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Il gusto della salute Gabriella Morini Università degli Studi di

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Il gusto della salute Gabriella Morini Università degli Studi di
Il gusto della salute
Gabriella Morini
Università degli Studi di Scienze Gastronomiche
Abstract
Le preferenze alimentari dei bambini sono fortemente correlate con i
loro comportamenti alimentari. Identificare i fattori che influenzano tali
preferenze è di cruciale importanza per poter aumentare l’accettazione
di alimenti sani, quali le verdure, particolarmente poco gradite ai
bambini a causa del loro sapore amaro. I fattori genetici hanno una
rilevanza indubbia, ma la predisposizione genetica è fortemente
modificata dall’esperienza, quindi dall’esposizione ai diversi gusti fin
dalla gravidanza.
Introduzione
Riconoscere le sostanze -molecole- che arrivano a contatto con
l’organismo è importante.
Il senso del gusto ha la funzione di analizzare il contenuto di un
certo alimento riconoscendo le sostanze chimiche di cui è costituito,
permettendoci di distinguere i cibi ricchi di nutrienti indispensabili
per il nostro sostentamento (e quindi ingoiati), da quelli
potenzialmente tossici o avariati (e quindi rifiutati).
Dato che nutrirsi è una necessità, ed in natura le necessità
appagate generano piacere proprio per spingerci a soddisfare un
bisogno mentre quanto può esserci dannoso genera dolore o
avversione, molto importante quando parliamo di gusto è la
componente edonica. Nel caso del cibo il piacere sta nelle
complesse sensazioni generate dal “buon sapore” di un certo
alimento che ci piace e quindi introduciamo nell’organismo, mentre
l’avversione nel “cattivo sapore” di un altro alimento che, una volta
assaggiato non ci piace e quindi ci rifiutiamo di introdurre. Questa
componente è così importante al punto che, in fondo, mangiamo
solo quello che ci piace e se questo è vero per un adulto, lo è a
maggior ragione per i bambini: è pressoché impossibile convincere
un bambino a mangiare qualcosa che non gli piace.
E cosa ci piace: fino a poco tempo fa era la scarsità di cibo la
principale minaccia alla vita, perciò il nostro apparato gustativo si è
evoluto in modo da attirarci verso quanto è ricco di calorie, di
amminoacidi, di sali.
Lo scenario è radicalmente cambiato negli ultimi decenni: tranne
che per alcuni Paesi, le condizioni sono di grande abbondanza
alimentare, ma il nostro apparato sensoriale non ha avuto il tempo
di adattarsi al cambiamento e continua a spingerci verso quanto ci
serviva in tempi di scarsità. E la conseguenza è l’emergenza da
malattie legate a iper-alimentazione in cui ci troviamo, con obesità
e diabete a livelli impressionanti.
A questa emergenza si è cercato di rispondere in molti modi, tra
cui l’educazione alimentare, il cui messaggio è “mangia questo
perché ti fa bene”; ma gli scarsi risultati sono sotto i nostri occhi.
Non resta che un’altra via: educare il gusto, imparare ad
apprezzare quello che ci fa bene, in modo da poter continuare a
mangiare quello che ci piace, ma in “buona” salute.
E’ stato dimostrato come e le abitudini alimentari formatesi nei
primi anni di vita si mantengano fino all’età adulta, perciò parecchi
studi sono tesi ad identificare i fattori che le possono influenzare,
al fine di identificare dove è possibile intervenire per migliorare la
dieta dei piccoli e di conseguenza quella dei futuri adulti.
Quanti gusti abbiamo?
In genere nella parola “sapore” condensiamo l’insieme di
sensazioni tra loro connesse che il cibo induce e che possiamo
schematicamente suddividere in sensazioni fisiche (temperatura,
consistenza, umidità, frizione (1), sensazioni chimiche (gusto e
olfatto) e sensazioni chemestetiche (2).
Anche se comunemente “gusto” è usato come sinonimo di
“sapore”, in senso stretto questo temine andrebbe utilizzato solo
per le sensazioni chimiche rilevate da cellule specializzate presenti
nella cavità orale, le cellule gustative, sulle quali sono presenti
specifici recettori sensibili alle molecole contenute negli alimenti.
Malgrado siamo in grado di percepire un’ampia gamma di entità
chimiche, qualitativamente esse suscitano un numero limitato di
sensazioni gustative attivando recettori specifici. Ad oggi i gusti
cosiddetti fondamentali sono 5: dolce, umami, salato, amaro e
acido.
Da una semplice analisi possiamo dire che le sostanze dolci sono in
genere molto gradite e che di esse fanno parte gli zuccheri,
importante fonte energetica; che il sapore carneo è in genere
apprezzato e gli amminoacidi che costituiscono le proteine sono
fondamentali per il nostro metabolismo (oltre che apportare calorie
sono la sola fonte di N, non presente nei carboidrati e nei lipidi). Il
gusto salato è stato sviluppato dai mammiferi durante la loro
evoluzione lontano dal mare per mantenere la concentrazione dello
ione sodio a livelli accettabili: il sodio non è uno ione molto diffuso
in natura, mentre è molto importante per il corretto funzionamento
dell’organismo: da qui il forte gradimento dei mammiferi per il
gusto salato.
Invece, le sostanze amare possono essere accettate, ma solo in
bassissime concentrazioni. La maggior parte delle sostanze amare
sono prodotte dalle piante, le quali hanno evoluto la strategia di
accumulare metaboliti secondari amari (quali polifenoli, flavonoidi,
isoflavoni, terpeni e glucosinolati) per difendersi dagli erbivori e dai
patogeni. Infine anche il gusto acido, che può essere segnale di
cibo avariato, può essere tollerato e gradito solo fino a un certo
punto.
Ma se il gusto serve per identificare i nutrienti in quello che
mangiamo, come mai manca il gusto fondamentale per il sapore
grasso quando proprio i grassi coprono circa il 40% dell’assunzione
giornaliera di calorie nei paesi occidentali? Per lungo tempo si è
pensato che il loro gradimento fosse legato solo alla consistenza
(texture) che conferiscono ai cibi e alla piacevole sensazione
conseguente il loro consumo. L'esistenza di un vero e proprio
sensore, solo ipotizzata in passato, è stata dimostrata
recentemente nel ratto.
Il gusto della vita: la varietà
La varietà nel sapore è stata associata ad una maggiore varietà nel
contenuto nutritivo di un cibo; è facile derivare la conseguenza che,
se vogliamo mangiare meglio, dobbiamo ampliare il più possibile il
nostro orizzonte gustativo. In particolare il gusto amaro, non certo
uno di quelli con grande componente edonica, è associato ad
antiossidanti e micronutrienti che il nostro organismo necessita e ai
quali di recente la scienza si sta notevolmente interessando.
Non è difficile notare come i bambini abbiano una sensibilità
particolare al dolce, al grasso e al salato, con forte repulsione per
l’amaro e l’astringente, fatto che rende difficile far accettare loro le
verdure, ricche di polifenoli, flavonoidi, isoflavoni, terpeni e
glucosinolati, metaboliti secondari delle piante che spesso sono
amari o tannici, ma che, come detto, sono anche i composti ai
quali sono associate le proprietà benefiche dei vegetali.
Preferenze innate e fattori genetici
Dall’osservazione delle espressioni facciali di neonati e infanti è
stato concluso che vi è una generale innata preferenza per il
sapore dolce, umami e salato mentre sono sgraditi l’amaro e
l’acido. Si ipotizza che tali preferenze riflettano il background
evolutivo, in cui la dolcezza è associata all’apporto energetico,
mentre l’amaro a possibili sostanze tossiche.
La variabilità tra individui è stata in particolare messa in relazione
con la sensibilità all’amaro di certe sostanze quali la
feniltiocarbamide (PTC) e il 6-n-propiltiouracile (PROP), dovuta alla
presenza e funzionalità di un particolare recettore dell’amaro
(TAS2R38). Si è scoperto che chi è sensibile a queste due sostanze
presenta una maggiore densità di papille fungiformi e quindi è in
grado di percepire maggiormente sia l’amaro che il dolce.
La neofobia, la riluttanza ad assaggiare un alimento nuovo, è un
fenomeno comportamentale che compare attorno ai 18 mesi che
pure ha rilevanza evolutiva, in quanto scoraggia il consumo di
quanto può essere una nuova fonte di nutrienti, ma anche di
sostanze tossiche, in un età in cui il bambino comincia a
camminare e quindi ad esplorare quanto gli sta intorno. Perciò,
anche bambini che hanno sempre mangiato di tutto e senza
problemi, a questa età diventano più diffidenti.
L’educazione del gusto: preferenze alimentari acquisite e
l’importanza dell’esposizione precoce
Un buon onnivoro deve sapersi adattare a mangiare cose diverse a
seconda dell’habitat e delle situazioni: perciò l’uomo non è molto
legato alla componente genetica delle scelte alimentari, ma è in
grado di associare un alimento con le conseguenze dell’averlo
mangiato, quindi ad imparare cosa può mangiare e cosa no. Quindi
dalla nascita le preferenze innate e le tendenze comportamentali
cominciano ad essere modificate dall’esperienza.
In verità, anche prima della nascita siamo esposti a diversi gusti:
durante la gravidanza i composti sapidi (che hanno sapore)
presenti in quanto mangia la futura mamma passano nel liquido
amniotico e sono perciò ingoiati dal feto. Parecchi studi dimostrano
come il fatto che un feto sia stato esposto a determinati sapori
(anche molto particolari ed in genere sgraditi quale l’aglio) farà sì
che il bimbo una volta nato gradisca maggiormente quei sapori
rispetto a bambini che non sono stati esposti, dimostrando così che
già in utero può cominciare l’educazione gustativa del futuro nato.
Analogamente, vi è un passaggio di queste sostanze nel latte
materno e quindi bambini allattati al seno sarebbero esposti ad un
più ampio spettro di gusti (derivanti dalla dieta della madre) e
perciò più aperti ad accettare un nuovo vegetale alla prima
presentazione durante lo svezzamento rispetto a quelli alimentati
artificialmente. Analoghi risultati si sono ottenuti con neonati
allattati con latti artificiali addizionati di varie sostanze con diversi
gusti.
Sono ormai decine gli articoli apparsi nella letteratura scientifica
che dimostrano come il fattore più importante nel determinare la
preferenza di un bambino per un determinato alimento durante lo
svezzamento è il fatto che gli sia familiare e di come sia importante
incominciare ad educare il gusto, attraverso l’esposizione, il più
presto possibile.
La verdura si presta perfettamente a questo, in quanto è
estremamente vario il range di gusti che ci offre. Infatti la maggior
parte delle ricerche in materia utilizzano proprio i vegetali per
valutare l’efficacia dell’esposizione, anche perché, come detto,
sono in genere tra gli alimenti meno graditi a causa del loro sapore
amaro e tannico. Inoltre l’utilizzo della verdura per preparare le
pappe ha il vantaggio di “diluire” il contenuto calorico totale del
pasto, riducendo il rischio di un eccessivo apporto energetico, uno
dei problemi più frequenti nei paesi occidentali.
Quindi l’esposizione precoce ai diversi gusti è la prima regola, ma
ci vuole anche molta pazienza: è stato dimostrato come bambini di
circa 7 mesi che dimostrano particolare avversione verso un certo
vegetale, dopo 7-8 esposizioni lo accettano e di come il risultato
conseguito (accettazione di un certo vegetale) duri nel tempo.
Un recente studio longitudinale, uno dei pochi a disposizione a
causa dei costi elevati richiesti da studi di questo tipo, ha seguito
dei bambini dai primi mesi di vita fino a 22 anni ed ha concluso che
le preferenze stabilite nei primi 2-3 anni sono mantenute fino
all’età adulta.
Conclusioni
Assolutamente concordi sono le evidenze scientifiche circa
l’efficacia dell’esposizione precoce alla più ampia gamma possibile
di sapori quale sistema per educare il gusto e ridurre la diffidenza
nei confronti di nuovi alimenti nei bambini. In particolare
l’esposizione precoce alle verdure è il mezzo per rendere accetto e
gradito il gusto amaro, promuovendo il consumo di verdura nei
piccoli prima e negli adulti poi, instaurando abitudini alimentari che
portino ad un maggior consumo di cibi ricchi di micronutrienti e
antiossidanti che il nostro organismo necessita e riducendo
l’apporto calorico totale.
Che manca ad oggi è la diffusione di queste informazioni alle
future mamme, ai genitori e a chi si occupa dei piccolissimi, i soli
operatori che possono veramente agire in questo senso. E’
necessario trasmettere questo messaggio ed investire nell’educare
il gusto di conseguenza, per non morire a causa di quello che fino
a ora ci ha tenuto in vita.
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