposti nel Museo Archeologico
di Cecina.
206
Bargagliotti, La Monica 2013, p. 48 (con riferimenti
ai documenti dell’archivio sbat di Firenze). I materiali in oggetto
sono attualmente custoditi presso un deposito della Guardia di
Finanza a Livorno.
207
Ciabatti 1965, p. 9.
208
Pasquinucci et al. 1998, p. 107.
209
Pasquinucci, Gambogi 1997, pp. 226-227.
210
Pasquinucci c.s.
211
Massa 1974, pp. 65-72.
212
Bizzarri 1958.
94
S. Genovesi, M. Giorgio, V. Palleschi, C. Rizzitelli
Insediamenti costieri di notevole importanza
sono noti nell’area della foce del Cecina; 1 km circa
a Nord di quest’ultima, in loc. La Mazzanta (fig.
19.5), si sviluppa, verosimilmente già alla fine del II
sec. a.C., un quartiere artigianale attivo nella produzione di anfore di tipo Dressel 1b, destinate alla
commercializzazione del vino locale 213.
Difficilmente leggibili sono, infine, i dati relativi
al tratto di costa ubicato a sud della foce del Cecina,
anch’esso parte del territorio di Volterra; sul piccolo
rilievo del Poggio al Fico, sul quale verrà edificata, nel
terzo quarto del i sec. a.C., la villa di S. Vincenzino
(fig. 19.7), un insediamento (rurale?) è già attivo
tra il iii e del il ii sec. a.C. 214, mentre, più a sud,
nessuno dei siti identificati nel corso delle indagini
di superficie – mai pubblicate in modo analitico –
degli anni ’80 sembra identificabile con un approdo
di qualche tipo 215.
All’interno di questo quadro strettamente archeologico, nel quale è necessario considerare, come
ulteriore ‘variabile’, anche gli eventuali mutamenti
dell’assetto paleoambientale dell’area costiera, sembra
quantomeno possibile mettere in evidenza il ruolo
dell’area della foce del Cecina. In questo settore
è ubicato il quartiere artigianale de La Mazzanta,
dove si producono anfore da trasporto dalla fine
del ii sec. a.C., mentre, di fronte alla costa, sono
localizzati i rinvenimenti dell’area della Secchitella
e il relitto della Foce del Cecina; di non secondaria
importanza è, nell’immediato retroterra, la presenza
dell’insediamento di Poggio al Fico e, immediatamente a nord del fiume, dell’insediamento di Pod.
del Pozzo (fig. 19.6), forse da identificare con una
mansio posta lungo la viabilità principale 216. Gli
scarsi dati relativi ai rinvenimenti subacquei non
consentono di definire dimensioni e caratteristiche
delle imbarcazioni affondate alla foce del Cecina
in prossimità delle coste volterrane; è, quindi, solo
possibile ipotizzare che lo scalo potesse configurarsi,
più che come un vero e proprio porto, come punto
213
Cherubini, Del Rio 1997, p. 133; Cherubini, Del
Rio, Menchelli 2006, p. 74. Un secondo insediamento,
anch’esso attivo nella produzione di anfore di tipo Dressel 1b, è
ubicato poco più ad est, a breve distanza dalla riva settentrionale
del Cecina, in loc. Podere del Pozzo (Cherubini, Del Rio 1997,
pp. 133-134; Cherubini, Del Rio, Menchelli 2006, p. 74).
214
Genovesi 2013a, pp. 234-235, tav. i (per le anfore vedi
anche Genovesi 2013b, pp. 541-543).
215
Terrenato, Saggin 1994, pp. 465-482. Lungo la pianura costiera posta a Sud della foce del Cecina il popolamento di
tarda età repubblicana, costituito da fattorie di piccole e medie
dimensioni e da strutture di maggiore importanza – forse da
identificare con ville – si concentra all’interno di una fascia posta
ad una distanza mai inferiore ai 2 km dall’attuale linea di costa.
216
Cherubini, Del Rio 1995, p. 357. Cherubini, Del
Rio, Menchelli 2006, pp. 74-76.
di ancoraggio, presso il quale potevano svolgersi le
operazioni di scarico e carico delle merci imbarcate
sulle onerariae, gran parte delle quali certamente non
in grado di risalire il fiume 217.
Più difficile da definire è l’eventuale esistenza e/o
consistenza, in questo stesso periodo, di un secondo
scalo più a Nord, nell’area compresa tra l’insediamento abitato di Vada e la foce del Fine. L’esistenza
di un sistema portuale in grado di svolgere il ruolo
di interfaccia tra la rete commerciale del bacino occidentale del Mediterraneo e il territorio di Volterra
è peraltro attestata, per la tarda età repubblicana,
dalle fonti scritte 218. Il noto brano di Livio relativo
alle forniture effettuate dalle città etrusche in favore
di Roma nel 205 a.C., all’indomani dell’ultimo e decisivo sforzo bellico contro Cartagine, ricorda come
i Volterrani contribuirono con interamenta navium
et frumentum 219. Al di là del significato del termine
interamenta 220, tutt’altro che certo, il principale dato
desumibile dal passo liviano è la generica esistenza,
alla fine del iii sec. a.C., di una attività cantieristica
lungo le coste volterrane 221.
La menzione dei consoli in carica consente di
datare all’83 a.C. un passaggio della Pro Quinctio di
Cicerone 222 nella quale viene ricordato l’incontro di
In questo senso, più che in relazione a naufragi, potrebbero leggersi i rinvenimenti di ceppi d’ancora in piombo, effettuati in prossimità della foce del Cecina (area della Secchitella) e,
più a nord, nelle acque antistanti Vada (Massa 1982, pp. 56-58).
218
Per una disamina delle fonti relative all’assetto portuale
della costa volterrana vedi, da ultimo, Sangriso 2011, pp. 171-214.
219
Liv. xxxviii, 45, 14-18: «Caerites frumentum sociis
navalibus commeatumque omnis generis, Populonenses ferrum,
Tarquinienses lintea in vela, Volaterrani interamenta navium et
frumentum, Arretini tria milia scutorum, galeas totidem, pila gaesa
hastaslongas, milium quinquaginta summam pari cuiusque generis
numero expleturos, secures rutra falces alveolos molas quantum in
quadraginta longas naves opus esset, tritici centum viginti milia
modiumet in viaticum decurionibus remigibusque conlaturos; Perusini Clusini Rusellani abietem in fabricandas naves et frumenti
magnum numerum; abiete <et> ex publicis silvis est usus».
220
Per tale problematica, si veda l’approfondita trattazione
in Sangriso 2001, pp. 177-179.
221
Secondo P. Sangriso (Sangriso 2011, pp. 179-180) un
passo di Polibio (ii, 27, 1-2), relativo allo sbarco a Pisa delle
legioni del console Gaio Atilio nel 225 a.C., costituirebbe una
testimonianza implicita dell’inadeguatezza del sistema portuale
volterrano rispetto alla flotta del console, attestandone quindi la
scarsa portuosità. Il passo polibiano, tuttavia, oltre a non fornire
informazioni dirette sull’assetto portuale della costa volterrana
in questo periodo, non ci ragguaglia sufficientemente rispetto
alle motivazioni (di natura logistica, militare, ecc.) che avrebbero
guidato la scelta di Atilio, il quale, poco tempo dopo lo sbarco,
raggiunge e sconfigge un esercito di Celti presso Talamone.
In assenza di tali dati, qualsiasi ipotesi e/o ricostruzione della
problematica in oggetto costituisce un pericoloso argumentum
ex silentio.
222
Cic. Pro Quinctio, vi, 24: «Roma egreditur ante diem II
Kalend. Februarias Quinctius Scipione et Norbano coss. Quaeso,
ut eum diem memoriae mandetis. L. Albius Sex. filius Quirina, vir
217
Rotte e commerci lungo la costa volterrana tra ii e i sec. a.C.
Quintius e di un secondo personaggio di nome L.
Albius con una terza persona, L. Publicius, verosimilmente un mercator, nella regione costiera definita
Vada Volaterrana 223. Quest’ultimo risulta infatti
essere di ritorno dalla Gallia con un certo numero
di pueri venales, ossia di schiavi, evidentemente da
vendere sul mercato di Roma; dal momento che appare poco probabile un viaggio dalla costa gallica per
via di terra, l’ipotesi più probabile è che L. Publicius
abbia viaggiato via mare, su un’imbarcazione che ha
effettuato uno scalo presso un approdo della costa
volterrana. L’incontro avviene verosimilmente nel
corso del mese di febbraio, ossia in pieno inverno,
nel corso della stagione del mare clausum; questo,
tuttavia, non significa necessariamente che il traffico
commerciale fosse interamente bloccato. Appare,
infatti, poco plausibile che L. Publicius si trovasse
alla fonda presso i Vada Volaterrana col suo carico di
schiavi destinati al mercato romano, attendendo per
un periodo di tempo potenzialmente lungo alcuni
mesi il ritorno della bella stagione 224.
La testimonianza ciceroniana, assai prossima
all’orizzonte cronologico del contesto b (primo quarto del i sec. a.C.), ci permette di contestualizzarne la
presenza lungo la costa volterrana all’interno di un
quadro in cui gli approdi di questo settore dell’Etruria
settentrionale erano ormai pienamente inseriti nelle
rotte commerciali che collegavano l’Italia tirrenica ai mercati della Gallia. Non casuale appare, in
particolare, il tipo di carico, costituito da schiavi;
la testimonianza di Diodoro Siculo, che indica in
un’anfora il costo per uno schiavo gallico (Diod. v,
26, 3), consente di definire alcune delle caratteristiche dei carichi della rotta di ritorno, certamente
costituiti in larga parte da schiavi da immettere nel
mercato romano.
Il toponimo impiegato da Cicerone per definire la costa afferente al territorio di Volterra – Vada
Volaterrana – appare già quello che ricorre, con lievi
variazioni, nelle fonti di età imperiale (Plinio 225;
bonus et cum primis honestus, una profectus est. Cum venissent ad
Vada Volaterrana quae nominantur, vident perfamiliam Naevi,
qui ex Gallia pueros venales isti adducebat, L. Publicium; qui,
ut Romam venit, narrat Naevio, quo in loco viderit Quinctium».
223
Si veda, per il significato da attribuire a tale espressione,
Sangriso 2011, pp. 171-214.
224
Contra Sangriso 2011, pp. 179-180.
225
Plinio, n.h., iii, 50 «Primum Etruriae oppidum Luna,
portu nobile, colonia Luca a mari recedens propiorque Pisae inter
amnes Auserem et Arnum, ortae a Pelopidis sive a Teutanis, Graeca
gente. Vada Volaterrana, fluvius Caecina, Populonium, Etruscorum
hoc tantum in litore); iii, 80 (In Ligustico mari est Corsica, quam
Graeci Cyrnon appellavere, sed Tusco proprior, a septentrione in
meridiem proiecta, longa passuum CL, lata maiore ex parte L,
circuitu cccxxv. Abest a Vadis Volaterranis lxvii…».
95
Rutilio Namaziano 226) e nelle opere corografiche
compilate in età medievale 227; unica e parziale eccezione è il testo dell’Itinerarium maritimum 228, nel
quale compare unicamente il termine Vadis.
Un possibile – e verosimile – emendamento ad
un passo straboniano relativo alle distanze marittime
tra gli insediamenti costieri dell’Etruria settentrionale 229 prevede la sostituzione del termine Οὐολατέρραϛ,
introdotto nelle edizioni più recenti dell’opera
di Strabone al posto dei termini Οὐαδετέρραϛ o
Οὐαλδεστέρραϛ attestati tuttavia nei principali
manoscritti 230. Secondo la proposta di Cuntz 231,
convincente sotto il profilo delle distanze reali e del
senso generale del passo straboniano 232, essi sarebbero
la corruzione dell’espressione Οὐαδα Οὐολατέρραϛ,
corrispondente, come si vede, al toponimo menzionato nella Pro Quinctio 233. Se quest’ultimo fosse
derivato a Strabone dalle sue fonti (Polibio?), allora
si potrebbe ipotizzare che il toponimo sia stato in
uso già nel corso del ii sec. a.C.
Che cosa debba intendersi con il termine Vada
e se tale termine può darci qualche informazione
226
Rut. Nam, De reditu suo, i, 453-454: «In Volaterranum,
vero Vada nomine, tractum ingressus dubii tramitis alta lego»«.
227
Anon. Rav.: Vadis Volatianis» (336, 4), «Badis Volatianis»
(268, 6); Guidone: «Vadis Volatianis» (511, 16), «Vadis Voliternis»
(474, 22), in Ravennatis Anonymi Cosmographia et Guidonis geographica, a cura di M. Pinder e G. Parthey, Berlino 1860 (ristampa
Aalen 1962). Si veda anche la Tabula Peutingeriana, nella quale
il toponimo è riportato come Vada Volateris.
228
Itin. Mar. 501, 3-4: «a Populonio Vadis, portus, mpm
XXX, a Vadis portu Pisano mpm xviii»
229
Strabo v, 2, 5 (C 223). Successivamente Strabone (v,
2,, 6 = C 223) mette in evidenza come il territorio di Volterra
fosse bagnato dal mare.
230
Per tale complessa problematica si veda, da ultimo,
Sangriso 2011, pp. 180-181.
231
Cuntz 1902, pp. 23-24.
232
Le distanze fornite da Strabone sono relative a siti della
costa; Pisa e Volterra, inoltre, distano molto più dei 280 stadi
(51,8 km circa) riportati nel testo, più congrui, invece, nel caso
della distanza tra la foce dell’Arno e l’area posta alla foce del
Cecina. Il calcolo di tali distanze viene affrontato in Sangriso
2011, pp. 180-184, nel quale la misura riportata da Strabone
viene confrontata con quella ricavabile; ne risultano tre distinte
distanze, due delle quali legate ai dati del testo di Strabone,
ipoteticamente da calcolare in stadi fileteri o alessandrini, e una
determinata sulla base del testo dell’Itinerarium maritimum (501,
4-5). Nel complesso, tenuto conto degli errori determinati dai
dati antichi, l’area nella quale si ricade è compresa tra la sponda
Nord del Cecina e l’attuale abitato di Vada.
233
Il toponimo non compare nell’opera geografica di Pomponio Mela (ii, 4, 72), nel quale, in relazione alla costa volterrana,
è invece presente il termine «Caecina: Ultra Pyrgi, Minio, Castrum
novum, Graviscae, Cosa, Telamon, Populonia, Caecina, Pisae, Etrusca et loca et <no>mina». L’integrazione <flu>mina, in luogo di
<no>mina, riportata nel Codice Vaticano Latino 4929, è stata proposta da Cluverius (Pomponii Melae De chorographia libri tres, a cura
di G. Ranstrand, Göteborg 1971, p. 37) sulla base della menzione
di almeno un fiume (il Minio). Vedi anche Sangriso 2011, p. 185.
96
S. Genovesi, M. Giorgio, V. Palleschi, C. Rizzitelli
in merito al sistema portuale della costa volterrana
è questione assai dibattuta; appare convincente la
ricostruzione proposta di recente, secondo la quale
Vada deve essere inteso come bassofondo, guado e
non come secca, 234 come è stato talvolta tradotto 235;
in questo senso andrebbe inteso anche il racconto
di Rutilio Namaziano 236, la cui piccola imbarcazione – una cymba 237 – starebbe in realtà entrando
all’interno di una laguna e non navigando in mare
aperto delle secche.
Per quanto le vicende del De reditu suo siano
distanti dall’orizzonte cronologico tardo-repubblicano, il toponimo stesso, già in uso almeno cinque
secoli prima, consente cautamente di tratteggiare,
per la costa volterrana, un quadro paleoambientale
caratterizzato dall’assenza di approdi naturali di
dimensioni rilevanti e dalla presenza contestuale di
lagune interne, comunque non adatte all’approdo
della maggior parte delle navi da carico. L’esistenza
di estesi bassi fondali (le Secche di Vada) in prossimità della costa ha inoltre costituito un elemento
di notevole pericolosità per le imbarcazioni, fossero
esse in transito o dirette verso uno dei porti della
costa; è, in definitiva, all’interno di tale quadro che
potrebbe essersi delineata la necessità di impiegare
punti di approdo relativamente sicuri – la foce del
Cecina e eventuali altri – dove poter sostare il tempo
necessario alle operazioni di carico e scarico delle
merci. Se l’imbarcazione del contesto a potrebbe
essere affondata al largo, forse in prossimità delle
secche, mentre transitava lungo le coste volterrane,
l’imbarcazione del contesto b potrebbe invece essere
affondata in prossimità della foce del Fine nel tentativo di riprendere il largo dopo aver effettuato una
sosta qui o in un altro settore della regione.
[S. G.]
Sangriso 2011, pp. 190-201, con bibl. Prec.
Con questo significato in Fo 1992: Entro nel tratto di
Volterra, che ha nome giustamente Vada, seguo un incerto percorso
fondo fra le secche. A favore di tale traduzione M. Pasquinucci
(vedi, a titolo esemplificativo, Pasquinucci, Menchelli 1999,
122-141; Pasquinucci, Menchelli 2012, 139-152). Una diversa
traduzione è tuttavia presente in altre edizioni, quali quella di
Castorina (Castorina 1967) Ora, entrato nella zona di Volterra
cui giustamente è nome Vada, / percorro ove l’acqua è profonda
infido canale.
236
I, 453-462: In Volaterranum, vero Vada nomine, tractum
ingressus dubii tramitis alta lego. Despectat prorae custos clavumque
sequentem dirigit et puppim voce monente regit. Incertas gemina
discriminat arbore fauces defixaque offert limes uterque sudes. Illis
proceras mos est adnectere lauros, conspicuas ramis et fruticante
coma, ut praebente viam densi symplegade limi servet inoffensas
semita clara notas.
237
Cfr. Liv., XXVI, 45, 7; Cic., De officiis, III, 58-59; Plin.,
N. H., IX, 33, 35; 145.
234
235
5. Reperti di epoca moderna
I nove reperti rinvenuti in occasione del riordino
dei magazzini del Museo Civico di Cecina collocabili
cronologicamente nell’età moderna appartengono a
classi e materiali differenti.
Quattro oggetti sono in ceramica in classi differenziate per tecnologia e cronologia e sono tutti
riconducibili a forme chiuse.
Si tratta di due boccali frammentari ingobbiati e
graffiti a punta policromi di produzione pisana (tav.
vii: gr.p.1-2) collocabili nel corso del xvi secolo (forse
verso la fine). Essi presentano diffuse concrezioni dovute alla prolungata presenza in acqua marina, il cui
rivestimento appare parzialmente eroso ed il corpo
ceramico fluitato nelle fratture. Entrambi presentano
la stessa morfologia con orlo trilobato, ansa a nastro
agganciata sotto l’orlo, collo breve e imbutiforme
e corpo ovoidale. Il diametro superiore è identico
(10-11 cm). Hanno decorazione graffita come segue:
sul collo sequenza orizzontale con tratti obliqui
entro linee orizzontali; sul corpo sequenze verticali
con graticci; sull’ansa spirali verticali (fig. 20). Le
decorazioni graffite sono arricchite con pennellate
di colore verde e giallo. Tale tipologia risulta molto
diffusa in ambito pisano ed è prodotta in maniera
continuata per tutto il Cinquecento 238.
Un’altra forma chiusa è relativa ad un barattolo
invetriato monocromo marrone con concrezioni
diffuse che hanno portato al distacco parziale della
vetrina di produzione bassovaldarnese (tav. viii:
inv.1). Esso è stato rinvenuto quasi del tutto integro
(fig. 21). La forma e le dimensioni (diam. sup. 14,8
cm; h 12,9 cm; diam. inf. 13,2 cm) trovano un confronto piuttosto diretto in un albarello in maiolica
policroma prodotto dalla Ginori di Doccia e databile
entro la prima metà del xix secolo 239. Ma recipienti
di forma simile, ed ugualmente invetriati, sono piuttosto diffusi nei contesti della Toscana settentrionale
e databili tra la seconda metà del xviii e gli inizi del
xix secolo 240.
Infine, è stato rinvenuto un tappo-bicchiere 241
(tav. viii: prd.1) in ceramica priva di rivestimento
depurata di piccole dimensioni (diam. sup. 4,2 cm;
altezza parziale 10,3 cm) prodotto probabilmente
nella Toscana settentrionale. Esso è quasi del tutto
integro (mancando solo parte del fondo) e trova con-
238
Si veda Alberti, Giorgio 2014. Un ulteriore confronto
tra reperti rinvenuti in relitti è possibile con Firmati 1998, p. 174.
239
Giorgio 2013, p. 224.
240
Giorgio, Clemente 2012, p. 175 e p. 178.
241
Definito in questa maniera perché utilizzato tanto per
coprire i colli delle bottiglie in vetro, tanto per sorseggiare liquidi.
Rotte e commerci lungo la costa volterrana tra ii e i sec. a.C.
tav. vii – Boccali ingobbiati e graffiti a punta policroma
di produzione pisana (xvi secolo).
fronti piuttosto diretti in contesti pisani e fiorentini
databili alla metà circa del xviii secolo 242.
Il restante vasellame è in lega metallica (bronzo)
in sole forme aperte.
Il nucleo più consistente è costituito da quattro
piatti identici per forma e dimensioni (diam. sup. 33,5
cm; h 4,7 cm) databili tra xviii e xix secolo (tav. ix:
met.1-4). Essi presentano orlo arrotondato verticale
con parete che forma una piccola rientranza ad ‘u’
prima di distendersi in una tesa piana inclinata verso
l’interno; corpo ampio e basso di forma lenticolare,
senza piede. In tre casi presentano un sottile barra
rettangolare sporgente dall’orlo con foro circolare al
centro. I reperti hanno incrostazioni diffuse e spesse
che in alcuni casi li ricoprono interamente.
Ad essi va associato un altro piatto con medesima datazione (tav. ix: met.5) identico per forma ai
quattro precedenti ma che si differenzia per maggiori
dimensioni (diam. sup. 36,5 cm; h 4,8 cm). Questo
piatto, assieme ai precedenti, presenta alte concentrazione di piombo (25%, con tracce di antimonio
e argento) compatibili con manufatti fabbricati in
epoca moderna e trova confronti iconografici in recipienti simili ritratti nelle nature morte settecentesche.
L’ultimo elemento in bronzo è costituito da
una scodella con breve tesa su tre piedi (applicati
242
Giorgio, Trombetta 2012, p. 256, tav. 7, c; Baldi,
Bruttini 2007, p. 384, tav. xii, 20.8.3.
97
fig. 20 – Boccale ingobbiato e graffito a punta policroma
di produzione pisana (gr.p. 2).
tav. viii – Tappo-bicchiere privo di rivestimento depurato (prd. 1) e barattolo invetriato (inv. 1) di produzione
toscana (metà xviii-inizi xix secolo).
successivamente) con due anse applicate e contrapposte (diam. sup. 25 cm; altezza sino ai piedi 6,6 cm;
diam. inf. 15 cm: tav. ix: met.6). Esso presenta una
decorazione ottenuta tramite probabile martellatura
sull’orlo e sul fondo (figg. 22-24) e l’applicazione
di alcune placche (stemmi?) sulla parete esterna
sottostante le anse (xviii-xx secolo?). La lega è in
bronzo classico (Cu-Sn) senza piombo e antimonio
con piccole tracce di argento.
L’insieme dei reperti mostra nettamente come
possano individuarsi due nuclei distinti di cui il
primo riferibile al tardo xvi secolo ed il secondo
98
S. Genovesi, M. Giorgio, V. Palleschi, C. Rizzitelli
fig. 22 – Particolare
dell’ansa della scodella in bronzo met.
6.
fig. 21 – Barattolo invetriato di probabile produzione
bassovaldarnese (inv. 1).
fig. 23 – Particolare della decorazione presente sulla tesa
della scodella in bronzo met. 6.
fig. 24 – Particolare della decorazione presente al centro
del cavetto della scodella in bronzo met. 6.
tav. ix – Piatti (met. 1-5) e scodella (met. 6) in bronzo
(xviii-xix secolo).
collocabile tra metà xviii e inizi xix secolo circa. Il
primo gruppo comprende i soli due boccali ingobbiati e graffiti per i quali, non potendo associare altro
vasellame alla stessa cronologia, si potrebbe pensare
che siano finiti in tale contesto in maniera fortuita.
Non si esclude, in ogni caso, la possibile presenza di
un relitto cinquecentesco 243.
Il secondo gruppo, di cronologia più recente,
è il più consistente poiché riunisce sia tutti gli og-
getti metallici che i restanti manufatti in ceramica
suggerendo la possibilità di un insieme omogeneo
appartenente ad uno stesso relitto. La qualità non
eccellente dei contenitori ceramici e la semplicità
di quelli metallici (met.1-5) potrebbe indicare che
tali recipienti facessero parte non tanto del carico
dell’imbarcazione quanto del suo corredo di bordo.
243
Reperti provenienti da relitti e databili al xvi secolo
sono stati recentemente editi in Rendini, Ciampoltrini 2013.
Schede reperti
gr.p.1
Boccale. 1 fr. Profilo incompleto. Orlo trilobato arrotondato, appena assottigliato, collo breve ed imbutiforme con
Rotte e commerci lungo la costa volterrana tra ii e i sec. a.C.
strozzatura poco pronunciata, corpo ampio e globulare.
Sotto l’orlo è attaccata l’ansa a nastro appena insellata.
Il reperto, rinvenuto in mare, ha incrostazioni ampie e
diffuse che lasciano appena intravedere il rivestimento
vetrificato interno (sottile ed incolore) e quello ingobbiato
e vetrificato esterno. All’esterno presenta decorazione graffita su ingobbio con sequenza orizzontale di tratti obliqui
sul collo entro linee orizzontali doppie, mentre sul corpo
sono presenti sequenze verticali di graticci alternate a linee
ondulate discendenti. Si riconoscono pennellate di colore
verde a completamento del decoro. Diametro sup. 10 cm.
Corpo ceramico: rosso-arancio (2.5 yr 5/8), molto duro,
poco poroso, rari vacuoli globulari inferiori al mm, rari
inclusi bianchi e brillanti molto inferiori al mm. Centro
di produzione: Pisa. Datazione: tardo xvi secolo (da cfr).
Berti, Tongiorgi 1982, p. 170, fig. 14; p. 172, tav. viii, 1-2.
gr.p.2
Boccale. 1 fr. Profilo incompleto. Orlo arrotondato
indistinto, collo breve ed imbutiforme con strozzatura
poco pronunciata, corpo ampio e globulare. Sotto l’orlo
è attaccata l’ansa a nastro appena insellata. Il reperto, rinvenuto in mare, ha alcune incrostazioni e presenta fratture
molto fluitate. All’interno presenta vetrina sottile di colore
marrone mediamente brillante, che arriva sino sull’orlo e
colature di ingobbio bianco sotto vetrina per tutta l’altezza
del collo. All’esterno ha ingobbio bianco, sottile ed opaco,
sotto vetrina incolore sottile e poco brillante. All’esterno
presenta decorazione graffita con sequenza orizzontale di
tratti obliqui sul collo entro linee orizzontali doppie, mentre sul corpo sono presenti sequenze verticali di graticci
alternate ad una fascia frontale ampia (forse contenente
un motivo principale). Sull’ansa è presente una graffitura
a spirale. Si riconoscono pennellate di colore verde a
completamento del decoro. Diametro sup. 11 cm. Corpo
ceramico: rosso-arancio (2.5 yr 5/8), molto duro, poco
poroso, rari vacuoli globulari inferiori al mm, rarissimi
globulari e/o allungati di circa 1 mm o superiori, inclusi
bianchi molto inferiori al mm mediamente diffusi. Centro
di produzione: Pisa. Datazione: tardo xvi secolo (da cfr).
Berti, Tongiorgi 1982, p. 170, fig. 14; p. 172, tav. viii, 1-2.
inv.1
Barattolo. 1 fr. Profilo completo. Orlo arrotondato indistinto ed estroflesso, con strozzatura subito sotto l’orlo;
corpo cilindrico basso ed ampio con evidenti linee di
tornitura all’interno; piede a disco appena accennato. Il reperto, rinvenuto in mare, ha molte incrostazioni e presenta
fratture molto fluitate. All’interno e all’esterno presenta
la stessa vetrina marrone molto coprente e abbastanza
brillante, con craquelé diffuso, parzialmente distaccata a
causa delle incrostazioni e della prolungata permanenza
in acqua. La vetrina non è presente sul fondo esterno che
risulta privo di rivestimento. Diametro sup. 14,8 cm; h 12,9
cm; diametro inf. 13,2 cm. Corpo ceramico: rosso-arancio
(2.5 yr 5/8), molto duro, poco poroso, rari vacuoli globulari
inferiori al mm, rari inclusi bianchi e neri molto inferiori
al mm. Centro di produzione: Basso Valdarno (Pisa o altro
centro extra-urbano). Datazione: seconda metà xviii-inizi
99
xix secolo circa (da cfr). Giorgio, Clemente 2012, p. 175
e p. 178; Giorgio 2013, p. 224.
pdr.1
Tappo-bicchiere. 1 fr. Profilo incompleto. Orlo arrotondato assottigliato, corpo cilindrico lungo e stretto
con restringimento verso il fondo, con evidenti linee di
tornitura verso il fondo. Il reperto, rinvenuto in mare, ha
alcune incrostazioni e presenta fratture fluitate. Le pareti
risultano prive di rivestimento sia all’esterno che all’interno
con leggero scurimento superficiale che potrebbe anche
essere dovuto alla prolungata esposizione all’acqua e ad
un’eccessiva cottura in fornace (stracotto). Diametro sup.
4,2 cm; altezza parziale 10,3 cm. Corpo ceramico: marrone
scuro con scurimento superficiale interno ed esterno di
colore nero di circa un mm, abbastanza duro, poco poroso, con rari vacuoli globulari inferiori al mm, rari inclusi
bianchi inferiori al mm. Centro di produzione: Toscana
settentrionale? Datazione: metà xviii secolo circa (da
cfr). Giorgio, Trombetta 2012, p. 256, tav. 7, c; Baldi,
Bruttini 2007, p. 384, tav. xii, 20.8.3.
met.1-4
4 Piatti. 4 frr. Profili completi in 3 casi, incompleto in un
caso, stessa forma e morfologia. Orlo arrotondato verticale
con parete che forma una piccola rientranza ad U prima
di distendersi in una tesa piana inclinata verso l’interno;
corpo ampio e basso di forma lenticolare, senza piede. In
tre casi presentano un sottile barra rettangolare sporgente
dall’orlo con foro circolare al centro. I reperti, rinvenuti
in mare, hanno incrostazioni diffuse e spesse che in alcuni
casi li ricoprono interamente. Diametro sup. 33,5 cm;
altezza 4,7 cm. Metallo: bronzo. Centro di produzione:
non det. Datazione: xviii-xix secolo? Scaravella, Sisti
2011, pp. 37 e 43.
met.5
Piatto. 1 frr. Profilo completo. Orlo arrotondato verticale
con parete che forma una piccola rientranza ad ‘u’ prima
di distendersi in una tesa piana inclinata verso l’interno;
corpo ampio e basso di forma lenticolare, senza piede. Il
reperto, rinvenuto in mare, presenta incrostazioni diffuse
e spesse che lo ricoprono quasi interamente. Diametro
sup. 36,5 cm; altezza 4,8 cm. Metallo: bronzo. Centro di
produzione: non det. Datazione: xviii-xix secolo? Scaravella, Sisti 2011, pp. 37 e 43.
met.6
Scodella. 2 frr. Profilo completo. Orlo triangolare unito a
prese tesa piana e orizzontale; corpo basso e non molto ampio di forma quasi emisferica; fondo sagomato e convesso
al quale sono fusi, all’esterno, tre piedi rettangolari bassi e
sagomati. All’esterno presentava due manici contrapposti
(ne è stato rinvenuto uno solo superstite) fusi sotto l’orlo
e presentava sotto ambo i manici delle placche a forma di
stemma. L’orlo, la tesa, il manico, i piedi e il centro della
forma conservano una decorazione impressa o martellata.
Il reperto, rinvenuto in mare, presenta alcune incrostazioni che lo ricoprono e risulta in parte danneggiato dalla
100
S. Genovesi, M. Giorgio, V. Palleschi, C. Rizzitelli
fig. 25 – Screenshot del modello 3d e della posizione ricostruita della fotocamera in fase di acquisizione.
prolungata esposizione all’acqua. Diametro sup. 25 cm;
altezza sino ai piedi 6,6 cm; diametro inf. 15 cm. Metallo:
bronzo. Centro di produzione: non det. Datazione: xviiixix secolo?
[M. G.]
6. La Fluorescenza a Raggi x
I principi fisici della fluorescenza x si basano
sulla possibilità di indurre transizioni elettroniche fra
gli orbitali più interni degli atomi utilizzando radiazione elettromagnetica di energia adeguata, ovvero
raggi x o raggi gamma. Queste transizioni possono
avere come risultato l’emissione di radiazione x ad
energie caratteristiche che permette di identificare la
specie atomica interessata dalla transizione e la sua
abbondanza. La generazione dei raggi x di fluorescenza nella materia avviene in uno strato superficiale
del campione che non supera le decine di micron, di
conseguenza l’informazione analitica riguarda solo
gli strati più superficiali del materiale. Questa caratteristica costituisce una limitazione particolarmente
severa nei casi di diagnosi dei reperti archeologici,
che si presentano spesso deteriorati o coperti da
patine e prodotti di corrosione, tanto da rendere la
composizione della superficie non significativa del
resto del materiale; un’analisi quantitativa, quindi,
può diventare estremamente complessa.
Nel nostro caso, l’analisi quantitativa dei materiali di interesse è stata effettuata utilizzando il
metodo dei parametri fondamentali discusso per la
prima volta da de Boer, Brouwer 1990 e implementato utilizzando il software open source pymca descritto
da Solé et al. 2007.
Il principio del metodo si basa sulla relazione
fondamentale che lega il numero di conteggi di una
determinata riga di fluorescenza alla concentrazione
dell’elemento corrispondente attraverso la conoscenza dei parametri fisici (fondamentali) di quella
riga, della distribuzione di energia della radiazione
primaria, dell’efficienza del rivelatore e della geometria dell’esperimento.
Risultati sperimentali
Le misure xrf sono state effettuate utilizzando
uno spettrometro prodotto dalla Amptek Inc., messo
a disposizione da Art-Test s.r.l. di Luciano Marras,
Pisa. Il sistema è provvisto di tubo a raggi X operante
a 40 kV, con una corrente di 15 μA. Il diametro del
punto di misurazione è di circa 4 mm. Il rivelatore
è un Peltier-cooled Si-Drift (area 25 mm2, fwhm =
125 eV a 5.9 keV, finestra di Berillio).
Sono stati analizzati 8 reperti in lega a base rame,
per ognuno sono stati acquisiti diversi spettri xrf,
ognuno corrispondente a 120 secondi di misura.
Nel seguito sono riportate le composizioni stimate
della leghe costituenti, poiché una precisa analisi
quantitativa è impraticabile a causa dell’abbondante
corrosione superficiale e dei fenomeni di scambio tra
la superficie dei reperti e l’ambiente già menzionati
in precedenza 244.
Tutte le concentrazioni sono espresse in % in
peso, si stima un’indeterminazione intorno a ± 5%
per gli elementi maggioritari.
Campione 1: met.5.
Si tratta di un reperto in bronzo (lega Cu-Sn) ad alta concentrazione di piombo, con tracce di antimonio e argento.
Concentrazioni stimate: Cu=60%; Sn=15%; Pb=25%;
Ag=0.25%; Sb=0.25%.
244
Vedi anche la discussione in Ferretti et al. 2007 e
Pardini et al. 2012.
Rotte e commerci lungo la costa volterrana tra ii e i sec. a.C.
È presente anche ferro intorno all’1%.
Campione 2: met.6.
Il corpo è in bronzo classico (Cu-Sn) senza piombo e
antimonio con piccole tracce di argento.
Concentrazioni stimate: Cu: 85%, Sn=15%, Ag=0.2%.
Anche in questo caso è presente ferro intorno all’1%.
La misura sulla parte interna dell’applicazione ha rivelato
la presenza di tracce di piombo (0.4%) e arsenico (0.5%),
mentre la parte esterna è molto simile al corpo del reperto.
Il manico mostra una concentrazione più alta di piombo
(intorno all’1%), ma nessuna traccia rivelabile di arsenico).
La misura sul piedino evidenzia tracce di piombo (0.2%),
oro (0.5%) e argento (0.5%).
Campione 3: piede di bacile (tav. iv.e; fig. 16).
Il reperto 3 è in bronzo con tracce di piombo e argento.
Concentrazioni stimate: Cu: 90%, Sn=10%, Pb=0.3%,
Ag=0.2%.
Anche in questo caso è presente ferro intorno all’1%.
Campione 4: padella (tav. vi.d).
Il corpo del reperto 4 è in lega Cu-Sn con piccole tracce
di piombo e argento.
Concentrazioni stimate: Cu: 83%, Sn=17%, Pb=0.1%,
Ag=0.1%, Fe=1%.
Nel manico sembra aumentare la concentrazione di piombo (fino all’1%) e di stagno (fino al 25%).
Campione 5: simpulum (tav. iv.c; fig. 4).
Il campione è in lega Cu-Sn con tracce di piombo e
argento.
Concentrazioni stimate: Cu: 75%, Sn=25%, Pb=0.5%,
Ag=0.2%, Fe=1%.
Campione 6: anforetta (fig. 13b).
La lega è Cu-Sn con molto piombo e tracce d’argento.
Concentrazioni stimate: Cu: 55%, Sn=40%, Pb=3%,
Ag=0.4%, Fe=1%.
Campione 7: boccale (tav. iv.d).
Il corpo è Cu-Sn con piombo e tracce d’argento.
Concentrazioni stimate: Cu: 70%, Sn=25%, Pb=2%,
Ag=0.3%, Fe=1%.
Campione 8: brocca (fig. 8 alto a dx).
Il campione è molto corroso, come si evidenzia dalla
presenza di Sr sulla superficie.
Si evidenziano, oltre alle righe di Cu e Sn, anche tracce
di piombo e argento.
Concentrazioni stimate: Cu: 75%, Sn=20%, Pb=0.5%,
Ag=0.3%, Fe=2%.
Modellizzazione 3d
Sul campione n. 8 è stata effettuata la ricostruzione del modello 3d utilizzando un metodo fotogrammetrico 245. In fig. 25 è raffigurato il modello e la
posizione (ricostruita dal software) della fotocamera
Canon Powershot a720 is utilizzata per l’acquisizio245
Luhmann et al. 2007..
101
ne del modello. Sono state utilizzate 55 immagini
con risoluzione 3264×2448 pixel; il modello è stato
ricostruito con un software commerciale Agisoft
Photoscan versione 1.0.4.
[V. P.]
Stefano Genovesi*, Marcella Giorgio*,
Vincenzo Palleschi**, Claudia Rizzitelli***
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*** Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana
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