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I mestieri scomparsi

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I mestieri scomparsi
I mestieri scomparsi
Museo Etnografico Regionale Pugliese
Collezione Gerardo Andriulo
Milena Cossetto e Elena Farruggia
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Una delle sezioni più interessanti del Museo di
Oria è quella dedicata ai “mestieri scomparsi”:
soffermandosi accanto agli ambienti di lavoro ricostruiti ed arredati con oggetti e attrezzi d’epoca
si possono cogliere le trasformazioni che hanno
segnato l’ultimo secolo e la grande intelligenza
che ha caratterizzato da sempre il lavoro artigianale anche in condizioni di grande povertà
materiale. È un’esperienza didatticamente molto
efficace.
La neviera
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Le neviere costituirono, prima dell’avvento degli
attuali sistemi di refrigerazione, l’unico modo di
conservazione del ghiaccio per tutto l’anno. Le
più semplici erano buche nel terreno, più o meno
circolari, del diametro di 5-10 metri e piuttosto
profonde. Oppure potevano essere grotte, cantine,
zone seminterrate. Soprattutto nei climi più caldi,
per assicurare una maggiore protezione, sopra lo
scavo veniva costruita una struttura in muratura,
senza finestre ma con solo la porta di accesso, in
genere orientata a nord. I raccoglitori, dopo aver
rastrellato la neve nei campi o sulle alture, la scaricavano sul fondo della cisterna,dove era stato
disposto uno strato di fascine, per evitare che il
ghiaccio aderisse al pavimento, e per facilitare lo
scolo delle acque prodotto dal seppure minimo
scioglimento della massa ghiacciata. Quindi la
neve veniva spianata e compressa con forti palate
nell’intento dì ottenere enormi parallelepipedi alti
20-30 cm, separati tra loro, a diversi livelli, da
strati di paglia alti circa 10 cm, per favorire in un
secondo momento il distacco dei blocchi.
La produzione di ghiaccio era importante perché,
oltre che per la conservazione del latte e la preparazione e dei prodotti caseari, questo era destinato
ad molteplici strutture: ospedali (per abbassare
la febbre, curare ascessi, alleviare il gonfiore e il
dolore), mattatoi, pescherie, birrerie.
Nel corso dell’Ottocento e della prima metà del
Novecento la produzione di ghiaccio si lega anche al mestiere del gelataio ambulante: se la storia
del gelato ci riporta alla Sicilia araba e successivamente alla Firenze dei Medici, mantenendo a
lungo le caratteristiche di cibo di élite, è in questo il periodo che vede la diffusione del gelato
in fiere, mercati, feste; famiglie si tramandano
il mestiere (nonché le ricette) e girano l’Italia
e l’Europa, o raggiungono le Americhe, con le
loro specialità.
Il funaio
Un altro mestiere scomparso è quello del funaio,
cioè del fabbricante di funi e corde. Nel passato
le funi erano molto richieste. Se ne faceva largo
uso in tutti i mestieri e la tenuta della fune (e
dunque l’abilità del funaio) era in molti casi determinante. L’unico attrezzo del funaio era una
grande ruota, di almeno un metro di diametro,
con al centro una manovella. La materia prima
era la stoppa derivata dalla canapa, che veniva
legata alla ruota e, mentre questa girava, filo dopo
filo, vi veniva avvolta. Nasceva così l’embrione
della corda. Rotoli di spago venivano attorcigliati
con il girare continuo della ruota, azionata da
un bambino oppure dalla moglie dell’artigiano.
I mastri funai lavoravano sempre all’aperto, in
quanto davanti alla ruota ci doveva essere uno
spazio libero di almeno venti metri per potere
lavorare tranquillamente. Mano a mano che la
corda si formava veniva arrotolata attorno alla
ruota, fino a che non si raggiungeva la lunghezza
desiderata. Si ottenevano così funicelle di piccola
e media grandezza che successivamente venivano
legate alla ruota nel numero di due, tre o anche
quattro per realizzare corde di buona tenuta. La
ruota girava in continuazione, mentre l’artigiano
andava a piccoli passi indietro, tirando e bagnando continuamente la corda, fino a quando non
terminava il lavoro.
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Barbiere, cavadenti, mignattaio
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Per secoli parallelamente alla figura del medico,
riservato ai ceti più abbienti, era il barbiere a praticare soprattutto nelle zone rurali diverse forme
di cura, in particolare quelle che richiedevano
l’uso di strumenti da taglio come incisioni di
ascessi o estrazioni dentali. Un’altra pratica rimasta in uso nella cultura popolare anche nella prima
metà del Novecento era quella del “salasso”, cioè
dell’estrazione di una certa quantità di sangue
per abbassare la pressione. Spesso il salasso era
effettuato applicando sul corpo del paziente le
sanguisughe o mignatte, cioè degli anellidi che
vivono nelle paludi o nelle acque ferme e che si
nutrono del sangue di altri animali.
1. Gerardo Andriulo.
2. Una neviera.
3. Una delle prime gelaterie di Francavilla Fontana (BR).
4. Insegna della bottega del barbiere.
5. I “ferri del mestiere” del barbiere, cavadenti e mignattaio.
6. Il funaio al lavoro alla ruota.
7. La ruota del funaio e i diversi tipi di fune.
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Il conciabrocche
Il concia brocche riparava tutti gli oggetti di
terracotta, che nell’economia preindustriale rivestivano un ruolo estremamente importante non
solo dal punto di vista domestico (stoviglie di
vario genere, dai piatti alle pignatte per cuocere
lentamente verdure, legumi, carni) ma anche per
la conservazione dei prodotti agricoli, dai cerali
all’olio di oliva. Il conciabrocche era un ambulante che passava di casa in casa, raggiungendo
anche i luoghi più isolati e che provvedeva alle
riparazioni degli oggetti di terracotta unendo i
lembi rotti con dei punti di filo di ferro; mezzipunti, cioè più ravvicinati, per i ricchi, punti più
distanziati e quindi lavoro meno preciso e meno
costoso per i più poveri. Alcuni artigiani utilizzavano per le riparazioni anche mastici, spesso di
loro produzione e di cui mantevano gelosamente
segreta la composizione. La diatriba tra riparazione con i punti o col mastice è il fulcro della
novella “La giara” di Pirandello.
Il museo conserva attrezzi del conciabrocche e
oggetti di terracotta che testimoniano le tecniche
di riparazione, oltre a fotografie che mostrano il
perdurare di questo mestiere nel XX secolo.
8. Un conciabrocche al lavoro.
9. Un contenitore di terracotta aggiustato con i punti di ferro.
10. I cocci di un piatto da aggiustare.
11. Trapani a corda per sistemare i punti di filo di ferro nelle
terracotte.
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Il trottolaio
La trottola è un gioco conosciuto in tutto il mondo
fin dalle più antiche civiltà: alcune trottole perfettamente conservate, con le fruste utilizzate per
metterle in moto, sono state ritrovate durante gli
scavi di Ur in Mesopotania; esemplari di trottola
sono stati rinvenuti inoltre negli scavi dell’antica
Troia, a Pompei, in alcune tombe etrusche, in
Cina, in Giappone ed in Corea. Il gioco della
trottola era praticato nella Grecia antica e a Roma,
tantochè Catone il Censore consigliava ai genitori
il gioco della trottola, perché lo riteneva molto
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più adatto ai bambini di quanto lo fossero i dadi.
Dal mondo antico fino all’età contemporanea,
e in tutte le regioni del mondo, la trottola ha
continuato ad essere uno dei giochi più diffusi,
seppure con modalità di gioco diverse. Oggi le
trottole, comunque meno usate dai bambini, sono
di produzione industriale ma fino a non molti
decenni fa erano opera di esperti artigiani che sapevano calibrarne la fattura per realizzare oggetti
dal perfetto equilibrio. Nel museo sono raccolte
numerose trottole artigianali e raffiguarazioni di
modalità di gioco.
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Arrotino ambulante
12. Il campionario del trottolaio.
13. La ruota dell’arrotino.
14. L’arrotino ambulante con il suo carretto.
Uno dei mestieri scomparsi è quello dell’arrotino che passava di casa in casa di paese in paese,
con il suo carrettino per arrotare (rifare il filo alle
varie lame) coltelli, forbici, rasoi, falci, falcetti,
e tutti gli arnesi a lama che servivano per la vita
quotidiana o il lavoro. Negli ultimi decenni del
Novecento l’arrotino aggiustava anche gli ombrelli. Il Museo conserva un carrettino completo
di attrezzatura e una stampa d’epoca.
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