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© Nuovo Imaie
IL DIRITTO DI AVERE DIRITTI
(ATTO PRIMO)
Il lavoro nel mondo dell’arte e della cultura?
Vi racconto una farsa che non deve finire in tragedia.
Per me è cominciata con un messaggino su twitter...
di Giulio Cavalli
H
a tutte le forme di una farsa ma ci si
adopera per non farla finire in tragedia: quando si tratta di diritti nel
mondo dell’arte e della cultura c’è
sempre una schiera pronta a decantarli. Molti meno e ben più nascosti , coloro
che si prendono la briga di spiare nella loro
gestione.
Se dovessimo trovare una data per l’inizio
di questa storia sarebbe il 1977. Che anno
quel 1977: Jimmy Carter Presidente degli
Usa; a Catanzaro comincia il processo di
Piazza Fontana; viene arrestato il bandito
Vallanzasca. Ma il 1977 è l’anno dei colori,
la televisione a colori e le prime trasmissioni
delle televisioni private. E quell’anno nasce
l’Istituto mutualistico per la tutela degli interpreti ed esecutori (Imaie): i tre più grossi
sindacati (sempre loro: Cgil, Cisl e Uil) decidono di dare vita a una “libera associazione
tra gli artisti interpreti e musicisti” per far
valere il diritto all’equo compenso, ovvero i
diritti legati alla riutilizzazione o alla riproduzione delle opere interpretate o eseguite.
Per dirla semplice: come la Siae tutela gli autori, l’Imaie avrebbe dovuto tutelare interpreti ed esecutori. La legge sul diritto d’autore, del resto è del 1941 ed è stata quindi
una buona cosa preoccuparsi di come farla
valere, trentasei anni dopo.
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24 ottobre 2015
Io, nel mio piccolo recinto di giornalista
abusivo e drammaturgo per caso, quando
mi sono imbattuto nell’Imaie, io che da monologhista non avrò mai la fortuna di andare in scena a mia insaputa, ho pensato come
sia sempre bello sapere che ci si organizzi
per i diritti, che sia una gran cosa mettersi insieme per contarsi e per contare e che
in fondo tra i mille rivoli di un Paese che si
sbraca in carrozzoni di controllori (che sono
spesso anche i controllati) ci siano anche
enti chiari, limpidi e utili.
Certo. E mi sbagliavo.
La drammaturgia migliore dell’Imaie la scrive un prefetto, pensa te, Giuseppe Pecoraro
che nel 2009, da prefetto di Roma decreta
l’estinzione dell’Imaie. Estinzione: ci sono
parole usate nella burocrazia della Pubblica amministrazione che fanno correre un
brivido sulla schiena. In pratica, spiega la
relazione allegata alla determina prefettizia,
l’Imaie ha avuto solo nel 2007 una straordinaria disponibilità di fondi, grazie al recupero di arretrati accumulati fin dal 1975 per la
musica, e a partire dal 1992 per l’audiovisivo, di 24 milioni di euro. E questo proveniente solo dalla “copia privata”, probabilmente.
Solo una parte. Ma non sono riusciti a ridistribuirli. Dice il documento che «gli organi
collegiali hanno emanato dal febbraio del
2008 un regolamento per l’assegnazione dei
contributi in favore di artisti, persone fisiche, associazioni o società richiedenti un
sostegno per la realizzazione di un progetto
artistico». Ma, udite udite, «tale regolamento si rivelava lacunoso e impreciso così da
richiedere correzioni». Immaginate un contadino abilissimo, veloce e preciso nella raccolta delle mele nei frutteti degli altri, che
diventa labirintico e incapace nel momento di ridistribuirle. Una cosa così. Normale
quindi che siano partite le indagini per un
soggetto che (si legge sempre nelle parole
della relazione) presentava «criticità dell’assetto e dell’organizzazione, oggetto di critica sotto il profilo della carenza dei caratteri
di democraticità e della parità di trattamento», riuscendo addirittura a confermare «il
convincimento di una sostanziale inidoneità dell’Imaie a assolvere i compiti statuari».
L’Imaie? Un inetto, insomma, andando per
sintesi.
E qui comincia la storia. Il 31 luglio del 2014
ricevo una comunicazione via twitter da
una persona a me sconosciuta che mi avvisa
dell’apertura di nuovi bandi; aveva letto del
mio progetto di un nuovo spettacolo e mi
avvisava che erano a disposizione i finanziamenti del Nuovo Imaie. Nuovo Imaie? Mi
L’Imaie? Immaginate un contadino
abilissimo, veloce e preciso a raccogliere
le mele nei frutteti degli altri, che diventa
labirintico nel momento di distribuirle
sono detto. Pensa te le coincidenze, il caso,
la fortuna. Ed è capitato proprio a me. Senza
richieste. Così, diretto direttamente. Spulcio in internet: il nuovo Imaie (si legge sul
loro sito) «è la collecting che gestisce i diritti
connessi degli artisti interpreti o esecutori,
amministrando e ripartendo il cosiddetto
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“equo compenso” dovuto ai suoi rappresentati per la pubblica diffusione, comunicazione, trasmissione e riutilizzazione delle
registrazioni fonografiche da essi eseguite e
delle opere cinematografiche o assimilate da
essi interpretate». In pratica, si propone di
fare ciò in cui aveva fallito il vecchio, quindi.
Ottimo, già. Chi mi aveva scritto era il direttore generale del nuovo Imaie (ah, con tutti
i “nuovo” scritti in neretto grassetto) Maila
Sansaini. Una carriera ostinata quella della Sansaini, che è stata direttore generale
dell’Imaie (quello certificato inconcludente
dal prefetto) dal 2003 al 2009, poi direttore
generale dell’Imaie in liquidazione dal 2009
al 2011 e ora direttore generale del Nuovo
(in grassetto) Imaie dal 2011: una carriera a
forma di filo rosso. Mi sono incuriosito: sul
canale youtube del Nuovo (in neretto) Imaie
c’è un video dal titolo scottante: “Una scomoda verità”. Il video racconta l’estinzione
dell’Imaie e la nascita del nuovo Imaie e svela le trame di qualche artista “furbetto” che
si sarebbe intascato soldi illeciti per progetti
artistici poi mai completati. E quindi avranno cambiato tutto, cambiato tutti, viene
da pensare. Quasi: il direttore generale è lo
stesso, la sorella del direttore è sempre capo
dipartimento amministrativo, così come
il capo dipartimento degli Affari generali e
altri consulenti. Una cosa come il Gattopardo, dal punto di vista drammaturgico: è il
Paese che si ingarbuglia in fili con nodi che
seguono mille percorsi. Nel 2012, intanto,
il mercato dell’intermediazione dei diritti
connessi al diritto d’autore viene liberalizzato. Alcuni artisti, imbizzarriti, decidono
di occuparsi dei propri diritti: pensa te che
presuntuosi. Qui si apre una battaglia che
merita di essere raccontata, sviscerata e studiata. Noi, iniziamo a farlo in queste pagine. Siamo il Paese in cui si lotta per avere il
diritto di esercitare i propri diritti. E magari
anche organizzarli, ’sti benedetti diritti. E
qualcosa forse ci è sfuggito di mano.
Intanto mi rimane quel messaggio, quell’invito alla produzione. A me poi, che non so
nemmeno cantare o fare un mezzo passo
sguincio di ballo. Bah.
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© Francesco Cabras
Qui a destra, Cinzia Mascoli,
presidente di Artisti 7607.
In apertura, Maila Sansaini,
direttore generale
del Nuovo Imaie
STORIA DI UNA COMMEDIA
CHE NON FA RIDERE PER NIENTE
C’è Golia, l’ex monopolista. E c’è Davide,
un pugno di artisti che lotta per autorganizzarsi.
Al centro della scena, i diritti di questi lavoratori
24 ottobre 2015
di Tiziana Barillà
Q
uesta è la storia di una commedia italiana, che non fa ridere per niente. Storia
di molti artisti e dei loro diritti, quelli
che la legge chiama «connessi al diritto d’autore». La terminologia è complicata, i meccanismi ancora di più. Ma è sempre di diritti di
lavoratori che parliamo, di più di 72.000, tra
addetti, interpreti ed esecutori nei settori musica e audiovisivo. Tentiamo nell’impresa di
tradurre: ogni volta che guardate una fiction
alla tv, che ascoltate una canzone, che gardate un film, a loro spetta un compenso. Perché
è un po’ come se avessero eseguito per voi
quello spettacolo in questi strani e anomali
palcoscenici della nuova epoca. Da un punto
di vista giuridico, poi, i diritti connessi sono
diritti patrimoniali privati e quindi spettano
al singolo artista, nella qualità di soggetto giuridico privato. Da un punto di vista sindacale,
infine, è di precari che si parla. Anzi, forse,
potremmo addirittura affermare che gli interpreti e gli esecutori sono le madri e i padri del
lavoro precario.
E chi intermedia per questi lavoratori? Dal
1976, ci pensa l’Istituto mutualistico per la
tutela degli artisti interpreti ed esecutori di
Musica (Imaiem all’origine, Imaie poi e Nuovo Imaie oggi). A volerlo, sono i tre sindacati
Slc-Cgil, Fistel-Cisl e Uilcom-Uil, per recepire
la Convenzione internazionale del 1961 che
riconosce per prima i diritti connessi al diritto d’autore. Che, in Italia, riguarda dapprima
solo i musicisti e poi, solo dagli anni Novanta,
si estende anche al video. Col tempo la “m” in
fondo alla sigla casca e l’istituto si pone l’obiettivo di tutelare l’intero mondo del lavoro
dello spettacolo, la “casa degli artisti”, la chiamano. Nato come libera associazione tra gli
artisti interpreti e musicisti, l’Imaie dal 1994
diventa persona giuridica e resiste fino al 30
aprile 2009 quando l’istituto viene dichiarato
estinto dal Prefetto di Roma.
Sulle ceneri dell’Imaie, nell’aprile 2010, per
decreto legge recante «disposizioni urgenti in
materia di spettacolo e attività culturali» nasce il Nuovo Imaie. Che, però, solo due anni
Il monopolio è finito. Dal 21 dicembre 2012
ogni artista può scegliere liberamente
da chi farsi rappresentare. A sfidare l’ex
monopolista, i mille attori di Artisti 7607
dopo viene nuovamente contestato dall’associazione Artisti 7607. Il monopolio è finito.
Dal 21 dicembre 2012 questo mercato è ufficialmente liberalizzato, e adesso ogni artista
può scegliere liberamente da quale società
o associazione farsi rappresentare per la gestione dei suoi diritti. Il decreto di attuazione
del governo Monti, ha recepito le indicazioni
e i suggerimenti ricevuti dall’Autorità garante
per la concorrenza e per il mercato.
I mille e più artisti che hanno deciso di sfidare
il monopolio, oggi (per la precisione, dal 2013)
sono una collecting society, una società cooperativa iscritta nell’elenco degli intermediari.
Gli artisti “imbizzarriti” muovono i primi passi
a Roma, nel 2006, quando un gruppo di attori
scopre di aver diritto ai compensi per le repliche delle opere per cui ha lavorato. E scoprono pure che l’allora Imaie prevedeva dei fondi
per la mutualità, al quale loro potevano accedere. Poi, nel 2008, quando l’Imaie è sull’orlo
del precipizio, gli attori decidono di compiere
il grande passo. Costituiscono un’associazione non riconosciuta: Artisti 7607. Il nome, apparentemente bizzarro, è in realtà la data di
costituzione dello Statuto sociale europeo degli Artisti: il 7 giugno 2007, direttive in materia
di liberalizzazione dei diritti d’autore. Cinzia
Mascoli (che oggi presiede l’organizzazione),
Elio Germano, Carmen Giardina, Neri Marcore, Alberto Molinari, Paco Reconti, Alessandro
Riceci, Claudio Santamaria, Valerio Mastrandrea, Valeria Golino, Valeria Solarino, Isabella Ragonese o Giuseppe Battiston. L’elenco
è lungo, in poco tempo sono più di mille. Il
numero cresce e con esso cresce anche il fastidio che danno. Spina nel fianco dell’Imaie
prima, e del Nuovo Imaie oggi. La battaglia tra
l’ex monopolista e gli artisti imbizzarriti, che
sembra una messa in scena donchisciottesca, è un duello tra l’enorme Golia e il piccolo Davide che non ha nessuna intenzione di
retrocedere. Ora sappiamo qualcosa di più su
cosa c’è dietro quel piccolissimo movimento
che facciamo azionando l’avvio di un film o di
una canzone. E, come vi ha appena raccontato Giulio Cavalli, una nuova puntata sta per
cominciare.
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