Rotte e commerci lungo la costa volterrana tra ii ei sec. aC Materiali
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Rotte e commerci lungo la costa volterrana tra ii ei sec. aC Materiali
Rotte e commerci lungo la costa volterrana tra ii e i sec. a.C. Materiali inediti da relitti e rinvenimenti sporadici del tratto costiero tra il Fine e il Cecina Introduzione Il lavoro di riordino dei magazzini che ospitano i materiali di proprietà statale del Museo Civico Archeologico di Cecina ha permesso di riesaminare importanti contesti di materiali provenienti da scavo, nonché di documentare gruppi di manufatti acquisiti mediante consegna spontanea o confisca. E proprio da una consegna avvenuta in forma anonima nel 2010 presso il Museo deriva il gruppo di materiali che qui vengono presentati, costituito da un cospicuo numero di oggetti in ceramica, in bronzo e da un lingotto di piombo. Le caratteristiche di conservazione degli oggetti, che presentano abbondanti incrostazioni e concrezioni calcaree, hanno suggerito una loro provenienza dai fondali marini. L’esame dettagliato dei reperti ha consentito di rivedere alcune interpretazioni fornite in precedenza 1, di riflettere sulle attribuzioni ai singoli contesti e di enucleare altri reperti di età moderna. I dati cronologici delle varie classi di materiali consentono di definire l’esistenza di due principali gruppi con caratteristiche cronologiche omogenee, rispettivamente databili ai primi decenni del ii sec. a.C. (contesto a) e ai decenni iniziali del i sec. a.C. (contesto b). Tali gruppi sono verosimilmente pertinenti a due distinti relitti, almeno uno dei quali (contesto b) da identificare con quello recuperato nel 1978 alla foce del fiume Fine (v. infra) e noto in letteratura come relitto di Vada a 2. Ai contesti menzionati si aggiunge un’anfora di produzione massaliota databile tra la seconda metà del vi e i primi decenni del v sec. a.C., pertinente ad un contesto diverso dai due precedenti, forse ad un terzo e più antico relitto. Con l’eccezione dell’anfora massaliota, non sono stati inseriti in questo contributo altri reperti, che, pur facendo parte dello stesso lotto in deposito al Museo di Cecina, non è stato possibile identificare e/o attribuire ai contesti proposti. I materiali qui presentati gettano quindi nuova luce sull’importanza economica e commerciale che, all’interno dell’ager Volaterranus, rivestiva la fascia costiera, vera e propria cerniera tra il centro urbano 1 Cfr. il contributo preliminare: Genovesi, Rizzitelli, Sarti 2012, pp. 457-459. 2 Massa 1980-81, pp. 245-249; Martelli 1982, pp. 57-58, figg. 26-27; Parker 1992, p. 442; Olcese 2011-2012, p. 546, tav. 2.vi. e il suo vasto territorio e le rotte commerciali mediterranee cui essi afferivano. A questo studio si aggiungono i risultati delle analisi spettroscopiche effettuate sui bronzi del contesto b ad opera dell’équipe del prof. V. Palleschi del cnr di Pisa. [S. G., C. R.] 1. Un relitto di età arcaica? È ipoteticamente pertinente ad un contesto subacqueo di età tardo-arcaica un’anfora di produzione massaliota (tav. i.1), della quale risulta conservata la parte superiore, a partire dal punto di attacco delle anse con la spalla. L’orlo (diam. 13 cm), del tipo a echino, ha il punto di massima espansione nella parte alta; esso termina con un listello e si imposta su un collo quasi perfettamente cilindrico, alto 12 cm circa; le anse, a sezione ovale, risultano incurvate nella parte superiore e dritte nella parte che si ricongiunge alla spalla. La morfologia dell’anfora del Museo Archeologico di Cecina è affine a quella delle anfore di tipo 1 della classificazione realizzata da G. Bertucchi per le produzioni massaliote 3, mentre la conformazione dell’orlo rientra nel tipo 1 della classificazione di M. Py 4. Essa trova confronto con anfore del relitto del Grand Ribaud a 5, pertinente ad un’imbarcazione naufragata nel primo quarto del v sec. a.C. presso la penisola di Giens (Hyères, Var), e del relitto di La Palud, ubicato in prossimità dell’isola di Port Cros (Hyères, Var) e datato tra la fine del vi e il primo quarto del v sec. a.C. 6. Limitatamente all’Etruria settentrionale, è inoltre possibile ricordare un’anfora massaliota di tipo Bertucchi 1 dal sito di Parlascio (fig. 1.7), ubicato nell’area collinare posta a sud della Valle dell’Arno 7. Bertucchi 1992, pp. 37-51. Per le concordanze tra le classificazioni di Bertucchi e Py vedi Bats 1990, pp. 9-12. 5 Long, Gantès, Rival 2006, pp. 469, fig. 10.4. L’imbarcazione trasportava alcune centinaia di anfore vinarie etrusche di tipo Py 3a-3b, ceramiche di produzione greca ed etrusca e un gruppo di anfore di produzione greca (3 anfore greco-occidentali, un’anfora egea, e quattro anfore massaliote, tutte del tipo Bertucchi 1), queste ultime attribuite al corredo di bordo. 6 Long, Volpe 1996, pp. 1276-1280, figg. 29-30. Al gia cimento sono pertinenti quattro anfore massaliote di tipo Bertucchi 1 e l’orlo di una coppa in argilla chiara, di produzione massaliota, verosimilmente pertinente al corredo di bordo. 7 Bruni 2006, pp. 72-73, nn. 210 (tipo Bertucchi 1, datato 3 4 70 S. Genovesi, M. Giorgio, V. Palleschi, C. Rizzitelli fig. 1 – Distribuzione delle anfore di produzione massaliota in area nord-etrusca (seconda metà vi-vsec. a.C.). 1: Genova; 2: Pozzi, Seravezza; 3: Pisa (P.zza dei Cavalieri; Via S. Apollonia); 4: Spuntone di Calci; 5: Fossanera; 6: Marti; 7: Parlascio; 8: Punta del Miglio (relitto); 9: Museo Civico Archeologico di Cecina (località del ritrovamento ignota); 10: San Dazio; 11: Barbarossa (relitto?); 12: Castiglione di San Martino; 13: Monte Castello. L’impasto, caratterizzato da colore beige chiaro (7.5 yr, 7.1: light brownish), contiene numerosissimi inclusi di forma lamellare e medie dimensioni di mica argentata e altri inclusi di colore bianco e rosso scuro; è, in particolare, la consistente presenza della mica che consente, anche se sulla base di una osservazione macroscopica, l’attribuzione del contenitore alle produzioni anforiche di Massalìa e nella sua chora 8. La commercializzazione del vino massaliota ha inizio alla metà del vi sec. a.C., con la produzione dei contenitori di tipo Bertucchi 1, anfore che si inseriscono nel quadro delle anfore cosiddette “grecooccidentali”; caratterizzate da un caratteristico corpo a trottola, alto tra 47 e 55 cm circa e capace di 17-25 l, risultano ancora prodotte nel primo quarto del v sec. a.C. 9. Alla fine del vi sec. a.C. ha inizio la produzione all’inizio del v sec. a.C.). Ulteriori confronti, morfologicamente non altrettanto puntuali, sono costituiti da esemplari integri di anfore di tipo Bertucchi 1 provenienti dai contesti di età tardoarcaica dell’insediamento di Florensac (bassa valle dell’Hérault; Nickels 1990, pp. 101-102, fig. 2.2) e da un giacimento di materiali eterogenei (cosiddetto Agde v), ubicato nel tratto di mare antistante Agde, in prossimità della foce dell’Hérault (Long 1990, p. 32, fig. 8, 1). 8 Bertucchi 1992, pp. 39-43, n. 1. 9 Bats 1990, p. 16, fig. 1.1; Nickels 1990, pp. 100-103, fig. 1; Bertucchi 1992, pp. 37-51; Sacchetti 2012, pp. 43-48. delle anfore vinarie di tipo Bertucchi 2; caratterizzate da un corpo più arrotondato e di minori dimensioni, con un collo più corto e anse più basse, esse si affiancano al tipo 1 per alcuni decenni, per essere prodotte fino agli inizi del iv sec. a.C. 10. Tra la metà del vi e il v sec. a.C. il commercio del vino massaliota interessa un vasto settore del bacino occidentale del Mediterraneo, costituito, oltre che dal territorio di Massalìa e delle sue colonie, dalla Gallia meridionale, dalla costa occidentale della penisola iberica, dalle isole maggiori (Baleari, Sicilia, Sardegna) e dalla costa tirrenica. Una parte consistente dei contenitori rinvenuti in area nord-etrusca 11 ha certamente viaggiato lungo la rotta di cabotaggio che seguiva le coste liguri e che aveva uno dei suoi principali porti di riferimento in quello dell’oppidum di Genova (fig. 1.1). Le stratigrafie individuate negli scavi di Portofranco registrano l’arrivo delle anfore massaliote alla fine del vi sec. a.C., all’interno di un quadro economico ancora dominato dai contenitori etruschi 12, mentre la loro presenza nell’insediamento fortificato ubicato sulla collina di Castello (tipo Bertucchi 2) è attestata per la prima metà del v sec. a.C. 13. Più a sud, lungo la costa della Versilia, frammenti di pareti caratterizzati dal tipico impasto micaceo di questi contenitori sono stati rinvenuti nell’insediamento di Pozzi (Seravezza, fig. 1.2; Paribeni 1990, pp. 145, n. 27), attivo in prossimità dell’antica foce del fiume Versilia, tra il vi e il terzo quarto del v sec. a.C. 14. Consistenti sono le attestazioni di anfore massaliote di tipo Bertucchi 1 e 2 presso il centro urbano di Pisa (fig. 1.3), il cui notevole sviluppo tra vi e metà del v sec. a.C. è certamente da porre in relazione Bats 1990, p. 16, fig. 1.2. Nel quadro delle importazioni di anfore massaliote in area etrusco-settentrionale che segue abbiamo fatto riferimento ai contenitori di tipo Bertucchi 1 e 2, in considerazione della loro pertinenti allo stesso fenomeno commerciale e del fatto che, almeno in parte, esse appartengono allo stesso orizzonte cronologico. 12 Melli 2006, pp. 612-613, fig. 1 (frammenti di parete, non tipologizzabili). 13 Milanese 1987, p. 213, n. 534, fig. 95; p. 260, n. 762, fig. 112; Milanese 1990, p. 220, fig. 6 (fase 3 dell’oppidum, prima metà del v sec. a.C.). 14 Di notevole interesse è l’apparente assenza, nei livelli della seconda metà del vi e di v sec. a.C., di anfore massaliote presso il sito emporico di San Rocchino (per il quale vedi in generale Paribeni 1990, pp. 69-110); tale dato viene ipoteticamente messo in relazione con il fatto che le anfore massaliote si sarebbero diffuse successivamente alla metà del v sec. a.C., quando il sito risulta abbandonato (Bonamici 2006, pp. 497-511, in particolare pp. 506-507, tab. 1). In realtà, come mostrano i contesti genovesi e pisani (per i quali v. infra) e la tipologia dei contenitori noti la circolazione in area nord-etrusca del vino di Marsiglia ha inizio già nel corso della seconda metà del vi sec. a.C. 10 11 Rotte e commerci lungo la costa volterrana tra ii e i sec. a.C. tav. i – Contenitori da trasporto e tappi d’anfora in pozzolana dai contesti subacquei del Museo Archeologico di Cecina. 1: anfora massaliota. Contesto a. 2: anfora greco-italica. Contesto b. 3-4: Dressel 1 b; 5: anfora punica; 6-7: tappi d’anfora in pozzolana. Relitto della foce del Fine: 8: tappo d’anfora in pozzolana; 9-10: Dressel 1b; 11: Dressel 1c. con il ruolo commerciale di primo piano svolto dal centro urbano nell’area compresa tra i Mari Tirreno e Ligure. I rinvenimenti, purtroppo decontestualizzati, effettuati nell’area di Piazza dei Cavalieri negli anni ’80 hanno restituito un notevole numero di anfore di produzione massaliota di tipo Bertucchi 1 e 2 15, pari al 70% dei contenitori di produzione greco-occidentale; contenitori di questo stesso tipo provengono inoltre dallo scavo effettuato nel 1994 dalla Scuola Normale Superiore di Pisa in Via S. Apollonia, in particolare dai livelli pertinenti ad una struttura abitativa realizzata alla fine del vii sec. a.C. e definitivamente abbandonata nella seconda metà del v sec. a.C. 16. Ulteriori attestazioni provengono da insedia menti dal territorio di Pisa, a testimonianza di una circolazione che, a partire dal centro urbano, interessava anche abitati minori dell’entroterra. Alcuni frammenti, forse pertinenti a contenitori di tipo Bertucchi 2 o 3 (fine del vi-inizio del iv sec. a.C.), 15 Pancrazzi 1982, p. 339 (tipo Bertucchi 1); ibid., pp. 339340, fig. 3, 26 (tipo Bertucchi 2). Alla fine del v sec. a.C. fanno inoltre la loro comparsa le anfore massaliote di tipo Bertucchi 3 (Pancrazzi 1982, p. 339). Per gli stessi contesti vedi anche Pancrazzi 1993, pp. 45-50. 16 Corretti 2003, p. 62 e schede n. 11 (tipo Bertucchi 1, datata tra la fine del vi e l’inizio del v sec. a.C.) e 12 (tipo Bertucchi 2a, datata alla prima metà del v sec. a.C.). 71 provengono dall’insediamento a carattere militare dello Spuntone di Calci (fig. 1.4), la cui frequentazione appare circoscritta al periodo compreso tra il secondo quarto e la fine del v-inizio del iv sec. a.C. 17. Un frammento di forma non definibile è stato inoltre rinvenuto in una discarica afferente all’abitato di Fossa Nera (fig. 1.5: Ciampoltrini 1993, p. 77, nota 41), attivo tra l’inizio e la fine del v sec. a.C. nella bassa valle del Serchio (area dell’antico lago di SestoBientina), mentre un’ansa, anche in questo caso non tipologizzabile ma caratterizzata da impasto micaceo, proviene dall’insediamento di Marti (fig. 1.6), attivo a partire dalla seconda metà del vi sec. a.C. nel settore più orientale del territorio afferente a Pisa (Bruni 2001, p. 34, fig. 2.g). Fanno parte del consistente gruppo di contenitori da trasporto di età arcaica e classica rinvenuto nel già ricordato sito di Parlascio due orli di anfore massaliote, rispettivamente riconducibili ai tipi Bertucchi 1 e 2 18. Un’anfora massaliota di tipo Bertucchi 2 fa parte, assieme ad un consistente numero di anfore etrusche di tipo Py 4a e ad un contenitore fenicio-punico di tipo Ramon t 1.4 o t 4.1/2, del carico di un relitto di fine V-inizi iv sec. a.C., ubicato presso la Punta del Miglio (fig. 1.8), a 2 km circa a sud del Castello del Boccale a Calafuria 19. Con l’unica eccezione dell’esemplare del Museo Archeologico di Cecina, appare rilevante, a sud del territorio di Pisa, l’assenza di attestazioni di contenitori massalioti a Volterra e/o nel suo territorio, mentre un secondo polo ricettivo rispetto a tali produzioni è il distretto minerario che fa capo a Populonia 20. Le caratteristiche macroscopiche Taddei 2000, pp. 370, 419, tav. iv, 14-16. Bruni 2006, pp. 72-73, nn. 210 (tipo Bertucchi 1, datato all’inizio del v sec. a.C.) e 211 (tipo Bertucchi 2, datati ai decenni centrali del v sec. a.C.); l’arrivo di anfore di produzione massaliota nell’insediamento di Parlascio è attestata ancora nel corso del iv sec. a.C., fase alla quale è pertinente l’orlo di un contenitore di tipo Bertucchi 3 (Bruni 2006, p. 72, nn. 214). 19 I materiali in oggetto, editi in Papò, Citi, Marini 2003, pp. 20 sgg., fig. 10, sono frutto di un recupero effettuato, in circostante non chiare, dal Gruppo Archeosub Labronico nel 2000 e solo successivamente comunicato alla Soprintendenza (in proposito vedi anche Cibecchini 2006, p. 548; Bargagliotti, La Monica 2013, pp. 28-29). 20 Le anfore massaliote di vi e v sec. a.C. risultano apparentemente assenti proprio presso il centro urbano di Populonia e nelle sue necropoli, senza che sia al momento possibile comprendere se tale dato sia dovuto ad una lacuna nelle attuali conoscenze o se esso trovi corrispondenza nel quadro storico e archeologico di Populonia. Un certo numero di «frammenti di anfore del tipo ionico-marsigliese» è stato rinvenuto nel corso degli scavi effettuati nel 1989 nella Tomba dei Carri (Romualdi 1993), ma la mancanza di una più approfondita descrizione di morfologie e impasti in letteratura non consente di stabilire se esse siano in effetti riconducibili, almeno in parte, alle produzioni massaliote e/o ad altri centri greco-occidentali (per la problematica perti17 18 72 S. Genovesi, M. Giorgio, V. Palleschi, C. Rizzitelli dell’impasto consentono di attribuire ancora alle produzioni massaliote un puntale proveniente dalla tomba 1 della necropoli orientalizzante e arcaica di San Dazio, ubicata nel settore settentrionale del territorio di Populonia, presso il moderno centro di S. Vincenzo (fig. 1.10) 21. La morfologia del puntale, troncoconico e cavo, riconduce al tipo Bertucchi 1 (seconda metà vi-inizio v sec. a.C.) e ne consente contestualmente l’attribuzione alle deposizioni di età tardo-arcaica della tomba. Consistente appare, infine, l’arrivo del vino di Marsiglia negli insediamenti dell’isola d’Elba 22. Presso Barbarossa (fig. 1.11), 2 km circa ad Est di Porto Azzurro, è stata recuperata un’anfora di tipo Bertucchi 1, ipoteticamente pertinente ad un relitto di età tardo-arcaica 23. Anfore massaliote, di tipologia non meglio definita, sono presenti, in associazione con anfore etrusche di tipo Py4, nei livelli più antichi degli insediamenti fortificati di Castiglione di S. Martino (prima metà v-metà iv sec. a.C.; (fig. 1.12: Zecchini 2001, pp. 107-108) e Monte Castello (seconda metà v-metà iv sec. a.C.; fig. 1.13: Zecchini 2001, pp. 99-100). La presenza dell’anfora in oggetto lungo le coste volterrane, per quanto isolata e decontestualizzata, costituisce una ulteriore testimonianza dell’arrivo dei primi contenitori vinari massalioti in area nordetrusca, ben attestato nel territori di Pisa e Populonia. Se tale presenza si collochi all’interno di un traffico commerciale di ritorno, gestito da mercanti etruschi – in particolare dell’Etruria meridionale – nel corso del viaggio verso la penisola italica, o se, diversamente, abbia giocato un suo ruolo anche una componente massaliota 24, non può essere inferito sulla base dell’esemplare del Museo di Cecina. Altrettanto difficile appare definire quale fosse la destinazione finale dell’anfora; l’apparente assenza, allo stato attuale degli studi, dei contenitori massalioti a Volterra e/o nel suo territorio potrebbe nente all’ambigua espressione “anfore ionico-marsigliesi” vedi, da ultimo, Sacchetti 2012, pp. 44-45). 21 Romualdi, Settesoldi, Pacciani 1994-1995, pp. 295, 297, fig. 11, 1. L’impasto, di colore giallo-grigio, contiene numerosi inclusi di colore bianco e lamelle di mica. La necropoli, costituita da due tombe a tumulo prive di crepidine costruite nella seconda metà del vii e frequentate fino agli inizi del v sec. a.C. 22 Per un quadro dei traffici commerciali che coinvolgono l’isola d’Elba in età arcaica e classica vedi Corretti, Pancrazzi 2001, pp. 19-20. 23 Zecchini 2001, pp. 125-126, tav. 57, n. 4; Cibecchini 2006, p. 539. Nel tratto di mare antistante Punta dei Ripalti, in un punto del quale si è tuttavia attualmente persa l’ubicazione, è stata individuata un’anfora genericamente definita come massaliota (Zecchini 2001, p. 126). 24 Per un quadro generale di tale problematica vedi, in particolare, Long, Gantès, Rival 2006, pp. 482-487. in effetti essere legata unicamente a lacune nella documentazione 25. La localizzazione del rinvenimento, per quanto tutt’altro che precisa, sembra comunque indicarne la pertinenza alla rotta commerciale di cabotaggio che, già nella prima metà del vi sec. a.C., metteva in contatto le coste dell’Etruria settentrionale con la Liguria e, infine, con la Gallia 26. Alternativa alle rotte che, appoggiandosi sulle isole del Giglio, d’Elba e su Capo Corso, mettevano in comunicazione i centri etruschi meridionali alla Gallia 27, questa direttrice commerciale ha consentito la diffusione del vino massaliota nell’ambito della vasta area controllata – commercialmente e/o politicamente – da Pisa e, forse, nel territorio di Volterra. [S. G.] 2. Il contesto a Risulta caratterizzato da una notevole coerenza cronologica un primo gruppo di materiali, costituito da coppe e patere in ceramica a vernice nera appartenenti alla produzione campana a e da undici balsamari fusiformi, nel complesso attribuibili ai decenni iniziali del ii sec. a.C. Ceramica a vernice nera Le coppe f3131a (almeno 39 esemplari: diam. da 10 a 11,3 cm: tav. ii.a), con le caratteristiche anse bifide annodate e l’alto piede strombato, presentano una decorazione sovradipinta in bianco consistente in una fascia orizzontale subito sotto l’orlo e in un disco delimitato da una fascia sul fondo interno. Questa forma, a peculiare diffusione marittima, si diffonde a partire dalla fine del iii secolo a.C. e raggiunge il picco delle attestazioni nella prima metà del ii secolo a.C., periodo in cui viene venduta nella maggior parte dei siti costieri del Mediterraneo occidentale, anche etruschi 28. Le coppe coniche f2574 a1 (almeno 11 esemplari: diam. da 14 a 16 cm: tav. ii.b) sono caratterizzate da una decorazione sovradipinta in bianco costituita da un fascia subito sotto l’orlo ai lati della quale pendono, alternativamente in alto e in basso, foglie trilobate stilizzate e, sul fondo interno, da un disco 25 Significativo è, in questo senso, il ripostiglio monetale rinvenuto nel 1868 nella stessa Volterra; la presenza contestuale di emissioni di Focea, di Marsiglia e delle colonie da essa dipendenti e di Populonia appare indicativa delle relazioni esistenti, nei decenni iniziali del v sec. a.C., tra le due città etrusche e gli insediamento focei occidentali (Martelli 1981, pp. 413-414). 26 Su tale rotta vedi, in particolare, Bonamici 1995, pp. 3-43. 27 Cibecchini 2006, p. 541. 28 Populonia, Elba, Castiglioncello, Aleria, Luni: Guzzi, Settesoldi 2009, p. 82 con bibl. prec. Rotte e commerci lungo la costa volterrana tra ii e i sec. a.C. 73 fig. 2 – Balsamari fusiformi dal contesto a. tav. ii – Ceramica a vernice nera dal contesto a. circondato da una fascia con quattro foglie trilobate stilizzate tangenti. Questa particolare sintassi decorativa consente di datare questi esemplari negli anni a cavallo tra il primo e il secondo quarto del II secolo a.C. 29. La forma, molto diffusa nei centri costieri del Tirreno, da Populonia a Castiglioncello, a Pisa 30, a Luni, è tra le più tipiche della ceramica campana A a diffusione prettamente marittima 31. Le coppe f2825a 32 (almeno 43 esemplari: diam. 14 cm: tav. ii.c) sono decorate con una rosetta a sei petali separati da trattini, alcune conservano il disco di empilement decentrato a contorno impresso. Questa forma, tra le più antiche della produzione campana a, è molto diffusa lungo la costa dell’Etruria settentrionale, a Populonia, Castiglioncello, Quercianella 33; il tipo di stampiglio è databile agli inizi del ii secolo a.C. 34. La decorazione del fondo è un retaggio della fase antica della produzione, mentre quella all’interno dell’orlo è più tipica della fase media: Bats 1988, pp. 124-125. 30 Rizzitelli c.s. 31 Gambogi, Palladino 1999, p. 73. 32 Diversamente da quanto indicato in Genovesi, Rizzitelli, Sarti 2013, p. 457. 33 [Arbeid] in Bruni 2009, p. 216, n. xiv.3.71 con bibl. prec. 34 Per la forma Bats 1988, p. 117, pl. 14.455; per lo stampiglio: Bats 1988, p. 127; Albanesi 2002, p. 86, tav. iv.4. 29 Si conserva un solo esemplare della coppa f3311 c1 (diam. 10 cm: tav. ii.d) biansata a parete verticale con alto piede troncoconico ad attacco stretto e un listello angoloso sulla faccia esterna. Le anse verticali a nastro sono caratterizzate da un poggiapollice a linguetta. Orlo abraso. Il tipo è databile tra la fine del iii e la prima metà del ii secolo a.C. È stato recuperato un solo esemplare anche della coppetta f2733 (diam. 6 cm: tav. ii.e) con orlo rientrante e piede stretto. Argilla colore beige scuro, ruvida, abbastanza dura; vernice nera opaca, coprente. La forma è databile tra la fine del III e la prima metà del II secolo a.C. Un piccolo lotto di patere comprende almeno dodici esemplari con orlo pendente f1312h (diam. da 24,8 a 25,6 cm: tav. ii.g) e due patere di minori dimensioni f1312b (diam. 18,2 cm: tav. ii.f ). Le patere hanno la vasca a profilo rettilineo, piede ad anello verniciato, fondo esterno risparmiato dalla vernice con colature. Argilla di colore rossiccio, dura, compatta, granulosa. Vernice nera coprente. Tra il piede e il punto di innesto della parete sono ben visibili tracce di impronte digitali. Sul fondo interno di alcuni piatti compare il disco di empilement decentrato di colore rossiccio, a contorno impresso. Gli esemplari con labbro aggettante moderatamente incurvato e vasca piuttosto profonda appartengono alla fase più antica della produzione, databile nei primi decenni del ii secolo a.C. Patere identiche sono state rinvenute nella necropoli del Poggetto di Vada (esposte al Civico Museo Archeologico di Rosignano Marittimo). Due fondi, genericamente attribuibili alla serie f1312-1314 (tav. ii.h), sono decorati con quattro stampigli radiali a palmette con stelo centrale e tre foglie laterali 74 S. Genovesi, M. Giorgio, V. Palleschi, C. Rizzitelli pendenti unite alla base 35 circondati da una fascia a rotella, databili nella prima metà del ii secolo a.C. 36. Questa decorazione è già attestata a Pisa 37. Si tratta di una forma a peculiare diffusione marittima, in assoluto tra le più esportate, la cui presenza su scala così massiccia sia nei relitti che nella maggior parte dei siti del Mediterraneo occidentale sembra giustificata dalla estrema facilità di impilaggio di questi piatti come merce di accompagno nelle stive delle navi che trasportavano il vino campano 38. L’unico esemplare di piatto da pesce F1122a (diam. 23,8 cm: tav. ii.i) è databile tra la fine del iii e la prima metà del ii secolo a.C. Questi piatti, la cui evoluzione morfologica scandisce anche variazioni temporali, sono spesso presenti nei relitti nel corso del ii secolo a.C.: sono infatti stati rinvenuti nel relitto della nave ellenistica a San Rossore (Pisa), nel Grand Conglouè 1, nel relitto del l’Île de Riou e in quello delle Formiche di Capraia 39. Balsamari Il contesto comprende anche undici balsamari fusiformi con orlo triangolare (fig. 2), alto collo cilindrico tendente al troncoconico, corpo espanso con spalla arrotondata, piede sagomato. Sei esemplari conservano tracce di decorazione a bande brune dipinte sulla spalla con vernice opaca e diluita. I confronti suggeriscono una datazione compresa tra il iii ed il ii secolo a.C. con una maggiore concentrazione delle presenze nel ii secolo a.C. 40. [C. R.] Contenitori da trasporto Fa infine parte del carico di anfore un ridotto numero di frammenti pertinenti a due contenitori di tipo greco-italico (mgs vi) 41. È, in particolare, riconducibile alla fase tarda della produzione (fine iii-prima metà ii sec. a.C.) 42 un orlo a sezione triangolare (diam. 18 cm), inferiormente piatto e dotato di un sottile gradino; il collo, lungo 15 cm (lungh. max. conservata), è leggermente svasato verso l’alto. Poco al di sotto dell’orlo si trovano i punti di attacco di due anse a sezione ellittica (tav. i.2). Entrambi gli esemplari Bats 1988, pl. 64.676. 36 Morel 1990, p. 67. 37 Piazza Arcivescovado: Pasquinucci, Storti 1979, p. 45, tav. 8.25. 38 Settesoldi 2006, p. 13, note 98-100. 39 Settesoldi 2003, p. 127. 40 Camilli 1999, p. 93, tav. 22: forma b.31.1.10. 41 Di uno dei due esemplari rimane solo parte del collo. 42 Cfr. le anfore greco-italiche tarde del relitto della Ciotat 1 (gruppo vi di Vandermersch), relativo ad una imbarcazione naufragata nel settore orientale delle Bocche del Rodano nella prima metà del ii sec. a.C. (Olcese 2011-2012, p. 607, tav. 7, viii, 2); Lyding Will 1982, pp. 338-356. 35 risultano caratterizzati da un impasto di colore rosa (5 yr 8/4: pink), contenente numerosi inclusi scuri, verosimilmente di origine vulcanica; è esternamente presente un tenue schiarimento di colore giallo. Del tutto ipotetica è l’identificazione delle anfore in oggetto – e quindi dell’intero contesto a – con quelle di un relitto individuato negli anni ’70 in corrispondenza del versante settentrionale delle Secche di Vada, ad una distanza di circa 1,5 km dall’attuale linea di costa 43; unici materiali rinvenuti sarebbero due anfore vinarie greco-italiche, successivamente identificate da A. J. Parker come contenitori di tipo Lyding-Will e (prima metà del ii sec. a.C.) 44, e purtroppo attualmente non rintracciabili 45. [S. G.] La coerenza cronologica delle coppe, dei piatti, dei balsamari e delle anfore consente di ipotizzare con buona probabilità che questi oggetti fossero trasportati da un’unica nave, proveniente dalla Campania, che percorreva la rotta tirrenica verso nord, e che naufragò nei primi decenni del ii secolo a.C. forse al largo di Vada. La destinazione finale di questa nave era con ogni probabilità il golfo del Leone o le coste galliche, e lungo il tragitto erano previsti scali tecnici o scambi di piccola entità: in questi mercati dovevano essere venduti il vino e le ceramiche che costituiscono il contesto a, imbarcate come merce d’accompagno, e che sono attestate lungo tutte le coste del Mediterraneo occidentale, da Aleria 46, a Genova-Portofranco 47 e nella penisola iberica 48, tutti siti in cui le richieste di vasellame fine da mensa di uso quotidiano erano per gran parte soddisfatte dalle intense esportazioni. La particolare distribuzione della coppa f3131 dimostra chiaramente l’esistenza, agli inizi del ii secolo a.C., di rotte dirette che lungo la navigazione toccavano solo alcuni porti principali: la sua presenza a Populonia, all’Elba, a Castiglioncello, a Luni, in scarsa quantità in Francia e invece in modo più capillare in Spagna consente di seguire il percorso delle navi di quell’epoca lungo la rotta settentrionale 49. 43 Barbieri, Maleci 1978, pp. 30-31; Olcese 2011-2012, p. 546= Vada b. 44 Parker 1992, p. 442 (rimangono ignote le modalità della classificazione di Parker: visione autoptica? Documentazione grafica e/o fotografica?). 45 Nel contributo relativo al rinvenimento (Barbieri, Maleci 1978, pp. 30-31) si afferma che i materiali sarebbero stati depositati presso il Museo Archeologico di Rosignano M.mo, dove tuttavia non è stato possibile rintracciarli (si ringrazia, per la disponibilità e cortesia, il direttore del Museo, dott.ssa E. Regoli). 46 Jehasse, Jehasse 1973, p. 126, tb. 3. 47 Melli, Gambaro 2000, p. 20, in Gallia Bats 1988. 48 Principal 2006, p. 48. 49 Cibecchini 2004, p. 63. 75 Rotte e commerci lungo la costa volterrana tra ii e i sec. a.C. Questi materiali ceramici risultano già presenti contestualmente su imbarcazioni naufragate lungo questa rotta, ad esempio nel relitto 1 del Grand Conglouè, datato tra il 210 e il 180 a.C. 50, in quello di Pointe Lequin 2, nel Redonne b1 e nel relitto di El Lazareto 51. Ancora altre associazioni sono istituibili con il relitto Sanguinaires A databile ai primi anni del ii secolo a.C. 52. L’analisi dei carichi di questi relitti, databili nei primi decenni del ii secolo a.C., dimostra che in molti casi le merci trasportate risultano di tipologie identiche o comunque molto simili, e che la ceramica a vernice nera campana a è presente in percentuali rilevanti rispetto alle anfore in tutti i relitti conosciuti in viaggio verso i mercati occidentali 53. [C. R.] 3. Il contesto b Ad un contesto subacqueo più tardo del precedente (primo quarto del i sec. a.C.) può essere attribuito un secondo gruppo di materiali, costituito da oggetti in ceramica e in metallo (contenitori in bronzo, un lingotto di piombo) e caratterizzato da una forte omogeneità, tipica dei relitti di origine italica di questo stesso periodo. In questo secondo caso è possibile proporre un’ipotesi in merito all’origine del contesto in oggetto, i cui materiali trovano confronti precisi col carico del relitto cosiddetto “del Fine” 54 o di Vada a 55, relativo ad una imbarcazione da carico naufragata in prossimità della foce dell’omonimo fiume 56. Il giacimento, ubicato ad una profondità di 9 m, è stato identificato nel 1971 grazie ad una ricognizione dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri; un secondo sopralluogo nel 1978, ad opera del Gruppo Archeologico Fiorentino, ha portato al recupero di parte del carico, senza, tuttavia, l’avvio di una vera e propria campagna di scavo. Al carico appartengono venti anfore di tipo Dressel 1b e tre del tipo 1c 57; dieci Long 1987, p. 12, fig. 1; p. 34. 51 Cibecchini 2004, p. 61. 52 piatti da pesce, coppe biansate f3131, piatti f1312-1314: Cibecchini 2011, p. 43, fig. 14. 53 Cibecchini 2004, p. 62. 54 Massa 1980-81, pp. 245-249; Martelli 1982, pp. 57-58, figg. 26-27; Parker 1992, p. 442. 55 Olcese 2011-2012, p. 546, tav. 2.vi. 56 Conservati presso il Civico Museo Archeologico di Rosignano insieme ad un’ansa a braccetti in bronzo con poggiapollice a linguetta: si ringraziano la dott.ssa E. Regoli e la dott.ssa L. Alderighi che ci hanno concesso di prendere visione di tutto il materiale. 57 Massa 1980-81, pp. 225-232, figg. 2-5. I materiali menzionati, insieme ad un’ansa a braccetti in bronzo con poggiapollice a linguetta, sono attualmente conservati presso il Civico Museo 50 anfore di tipo Dressel 1b risultano chiuse da opercula in pozzolana (tav. i.8-11). Il bollo, leggibile in soli cinque casi, è realizzato con punzoni a mezzaluna, impressi per due volte a formare un anello; il testo riporta la formula onomastica M’(ani) Rufi M’(ani) 58. Gli impasti, notevolmente omogenei, risultano caratterizzati da un colore rosso molto intenso e dalla presenza di inclusi di colore nero, verosimilmente di origine vulcanica; la generica attribuzione all’Etruria meridionale, proposta da M. Massa 59, è stata più di recente riproposta da F. Cibecchini, che ne ha individuato l’origine nell’ambito delle produzioni anforiche dell’ager Cosanus 60. Al carico possono inoltre essere attribuiti anche frammenti di ceramica a vernice nera e di bicchieri a pareti sottili di tipo Marabini i e iv 61, mentre è alla dotazione di bordo che dovevano appartenere tre brocche in ceramica comune e i frammenti di un tegame e di un coperchio in ceramica da fuoco 62. La perfetta coincidenza tra i frammenti anforici e in ceramica a vernice nera del contesto b – qui presentato – e quelli descritti dalla Massa per il relitto del Fine, l’accenno a «tradizioni orali» riguardanti la presenza all’interno del carico di almeno un «kyathos con manico plastico a testa di cigno ed un lingotto d’argento» 63 e soprattutto la presenza dello stesso tipo di bolli (non altrimenti attestati) sugli opercula in pozzolana rende altamente probabile la provenienza di tutti i materiali dallo stesso relitto, saccheggiato a più riprese, di cui forse soltanto ora si può cominciare a ricostruire il carico, proprio associando i materiali dei due gruppi. Il contesto recuperato negli anni ’70 riunisce quindi una parte del carico di anfore Dressel 1b e 1C, mentre quello qui in esame fornisce la merce d’accompagno, ossia il vasellame da mensa in ceramica e in bronzo, mentre scarsi sono i frammenti di contenitori da trasporto. In entrambi i nuclei sono inoltre presenti gli oggetti di bordo, in ceramica comune. [S. G.] Ceramica a vernice nera I piatti f2257 (almeno tredici esemplari integri e mutili: diam. da 17,4 a 23 cm: tav. iii.a) presentano un orlo pressoché verticale e la vasca a profilo orizzontale. Sul fondo interno due solcature concentriche all’esterno e una all’interno delimitano una fascia deArcheologico di Rosignano. 58 Massa 1980-81, pp. 226, 228-229, 230, fig. 5.2434. 59 Massa 1980-81, pp. 232-233. 60 Cibecchini 2011, p. 16. 61 Massa 1980-81, pp. 245-247, fig. 9. 62 Massa 1980-81, pp. 248-249, figg. 10-11. 63 Massa 1980-81, p. 245, nota 74. 76 S. Genovesi, M. Giorgio, V. Palleschi, C. Rizzitelli corata a rotella e racchiudono un cerchiello centrale. Argilla beige, polverosa, con numerosi piccolissimi inclusi micacei; vernice nera, grigia in alcuni punti, opaca, diluita. Otto esemplari hanno invece una vernice nero-bluastra semilucida, coprente, violacea in alcuni punti. Tre esemplari conservano un solco nella faccia inferiore del piede. Si datano tra la fine del ii e gli inizi del i secolo a.C. Le patere f2255 (almeno otto esemplari: diam. 36 cm: tav. iii.b) hanno orlo pressoché verticale, vasca poco profonda ad andamento obliquo, piede “a bourrelet”. Sul fondo interno due solcature concentriche delimitano una fascia decorata a rotella e racchiudono un cerchiello centrale. Gli esemplari hanno in alcuni casi la superficie fortemente abrasa. Argilla beige, polverosa; vernice nera, opaca, dilavata in alcuni punti. Impronte digitali intorno al piede. Sono databili tra la seconda metà del ii e la prima metà del i secolo a.C. Due patere frammentarie (f2240?: tav. iii.c) conservano sul fondo interno una fascia con solcature (2+1) e decorazione a tre file di rotellature che racchiude una stampigliatura a losanga a quattro bracci con terminazioni a palmetta incusa, al centro un punto cerchiato 64. Fondo esterno formante un cono in rilievo delimitato da un solco 65. Argilla beige-rosata con inclusi micacei; vernice nero-bruna, poco lucida, con riflessi metallici, disco d’impilaggio centrato delimitato da un alone violaceo, impronte digitali sull’esterno del piede, fondo esterno verniciato. Questa decorazione è un vero e proprio fossile-guida della ceramica calena del periodo tardo, databile cioè tra l’età sillana e quella cesariana (80-40 a.C. circa). I siti di rinvenimento dimostrano come il vasellame con questa decorazione fosse diffuso soprattutto per via marittima, che è inoltre presente su diversi relitti (Spargi, Piantarella, Titan); in Etruria è attestata a Cosa e a Populonia 66. Si conservano soltanto due pissidi f7544 (diam. 7 cm: tav. iii.d) con orlo indistinto, parete a profilo concavo, una scanalatura sull’esterno del piede. Argilla beige, polverosa, con numerosi piccolissimi inclusi micacei. La pisside più integra presenta vernice nera, grigia in alcuni punti, opaca, coprente. La seconda pisside, di cui si conserva solo la parte inferiore, presenta vernice nera con riflessi bluastri. Queste pissidi, databili tra il ii ed il i secolo a.C., furono ampiamente esportate tramite traffici marittimi e quindi sono spesso attestate a bordo dei relitti. Pedroni 1986, n. 760; Pedroni 1990, tipo 4g. Pedroni 1986, n. 570. 66 Costantini, Gasperi 2008, pp. 170-172, fig. 1.3 con bibl. prec. 64 65 tav. iii – Ceramica a vernice nera dal contesto b. Sono almeno due gli esemplari di coppetta f1222 (diam. 9,4 cm: tav. iii.e) con orlo estroflesso e parete verticale carenata. Argilla beige, polverosa, con numerosi piccolissimi inclusi micacei; vernice nero-bluastra, opaca, coprente. La forma si data tra la metà del ii e la prima metà del i secolo a.C. Una piccola patera su alto piede (perduto) f1413 (diam. 7,5 cm: tav. iii.f ) con orlo con faccia superiore convessa conserva sul fondo interno una decorazione incisa con coppia di solcature concentriche che delimitano un cerchiello centrale. Argilla beige, polverosa, con numerosi piccolissimi inclusi micacei; vernice nera, chiazze violacee sul fondo interno, opaca, coprente. Databile tra il ii ed il i secolo a.C. Le ciotole a largo piede f2321a sono attestate in due dimensioni: quella di dimensioni maggiori (diam. 14,2 cm: tav. iii.g) è rappresentata da quattro esemplari, di cui soltanto uno conserva l’intero profilo, ed è decorata da due solcature subito sotto l’orlo e da due cerchi concentrici sul fondo interno più un cerchiello centrale, un’altra solcatura è inoltre presente sul fondo esterno nel punto di innesto della parete. La ciotola più piccola (diam. da 12 a 12,4 cm: tav. iii.h) invece è rappresentata da undici esemplari facilmente distinguibili, anche laddove si sia conser- Rotte e commerci lungo la costa volterrana tra ii e i sec. a.C. vata solo una piccola porzione dell’orlo, dalla diversa resa delle due solcature subito sotto l’orlo e dal differente corpo ceramico. Gli esemplari hanno argilla beige, in alcuni casi con numerosi inclusi micacei, la vernice è in un caso nero-bluastra semilucida, coprente, in altri è invece nera con chiazze grigie, più o meno diluita, il fondo esterno è sempre verniciato, con impronte digitali e colature. La forma è databile nella prima metà del i secolo a.C. Il set delle ceramiche è interamente riconducibile a produzione calena, e comprende alcune delle forme tipiche della fase tarda di questa classe, caratterizzata da decorazioni semplici (solcature concentriche che a volte racchiudono una fascia con rotellatura e un cerchiello centrale) e standardizzate (stampiglio a losanga) indici di una velocizzazione del processo produttivo dovuto all’aumento nella richiesta dei prodotti 67. Le ceramiche a vernice nera del contesto b mostrano evidenti somiglianze con parte del carico del relitto di Spargi (La Maddalena) datato intorno al 75 a.C. 68, in particolare le ciotole F2321, le pissidi e le coppette f1222, la piccola patera su alto piede, nonché la ceramica calena con lo stampiglio a losanga (a Spargi f2566). Ulteriori raffronti sono possibili anche con i materiali del carico del relitto del Grand Congloué 2 databile tra il 110 ed il 70 a.C., dove sono presenti tutte le forme qui analizzate anche se prive del decoro con stampigli a losanga. Ancora altri confronti sono istituibili con il relitto della Baia del Cavaliere datato agli inizi del i secolo a.C. che trasportava, tra l’altro, anfore Dressel 1a e 1c, anfore puniche, le coppette f1222, la piccola patera su alto piede f1413, e i piatti di due dimensioni distinte decorati con cerchi concentrici sul fondo interno 69. Questi relitti dimostrano come verso la fine del ii secolo a.C. la composizione dei carichi fosse cambiata rispetto al secolo precedente: in questo momento i carichi sono costituiti quasi esclusivamente da migliaia di anfore da trasporto e le vernici nere (ora per lo più campana b o altre produzioni coeve) rappresentano il carico complementare, ma, a differenza del secolo precedente, non si tratta di centinaia di pezzi ma di percentuali minime. Inoltre, nei relitti databili tra la fine del ii e gli inizi del i secolo a.C., le presenze di ceramica calena raggiungono e superano numericamente quelle di campana A, che in questo momento viene per lo più utilizzata come dotazione di bordo; un ruolo molto più marginale ricopre invece la campana b etrusca, che sembra aver Pedroni 2000, pp. 350-351. Beltrame 1998, p. 38. 69 Charlin, Gassend, Lequément 1978. 67 68 77 tav. iv – Ceramica comune e bronzi dal contesto b. avuto una diffusione marittima molto limitata al di fuori dell’Etruria 70. Ceramica comune In questa classe rientrano due coperchi troncoconici per olle (tav. iv.a), con pareti a profilo rettilineo e presa a pomello modellata a mano, asimmetrica e irregolare, internamente cava. Argilla beige con numerosi inclusi piccoli neri e piccolissimi brillanti. Evidenti segni di tornio sia all’interno che all’esterno sulle pareti. La superficie è parzialmente ricoperta da incrostazioni marine. Coperchi con presa a pomello di questa tipologia sono molto diffusi in area centro-tirrenica in età tardo-repubblicana 71; particolari somiglianze si riscontrano con esemplari rinvenuti a Cecina 72 e Pietrasanta 73 databili tra il ii secolo a.C. ed il i secolo d.C. Prese asimmetriche simili a queste in esame sono presenti a Cosa tra la fine del ii e l’inoltrato i secolo a.C. 74. È inoltre pertinente al corredo da cucina la parte superiore di un’olletta (diam. 12 cm: tav. iv.b) con orlo a mandorla e corpo ovoide: argilla di colore nero, Cibecchini 2004, pp. 64-66. Siano 2002, p. 181, tipo Cp.2.b, tav. xvii.74 con ampia bibl. prec. 72 Gagliardi 2013, p. 504, fig. 10.64. 73 Crocialetto: Storti 1995, p. 161, fig. 162.27. 74 Dyson 1976, fig. 35, pd91. 70 71 78 S. Genovesi, M. Giorgio, V. Palleschi, C. Rizzitelli con scarsi inclusi piccolissimi bianchi e brillanti. Si tratta di una forma corrispondente al tipo 35 b di Luni, documentata nel ii e soprattutto nel i secolo a.C. lungo tutta la costa tirrenica fino ad Albintimilium e ad Ampurias 75, è presente anche sul relitto del Grand Conglouè 2 76. [C. R.] Contenitori da trasporto Al carico di anfore può essere attribuito un limitato numero di frammenti, pertinenti a contenitori di produzione italica (Dressel 1) e, limitatamente ad un frammento, punica. Ad un’ansa a sezione ellittica e un lungo collo cilindrico, ancora chiuso da un tappo in pozzolana (v. infra), si aggiungono due orli, entrambi pertinenti alla variante b. Un alto orlo a fascia (diam. 20 cm; tav. i.3) a sezione triangolare e profilo esterno quasi verticale, trova un preciso confronto in un secondo gruppo di contenitori di tipo Dressel 1b del relitto del Fine, caratterizzati da orli alti non meno di 6 cm circa 77. Il secondo frammento, un basso orlo a sezione triangolare (diam. 18 cm; tav. i.4), con labbro pendente e alloggiamento interno per il tappo, può essere anch’esso accostato ad alcune delle Dressel 1b del relitto del Fine, dotate di analoghe caratteristiche 78. I frammenti di Dressel 1 risultano caratterizzati da un impasto di colore rosso (2.5 yr 6/6-6/8: light red) contenente numerosi inclusi neri di verosimile origine vulcanica, molto compatto, compatibile con quello delle produzioni dell’ager Cosanus, in particolare con quelle albiniesi 79. Fa inoltre parte del carico un’ansa ad orecchio con sezione ellittica, morfologicamente inquadrabile all’interno dei contenitori di tradizione punica (tav. i.5); il frammento, caratterizzato da un impasto di colore rosso (2.5 yr 6/6: light red) contenente inclusi di quarzo eolico di colore bianco e da una superficie di colore grigio, è pertinente, in particolare, cosiddette neopuniche o tardopuniche, i cui ateliers si collocano in Tunisia, forse nella regione di Cartagine 80. L’ansa non permette di definire la morfologia del contenitore in oggetto, da ricercarsi comunque nell’ambito del gruppo dei contenitori di tipo Van der Werff 1 (=Maña C=Ramon Torres serie 7.0.0.0), caratterizzati 75 Olcese 1993, p. 186, fig. 29.4; Alberti 2002, p. 170, tipo ofiiia, tav. xvi.64 con ampia bibl. prec. 76 Long 1987, p. 13, fig. 2.8g. 77 Massa 1980-81, p. 238, fig. 5, sn.b e, ibid., p. 227, fig. 3, n. 2479 (cfr. anche Benquet, Mancino 2007, pp. 57-58, fig. 8, dal quartiere artigianale di Albinia). 78 Massa 1980-81, p. 239, fig. 4, 2434. 79 Sulle quali vedi, in generale, Benquet, Mancino 2007, pp. 51-66. 80 Ramon Torres 1996, pp. 203-218; Bonifay 2004, p. 89. da orlo svasato, corpo affusolato e anse a orecchio; databili tra il ii e l’inizio del i sec. a.C., questi contenitori erano verosimilmente destinati al trasporto di prodotti a base di pesce. La presenza contestuale di anfore di tipo Dressel 1 e di contenitori punici su relitti tardo-repubblicani del bacino occidentale del Mediterraneo è attestata, in particolare, nel carico del relitto del Grand Conglouè 2, di qualche decennio più antico rispetto a quello naufragato presso la foce del Fine (110-70 a.C. 81). Il carico di anfore del contesto B – per gli scriventi da identificare con quello del relitto del Fine 82 – rimane tuttora noto solo in minima parte; alle 23 Dressel 1c e b già pubblicate da M. Massa si aggiungono adesso quattro ulteriori esemplari di Dressel 1 e un’anfora punica, per un totale di almeno 28 contenitori. Il vino sembra apparentemente la merce principale del carico, mentre una quantità inferiore di anfore veicolava prodotti a base di pesce (all’anfora punica potrebbero aggiungersi le Dressel 1c dell’ager Cosanus 83) e, forse, olio. Tappi d’anfora in pozzolana Pertinenti ai contenitori da trasporto sono tre tappi d’anfora in pozzolana, di un tipo diffuso per le anfore di tipo Dressel 1, in particolare tra il ii e la metà del i sec. a.C. 84 Un primo esemplare (tav. i.7), di forma circolare, raggiunge un diametro di 9,5 cm ed uno spessore di 3 cm; alla parte inferiore, caratterizzata da una superficie grezza, corrispondono, sul lato superiore, due cartigli semilunati che definiscono al centro uno spazio vuoto di forma ellittica. L’altezza dei due cartigli è di 1,5 cm, mentre le lettere, in caratteri capitali, misurano 1,6-7 cm circa. Il testo è lo stesso in entrambi i casi: M’(ani) Rufi M’(ani) M’(ani) Rufi M’(ani) Elemento paleografico caratterizzante del testo è l’impiego della m arcaica a cinque tratti, impiegata in età repubblicana per l’abbreviazione del praenomen Manius 85. Per quanto riguarda il testo è possibile notare l’assenza, dopo il secondo M’(ani), di indicazioni di patronato o filiazione, secondo un uso diffuso nell’epigrafia degli opercula in pozzolana di tarda età repubblicana, spesso caratterizzati da questa formula Long 1987, p. 14, fig. 2, 2; Olcese 2011-2012, p. 611. Vada a in Olcese 2011-2012. 83 Per il cui impiego come contenitori da garum vedi Benquet, Mancino 2007, pp. 65-66. 84 Hesnard, Gianfrotta 1989, pp. 393-441. 85 Hesnard, Gianfrotta 1989, p. 423, b30. 81 82 Rotte e commerci lungo la costa volterrana tra ii e i sec. a.C. 79 abbreviata 86. È, a questo proposito, possibile osservare che, quando l’indicazione del rapporto è esplicita, l’uso di uno stesso praenomen non è in alcun modo indicativo di una filiazione 87 né di un patronato 88. Il secondo esemplare (tav. i.6), purtroppo in cattivo stato di conservazione, presenta forma e dimensioni (diam. 9,6 cm; spessore 2,5 cm) pressoché analoghe al precedente; mancante di uno dei cartigli e lacunoso nella parte finale del secondo, il testo del bollo, in analogia con il primo esemplare, è ricostruibile come segue: [M’(ani) Rufi M’(ani)] M’(ani) Rufi [M’(ani)] Le caratteristiche paleografiche risultano le stesse già evidenziate nel primo operculum. Il terzo esemplare (diam. 9,7 cm; spessore 2,8 cm), che al momento del recupero era ancora inserito all’interno del collo di un’anfora di tipo Dressel 1, è risultato del tutto illeggibile nonostante la ripulitura dal consistente strato di concrezioni che lo ricopriva. Centrale, per la comprensione delle proble matiche relative all’origine del carico d’anfore del contesto b è proprio l’identità del personaggio menzionato nel bollo degli opercula delle Dressel 1. Il corpus degli opercula in pozzolana, databile tra il terzo quarto del ii ed il i sec. a.C. 89, consente di identificare i personaggi menzionati nei bolli con liberti e/o servi; tali personaggi sarebbero stati normalmente presenti a bordo delle imbarcazioni, in alcuni casi – quando lo stesso bollo compare sugli opercula e sulle ancore – in qualità di armatori o, più spesso, come semplici mercatores, in viaggio assieme alle merci sulle quali apponevano il proprio sigillo 90. Si rendono necessarie alcune precisazioni in merito alla lettura del gentilizio del nostro personaggio, per il quale è stata indistintamente proposta la lettura Rufius o Rufus, ponendo in evidenza come l’eccessiva diffusione non permetta di ottenere dati utili 91. È tuttavia lecito osservare come il gentilizio in oggetto debba essere identificato unicamente come Rufius, forma nella quale appare in alcune delle più antiche attestazioni di età repubblicana in lingua latina e in quelle, numerosissime, databili all’età imperiale. fig. 3 – Localizzazione delle attestazioni della gens Rufia in età tardo repubblicana. 1: relitto della Foce del Fine; 2: Perugia; 3: Ascoli Piceno; 4: ager Caeretanus; 5: Benevento. In evidenza la ricostruzione ipotetica della rotta dell’imbarcazione naufragata alla foce del Fine (contesto b). La stella indica le aree dalle quali provengono le merci imbarcate. Il gentilizio Rufus, derivato dal cognomen Rufus 92, risulta al contrario attestato in rarissimi casi, tutti attribuibili alla piena età imperiale e per la maggior parte riferibili ad ambito provinciale. Ad un consistente gruppo di epigrafi dell’Africa Proconsularis 93 si aggiungono, limitatamente alle province occidentali, singole attestazioni dalla Baetica 94, dalla Britannia 95, dalla Germania Superior 96 e dalla Moesia Superior 97, mentre quasi inesistente appare il gentilizio Rufus nel settore orientale dell’impero 98. Si datano ai primi secoli dell’impero anche le scarsissime attestazioni nella penisola italica 99. Appare in definitiva improbabile che nel corso della tarda età repubblicana, quando l’uso del cognomen è normalmente riservato ai membri degli ordini equestre e senatorio, un personaggio quale il nostro, verosimilmente appartenuto a quel ceto di mercatores che Cicerone definisce come homines tenui, obscuro loco nati 100, abbia assunto o ereditato dal padre o Kajanto 1965, pp. 65, 121, 134, 229. cil viii, 1058, da Cartagine; 25655, da Chemtou; 27497, da Guergour; 27563d, da Bernoussa; 23638, da Hammam Zouakra. 94 cil ii, 1220, da Siviglia. 95 cil vii, 67, da Gloucester/Glevum. 96 cil xiii, 7088, da Mainz. 97 cil iii, 8139, da Kostolac/Viminacium. 98 i.g.l.s. vi, 2989, da Heliopolis. 99 cil iv, 6708, da Pompei; cil xiv, 4005, da Casale Cesarina, presso Roma. 100 Cic., Verr. ii, 5, 167. 92 93 86 Cfr. il testo L(uci) Volc(ei) L(uci), su un operculum in pozzolana da Cagliari; Hesnard, Gianfrotta 1989, p. 439, b39. 87 Cfr. L. Asuini L(uci) l(iberti); Hesnard, Gianfrotta 1989, p. 412, b8. 88 Cfr. M. Alfi M(arci) f(ili); Hesnard, Gianfrotta 1989, p. 409, b3. 89 Per il quale vedi Hesnard, Gianfrotta 1989, pp. 408-441, b1-b39. 90 Hesnard, Gianfrotta 1989, pp. 395-405. 91 Hesnard, Gianfrotta 1989, pp. 432, b30. 80 S. Genovesi, M. Giorgio, V. Palleschi, C. Rizzitelli ricevuto dal patronus – nel caso non da escludere di una sua condizione libertina – un gentilizio tratto proprio da un cognomen. Le limitate attestazioni di età repubblicana della gens Rufia – per noi quindi maggiormente significative – si concentrano in Etruria, presso Perugia e Caere, con una attestazione isolata in Campania presso Benevento (fig. 3). Tra la fine del ii e la metà del I sec. a.C. nella città umbra è attivo il s(igillator) o s(igillarius) C. Rufius, noto dal bollo C. Rufius s(igillator) – o s(igillarius) – finxit, impresso sul basamento della statua in terracotta di un lare domestico 101. Una tomba scavata nel 1887 presso il Cimitero comunale di Perugia 102 ha restituito 30 urne in travertino e numerose olle monoansate in terracotta, anch’esse impiegate come cinerari, pertinenti ad un contesto cronologicamente inquadrabile tra iii e i sec. a.C. In 22 casi le urne, in larga parte caratterizzate da casse scolpite con motivi tipici dell’artigianato artistico di età tardo-etrusca (rosoni inquadrati da pelte, testa di medusa, Achille e Troilo), recavano sul coperchio iscrizioni in lingua etrusca pertinenti a membri della famiglia dei Rafi o (quattro casi) Rufi; iscrizioni in etrusco, graffite o dipinte in rosso, ricordano membri della stessa famiglia anche su quattro cinerari fittili. Testi in latino, nei quali il gentilizio risulta traslitterato in Rufius, compaiono sui coperchi di due urne e di tre cinerari, uno dei quali con testo bilingue: – cil i2, 2079= xi, 7096 (coperchio in pietra, cassa con rosone tra pelte): Ar(runs) Rufius An[caria] natus Cepa, – cil i2, 2080= xi, 7097 (coperchio in pietra, cassa con rosone tra pelte): Tertia Avilia C(ai) f(ilia) Rufi uxor, – cil i2, 2081=xi, 7098 (olla fittile, iscrizione graffita): Aro(n)s 103 Rufius Atinea natus, – cil i2, 2082=xi,, 7099 (olla fittile, iscrizione graffita bilingue): A(uli) Ru(fi) / aule rafi cutunial, – cil i2, 2083=xi,, 7100 (olla fittile, iscrizione graffita): L(ucius) Rufius Cotonia / natus. Sono databili tra la fine del ii e la metà del i sec. a.C. – sulla base del ductus e dei supporti sui quali compaiono – due brevi testi epigrafici provenienti dall’ager Caeretanus; menziona il liberto M(arcus) Rufi(us) Felix 104 il testo di un cippo a colonnetta in cil ix, 6709. Brizio 1887. 103 Forma alternativa per Arruns. 104 cil i2, 3313=ae 1968, 184: M(arcus) Rufi(us) / (mulieris) l(ibertus) Felix; cie i, 4, 1, 1, p. 456, n. 6223. 101 102 nenfro, rinvenuto nel 1962 all’ingresso della tomba 221 nella necropoli della Banditaccia-Laghetto 105. Era ubicata lungo la via principale della necro poli della Banditaccia la sepoltura di Sequnda Rufia, genericamente databile alla tarda età repubblicana; il testo dell’epigrafe funeraria, che riporta unicamente la formula onomastica e il patronimico della defunta 106, è incisa sul fastigio di una lastra in peperino. Il radicamento della gens nell’ager Caeretanus è peraltro attestato ancora nel corso della prima età imperiale, quando tre bolli su tegola, provenienti da siti dell’immediato retroterra di Pyrgi, consentono di localizzare in questa stessa area l’attività produttiva della figlina di L. Rufius 107. Si data ad età repubblicana anche il testo di un’iscrizione funeraria beneventana, attualmente divisa in due frammenti, rispettivamente murati sulla parete della chiesa di S. Salvatore e sulla facciata di un palazzo in via Belledonne; il testo ricorda la costruzione, da parte di un C(aius) Rufius, di un sepolcro uxsor[i] / et suieis 108. Un M(arcus) Ruf(ius), del quale ignoriamo tuttavia la città di origine, appone infine la sua firma su una glanda missilis della legio xv 109, impegnata tra il 90 e l’89 a.C., sotto il comando di Pompeo Strabone, nell’assedio del centro piceno ribelle di Ausculum 110. Nel complesso le attestazioni del gentilizio Rufius attribuibili con certezza alla tarda età repubblicana appaiono concentrate in Etruria, con 2 casi a Caere, 5 nel centro tiberino di Perugia, dove peraltro la gens è nota nell’ambito di un contesto funerario che riconduce ad una certa origine etrusca, mentre isolate appaio le attestazioni di Ascoli e Benevento. Non consente di definire con certezza la presenza della gens Rufia nella stessa Volterra già in età repubblicana l’epigrafe funeraria del pretoriano A(ulus) Rufius Verus, originario della città etrusca e sepolto a Roma in un momento imprecisabile della prima età imperiale 111. Contesto di iii-i sec. a.C.: Cavagnano Vanoni 1967. cil i, 2610=xi, 7713: Sequnda Rufi(a) // M(arci) f(ilia). 107 Enei 2001, pp. 72-72; ibid., sito n. 471, fig. 210, tav. 32, 1 – mansio di Ad Turres, presso Statua: De figli(nis) L(uci) Ru[fi] [---] / tegul(as) M. Pu[pi Antio(chi)]; ibid., sito n. 471 – Casale Porcarecca: De figli(nis) L(uci) Rufi [---] / tegul(as) M. Pupi An[tio(chi)]; cil xi, 6689, 204 xv, 2191: [Ex] figli(nis) L(uci) Rufi / [teg]ul(as) M(arci) Pupi Antio(chi). 108 cil i2, 1741= ix, 6287: [---]v / C(aius) Rufius / Cn(aei) f(ilius) Ste(llatina tribu) / [R]utiliae Q(uinti) f(iliae) / [R]ufae uxsor[i] / et suieis / [i]n f(ronte) p(edes) xii in ag(ro) / [p(edes) ---]. 109 cil i2, 2, 870= cil ix, 6086. 110 App., b.c. i, 47; Liv. Periochae, 76; Oros., v, 18; Strabo, v, 4, 2; Vell. Pat., ii, 21. 111 cil vi, 2587: A(ulus) Rufius / A(uli) f(ilius) Sab(atina) / Verus / Volaterris / mil(es) coh(ortis) V pr(aetoriae) / (centuria) Rutili / mil(itavit) an(nos) xvi. 105 106 Rotte e commerci lungo la costa volterrana tra ii e i sec. a.C. Le scarse attestazioni di età tardo-repubblicana della gens Rufia non consentono di definire in modo soddisfacente il rapporto tra il mercator Manius Rufius e l’origine dell’imbarcazione naufragata presso il Fine. La pertinenza al carico della ceramica calena e dell’anfora punica, assai verosimilmente imbarcate presso uno stesso porto campano, trova solo un parziale riscontro con l’attestazione di membri della gens a Benevento, mentre non sembra di poter cogliere nessun legame apparente con le altre attestazioni 112. [S. G.] I bronzi Il contesto b comprende anche un insieme di oggetti in bronzo rappresentati sia da esemplari singoli, sia da gruppi tipologicamente omogenei, ricoperti da incrostazioni marine, e in parte restaurati. Una produzione vinaria è attestata, nell’ager Caeretanus, da fonti letterarie della prima età imperiale (Columella, De re rustica, iii, 9, 6; Mart., Epigr., 6, 73) e dalla diffusa presenza di dolia e torcularia negli insediamenti rurali del settore costiero dell’ager Caeretanus (Enei 2001, pp. 66, 72). In loc. Pian Sultano, 3 km circa a Nord del sito della colonia romana di Pyrgi (l’attuale castello di Santa Severa), si sviluppa, a partire dal ii sec. a.C., una produzione manifatturiera di contenitori da trasporto, ceramica di uso comune, pesi da telaio, tegole e coppi (Colonna 1963, pp. 152-155, figg. 1-2; Enei c.s., figg. 4-5; Olcese 2011-2012, pp. 202203, tav. xxxvi-xxxvii). Al rinvenimento (1963) di uno scarico di frammenti anforici hanno fatto seguito le più recenti indagini di superficie effettuale nell’ambito del Progetto Ager Caeretanus, nell’ambito del quale è stata individuata una fornace a pianta rettangolare. I due siti hanno restituito frammenti di anfore di tipo greco-italico (Olcese 2011-2012, tav. 2, xxxvii, 15, 17), affini alla forma Vandermersch mgs vi (Vandermersch 1994, pp. 8187; metà-fine del iii sec. a.C.), e di anfore con orli arrotondati ed estroflessi analoghe a quelle del relitto di Spargi (Beltrame 1999, p. 38; Olcese 2011-202, tavv. 2, xxxvi, 1-7; 2, xxxvii, 8-14), accostate da Colonna alle forme Dressel 1a e Lamboglia 3 (Colonna 1963, pp. 153-154) e affini alle anfore brindisine di tipo ii (Palazzo 1988, p. 111, tav. xxix, 2; Palazzo 1989, p. 548, fig. 1.2) e iv (Palazzo 1988, p. 112, tav. xxx, 1; Palazzo 1989, p. 549, fig. 4) del quartiere artigianale di Apani e di forma 5 di Giancola (Manacorda, Pallecchi 2012, pp. 154-159, figg. 3.1 e 3.19). La discarica ubicata presso la fornace ha restituito tre frammenti di anse a sezione ovale recanti il bollo Purg(ensium), da riferire ad una produzione di anfore posta sotto il controllo dalla colonia romana di Pyrgi, dedotta nel 191 a.C. (Enei c.s., fig. 6); essi si aggiungono a due bolli già noti, rispettivamente presenti sull’ansa di un’anfora identificata come greco-italica, residuale in un contesto della prima metà del i sec. d.C. del teatro di Volterra (Marletta 1994, p. 506-508, fig. 2, qui sciolto come P(ublius) Urg(ulanius); vd. anche Enei c.s., nota 16), e sull’ansa di una Dressel 1 appartenente ad un contesto della seconda metà del ii sec. a.C. del foro di Sagunto (Aranegui 2004, pp. 205-206; Marquez Villora, Molina Vidal 2005, p. 164). Nel complesso si tratta di una produzione verosimilmente volta alla produzione di contenitori da vino e olio, attiva tra la metà-fine del iii e la prima metà del i sec. a.C., ma della quale non è in alcun modo noto alcun legame con i Rufii dell’ager Caeretanus e/o con il Rufius del relitto del Fine. 112 81 fig. 4 – Simpulum in bronzo dal contesto b. Si conserva un unico esemplare di un simpulum a due pezzi con manico orizzontale (diam. 8 cm; lungh. 40,8 cm: tav. iv.c; fig. 4): coppa emisferica in lamina martellata e tornita con gola stretta, labbro obliquo, distinto mediante una gola. Restaurato. Il manico, fuso entro stampo, è articolato morfologicamente in due parti: prima un elemento più esterno piatto, liscio, “a remo” con lati concavi ed estremità apicate e poi un elemento a bastoncello a sezione circolare decorato da modanature quadrangolari alle estremità fungono da raccordo con la coppa tramite una protome d’oca. Il manico termina con un gancio ornato con due protomi d’oca, dalla parte opposta invece si biforca in due fili che si agganciano intorno alla gola della coppa 113. L’utilizzo dei fili di bronzo agganciati evitava di dover ricorrere alla saldatura per unire i due pezzi 114. Simpula di questa tipologia sono diffusi in Italia centrale 115 e settentrionale, nella Francia meridionale e in Europa centrale, e non mancano attestazioni anche nella penisola iberica, dove i rinvenimenti si concentrano lungo la costa sud-occidentale ed il corso dei principali fiumi 116. Si ipotizza che i centri di produzione siano localizzati in area etrusca in un periodo compreso tra gli inizi del i secolo a.C. e l’età augustea 117. Le caratteristiche morfologiche di questi simpula a manico orizzontale e la coesistenza con i simpula a manico verticale hanno fatto inizialmente ipotizzare un loro uso specifico e particolare, quale distribuire bevande miscelate oppure come recipiente di misura 118, ma il rinvenimento di quest’oggetto all’interno di una situla in una tomba del Veronese sarebbe invece la conferma del suo utilizzo per attingere e versare vino, soprattutto da recipienti di grandi dimensioni, profondi o di ampio diametro 119. Soprattutto nelle necropoli dell’Italia Tipo b: Castoldi, Feugère 1991, p. 66, fig. 6. Pernot 1991, p. 134. 115 Per l’Etruria oltre alle segnalazioni in Castoldi, Feugère 1991, p. 70, fig. 10, dall’acropoli di Talamonaccio: Ciampoltrini 1994, p. 374, fig. 4.1-3. 116 Castoldi, Feugère 1991, p. 70, fig. 10; Mansel 2004, p. 21, fig. 1. 117 Castoldi, Feugère 1991, p. 66; Bolla 1994, p. 19. 118 Castoldi, Feugère 1991, p. 63. 119 Bolla 2002, p. 202, fig. 2. 113 114 82 S. Genovesi, M. Giorgio, V. Palleschi, C. Rizzitelli fig. 5 – Boccale in bronzo dal contesto b. fig. 6 a-b – Anse in bronzo pertinenti a boccali dal contesto b. fig. 7 – Due brocche restaurate dal contesto b. tav. v – Brocche bitroncoconiche in bronzo dal contesto b. settentrionale è frequente l’associazione di questo simpulum con i boccali tipo Idria, forse connessa a qualche funzione specifica attribuita a questi oggetti nell’ambito del servizio per bere, ma a tutt’oggi di difficile interpretazione 120. Un gruppo è composto da sette boccali a pareti concave 121 in bronzo fuso e laminato (diam. 10 cm; alt. 10,5 cm: tav. iv.d; fig. 5). Corpo in lamina martellata e rifinita al tornio (punto centrale di posizionamento del tornio e due cerchi concentrici sul fondo esterno). Orlo estroflesso leggermente ingrossato con solcature, parete a profilo concavo. Fondo esterno concavo. Ansa a braccetti fusa con le estremità modellate a protomi di volatile, saldata sull’orlo, con poggiapollice a rocchetto nell’estremità superiore 122 e una applique con foglia cuoriforme in quella inferiore. Un solo esemplare è stato restaurato ed è completo di ansa. Si conservano tre anse pertinenti a questi contenitori, tutti i braccetti sono modellati a protomi di volatile (fig. 6 a-b). In Etruria questi boccali sono stati rinvenuti nella necropoli del Profico di Capoliveri 123, nella necropoli del Portone 124, a Castiglioncello 125, sull’acropoli di Talamonaccio 126. La distribuzione di questi boccali è vastissima: sono stati rinvenuti in Italia centrale e settentrionale, in Grecia e in Slovacchia, Bolla 1991b, p. 147. Tipo Eggers 159; tipo Idria, variante Manching: Feugère 1991a, p. 55, fig. 4.1. 120 121 Tipo b2aiii: Bini, Caramella, Buccioli 1995, p. 57. Zecchini 1978, tav. 75; Maggiani 1981, p. 179, nota 16; Firmati 2013, p. 212. 124 Altri sono visibili al Museo Guarnacci a Volterra: Cristofani 1975, p. 27, n. 67, nota 31. 125 Gambogi, Palladino 1999, p. 83 con bibl. prec. 126 Ciampoltrini 1994, p. 374, fig. 4.4-5. 122 123 Rotte e commerci lungo la costa volterrana tra ii e i sec. a.C. nella Francia meridionale, in Spagna e in Marocco 127; dai contesti si ricava una datazione compresa tra l’ultimo quarto del II e la metà del I secolo a.C. forse con qualche attardamento fino ad età augustea 128. La funzione di questi boccali non è ancora chiara, forse facevano parte del servizio per le abluzioni insieme con la padella 129, altri propendono invece per un loro impiego potorio nel servizio da tavola 130. Un altro gruppo comprende sette brocche bitroncoconiche a carena bassa in lamina martellata e rifinita al tornio (punto di centratura e tre cerchi concentrici sul fondo esterno: tav. v) 131. Orlo svasato, labbro a fascia verticale sottolineato da linee incise, collo breve, ventre carenato nel terzo inferiore. Fondo piatto. Su un esemplare, lungo il bordo inferiore, sono saldati due supporti ad arco di cerchio. Ansa a braccetti con le estremità modellate a testa di volatile stilizzato, poggiapollice a linguetta sopraelevato rispetto ai due bracci; l’estremità inferiore termina in una applique cuoriforme che si prolunga in un lungo peduncolo verticale con due volute laterali 132. Le brocche sono di dimensioni diverse 133. Due esemplari sono stati restaurati e sono completi di ansa (fig. 7), le altre cinque brocche sono lacunose e fortemente corrose (fig. 8). Si conservano tre anse con le estremità modellate a testa di volatile (fig. 9 a-b); probabilmente pertinenti a queste brocche sono anche tre terminazioni foliate (fig. 10) e due piccoli supporti in bronzo ad arco di cerchio a faccia esterna convessa (a pelta), faccia interna e laterali concave (fig. 11) 134. Fabbricate probabilmente da officine dell’Etruria, queste brocche sono attestate in numerosi siti dell’Europa centrale, assai limitati sono invece i rinvenimenti nel Mediterraneo occidentale (alcuni esemplari in Marocco, assenti in Spagna), dove prevale la brocca bitroncoconica tipo Piatra Neamt 135. Una tomba di Volterra assegna la datazione più alta per queste brocche alla prima metà del ii secolo a.C.; al di fuori di questo ambito le datazioni fornite sia da rinvenimenti in area etrusca che dalle necropoli della Cisalpina si concentrano tra l’ultimo quarto del ii e i primi decenni del i secolo a.C. 136, Mansel 2004, p. 22, fig. 2. Bolla 1994, p. 21. 129 Feugère 1991a, p. 54. 130 Bolla 1994, p. 21. 131 Tipo Gallarate: Boube 1991; tipo 1 collezione Gorga: Finaroli 1999, p. 39, fig. 15. 132 Variante 3: Boube 1991, p. 24. 133 Diam. 10-alt. 15,3 cm; diam. 11-alt. 17,6 cm (restaurate). Diam. 12,8-alt. 20,5 cm (fig. abc); diam. 9,6-alt. 14,5 cm; diam. 13,6-alt. 20,5 cm (2 esemplari); diam. 14-alt. 22 cm. 134 Alcuni supporti della medesima tipologia sono esposti al Museo Guarnacci di Volterra. 135 Boube 1991, p. 32, fig. 9; Mansel 2004, p. 23, fig. 3. 136 Boube 1991, p. 26. 127 128 83 con attardamenti fino alla prima età imperiale nelle città vesuviane 137. Queste brocche erano destinate a contenere acqua e, in associazione con le padelle tipo Aylesford o con i bacili tipo Eggers 94, erano adibite alle abluzioni durante i banchetti, come testimoniano anche i rinvenimenti funerari 138. Un ulteriore gruppo è costituito da almeno tre anforette (diam. da 10,8 a 11 cm): labbro a fascia verticale sottolineato da linee incise, con incavo all’interno, collo a pareti concave, ventre largo, piede basso e largo con fondo esternamente concavo decorato con punto centrale e tre cerchi concentrici eseguiti al tornio. Un esemplare (restaurato: tav. vi.a; fig. 12) privo di orlo conserva gli attacchi inferiori delle anse disposti a formare un angolo di 90° consistenti in un’applique foliata con terminazione a coda di rondine 139. La terza applique posizionata con il restauro non è pertinente. In un altro esemplare (fig. 13 b) invece gli attacchi inferiori sono diametralmente opposti 140 e sono costituiti da una applique cuoriforme che si prolunga in un lungo peduncolo verticale con volute laterali. Del terzo esemplare si conserva solo l’orlo con il collo (tav. vi.b; fig. 13 a). Non è possibile stabilire allo stato attuale la pertinenza di un fondo (diam 14 cm: fig. 14) e di un terzo orlo (fig. 13 c), completamente ricoperto di incrostazioni marine, agli esemplari già menzionati. Le anse dalla caratteristica forma a ‘s’ sono provviste di una nervatura centrale a rilievo e terminano sulla sommità con un poggiapollice a rocchetto (tav. vi.c). Collegate a queste anforette sono cinque anse ancora da restaurare, nelle tre prive di concrezioni sono ben visibili i braccetti modellati a testa di volatile; una conserva la terminazione inferiore ad applique foliata (fig. 15 a-b). La produzione si data tra la metà del II e la prima metà del i secolo a.C., i rinvenimenti si concentrano per lo più in Italia, con alcune attestazioni in Spagna e in Grecia 141. Nonostante la particolare posizione delle anse sia probabilmente legata ad una funzione specifica che resta al momento priva di spiegazione, si ipotizza che questi contenitori servissero per conservare piccole quantità di vino, o per miscelare il vino con altre sostanze, e quindi fossero utilizzati nell’ambito dei servizi da banchetto, anche se i rinvenimenti all’interno delle tombe suggeriscono un ulteriore impiego nelle libagioni funebri 142. Si conservano inoltre due padelle in bronzo fuso e laminato tipo Aylesford (diam. 24 cm, alt. 6,8 cm; Bolla 1994, p. 23. Bolla 1994, p. 22. 139 Feugère 1991b, p. 47. 140 Feugère 1991b, p. 49, fig. 3.6a. 141 Feugère 1991b, p. 50, fig. 4. 142 Feugère 1991b, p. 48; in ambito peligno: Rizzitelli 2010, pp. 91-92. 137 138 84 S. Genovesi, M. Giorgio, V. Palleschi, C. Rizzitelli fig. 8 – Brocche frammentarie non restaurate dal contesto b. fig. 9 a-b – Anse in bronzo pertinenti a brocche dal contesto b. fig. 10 – Tre terminazioni foliate in bronzo dal contesto b. fig. 11 – Due supporti ad arco di cerchio in bronzo dal contesto b. fig. 12 – Anforetta restaurata dal contesto b. fig. 13 a-c – Anforette frammentarie non restaurate dal contesto b. Rotte e commerci lungo la costa volterrana tra ii e i sec. a.C. fig. 14 – Fondo di anforetta in bronzo dal contesto b. diam. 26,8 cm, alt. 7,6 cm). Orlo ingrossato a sezione triangolare, corpo con pareti convesse, fondo quasi piano. Manico orizzontale a lati inflessi con margini rilevati e spina mediana poco accentuata desinente, dopo un’espansione, in un gancio ricurvo terminante a protome di cigno con dettagli del piumaggio incisi. Un esemplare è privo di decorazione (tav. vi.d), il secondo, di minori dimensioni, conserva una decorazione incisa con motivo a lisca di pesce sui bordi del manico e con motivo a lisca di pesce a direzione alterna sull’orlo ai lati della base del manico, con bordo decorato da tacche (tav. vi.e). Il tipo è attestato per lo più in Italia settentrionale, minore invece il numero di esemplari in Italia centro-meridionale 143. In Etruria è presente a Volterra, a Castiglioncello 144, all’isola d’Elba 145, a Vada 146. Queste padelle, per le quali la distribuzione dei rinvenimenti fa ipotizzare una produzione destinata prevalentemente all’esportazione, furono prodotte tra la seconda metà del ii secolo a.C. e l’età augustea in territorio etrusco; l’esistenza di formati differenti sembra essere legata a valutazioni di tipo commerciale, e quindi per fornire alla clientela una scelta più articolata, piuttosto che a distinzioni cronologiche 147. La padella era usata Feugère, De Marinis 1991, fig. 5; per l’Abruzzo: Rizzitelli 2010, p. 91. 144 Gambogi, Palladino 1999, p. 82 con bibl. prec. 145 Zecchini 1978, tavv. 72-73; Maggiani 1981, p. 185, nota 44. 146 necropoli del Poggetto: esposta al Civico Museo Archeologico di Rosignano. 147 Bolla 1994, p. 16. 143 85 fig. 15 a-b – Anse in bronzo pertinenti ad anforette dal contesto b. tav. vi – Bronzi dal contesto b. per recuperare l’acqua versata durante i frequenti lavaggi delle mani nei banchetti 148, il gancio terminale rendeva inoltre possibile la sospensione. Di solito nei contesti funerari, italici e non-italici 149, è associata Feugére, De Marinis 1991, p. 108. Bolla 1991b, p. 147. 148 149 86 S. Genovesi, M. Giorgio, V. Palleschi, C. Rizzitelli alla brocca, che serviva invece a contenere il liquido; nelle tombe tardo-repubblicane della Cisalpina si nota in particolare l’associazione con le brocche tipo Gallarate 150. È attestato un solo piede di bacile in bronzo tipo Eggers 94 (diam. cm. 12; alt. cm 5,5: tav. iv.e; fig. 16). Il piede, fuso e tornito, è stato lavorato separatamente e poi unito alla vasca con una saldatura di cui restano tracce sull’appoggio superiore. È caratterizzato da un elemento superiore cilindrico e da un elemento inferiore cavo a profilo sinuoso. Questi bacili, caratterizzati da una ampia vasca quasi emisferica in lamina di bronzo e da anse con attacchi sagomati a foglia di vite, erano oggetti di gran pregio prodotti molto probabilmente in numero limitato e di conseguenza esportati in quantità molto più esigue rispetto agli altri bronzi coevi 151. Erano utilizzati come vasi per le abluzioni e possono essere considerati parte del servizio da bagno insieme alle brocche a carena bassa, con cui sono a volte associati in corredi tombali appartenenti a soggetti di elevato status sociale. Il tipo è databile nel i secolo a.C. e scompare con la piena età augustea 152; sulla base della diffusione e della cronologia si ipotizza che sia stato elaborato in area greca 153. Confrontabile con un piede dalle raccolte archeologiche di Milano 154, ed altri rinvenuti a Fino Mornasco, loc. La Madonnina (co) 155 e a Ornavasso 156. Le analisi eseguite su alcuni di questi oggetti (v. infra) hanno fornito dati interessanti riguardo alla composizione del bronzo, in particolare sulla percentuale di stagno utilizzato. Per oggetti di questo tipo, e più in generale per il vasellame che dopo la colatura necessita della martellatura per essere modellato, di solito si utilizzava un bronzo con una percentuale di stagno intorno al 10-12%: esso forniva una buona resistenza meccanica e non presentava grosse difficoltà nella lavorazione. Bronzi con il 15% di stagno richiedevano una capacità tecnica superiore sia nella colatura che nella martellatura, e con un tenore di Bolla 1994, p. 17. Il cratere in ceramica calena f4753, che ha un’area di diffusione (carta di distribuzione della forma in Burgueño Villarejo 2002, fig. 2 e in Cibecchini 2004, fig. 3) simile a quella delle altre forme in bronzo, potrebbe essere funzionalmente considerato una versione più economica di questo bacile o comunque essere stato utilizzato per le stesse funzioni. Orienta in questo senso la sua presenza in corredi tombali in associazione con le altre forme in bronzo più diffuse (Gambogi, Palladino 1999, tomba 1, p. 45). 152 Bolla 1991a, p. 117. 153 Bolla 1996, p. 189. 154 Bolla 1994, p. 84, n. cat. 98. 155 Castoldi 2006. 156 Tomba 7: Bianchetti 1895, p. 98, tav. XVII.1; Piana Agostinetti 1972, fig. 16.3. 150 151 fig. 16 – Piede di bacile in bronzo dal contesto b. stagno attorno al 20-30% si otteneva una lega dura, fragile e non martellabile, color argento 157. Questi bronzi ad alto tenore di stagno (cd. bronzi bianchi) devono quindi essere forgiati ad alte temperature e poi sottoposti ad un processo di tempra con rapido raffreddamento in acqua fredda (Giardino 2010, pp. 142-143). La percentuale di ferro è invece legata all’uso di scorificanti; l’argento si conserva nel rame metallico come metallo accessorio dopo la fusione (Giardino 2010, p. 131, tab. 2). Questi dati mostrano quindi che le officine che hanno prodotto questi oggetti erano dotate di grande abilità e approfondite conoscenze tecniche: probabilmente questi vasi, pur appartenendo a tipologie note e diffuse, furono espressamente richiesti da una clientela facoltosa, che non si accontentava del bronzo “più comune”, ma era disposta a affrontare una spesa maggiore per ottenere oggetti con caratteristiche particolari, esteticamente simili all’argento. Si tratta dunque di tipologie di oggetti più o meno largamente diffusi in Italia e nel Mediterraneo occidentale, ed utilizzati in momenti diversi del banchetto, sia come servizio da vino sia nell’ambito dell’igiene personale, in cui sono inclusi anche i boccali tipo Idria 158. Gli antecedenti di questi recipienti si ravvisano in oggetti morfologicamente affini, prodotti in Etruria in età tardo-arcaica ed ellenistica 159. Probabilmente la produzione, iniziata intorno alla metà del ii secolo a.C., era localizzata in una molteplicità di officine eredi quindi di una lunga tradizione regionale, e continuò per più generazioni 160; inoltre, elementi strutturali o decorativi comuni, quali l’appendice poggiapollice a rocchetto, la terminazione Pernot 1991, p. 133. Feugère 1991a, p. 54. 159 Feugère 1991a, p. 55; Castoldi, Feugère 1991, p. 67; Castoldi 1991, p. 140. 160 Castoldi 2004, p. 90. 157 158 87 Rotte e commerci lungo la costa volterrana tra ii e i sec. a.C. a protome d’oca, le appliques cuoriformi, ma anche l’associazione in servizi evidenziano senza dubbio la matrice e le ascendenze comuni a più atéliers. La particolare concentrazione di rinvenimenti in Etruria, in assenza di scarti di lavorazione o matrici, è per ora l’unico appiglio per poter localizzare, seppure in modo incerto e indistinto, questi atéliers 161 forse nell’Etruria settentrionale 162. Ciò ovviamente non esclude che altre botteghe fossero presenti altrove, tanto più che nel corso del i secolo a.C. la produzione per alcuni tipi si spostò in Campania dove perdurò fino agli inizi dell’età imperiale 163. Questo vasellame tardo-repubblicano fu interessato da un duplice canale di diffusione: per via terrestre venivano sfruttati i tragitti che, attraverso i valichi dell’Appennino tosco-emiliano, giungevano nella pianura padana per poi proseguire nei territori celtici dell’Europa centrale dove i contesti funerari attestano una lunga fase di commercializzazione che arriva fino all’età augustea 164. Per mare invece questi oggetti circolavano con il vino italico insieme con le ceramiche a pareti sottili e con la ceramica a vernice nera nell’ambito degli intensi traffici marittimi esistenti nel Mediterraneo occidentale 165. La loro diffusione tra la fine del ii e gli inizi del i secolo a.C., anche se numericamente assai inferiore rispetto alla ceramica e quindi legata comunque ad un mercato “di nicchia”, rispecchia una forte penetrazione nei mercati occidentali di usi e costumi italici, grazie soprattutto all’instaurazione di condizioni politiche favorevoli 166. Questi gruppo di oggetti in bronzo fornisce allo studioso un punto di osservazione privilegiato perché consente di esaminare questo vasellame non più, come è accaduto finora, nel suo contesto di arrivo, e quindi come merce di maggiore o minore pregio venduta in mercati anche molto lontani rispetto al luogo di produzione, ma nell’eccezionale e, a tutt’oggi, unica, circostanza della partenza o comunque del viaggio, quando essi, insieme alla ceramica, furono imbarcati come merce di accompagno su una nave diretta forse verso le coste liguri e da lì, con ogni probabilità, verso il Mediterraneo occidentale. È chiaro che le modalità di recupero lasciano il campo aperto a tanti interrogativi, e cioè quale potesse essere il numero complessivo degli oggetti imbarcati, in quale percentuale gli uni rispetto agli altri, e soprattutto se è corretto considerarli un unico contesto insieme con Castoldi 1991, p. 141; Bolla 2002, p. 207. Bolla 1994, p. 14. 163 Castoldi, Feugère 1991, p. 68; Finaroli 1999, p. 39. 164 Castoldi 2004, p. 89. 165 Menchelli, Pasquinucci 2006, p. 1631. 166 Castoldi 1991, p. 68; Castoldi 1994. 161 gli altri materiali presentati in questa sede. Certo, non ci sono in letteratura altri relitti con lo stesso insieme di oggetti bronzei, e anche gli altri materiali del contesto sono ‘viziati dallo stesso peccato originale’ derivante dalle modalità di recupero, ma la coerenza cronologica e soprattutto il fatto che, invece, i reperti ceramici ed anforici ricorrono più e più volte nei relitti incoraggia ad ipotizzare per tutti gli oggetti una provenienza unica, dal mare, e verosimilmente dal relitto alla foce del Fine. [C. R.] Il lingotto di piombo Di notevole interesse, anche in relazione alle problematiche pertinenti alla commercializzazione dei metalli in età tardo-repubblicana, è la presenza tra i materiali del contesto b di un lingotto di piombo di un tipo ampiamente attestato in questo stesso periodo nel bacino occidentale del Mediterraneo (fig. 17). Appare importante, a tal proposito, mettere ancora in evidenza la segnalazione orale secondo la quale tra i materiali presenti nel 1978 nel sito del relitto era presente anche un «lingotto d’argento» 167, forse da identificare con il lingotto in oggetto o con altri esemplari non recuperati. Sotto il profilo morfologico il lingotto risulta caratterizzato da una base piatta di forma rettangolare (47,6×9 cm) e da un dorso curvo, la cui altezza raggiunge gli 8 cm. Il peso raggiunge i 32,2 kg, corrispondenti a 98,3 libbre romane (1 libbra=327,5 g); tale valore, assai vicino al peso standard di 100 libbre, viene normalmente osservato nella produzione delle massae plumbeae di età tardo repubblicana, mentre, a partire dall’età augustea, si registra la tendenza a produrre lingotti di peso superiore, in alcuni casi eccedenti del doppio tale peso 168. Sulla parte superiore del dorso è presente un bollo, suddiviso in tre distinti cartigli, di dimensioni difformi; il cartiglio centrale, il maggiore dei tre, misura 17×2,1 cm, mentre i due cartigli laterali misurano rispettivamente 5,6×2,1 cm (quello di sinistra) e 5,5×2 cm (quello di destra). Questi ultimi contengono rispettivamente un caduceo e un delfino, mentre nel terzo è presente un testo in lettere capitali altre 1,8 cm circa: (caduceus) // L(ucii) Pontilieni C(ai) f(ilii) // (delphinus). La parte iniziale del bollo è parsa, in un primo momento, caratterizzata da una lacuna, relativa ad una sola lettera 169; ad una più attenta lettura, tuttavia, 162 Massa 1980-81, p. 245, nota 74. Domergue, Liou 1997, pp. 11-30. 169 Genovesi, Rizzitelli, Sarti 2012, p. 458. 167 168 88 S. Genovesi, M. Giorgio, V. Palleschi, C. Rizzitelli fig. 17 – Immagine e disegno del lingotto in piombo dal contesto b. è possibile ravvisare in questo stesso spazio la presenza di una L seguita da un segno di interpunzione di forma irregolare. Il testo non presenta legature mentre da notare sono, nel termine Pontilieni, l’apertura della P, indizio di una cronologia tardo repubblicana, e la grafia rovesciata della T; due segni di forma irregolare, ubicati tra le ultime tre lettere, permettono infine di riconoscere in una formula patronimica (C(ai) f(ilii)) le due ultime lettere del testo. La formula onomastica riportata nel bollo centrale, in caso genitivo, si compone quindi del gentilizio (Pontilieni) e del patronimico, mentre, secondo l’uso invalso in età repubblicana, non si fa menzione del cognomen. La prima lettera del testo, di conseguenza, è certamente da identificare con l’abbreviazione del praenomen Lucius, mentre il personaggio menzionato dal bollo è un membro della gens italica dei Pontilieni, forse di origine picena 170. Di tale gens sono attualmente noti sei membri e un liberto, menzionati su bolli di lingotti di piombo prodotti nelle miniere di Carthago Nova e da epigrafi di vario tipo, comunque provenienti dal centro urbano o dal territorio di questa stessa città. La costituzione di una societas tra due membri della gens, certamente fratelli, è attestata dal bollo soc(ietatis) M(arci et) C(ai) Pontilienorum M(arci) f(iliorum), presente su 643 lingotti del relitto sardo di Mal di Ventre a (fig. 18.6), datato ai decenni centrali del i sec. a.C. 171, e su tre ulteriori esemplari rinvenuti Cfr. cil ix, 5232; ae 1987, 191, con attestazioni del gentilizio Portulenus. 171 Salvi 1992, pp. 662-664. 170 presso la spiaggia di Marseillan (costa sud-orientale della Francia: fig. 18.4 172). La società stretta da Marcus e Caius, ancora esistente, non viene esplicitata nel testo del bollo di altri 66 lingotti del carico dello stesso relitto di Mal di Ventre a: M(arci et) C(ai) Pontilienorum M(arci) f(iliorum) 173. Una parte dell’attività mineraria della gens dei Pontilieni risulta condotta dal solo Caius, senza che sia apparentemente possibile determinare se essa sia successiva o posteriore alla societas da questi costituita con Marcus. La bollatura risulta effettuata per mezzo di due serie di punzoni, distinte dalla presenza o meno dell’indicazione della tribù di appartenenza dello stesso Caius. Lingotti recanti il bollo C(ai) Pontilieni M(arci) f(ili) sono stati rinvenuti nel porto di Carthago Nova (fig. 18.1) 174 e nella località di Palavas (due esemplari inediti), ubicata lungo la costa meridionale della Francia (fig. 18.5) 175. È inoltre attestato su una massa plumbea rinvenuta, purtroppo fuori contesto, a Volubilis (fig. 18.2) 176; da sottolineare, in merito alla supposta origine picena della gens Pontiliena, 172 Laubenheimer-Leenhardt 1973, pp. 140-145, 178183, nn. 23-25; Borja Díaz 2008, p. 286, sp31, con bibliografia precedente. 173 ae 1992, 482b; Salvi 1992, pp. 662-664. 174 Un esemplare isolato (ee ix, 428, 2; Borja Díaz 2008, p. 286, sp 27, con bibliografia precedente). 175 Trincherini et al. 2010, tab. 4, n. 1047. Le preziose informazione sui due lingotti di Palavas e sul lingotto isolato de La Baie de la Squille (Linguadoca) sono state cortesemente fornite dal prof. C. Domergue, che qui ringraziamo. 176 Chatelain 1928-29, pp. 416-418; ae 1930, 38 = ae 1976, 783; Euzennat 1968-70, pp. 86-87; Borja Díaz 2008, p. 286, sp28. Rotte e commerci lungo la costa volterrana tra ii e i sec. a.C. 89 fig. 18 – Diffusione dei lingotti in piombo della gens Pontiliena. 1: Cartagena/Carthago Nova; 2: Volubilis; 3: Baie de la Roquille; 4: Marseillan; 5: Palavas; 6: Mal di Ventre (relitto); 7: Capo Carbonara; 8: Museo Civico Archeologico di Cecina (località del ritrovamento ignota). A: bollo su uno dei lingotti di Marseillan (da Laubenheimer-Leenhardt 1973); B: bollo su lingotto del relitto di Mal di Ventre (da Giacomelli 1991); C: contromarca Pilip(pus) da lingotti del relitto di Mal di Ventre (da Salvi 1992); D: bollo su lingotto da Carthago Nova (da Borja Dìaz 2008). l’appartenenza del centro di Ausculum Picenum alla tribù Fabia 177. Più dubbia è, infine, l’identificazione del Pontilienus che bolla un lingotto isolato rinvenuto nel tratto di mare antistante Capo Carbonara (Sardegna sud-orientale; fig. 18.7) e attualmente conservato presso il Museo Archeologico di Cagliari 178. Per quanto una lacuna nella parte iniziale del bollo ([-] Pontil(lieni) M(arci) f(ilii)) renda difficoltosa la lettura del praenomen, più studiosi propongono una identificazione della lettera iniziale con una M. Il bollo, da sciogliere quindi in [M(arci)] Pontil(lieni) M(arci) f(ili), costituirebbe la prima attestazione di una attività produttiva del piombo gestita dal solo Marcus Pontilienus. Un ulteriore membro della gens coinvolto nello sfruttamento delle miniere iberiche è noto grazie ad un lingotto isolato, rinvenuto nella Baie de la Roquille, poco a Nord del centro di Agde (Linguadoca; fig. 18.3) 179. Il testo menziona un Caius Pontilienus figlio di un Servius, di cui risulta evidentemente impossibile definire eventuali legami di parentela o di patronato con i fratelli Caius e Marcus e con il loro padre. Le caratteristiche morfologiche, il corredo epigrafico e le analisi degli isotopi – ormai largamente impiegate nel caso dello studio dei manufatti antichi in piombo – hanno permesso di attribuire con assoluta certezza le massae plumbeae bollate dai Pontilieni alla produzione delle miniere di Carthago Nova, ubicate nel settore Sud-orientale della penisola iberica e oggetto di uno sfruttamento intensivo da parte dello stato romano in particolare tra la metà del ii e la fine del i sec. a.C. 180. Le ricchezze del sottosuolo della città iberica, già oggetto degli interessi di Cartagine nel corso dell’ultimo quarto del iii sec. a.C. 181, cadono in mano dello stato romano all’indomani della conquista della città da parte di Publio Scipione nel 209 a.C. 182. A partire dal 195 a.C. Catone, governatore della Hispania, impone un vectigal sui metalla, da quel momento parte integrante Sotgiu 1988, p. 657; ae 1992, 863d; Giacomelli 1991, 180 Vedi i lingotti di tipo Domergue i in Domergue 1990, p. 253; Trincherini et al. 2010, pp. 1-18. 181 Polib., 10, 8-12; Plin., n.h., 33, 97. 182 Liv. xxvi, 47, 2. 177 p. 126. Domergue 1990, p. 322. Informazioni ottenute dal prof. C. Domergue. 178 179 90 S. Genovesi, M. Giorgio, V. Palleschi, C. Rizzitelli tab. 1 – lingotti di piombo e epigrafi pertinenti alla gens Pontiliena. Tabella riassuntiva. dell’ager publicus populi Romani 183. La ricchezza dei giacimenti richiama a Carthago Nova numerosi cives Romani e Italici 184 che, singolarmente o nell’ambito di societates, ottengono dallo stato romano appalti per lo sfruttamento dei metalla; tale attività, secondo la testimonianza autoptica di Polibio 185, assume proporzioni notevolissime, arrivando ad impiegare, attorno alla metà del ii sec. a.C., 40.000 persone e fornendo una rendita giornaliera di 25.000 dracme d’argento allo stato romano. Tratto saliente dell’assetto sociale e politico di Carthago Nova, in particolare tra la fine del ii e la metà del i sec. a.C. è il forte processo di integrazione nella comunità cittadina di personaggi di origine italica e, assai spesso, dei loro servi e/o liberti (tab. 1) 186. Non fanno in questo eccezione i Pontilieni, attestati da tre epigrafi, provenienti dal territorio e dal centro urbano; la più antica, rinvenuta presso il promontorio di Palos e databile ai decenni di passaggio tra ii e i sec. a.C., menziona un Pil(ippus) Pontili(enorum) M(arci et) C(ai) s(ervus), membro di un collegio di magistri incaricati della curatela di un monumento o di un edificio ignoto 187. Quest’ultimo 183 Liv. xxiv, 21, 7: pacata provincia, vectigalia magna instituit ex ferrariis argentariisque quibus tum institutis locupletior in dies provincia fuit; vedi anche Cato, Orig., fr. 93 P. e Cic., Leg. Ag., i, 5; ii, 51. 184 Diod. Sic., v, 36, 3. 185 Polib. 39, 8-11, ripreso in Strabo iii, 2, 10. 186 Domergue 1990, pp. 326-327; Orejas, SÁnchezPalencia 2002, p. 589, con bibliografia. 187 cil ii, 3433 (vedi anche Borja Díaz 2008, pp. 137-139, c50). è stato messo in relazione con il titolare della contromarca Pilip(---), presente su 66 dei 709 lingotti bollati dai Pontilieni del relitto di Mal di Ventre 1 188; la cronologia dell’epigrafe appare tuttavia troppo alta in relazione a quella del relitto, che è stato invece datato alla metà del i sec. a.C. La presenza fisica di Pil(ippus) a Carthago Nova e quella della sua contromarca sui lingotti di Mal di Ventre sono evidentemente legate all’attività che egli svolgeva, nell’ambito dello sfruttamento dei metalla iberici, per conto dei suoi domini. Se in linea teorica un’attività di 40-50 anni non può essere esclusa, l’assenza di una pubblicazione integrale dei materiali del relitto (la cronologia proposta si basa sul carico di anfore Dressel 1) obbliga, quantomeno, a non escludere una cronologia diversa (più alta?) per il relitto. Si datano rispettivamente alla prima metà e ai decenni centrali del i sec. a.C. due epigrafi funerarie con testo in metrica, rinvenute in prossimità del centro urbano di Cartagena; nella più antica viene ricordato un Pontilienus figlio di un Lucius 189 mentre la seconda ricorda una Pontiliena di rango libertino 190. Il lingotto presente sull’imbarcazione naufragata presso la foce del Fine rende infine possibile proporre alcune puntualizzazioni in merito alle problematiche relative alla commercializzazione del piombo dei Pontilieni. È necessario sottolineare come il rinvenimento di una singola massa plumbea tra i materiali Salvi 1992, pp. 670-671. cil i, 3449g (vedi anche Borja Díaz 2008, pp. 122123, C31). 190 Borja Díaz 2008, pp. 130-131, C42 (con bibl. prec.). 188 189 91 Rotte e commerci lungo la costa volterrana tra ii e i sec. a.C. di un relitto non costituisca affatto una prova della sua pertinenza al carico; era infatti buona prassi, in particolare sulle imbarcazioni che affrontavano rotte di lungo percorso, avere a bordo alcuni lingotti di piombo da poter impiegare per piccole riparazioni di parti della nave – quale la pompa di sentina, normalmente in piombo – direttamente durante la navigazione 191. Il lingotto del contesto b costituisce quindi una ulteriore attestazione della notevole diffusione nel settore occidentale del Mediterraneo del piombo estratto nelle miniere di Carthago Nova e dell’intenso coinvolgimento in tale attività della gens Pontiliena, mentre non appare possibile dimostrare che il lingotto fosse commercializzato, assieme ad altri esemplari, lungo la rotta tirrenica seguita dall’imbarcazione naufragata alla foce del Fine. Vale tuttavia sottolineare come l’esistenza di una filiera redistributiva del piombo iberico, che a partire da Roma risalisse la costa nord-etrusca seguendo le normale rotta tirrenica di cabotaggio, potrebbe in effetti essere attestata da due ulteriori rinvenimenti, purtroppo anch’essi isolati. Nell’undicesimo volume del cil viene riportato il testo di una iscrizione presente su una lamina di piombo rinvenuta presso Castagneto Carducci (li): L(ucii) Plan(ii) [---] 192. Tale rinvenimento, successivamente ricordato anche da Besnier nel suo corpus dei lingotti di piombo 193, è con ogni probabilità relativo ad un lingotto di piombo frammentario riconducibile alla produzione della gens dei Planii, appaltatori – al pari dei Pontilieni – presso le miniere di Carthago Nova tra il secondo ed il terzo quarto del i sec. a.C. 194. Si colloca più a Sud, nel tratto di mare antistante il castello di Santa Severa a Pyrgi, il rinvenimento, ancora una volta isolato, di un terzo lingotto di piombo, caratterizzato dalla stessa morfologia (alt. 8 cm; base 45×8,5) delle massae plumbeae di età repubblicana e da un peso di 31,6 kg, pari a 96,5 libbre circa 195. Il bollo, che riporta il testo Q(uinti) Virei C(ai) f(ilii) // Ste(latina tribu), attesta ancora una volta il coinvolgimento degli Italici 196 nello sfruttamento dei giacimenti di Carthago Nova. 191 Cfr. il caso dei relitti Port-Vendres 2 (Colls et al. 1977, pp. 118-122; Colls, Lequément 1981, pp. 177-186) e Lavezzi 1 (Liou 1990, pp. 145-149). 192 cil xi, 6722, 15-16. 193 Besnier 1920-21, pp. 99-130, n. 60. 194 Domergue 1965, pp. 9-27; Salvi, 1992, pp. 667-668. 195 Enei 2008, p. 46, fig. 64. 196 Per la gens Vireia vedi cil x, 104, 186 a.C.; Morizio 2001, p. 101. Il relitto del Fine, attribuibile ai decenni iniziali del i sec. a.C., e il relitto di Mal di Ventre, comunemente datato al secondo quarto dello stesso secolo, sembrano essere i due capisaldi cronologici dell’attività dei Pontilieni. Lucius Pontilienus, che compare sul bollo del lingotto del Museo di Cecina, potrebbe quindi essere il primo membro della gens a ottenere dallo stato romano un appalto per lo sfruttamento dei metalla iberici, mentre di qualche decennio successiva sarebbe l’attività della societas dei fratelli Marcus e Caius, dei quali non è tuttavia possibile determinare gli eventuali rapporti di parentela con Lucius. La decontestualizzazione dei lingotti bollati dal solo Caius – 4 in tutto – e del lingotto di Capo Carbonara, bollato da Marcus, non permette di stabilirne la cronologia e, in definitiva, il rapporto con la produzione di piombo condotta congiuntamente dai due fratelli. Quest’ultima appare oggi come più articolata, verosimilmente legata a diverse generazioni e/o a diversi rami della gens che, in un arco cronologico compreso tra l’inizio e la metà del i sec. a.C., si sono succedute tramandandosi la stessa attività. Per quanto riguarda la diffusione del piombo dei Pontilieni, è in primo luogo possibile puntualizzare la certezza dell’origine del metallo, che le analisi isotopiche 197 e il significativo rinvenimento nel porto di Cartagena di un lingotto di Caius consentono di attribuire ai metalla di Carthago Nova. L’esistenza di una commercializzazione su scala locale, alla quale afferiscono la stessa penisola iberica e l’area dello stretto di Gibilterra, è attestata dal lingotto rinvenuto a Volubilis, mentre sono da contestualizzare all’interno delle rotte marittime del bacino occidentale del Mediterraneo romano gli altri rinvenimenti. Viaggiavano lungo la rotta diretta che da Carthago Nova conduceva a Roma per mezzo delle Baleari e della Sardegna i lingotti del relitto di Mal Di Ventre e la massa plumbea, isolata, di Capo Carbonara. Anche in assenza di contesti archeologici precisi, è comunque alla rotta di cabotaggio che costeggiava le coste iberiche, francesi e italiane che possono essere infine attribuiti i lingotti rinvenuti ad Agde, Marseillan e nella Baie de la Roquille. Estraneo a questi circuiti è invece l’esemplare conservato presso il Museo di Cecina, che, viaggiando su un’imbarcazione diretta certamente verso il settore settentrionale del Mar Tirreno, era con ogni probabilità già giunto nella penisola italica – a Roma o in un altro porto – per essere rimesso in circolazione come dotazione di bordo di una nave da carico. [S. G.] 197 V. da ultimo Trincherini et al. 2010, pp. 1-18. 92 S. Genovesi, M. Giorgio, V. Palleschi, C. Rizzitelli 4. I due probabili relitti nel contesto dei commerci e delle rotte della costa volterrana tra ii e i sec. a.C. La fascia costiera compresa tra i fiumi Fine e Cecina ha costituito, durante tutta l’età antica, il naturale sbocco sul mare dello stato etrusco di Velathri prima e del successivo centro romano – municipium e poi colonia di diritto romano a partire dall’età augustea – di Volaterrae. Tale ruolo ha favorito nei secoli lo sviluppo di un sistema portuale progressivamente sempre più complesso e articolato, contestualmente funzionale alla redistribuzione delle merci di importazione e alla commercializzazione, in questo stesso territorio e all’esterno, delle produzioni locali 198. Nel primo paragrafo abbiamo brevemente accennato, a partire dall’esile spunto offerto dall’anfora massaliota del Museo di Cecina, alle problematiche relative alle rotte commerciali che tra vi e v sec. a.C. hanno interessato la costa nord-etrusca e, in particolare, volterrana; di seguito tenteremo di inquadrare i contesti a e b nel quadro delle rotte commerciali tirreniche tra ii e i sec. a.C., e di definirne, in particolare per il relitto più tardo (contesto b=Vada a), il rapporto con il sistema portuale della costa volterrana in età tardo-repubblicana. L’intero tratto costiero afferente al municipio di Volaterrae risulta interessato da numerose segnalazioni di rinvenimenti subacquei, spesso caratterizzati da dati frammentari e di difficile lettura; limitatamente alla tarda età repubblicana, è certa la presenza di almeno quattro relitti, pertinenti al periodo compreso tra il ii e la metà del i sec. a.C. 199. Il più antico di questo gruppo è il già ricordato relitto Vada b (prima metà del ii sec. a.C.; fig. 19.11), del quale non sono purtroppo attualmente rintracciabili le anfore greco-italiche recuperate; esso costituisce tuttavia un potenziale e significativo riscontro per il gruppo di materiali pertinenti al nostro contesto a, del quale abbiamo già messo in evidenza la coerenza cronologica e come carico. La contestuale presenza a bordo di ceramiche a vernice nera di produzione campana A e di anfore greco-italiche tarde di probabile produzione campana, tipica dei relitti pertinenti a questo orizzonte cronologico, costituisce un ulteriore elemento a favore della pertinenza di tali materiali al carico di un’unica nave che, a partire dalle coste fig. 19 – Relitti e insediamenti della costa volterrana in età tardo-repubblicana (ii-metà i sec. a.C.). 1: relitto del Fine; 2: Galafone; 3: San Gaetano; 4: Vada-Il Poggetto; 5: La Mazzanta; 6: Pod. Del Pozzo; 7: San Vincenzino; 8: relitto della Foce del Cecina; 9: area della Secchitella; 10: relitto delle Secche di Vada; 11: relitto Vada b. campane, risaliva il Tirreno fino ai mercati dell’arco nord-tirrenico o della Gallia 200. Tale direttrice commerciale si configurava come rotta di lungo percorso, con scali intermedi di tipo tecnico che normalmente non prevedevano rotture di carico 201. È quindi verosimile che entrambe le imbarcazioni 202 fossero solo in transito lungo le coste volterrane, dirette dalla Campania verso le coste galliche e/o iberiche. Il pieno sviluppo, dalla seconda metà del ii sec. a.C., delle produzioni vinarie e di altro tipo (quali i salsamenta) lungo le coste campano-laziali ed etrusche, determinato dalla progressiva integrazione nel mercato mediterraneo della penisola iberica e delle Gallie, comportò un consistente e generalizzato aumento dei volumi di traffico, mutandone contestualmente le caratteristiche delle rotte. Il coinvolgimento di queste ultime all’interno di un più vasto numero di centri tirrenici capaci di produrre derrate alimentari e le relative anfore da trasporto – in particolare di tipo Dressel 1 – ebbe come dirette conseguenze l’aumento Cibecchini 2011, pp. 11-19. Cibecchini 2004, pp. 9-10. Lungo le coste dell’Etruria settentrionale la sua attivazione risulta attestata già tra la metà e la fine del iii sec. a.C., periodo al quale risalgono i relitti di Cala Diavolo (isola di Montecristo) e della Meloria a, ubicato presso la costa livornese (Cibecchini 2011, pp. 14-15). 202 Non è da escludere, anche se attualmente di fatto indimostrabile, che i materiali del contesto a del Museo Archeologico di Cecina siano in realtà pertinenti al relitto Vada b. 200 Su tali problematiche vedi, in generale, Pasquinucci, Menchelli 1999, pp. 122-141 e, in particolare per il periodo romano, Genovesi 2013b, pp. 556-554. 199 Massa 1980-81, pp. 223-263; Massa 1982, pp. 56-60; Massa 1982-1983, pp. 167-181; Parra 1986, p. 435; Regoli, Terrenato 2000, pp. 94-95. Sui relitti della costa volterrana vedi, da ultimo, Bargagliotti, La Monica 2013, pp. 44-51 (non esente da imprecisioni). 198 201 Rotte e commerci lungo la costa volterrana tra ii e i sec. a.C. degli scali intermedi a fini commerciali e la diffusione della pratica della rottura dei carichi 203. Paradigmatico appare, in questo senso, proprio il caso del relitto del Fine (fig. 19.1: contesto b=Vada a), per il quale costituisce un cogente termine di confronto il già citato relitto di Spargi. L’imbarcazione, il cui carico venne, almeno in parte, assemblato dal mercator Manius Rufius, dovette salpare da un porto campano (fig. 3) con un carico che, con l’eccezione dell’anfora punica e della ceramica a vernice nera di produzione calena, rimane per noi in quasi del tutto ignoto; in una tappa successiva, presso un approdo dell’ager Cosanus (Albinia?), entrano a far parte del carico anfore di tipo Dressel 1b e c. L’ultimo scalo avviene infine lungo le coste dell’ager Volaterranus, dove verosimilmente vengono imbarcati i manufatti in bronzo. Testimonianze isolate e segnalazioni pertinenti al periodo compreso tra la seconda metà del ii e la metà del i sec. a.C. – spesso non riconducibili con certezza a relitti – sono attestate lungo tutta la fascia costiera compresa tra le foci del Cecina e del Fine e nell’area delle secche di Vada. Dal tratto di mare antistante la foce del Cecina – in particolare dall’area nota come la “Secchitella”, a nord della foce (fig. 19.9) – provengono due anfore olearie di forma Lamboglia 2 di produzione adriatica (fine ii-metà i sec. a.C.), una pelvis (iii-ii sec. a.C.), una macina in pietra lavica e anfore della prima età imperiale 204. Tre, incluso quello della foce del Fine, sono i giacimenti che è possibile identificare con relitti con carichi di Dressel 1, databili tra l’ultimo quarto del ii e i decenni centrali del i sec. a.C. All’individuazione (1974), ad opera dei sub del Circolo Subacqueo Nettuno di Cecina, di un giacimento di anfore alla distanza di 1 km circa a sud-ovest della foce del Cecina (fig. 19.8), ha fatto seguito nel 1979 il recupero di dodici anfore di tipo Dressel 1b e 1c di incerta produzione; due contenitori dello stesso tipo, porzioni del fasciame e una macina in pietra sono stati recuperati successivamente 205. Cibecchini 2004, p. 10. Si tratta di due anfore vinarie di tipo Dressel 2-4 di produzione tarraconense e di una Dressel 2-4 di produzione italica (Massa 1982, p. 56), attualmente esposte presso il Museo Archeologico di Cecina, assieme agli altri materiali ricordati. L’eterogeneità dei materiali consente di escluderne la pertinenza ad un unico relitto, mentre esiste la possibilità che nell’area della Secchitella, prossima alla foce del Cecina, vi fosse un punto di ancoraggio per tutte quelle imbarcazioni non in grado di risalire il fiume (v. infra). I rinvenimenti in oggetto sono invece definiti come “relitto della Secchitella” in Bargagliotti, La Monica 2013, p. 51. 205 Massa 1982, p. 56; Parra 1986, pp. 434-435; Parker 1992, p. 442; Bargagliotti, La Monica 2013, pp. 50-51 (con riferimenti ai documenti dell’archivio sbat di Firenze). I materiali 203 93 Ancora più scarse sono le notizie relative ad un terzo relitto, ubicato in corrispondenza delle Secche di Vada (fig. 19.10); un recupero del 2000, realizzato durante una battuta di pesca, ha portato al recupero sei anfore di tipo Dressel 1 integre e di altri frammenti pertinenti ad almeno quattro anfore, delle quali tre da identificare con certezza con Dressel 1 206. Se da un lato i rinvenimenti subacquei consentono di cogliere l’intensità dei traffici lungo la costa volterrana tra ii e i sec. a.C., più difficile appare, sulla base dei dati archeologici noti, la lettura dell’assetto del sistema portuale di questa stessa regione. In loc. Galafone (fig. 19.2), in corrispondenza della riva meridionale della foce del Fine, rinvenimenti occasionali 207 e ricognizioni di superficie 208 hanno individuato l’esistenza di un insediamento con tracce di frequentazione di epoca protostorica 209, ancora attivo in età repubblicana (iii-i sec. a.C.) e nella prima età imperiale, quando il sito ospita anche una manifattura di anfore da trasporto di tipo Dressel 2-4 e di ceramica di uso comune. Poco più a sud, in corrispondenza di una duna costiera, un secondo insediamento si sviluppa, anch’esso già in età protostorica (viii-vii sec. a.C.), presso S. Gaetano di Vada (fig. 19.3); un ridotto numero di frammenti di ceramica a vernice nera ne attesta la frequentazione in età tardo-repubblicana, prima che un vasto quartiere portuale venga realizzato in questa stessa area in età augustea, fino al vi-vii sec. d.C. 210. La presenza di un insediamento – del quale appare impossibile determinare l’eventuale vocazione commerciale – presso l’attuale centro abitato di Vada è peraltro confermata da più rinvenimenti pertinenti ad almeno due distinte aree di necropoli ubicate nelle immediate vicinanze dell’attuale centro abitato di Vada; in loc. il Poggetto (fig. 19.4) ad una prima fase attestata da una sepoltura a ziro databile tra v e iii sec. a.C. fa seguito una più consistente frequentazione con numerose sepolture, tra la fine del ii e il i sec. a.C. 211; è inoltre genericamente riferibile a Vada anche il ritrovamento di una tomba a camera con materiali databili tra iii e i sec. a.C. 212. 204 in oggetto sono attualmente esposti nel Museo Archeologico di Cecina. 206 Bargagliotti, La Monica 2013, p. 48 (con riferimenti ai documenti dell’archivio sbat di Firenze). I materiali in oggetto sono attualmente custoditi presso un deposito della Guardia di Finanza a Livorno. 207 Ciabatti 1965, p. 9. 208 Pasquinucci et al. 1998, p. 107. 209 Pasquinucci, Gambogi 1997, pp. 226-227. 210 Pasquinucci c.s. 211 Massa 1974, pp. 65-72. 212 Bizzarri 1958. 94 S. Genovesi, M. Giorgio, V. Palleschi, C. Rizzitelli Insediamenti costieri di notevole importanza sono noti nell’area della foce del Cecina; 1 km circa a Nord di quest’ultima, in loc. La Mazzanta (fig. 19.5), si sviluppa, verosimilmente già alla fine del II sec. a.C., un quartiere artigianale attivo nella produzione di anfore di tipo Dressel 1b, destinate alla commercializzazione del vino locale 213. Difficilmente leggibili sono, infine, i dati relativi al tratto di costa ubicato a sud della foce del Cecina, anch’esso parte del territorio di Volterra; sul piccolo rilievo del Poggio al Fico, sul quale verrà edificata, nel terzo quarto del i sec. a.C., la villa di S. Vincenzino (fig. 19.7), un insediamento (rurale?) è già attivo tra il iii e del il ii sec. a.C. 214, mentre, più a sud, nessuno dei siti identificati nel corso delle indagini di superficie – mai pubblicate in modo analitico – degli anni ’80 sembra identificabile con un approdo di qualche tipo 215. All’interno di questo quadro strettamente archeologico, nel quale è necessario considerare, come ulteriore ‘variabile’, anche gli eventuali mutamenti dell’assetto paleoambientale dell’area costiera, sembra quantomeno possibile mettere in evidenza il ruolo dell’area della foce del Cecina. In questo settore è ubicato il quartiere artigianale de La Mazzanta, dove si producono anfore da trasporto dalla fine del ii sec. a.C., mentre, di fronte alla costa, sono localizzati i rinvenimenti dell’area della Secchitella e il relitto della Foce del Cecina; di non secondaria importanza è, nell’immediato retroterra, la presenza dell’insediamento di Poggio al Fico e, immediatamente a nord del fiume, dell’insediamento di Pod. del Pozzo (fig. 19.6), forse da identificare con una mansio posta lungo la viabilità principale 216. Gli scarsi dati relativi ai rinvenimenti subacquei non consentono di definire dimensioni e caratteristiche delle imbarcazioni affondate alla foce del Cecina in prossimità delle coste volterrane; è, quindi, solo possibile ipotizzare che lo scalo potesse configurarsi, più che come un vero e proprio porto, come punto 213 Cherubini, Del Rio 1997, p. 133; Cherubini, Del Rio, Menchelli 2006, p. 74. Un secondo insediamento, anch’esso attivo nella produzione di anfore di tipo Dressel 1b, è ubicato poco più ad est, a breve distanza dalla riva settentrionale del Cecina, in loc. Podere del Pozzo (Cherubini, Del Rio 1997, pp. 133-134; Cherubini, Del Rio, Menchelli 2006, p. 74). 214 Genovesi 2013a, pp. 234-235, tav. i (per le anfore vedi anche Genovesi 2013b, pp. 541-543). 215 Terrenato, Saggin 1994, pp. 465-482. Lungo la pianura costiera posta a Sud della foce del Cecina il popolamento di tarda età repubblicana, costituito da fattorie di piccole e medie dimensioni e da strutture di maggiore importanza – forse da identificare con ville – si concentra all’interno di una fascia posta ad una distanza mai inferiore ai 2 km dall’attuale linea di costa. 216 Cherubini, Del Rio 1995, p. 357. Cherubini, Del Rio, Menchelli 2006, pp. 74-76. di ancoraggio, presso il quale potevano svolgersi le operazioni di scarico e carico delle merci imbarcate sulle onerariae, gran parte delle quali certamente non in grado di risalire il fiume 217. Più difficile da definire è l’eventuale esistenza e/o consistenza, in questo stesso periodo, di un secondo scalo più a Nord, nell’area compresa tra l’insediamento abitato di Vada e la foce del Fine. L’esistenza di un sistema portuale in grado di svolgere il ruolo di interfaccia tra la rete commerciale del bacino occidentale del Mediterraneo e il territorio di Volterra è peraltro attestata, per la tarda età repubblicana, dalle fonti scritte 218. Il noto brano di Livio relativo alle forniture effettuate dalle città etrusche in favore di Roma nel 205 a.C., all’indomani dell’ultimo e decisivo sforzo bellico contro Cartagine, ricorda come i Volterrani contribuirono con interamenta navium et frumentum 219. Al di là del significato del termine interamenta 220, tutt’altro che certo, il principale dato desumibile dal passo liviano è la generica esistenza, alla fine del iii sec. a.C., di una attività cantieristica lungo le coste volterrane 221. La menzione dei consoli in carica consente di datare all’83 a.C. un passaggio della Pro Quinctio di Cicerone 222 nella quale viene ricordato l’incontro di In questo senso, più che in relazione a naufragi, potrebbero leggersi i rinvenimenti di ceppi d’ancora in piombo, effettuati in prossimità della foce del Cecina (area della Secchitella) e, più a nord, nelle acque antistanti Vada (Massa 1982, pp. 56-58). 218 Per una disamina delle fonti relative all’assetto portuale della costa volterrana vedi, da ultimo, Sangriso 2011, pp. 171-214. 219 Liv. xxxviii, 45, 14-18: «Caerites frumentum sociis navalibus commeatumque omnis generis, Populonenses ferrum, Tarquinienses lintea in vela, Volaterrani interamenta navium et frumentum, Arretini tria milia scutorum, galeas totidem, pila gaesa hastaslongas, milium quinquaginta summam pari cuiusque generis numero expleturos, secures rutra falces alveolos molas quantum in quadraginta longas naves opus esset, tritici centum viginti milia modiumet in viaticum decurionibus remigibusque conlaturos; Perusini Clusini Rusellani abietem in fabricandas naves et frumenti magnum numerum; abiete <et> ex publicis silvis est usus». 220 Per tale problematica, si veda l’approfondita trattazione in Sangriso 2001, pp. 177-179. 221 Secondo P. Sangriso (Sangriso 2011, pp. 179-180) un passo di Polibio (ii, 27, 1-2), relativo allo sbarco a Pisa delle legioni del console Gaio Atilio nel 225 a.C., costituirebbe una testimonianza implicita dell’inadeguatezza del sistema portuale volterrano rispetto alla flotta del console, attestandone quindi la scarsa portuosità. Il passo polibiano, tuttavia, oltre a non fornire informazioni dirette sull’assetto portuale della costa volterrana in questo periodo, non ci ragguaglia sufficientemente rispetto alle motivazioni (di natura logistica, militare, ecc.) che avrebbero guidato la scelta di Atilio, il quale, poco tempo dopo lo sbarco, raggiunge e sconfigge un esercito di Celti presso Talamone. In assenza di tali dati, qualsiasi ipotesi e/o ricostruzione della problematica in oggetto costituisce un pericoloso argumentum ex silentio. 222 Cic. Pro Quinctio, vi, 24: «Roma egreditur ante diem II Kalend. Februarias Quinctius Scipione et Norbano coss. Quaeso, ut eum diem memoriae mandetis. L. Albius Sex. filius Quirina, vir 217 Rotte e commerci lungo la costa volterrana tra ii e i sec. a.C. Quintius e di un secondo personaggio di nome L. Albius con una terza persona, L. Publicius, verosimilmente un mercator, nella regione costiera definita Vada Volaterrana 223. Quest’ultimo risulta infatti essere di ritorno dalla Gallia con un certo numero di pueri venales, ossia di schiavi, evidentemente da vendere sul mercato di Roma; dal momento che appare poco probabile un viaggio dalla costa gallica per via di terra, l’ipotesi più probabile è che L. Publicius abbia viaggiato via mare, su un’imbarcazione che ha effettuato uno scalo presso un approdo della costa volterrana. L’incontro avviene verosimilmente nel corso del mese di febbraio, ossia in pieno inverno, nel corso della stagione del mare clausum; questo, tuttavia, non significa necessariamente che il traffico commerciale fosse interamente bloccato. Appare, infatti, poco plausibile che L. Publicius si trovasse alla fonda presso i Vada Volaterrana col suo carico di schiavi destinati al mercato romano, attendendo per un periodo di tempo potenzialmente lungo alcuni mesi il ritorno della bella stagione 224. La testimonianza ciceroniana, assai prossima all’orizzonte cronologico del contesto b (primo quarto del i sec. a.C.), ci permette di contestualizzarne la presenza lungo la costa volterrana all’interno di un quadro in cui gli approdi di questo settore dell’Etruria settentrionale erano ormai pienamente inseriti nelle rotte commerciali che collegavano l’Italia tirrenica ai mercati della Gallia. Non casuale appare, in particolare, il tipo di carico, costituito da schiavi; la testimonianza di Diodoro Siculo, che indica in un’anfora il costo per uno schiavo gallico (Diod. v, 26, 3), consente di definire alcune delle caratteristiche dei carichi della rotta di ritorno, certamente costituiti in larga parte da schiavi da immettere nel mercato romano. Il toponimo impiegato da Cicerone per definire la costa afferente al territorio di Volterra – Vada Volaterrana – appare già quello che ricorre, con lievi variazioni, nelle fonti di età imperiale (Plinio 225; bonus et cum primis honestus, una profectus est. Cum venissent ad Vada Volaterrana quae nominantur, vident perfamiliam Naevi, qui ex Gallia pueros venales isti adducebat, L. Publicium; qui, ut Romam venit, narrat Naevio, quo in loco viderit Quinctium». 223 Si veda, per il significato da attribuire a tale espressione, Sangriso 2011, pp. 171-214. 224 Contra Sangriso 2011, pp. 179-180. 225 Plinio, n.h., iii, 50 «Primum Etruriae oppidum Luna, portu nobile, colonia Luca a mari recedens propiorque Pisae inter amnes Auserem et Arnum, ortae a Pelopidis sive a Teutanis, Graeca gente. Vada Volaterrana, fluvius Caecina, Populonium, Etruscorum hoc tantum in litore); iii, 80 (In Ligustico mari est Corsica, quam Graeci Cyrnon appellavere, sed Tusco proprior, a septentrione in meridiem proiecta, longa passuum CL, lata maiore ex parte L, circuitu cccxxv. Abest a Vadis Volaterranis lxvii…». 95 Rutilio Namaziano 226) e nelle opere corografiche compilate in età medievale 227; unica e parziale eccezione è il testo dell’Itinerarium maritimum 228, nel quale compare unicamente il termine Vadis. Un possibile – e verosimile – emendamento ad un passo straboniano relativo alle distanze marittime tra gli insediamenti costieri dell’Etruria settentrionale 229 prevede la sostituzione del termine Οὐολατέρραϛ, introdotto nelle edizioni più recenti dell’opera di Strabone al posto dei termini Οὐαδετέρραϛ o Οὐαλδεστέρραϛ attestati tuttavia nei principali manoscritti 230. Secondo la proposta di Cuntz 231, convincente sotto il profilo delle distanze reali e del senso generale del passo straboniano 232, essi sarebbero la corruzione dell’espressione Οὐαδα Οὐολατέρραϛ, corrispondente, come si vede, al toponimo menzionato nella Pro Quinctio 233. Se quest’ultimo fosse derivato a Strabone dalle sue fonti (Polibio?), allora si potrebbe ipotizzare che il toponimo sia stato in uso già nel corso del ii sec. a.C. Che cosa debba intendersi con il termine Vada e se tale termine può darci qualche informazione 226 Rut. Nam, De reditu suo, i, 453-454: «In Volaterranum, vero Vada nomine, tractum ingressus dubii tramitis alta lego»«. 227 Anon. Rav.: Vadis Volatianis» (336, 4), «Badis Volatianis» (268, 6); Guidone: «Vadis Volatianis» (511, 16), «Vadis Voliternis» (474, 22), in Ravennatis Anonymi Cosmographia et Guidonis geographica, a cura di M. Pinder e G. Parthey, Berlino 1860 (ristampa Aalen 1962). Si veda anche la Tabula Peutingeriana, nella quale il toponimo è riportato come Vada Volateris. 228 Itin. Mar. 501, 3-4: «a Populonio Vadis, portus, mpm XXX, a Vadis portu Pisano mpm xviii» 229 Strabo v, 2, 5 (C 223). Successivamente Strabone (v, 2,, 6 = C 223) mette in evidenza come il territorio di Volterra fosse bagnato dal mare. 230 Per tale complessa problematica si veda, da ultimo, Sangriso 2011, pp. 180-181. 231 Cuntz 1902, pp. 23-24. 232 Le distanze fornite da Strabone sono relative a siti della costa; Pisa e Volterra, inoltre, distano molto più dei 280 stadi (51,8 km circa) riportati nel testo, più congrui, invece, nel caso della distanza tra la foce dell’Arno e l’area posta alla foce del Cecina. Il calcolo di tali distanze viene affrontato in Sangriso 2011, pp. 180-184, nel quale la misura riportata da Strabone viene confrontata con quella ricavabile; ne risultano tre distinte distanze, due delle quali legate ai dati del testo di Strabone, ipoteticamente da calcolare in stadi fileteri o alessandrini, e una determinata sulla base del testo dell’Itinerarium maritimum (501, 4-5). Nel complesso, tenuto conto degli errori determinati dai dati antichi, l’area nella quale si ricade è compresa tra la sponda Nord del Cecina e l’attuale abitato di Vada. 233 Il toponimo non compare nell’opera geografica di Pomponio Mela (ii, 4, 72), nel quale, in relazione alla costa volterrana, è invece presente il termine «Caecina: Ultra Pyrgi, Minio, Castrum novum, Graviscae, Cosa, Telamon, Populonia, Caecina, Pisae, Etrusca et loca et <no>mina». L’integrazione <flu>mina, in luogo di <no>mina, riportata nel Codice Vaticano Latino 4929, è stata proposta da Cluverius (Pomponii Melae De chorographia libri tres, a cura di G. Ranstrand, Göteborg 1971, p. 37) sulla base della menzione di almeno un fiume (il Minio). Vedi anche Sangriso 2011, p. 185. 96 S. Genovesi, M. Giorgio, V. Palleschi, C. Rizzitelli in merito al sistema portuale della costa volterrana è questione assai dibattuta; appare convincente la ricostruzione proposta di recente, secondo la quale Vada deve essere inteso come bassofondo, guado e non come secca, 234 come è stato talvolta tradotto 235; in questo senso andrebbe inteso anche il racconto di Rutilio Namaziano 236, la cui piccola imbarcazione – una cymba 237 – starebbe in realtà entrando all’interno di una laguna e non navigando in mare aperto delle secche. Per quanto le vicende del De reditu suo siano distanti dall’orizzonte cronologico tardo-repubblicano, il toponimo stesso, già in uso almeno cinque secoli prima, consente cautamente di tratteggiare, per la costa volterrana, un quadro paleoambientale caratterizzato dall’assenza di approdi naturali di dimensioni rilevanti e dalla presenza contestuale di lagune interne, comunque non adatte all’approdo della maggior parte delle navi da carico. L’esistenza di estesi bassi fondali (le Secche di Vada) in prossimità della costa ha inoltre costituito un elemento di notevole pericolosità per le imbarcazioni, fossero esse in transito o dirette verso uno dei porti della costa; è, in definitiva, all’interno di tale quadro che potrebbe essersi delineata la necessità di impiegare punti di approdo relativamente sicuri – la foce del Cecina e eventuali altri – dove poter sostare il tempo necessario alle operazioni di carico e scarico delle merci. Se l’imbarcazione del contesto a potrebbe essere affondata al largo, forse in prossimità delle secche, mentre transitava lungo le coste volterrane, l’imbarcazione del contesto b potrebbe invece essere affondata in prossimità della foce del Fine nel tentativo di riprendere il largo dopo aver effettuato una sosta qui o in un altro settore della regione. [S. G.] Sangriso 2011, pp. 190-201, con bibl. Prec. Con questo significato in Fo 1992: Entro nel tratto di Volterra, che ha nome giustamente Vada, seguo un incerto percorso fondo fra le secche. A favore di tale traduzione M. Pasquinucci (vedi, a titolo esemplificativo, Pasquinucci, Menchelli 1999, 122-141; Pasquinucci, Menchelli 2012, 139-152). Una diversa traduzione è tuttavia presente in altre edizioni, quali quella di Castorina (Castorina 1967) Ora, entrato nella zona di Volterra cui giustamente è nome Vada, / percorro ove l’acqua è profonda infido canale. 236 I, 453-462: In Volaterranum, vero Vada nomine, tractum ingressus dubii tramitis alta lego. Despectat prorae custos clavumque sequentem dirigit et puppim voce monente regit. Incertas gemina discriminat arbore fauces defixaque offert limes uterque sudes. Illis proceras mos est adnectere lauros, conspicuas ramis et fruticante coma, ut praebente viam densi symplegade limi servet inoffensas semita clara notas. 237 Cfr. Liv., XXVI, 45, 7; Cic., De officiis, III, 58-59; Plin., N. H., IX, 33, 35; 145. 234 235 5. Reperti di epoca moderna I nove reperti rinvenuti in occasione del riordino dei magazzini del Museo Civico di Cecina collocabili cronologicamente nell’età moderna appartengono a classi e materiali differenti. Quattro oggetti sono in ceramica in classi differenziate per tecnologia e cronologia e sono tutti riconducibili a forme chiuse. Si tratta di due boccali frammentari ingobbiati e graffiti a punta policromi di produzione pisana (tav. vii: gr.p.1-2) collocabili nel corso del xvi secolo (forse verso la fine). Essi presentano diffuse concrezioni dovute alla prolungata presenza in acqua marina, il cui rivestimento appare parzialmente eroso ed il corpo ceramico fluitato nelle fratture. Entrambi presentano la stessa morfologia con orlo trilobato, ansa a nastro agganciata sotto l’orlo, collo breve e imbutiforme e corpo ovoidale. Il diametro superiore è identico (10-11 cm). Hanno decorazione graffita come segue: sul collo sequenza orizzontale con tratti obliqui entro linee orizzontali; sul corpo sequenze verticali con graticci; sull’ansa spirali verticali (fig. 20). Le decorazioni graffite sono arricchite con pennellate di colore verde e giallo. Tale tipologia risulta molto diffusa in ambito pisano ed è prodotta in maniera continuata per tutto il Cinquecento 238. Un’altra forma chiusa è relativa ad un barattolo invetriato monocromo marrone con concrezioni diffuse che hanno portato al distacco parziale della vetrina di produzione bassovaldarnese (tav. viii: inv.1). Esso è stato rinvenuto quasi del tutto integro (fig. 21). La forma e le dimensioni (diam. sup. 14,8 cm; h 12,9 cm; diam. inf. 13,2 cm) trovano un confronto piuttosto diretto in un albarello in maiolica policroma prodotto dalla Ginori di Doccia e databile entro la prima metà del xix secolo 239. Ma recipienti di forma simile, ed ugualmente invetriati, sono piuttosto diffusi nei contesti della Toscana settentrionale e databili tra la seconda metà del xviii e gli inizi del xix secolo 240. Infine, è stato rinvenuto un tappo-bicchiere 241 (tav. viii: prd.1) in ceramica priva di rivestimento depurata di piccole dimensioni (diam. sup. 4,2 cm; altezza parziale 10,3 cm) prodotto probabilmente nella Toscana settentrionale. Esso è quasi del tutto integro (mancando solo parte del fondo) e trova con- 238 Si veda Alberti, Giorgio 2014. Un ulteriore confronto tra reperti rinvenuti in relitti è possibile con Firmati 1998, p. 174. 239 Giorgio 2013, p. 224. 240 Giorgio, Clemente 2012, p. 175 e p. 178. 241 Definito in questa maniera perché utilizzato tanto per coprire i colli delle bottiglie in vetro, tanto per sorseggiare liquidi. Rotte e commerci lungo la costa volterrana tra ii e i sec. a.C. tav. vii – Boccali ingobbiati e graffiti a punta policroma di produzione pisana (xvi secolo). fronti piuttosto diretti in contesti pisani e fiorentini databili alla metà circa del xviii secolo 242. Il restante vasellame è in lega metallica (bronzo) in sole forme aperte. Il nucleo più consistente è costituito da quattro piatti identici per forma e dimensioni (diam. sup. 33,5 cm; h 4,7 cm) databili tra xviii e xix secolo (tav. ix: met.1-4). Essi presentano orlo arrotondato verticale con parete che forma una piccola rientranza ad ‘u’ prima di distendersi in una tesa piana inclinata verso l’interno; corpo ampio e basso di forma lenticolare, senza piede. In tre casi presentano un sottile barra rettangolare sporgente dall’orlo con foro circolare al centro. I reperti hanno incrostazioni diffuse e spesse che in alcuni casi li ricoprono interamente. Ad essi va associato un altro piatto con medesima datazione (tav. ix: met.5) identico per forma ai quattro precedenti ma che si differenzia per maggiori dimensioni (diam. sup. 36,5 cm; h 4,8 cm). Questo piatto, assieme ai precedenti, presenta alte concentrazione di piombo (25%, con tracce di antimonio e argento) compatibili con manufatti fabbricati in epoca moderna e trova confronti iconografici in recipienti simili ritratti nelle nature morte settecentesche. L’ultimo elemento in bronzo è costituito da una scodella con breve tesa su tre piedi (applicati 242 Giorgio, Trombetta 2012, p. 256, tav. 7, c; Baldi, Bruttini 2007, p. 384, tav. xii, 20.8.3. 97 fig. 20 – Boccale ingobbiato e graffito a punta policroma di produzione pisana (gr.p. 2). tav. viii – Tappo-bicchiere privo di rivestimento depurato (prd. 1) e barattolo invetriato (inv. 1) di produzione toscana (metà xviii-inizi xix secolo). successivamente) con due anse applicate e contrapposte (diam. sup. 25 cm; altezza sino ai piedi 6,6 cm; diam. inf. 15 cm: tav. ix: met.6). Esso presenta una decorazione ottenuta tramite probabile martellatura sull’orlo e sul fondo (figg. 22-24) e l’applicazione di alcune placche (stemmi?) sulla parete esterna sottostante le anse (xviii-xx secolo?). La lega è in bronzo classico (Cu-Sn) senza piombo e antimonio con piccole tracce di argento. L’insieme dei reperti mostra nettamente come possano individuarsi due nuclei distinti di cui il primo riferibile al tardo xvi secolo ed il secondo 98 S. Genovesi, M. Giorgio, V. Palleschi, C. Rizzitelli fig. 22 – Particolare dell’ansa della scodella in bronzo met. 6. fig. 21 – Barattolo invetriato di probabile produzione bassovaldarnese (inv. 1). fig. 23 – Particolare della decorazione presente sulla tesa della scodella in bronzo met. 6. fig. 24 – Particolare della decorazione presente al centro del cavetto della scodella in bronzo met. 6. tav. ix – Piatti (met. 1-5) e scodella (met. 6) in bronzo (xviii-xix secolo). collocabile tra metà xviii e inizi xix secolo circa. Il primo gruppo comprende i soli due boccali ingobbiati e graffiti per i quali, non potendo associare altro vasellame alla stessa cronologia, si potrebbe pensare che siano finiti in tale contesto in maniera fortuita. Non si esclude, in ogni caso, la possibile presenza di un relitto cinquecentesco 243. Il secondo gruppo, di cronologia più recente, è il più consistente poiché riunisce sia tutti gli og- getti metallici che i restanti manufatti in ceramica suggerendo la possibilità di un insieme omogeneo appartenente ad uno stesso relitto. La qualità non eccellente dei contenitori ceramici e la semplicità di quelli metallici (met.1-5) potrebbe indicare che tali recipienti facessero parte non tanto del carico dell’imbarcazione quanto del suo corredo di bordo. 243 Reperti provenienti da relitti e databili al xvi secolo sono stati recentemente editi in Rendini, Ciampoltrini 2013. Schede reperti gr.p.1 Boccale. 1 fr. Profilo incompleto. Orlo trilobato arrotondato, appena assottigliato, collo breve ed imbutiforme con Rotte e commerci lungo la costa volterrana tra ii e i sec. a.C. strozzatura poco pronunciata, corpo ampio e globulare. Sotto l’orlo è attaccata l’ansa a nastro appena insellata. Il reperto, rinvenuto in mare, ha incrostazioni ampie e diffuse che lasciano appena intravedere il rivestimento vetrificato interno (sottile ed incolore) e quello ingobbiato e vetrificato esterno. All’esterno presenta decorazione graffita su ingobbio con sequenza orizzontale di tratti obliqui sul collo entro linee orizzontali doppie, mentre sul corpo sono presenti sequenze verticali di graticci alternate a linee ondulate discendenti. Si riconoscono pennellate di colore verde a completamento del decoro. Diametro sup. 10 cm. Corpo ceramico: rosso-arancio (2.5 yr 5/8), molto duro, poco poroso, rari vacuoli globulari inferiori al mm, rari inclusi bianchi e brillanti molto inferiori al mm. Centro di produzione: Pisa. Datazione: tardo xvi secolo (da cfr). Berti, Tongiorgi 1982, p. 170, fig. 14; p. 172, tav. viii, 1-2. gr.p.2 Boccale. 1 fr. Profilo incompleto. Orlo arrotondato indistinto, collo breve ed imbutiforme con strozzatura poco pronunciata, corpo ampio e globulare. Sotto l’orlo è attaccata l’ansa a nastro appena insellata. Il reperto, rinvenuto in mare, ha alcune incrostazioni e presenta fratture molto fluitate. All’interno presenta vetrina sottile di colore marrone mediamente brillante, che arriva sino sull’orlo e colature di ingobbio bianco sotto vetrina per tutta l’altezza del collo. All’esterno ha ingobbio bianco, sottile ed opaco, sotto vetrina incolore sottile e poco brillante. All’esterno presenta decorazione graffita con sequenza orizzontale di tratti obliqui sul collo entro linee orizzontali doppie, mentre sul corpo sono presenti sequenze verticali di graticci alternate ad una fascia frontale ampia (forse contenente un motivo principale). Sull’ansa è presente una graffitura a spirale. Si riconoscono pennellate di colore verde a completamento del decoro. Diametro sup. 11 cm. Corpo ceramico: rosso-arancio (2.5 yr 5/8), molto duro, poco poroso, rari vacuoli globulari inferiori al mm, rarissimi globulari e/o allungati di circa 1 mm o superiori, inclusi bianchi molto inferiori al mm mediamente diffusi. Centro di produzione: Pisa. Datazione: tardo xvi secolo (da cfr). Berti, Tongiorgi 1982, p. 170, fig. 14; p. 172, tav. viii, 1-2. inv.1 Barattolo. 1 fr. Profilo completo. Orlo arrotondato indistinto ed estroflesso, con strozzatura subito sotto l’orlo; corpo cilindrico basso ed ampio con evidenti linee di tornitura all’interno; piede a disco appena accennato. Il reperto, rinvenuto in mare, ha molte incrostazioni e presenta fratture molto fluitate. All’interno e all’esterno presenta la stessa vetrina marrone molto coprente e abbastanza brillante, con craquelé diffuso, parzialmente distaccata a causa delle incrostazioni e della prolungata permanenza in acqua. La vetrina non è presente sul fondo esterno che risulta privo di rivestimento. Diametro sup. 14,8 cm; h 12,9 cm; diametro inf. 13,2 cm. Corpo ceramico: rosso-arancio (2.5 yr 5/8), molto duro, poco poroso, rari vacuoli globulari inferiori al mm, rari inclusi bianchi e neri molto inferiori al mm. Centro di produzione: Basso Valdarno (Pisa o altro centro extra-urbano). Datazione: seconda metà xviii-inizi 99 xix secolo circa (da cfr). Giorgio, Clemente 2012, p. 175 e p. 178; Giorgio 2013, p. 224. pdr.1 Tappo-bicchiere. 1 fr. Profilo incompleto. Orlo arrotondato assottigliato, corpo cilindrico lungo e stretto con restringimento verso il fondo, con evidenti linee di tornitura verso il fondo. Il reperto, rinvenuto in mare, ha alcune incrostazioni e presenta fratture fluitate. Le pareti risultano prive di rivestimento sia all’esterno che all’interno con leggero scurimento superficiale che potrebbe anche essere dovuto alla prolungata esposizione all’acqua e ad un’eccessiva cottura in fornace (stracotto). Diametro sup. 4,2 cm; altezza parziale 10,3 cm. Corpo ceramico: marrone scuro con scurimento superficiale interno ed esterno di colore nero di circa un mm, abbastanza duro, poco poroso, con rari vacuoli globulari inferiori al mm, rari inclusi bianchi inferiori al mm. Centro di produzione: Toscana settentrionale? Datazione: metà xviii secolo circa (da cfr). Giorgio, Trombetta 2012, p. 256, tav. 7, c; Baldi, Bruttini 2007, p. 384, tav. xii, 20.8.3. met.1-4 4 Piatti. 4 frr. Profili completi in 3 casi, incompleto in un caso, stessa forma e morfologia. Orlo arrotondato verticale con parete che forma una piccola rientranza ad U prima di distendersi in una tesa piana inclinata verso l’interno; corpo ampio e basso di forma lenticolare, senza piede. In tre casi presentano un sottile barra rettangolare sporgente dall’orlo con foro circolare al centro. I reperti, rinvenuti in mare, hanno incrostazioni diffuse e spesse che in alcuni casi li ricoprono interamente. Diametro sup. 33,5 cm; altezza 4,7 cm. Metallo: bronzo. Centro di produzione: non det. Datazione: xviii-xix secolo? Scaravella, Sisti 2011, pp. 37 e 43. met.5 Piatto. 1 frr. Profilo completo. Orlo arrotondato verticale con parete che forma una piccola rientranza ad ‘u’ prima di distendersi in una tesa piana inclinata verso l’interno; corpo ampio e basso di forma lenticolare, senza piede. Il reperto, rinvenuto in mare, presenta incrostazioni diffuse e spesse che lo ricoprono quasi interamente. Diametro sup. 36,5 cm; altezza 4,8 cm. Metallo: bronzo. Centro di produzione: non det. Datazione: xviii-xix secolo? Scaravella, Sisti 2011, pp. 37 e 43. met.6 Scodella. 2 frr. Profilo completo. Orlo triangolare unito a prese tesa piana e orizzontale; corpo basso e non molto ampio di forma quasi emisferica; fondo sagomato e convesso al quale sono fusi, all’esterno, tre piedi rettangolari bassi e sagomati. All’esterno presentava due manici contrapposti (ne è stato rinvenuto uno solo superstite) fusi sotto l’orlo e presentava sotto ambo i manici delle placche a forma di stemma. L’orlo, la tesa, il manico, i piedi e il centro della forma conservano una decorazione impressa o martellata. Il reperto, rinvenuto in mare, presenta alcune incrostazioni che lo ricoprono e risulta in parte danneggiato dalla 100 S. Genovesi, M. Giorgio, V. Palleschi, C. Rizzitelli fig. 25 – Screenshot del modello 3d e della posizione ricostruita della fotocamera in fase di acquisizione. prolungata esposizione all’acqua. Diametro sup. 25 cm; altezza sino ai piedi 6,6 cm; diametro inf. 15 cm. Metallo: bronzo. Centro di produzione: non det. Datazione: xviiixix secolo? [M. G.] 6. La Fluorescenza a Raggi x I principi fisici della fluorescenza x si basano sulla possibilità di indurre transizioni elettroniche fra gli orbitali più interni degli atomi utilizzando radiazione elettromagnetica di energia adeguata, ovvero raggi x o raggi gamma. Queste transizioni possono avere come risultato l’emissione di radiazione x ad energie caratteristiche che permette di identificare la specie atomica interessata dalla transizione e la sua abbondanza. La generazione dei raggi x di fluorescenza nella materia avviene in uno strato superficiale del campione che non supera le decine di micron, di conseguenza l’informazione analitica riguarda solo gli strati più superficiali del materiale. Questa caratteristica costituisce una limitazione particolarmente severa nei casi di diagnosi dei reperti archeologici, che si presentano spesso deteriorati o coperti da patine e prodotti di corrosione, tanto da rendere la composizione della superficie non significativa del resto del materiale; un’analisi quantitativa, quindi, può diventare estremamente complessa. Nel nostro caso, l’analisi quantitativa dei materiali di interesse è stata effettuata utilizzando il metodo dei parametri fondamentali discusso per la prima volta da de Boer, Brouwer 1990 e implementato utilizzando il software open source pymca descritto da Solé et al. 2007. Il principio del metodo si basa sulla relazione fondamentale che lega il numero di conteggi di una determinata riga di fluorescenza alla concentrazione dell’elemento corrispondente attraverso la conoscenza dei parametri fisici (fondamentali) di quella riga, della distribuzione di energia della radiazione primaria, dell’efficienza del rivelatore e della geometria dell’esperimento. Risultati sperimentali Le misure xrf sono state effettuate utilizzando uno spettrometro prodotto dalla Amptek Inc., messo a disposizione da Art-Test s.r.l. di Luciano Marras, Pisa. Il sistema è provvisto di tubo a raggi X operante a 40 kV, con una corrente di 15 μA. Il diametro del punto di misurazione è di circa 4 mm. Il rivelatore è un Peltier-cooled Si-Drift (area 25 mm2, fwhm = 125 eV a 5.9 keV, finestra di Berillio). Sono stati analizzati 8 reperti in lega a base rame, per ognuno sono stati acquisiti diversi spettri xrf, ognuno corrispondente a 120 secondi di misura. Nel seguito sono riportate le composizioni stimate della leghe costituenti, poiché una precisa analisi quantitativa è impraticabile a causa dell’abbondante corrosione superficiale e dei fenomeni di scambio tra la superficie dei reperti e l’ambiente già menzionati in precedenza 244. Tutte le concentrazioni sono espresse in % in peso, si stima un’indeterminazione intorno a ± 5% per gli elementi maggioritari. Campione 1: met.5. Si tratta di un reperto in bronzo (lega Cu-Sn) ad alta concentrazione di piombo, con tracce di antimonio e argento. Concentrazioni stimate: Cu=60%; Sn=15%; Pb=25%; Ag=0.25%; Sb=0.25%. 244 Vedi anche la discussione in Ferretti et al. 2007 e Pardini et al. 2012. Rotte e commerci lungo la costa volterrana tra ii e i sec. a.C. È presente anche ferro intorno all’1%. Campione 2: met.6. Il corpo è in bronzo classico (Cu-Sn) senza piombo e antimonio con piccole tracce di argento. Concentrazioni stimate: Cu: 85%, Sn=15%, Ag=0.2%. Anche in questo caso è presente ferro intorno all’1%. La misura sulla parte interna dell’applicazione ha rivelato la presenza di tracce di piombo (0.4%) e arsenico (0.5%), mentre la parte esterna è molto simile al corpo del reperto. Il manico mostra una concentrazione più alta di piombo (intorno all’1%), ma nessuna traccia rivelabile di arsenico). La misura sul piedino evidenzia tracce di piombo (0.2%), oro (0.5%) e argento (0.5%). Campione 3: piede di bacile (tav. iv.e; fig. 16). Il reperto 3 è in bronzo con tracce di piombo e argento. Concentrazioni stimate: Cu: 90%, Sn=10%, Pb=0.3%, Ag=0.2%. Anche in questo caso è presente ferro intorno all’1%. Campione 4: padella (tav. vi.d). Il corpo del reperto 4 è in lega Cu-Sn con piccole tracce di piombo e argento. Concentrazioni stimate: Cu: 83%, Sn=17%, Pb=0.1%, Ag=0.1%, Fe=1%. Nel manico sembra aumentare la concentrazione di piombo (fino all’1%) e di stagno (fino al 25%). Campione 5: simpulum (tav. iv.c; fig. 4). Il campione è in lega Cu-Sn con tracce di piombo e argento. Concentrazioni stimate: Cu: 75%, Sn=25%, Pb=0.5%, Ag=0.2%, Fe=1%. Campione 6: anforetta (fig. 13b). La lega è Cu-Sn con molto piombo e tracce d’argento. Concentrazioni stimate: Cu: 55%, Sn=40%, Pb=3%, Ag=0.4%, Fe=1%. Campione 7: boccale (tav. iv.d). Il corpo è Cu-Sn con piombo e tracce d’argento. Concentrazioni stimate: Cu: 70%, Sn=25%, Pb=2%, Ag=0.3%, Fe=1%. Campione 8: brocca (fig. 8 alto a dx). Il campione è molto corroso, come si evidenzia dalla presenza di Sr sulla superficie. Si evidenziano, oltre alle righe di Cu e Sn, anche tracce di piombo e argento. Concentrazioni stimate: Cu: 75%, Sn=20%, Pb=0.5%, Ag=0.3%, Fe=2%. Modellizzazione 3d Sul campione n. 8 è stata effettuata la ricostruzione del modello 3d utilizzando un metodo fotogrammetrico 245. In fig. 25 è raffigurato il modello e la posizione (ricostruita dal software) della fotocamera Canon Powershot a720 is utilizzata per l’acquisizio245 Luhmann et al. 2007.. 101 ne del modello. Sono state utilizzate 55 immagini con risoluzione 3264×2448 pixel; il modello è stato ricostruito con un software commerciale Agisoft Photoscan versione 1.0.4. [V. P.] Stefano Genovesi*, Marcella Giorgio*, Vincenzo Palleschi**, Claudia Rizzitelli*** Riferimenti bibliografici Albanesi M. 2002, Ceramica a vernice nera dalla Campania, in Romualdi 2002, pp. 79-90. Alberti A., Giorgio M. 2013, Vasai e Vasellame a Pisa tra Cinque e Seicento. La produzione di ceramica attraverso le fonti scritte e archeologiche, con testi di C. Capelli, G. Clemente, M. Febbraro, A. Fornaciari, D. Stiaffini, Pisa. Alberti M.E. 2002, Ceramica da fuoco, in Romualdi 2002, pp. 143-177. Aranegui C. 2004, Sagunto. Oppidum, emporio y municipio romano, Bellaterra, Barcelona. 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