Comments
Description
Transcript
2011/2-Le paure che ci abitano
Tariffa Assoc. Senza Fini di Lucro: Poste Italiane S.P.A - In A.P -D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/ 2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB/43/2004 - Arezzo - Anno XV n° 2/2011 Le paure che ci abitano 20° 1991- 2011 1 SOMMARIO 3 Primapagina Quel filo sottile 6 4 Il vento che scompiglia le paure Una vita non basta 8 10 L'anima dell'uomo, più grande di ogni paura Quell'ansia che ci ruba la vita 12 14 La magia del contatto Dentro il mistero c'è la gioia 18 20 Le voci della Terra Una nuova casa per la fraternità 22 25 Tempo di Fraternità Il cammino delle “Domeniche di Romena” 28 Graffiti trimestrale Anno XV - Numero 2 - Luglio 2011 REDAZIONE località Romena, 1 - 52015 Pratovecchio (AR) tel. 0575/582060 - fax 0575/016165 www.romena.it e-mail: [email protected] DIRETTORE RESPONSABILE: Massimo Orlandi REDAZIONE e GRAFICA: Raffaele Quadri, Massimo Schiavo, Luca Buccheri FOTO: Massimo Schiavo, Giuditta Scola, Piero Checcaglini Copertina: Giuditta Scola Hanno collaborato: Luigi Verdi, Paola Nepi, Pier Luigi Ricci, Luca Buccheri, Luigi Padovese, Maria Teresa Marra Abignente, Stefania Ermini Filiale E.P.I. 52100 Arezzo Aut. N. 14 del 8/10/1996 26 Paolo ha avuto una vita troppo intensa per costringerla in poche righe. Attore e regista teatrale, personaggio sempre fuori schema, circa 30 anni fa ha mollato tutto per seguire le strade della povertà in sandali. Ha creato le “ronde della carità” per dare cibo e assistenza ai senza tetto di Firenze e poi ha girato l’Italia per seminare quest’idea (oggi le ronde operano in oltre 70 città). A 75 anni sostiene di essersi ritirato, ma da “eremita metropolitano”, così si definisce, è più che mai immerso nel vortice della vita sociale tanto che ogni giorno affolla la posta di giornali e amici con esternazioni su tutto. Il suo fiume di mail scorre anche sul mio computer e talvolta, lo ammetto, guardo e lascio passare. Quella volta però no. La vittoria sul drago andava celebrata. In quella mail, con uno stile epico e un po’ di narcisismo da attore, ma anche con un grande dispendio di umanità, Paolo aveva concentrato tre preziosi insegnamenti per affrontare, concretamente, le paure più grandi. Primo. Parlane agli altri. Non lasciare che il drago ti attacchi mentre sei in uno spazio chiuso. Paolo racconta del paradossale senso di esclusione e di vergogna (questi i termini che usa) dei malati che incontrava ogni giorno in corsia, chiusi nell'assurdo senso di colpa di esser lì. La clausura amplifica ogni paura. E allora aprire il guscio è necessario. Secondo. Lasciati abbracciare. Paolo parla delle dimostrazioni di affetto ricevute da amici, volontari, medici, radioterapisti come della cura più importante per guarire. Gli stati d'ansia montano quando proviamo ad affrontarli con le nostre elucubrazioni. Quello che serve è invece una coccola, una carezza, una condivisione: le nostre paure ci appaiono sempre enormi e inconfessabili finché non le liberiamo dalla nostra stretta. Terzo. Guarda oltre. Paolo dice di aver avuto una “feroce volontà di guarire”, ma non credo si riferisca a un impegno fisico o mentale. La feroce volontà di guarire è in realtà figlia di una voglia irrefrenabile di vivere. E si ha voglia di vivere quando la nostra vita è incastonata nel mondo, quando si sente che la nostra presenza non si legittima da sola, ma come parte di una dinamica più grande. È questo “sentirsi parte” che ci alleggerisce di un peso e ci carica di una voglia: la voglia di esserci. La “feroce voglia” di cui parla Paolo. “Non conosco spettacolo più bello di un uomo onesto che lotta contro le avversità”. Così scrive l’amico alla fine della sua mail, citando Seneca. Mi prendo la forza di queste parole e di questa testimonianza per prendere slancio e aprire la porta di questo giornalino. Che parla di paure, e quindi un po’ ci fa paura. Che non offre soluzioni, e quindi può sembrare inutile. Ma che un piccolo aiuto prova a darlo. L'aiuto consiste nell’invitarci ad aprire le finestre della nostra casa, della nostra intimità. Le paure non se ne andranno, d’accordo. Però forse circolerà un po’ più d’aria. Anche in un solo respiro più leggero questo giornalino troverà il suo senso. Massimo Orlandi PRIMAPAGINA “Paolo Coccheri ha sconfitto il drago”. In una mattina d’estate la mia casella di posta elettronica mi ha recapitato questa novità. Non era un dispaccio d'agenzia, ma un gioioso tam tam per gli amici. Quel giorno Paolo Coccheri era andato all’ospedale di Careggi per una serie di controlli dopo un lungo ciclo di radioterapie. Alla fine i medici lo avevano congedato senza fissare nuove sedute: il “drago” aveva battuto in ritirata. Quel filo sottile “Al tempo che santo Francesco dimorava nella città di Gubbio, apparì un lupo grandissimo, terribile e feroce, il quale non solamente divorava gli animali, ma eziandio gli uomini…” Ho sempre pensato al lupo ammansito da San Francesco come a una rappresentazione perfetta di ciò che rappresenta la paura. La paura è la più arcaica e primordiale delle emozioni umane. È un’emozione naturale e complessa, una reazione di difesa, un fattore di paralisi che ci porta ad aggredire o a fuggire. Accompagna ogni essere umano sin dalla nascita, un po’ come l’immagine del lupo si associa a una pulsione forte, negativa, ma in qualche modo non sradicabile. Eppure, di fronte a questo lupo vorace, pronto a bloccare o addirittura a fagocitare la nostra vita cosa fa san Francesco? Non scappa, vuol capire perché quel lupo è violento. Si avvicina e si accorge che il lupo non è cattivo, che ha solo fame e paura. Tra l’atteggiamento di chi si blocca, o fugge davanti al lupo e quello di chi si avvicina, lo scarto è minimo: basta un gesto, una spinta, un atto di coraggio. E ci accorgiamo che la paura presidiava solo un filo sottile di spazio: quel filo tra il nostro star fermi e il nostro muoverci. Al di qua del filo il lupo appare imbattibile, appena oltre è mansueto: nel confronto con la realtà le paure si ridimensionano sempre. Poco più che ventenne, a lungo ho vissuto una mia personale paura, la paura dello sguardo degli altri. Strano a dirsi per chi oggi vive costantemente a contatto, faccia a faccia, con le persone, eppure allora non riuscivo a sostenere l’altezza dello sguardo. Mi riparavo dietro la mia timidezza, che in quel caso si era alleata con la paura. Per affrontare e superare quella difficoltà non c’è stato altro modo che decidermi a reggerlo 4 di Luigi Verdi quello sguardo, a accettare il rossore infuocato del mio viso, a passare nel mezzo di una realtà per me insuperabile. Di certe paure, una volta affrontate, si finisce per sorridere. Così San Francesco non ha paura della vita, del cielo, della terra, del lupo, del fuoco: passa porte strette, varca le soglie portando se stesso al di là. Come lui dobbiamo imparare a vivere stando dentro la vita, prendere decisioni e saper riscegliere ogni giorno con forza, coraggio e fiducia. Così i fantasmi della paura rivelano quello che solo: apparenze. La difficoltà del tempo presente è che la paura ha assunto anche un altra forma. L’insicurezza, il senso di solitudine e di smarrimento che domina soprattutto i giovani, nonostante le loro ostentate sicurezze, hanno alimentato una paura che gira su se stessa, una paura della paura. I contorni chiari, precisi, benché alimentati dall’immaginazione si sono trasformati in angosce pungenti senza campi delimitati e in qualche modo aggredibili. Questo rende la paura un ospite sempre più inafferrabile. Ma la sua natura non è cambiata: e una volta districato il nodo la risposta è sempre la stessa: occorre un passaggio del fuoco, occorre una spinta di coraggio. La fragilità che quella paura indica non sarà superata, ma ricollocata. Avrà il suo spazio, diventerà accettabile. Un ultimo pensiero. Quando parliamo di paure in realtà noi ne indichiamo una, da cui tutte le altre dipendono: la paura del cambiamento. Le paure contengono tutte un ostinato attaccamento alle proprie prigioni che ha, per conseguenza, un rifiuto del cambiamento. La posta in palio è altissima. Bisogna allora provare a sporgerci un metro oltre l’orizzonte. Perché proprio oltre quel metro, oltre quello spazio minimo presidiato dai fantasmi, c’è la nostra libertà. La paura ha bussato alla porta. La fede ha aperto. Non c'era nessuno là fuori. Foto di Giuditta Scola Martin Luther King Il vento che scompiglia le paure di Luca Buccheri La paura di vivere, e quella di morire. La paura di amare, e quella dell'altro. Angelo Casati ha preso queste e tutte le altre paure e le ha messe in fila, una per una. A ciascuna ha dedicato un capitolo del suo ultimo libro. Il giorno di Pentecoste è venuto a Romena a presentarlo, stringendo ciascuno di noi nell'abbraccio del suo calore umano, della sua fede e della sua poesia. “Il prete che parla di Dio sottovoce”, secondo l'efficace pennellata di una sua piccola parrocchiana, un giovane ottantenne che sa amabilmente parlare di Dio e dell'uomo con un filo di voce, forse perché è “nel mormorio di un vento leggero che abita lo Spirito”. Ed era proprio dentro quel soffio leggero dello Spirito, giusto nel giorno di Pentecoste, che si è potuta udire la voce di don Angelo Casati, il prete-poeta milanese che ultimamente ha regalato a Romena il suo ultimo prezioso libro, “Le paure che ci abitano”. Quella domenica pomeriggio di Pentecoste non è stata una semplice presentazione del libro, ma l'entrare con lui e grazie a lui dentro noi stessi e le nostre paure, favoriti da un clima esterno un po' autunnale, che ha favorito l'introspezione e lo scaldarsi reciproco. “Forse le paure che ci abitano non le vinciamo del tutto – ha esordito citando la bella prefazione di Massimo Orlandi – ma le possiamo scompigliare”. “Che legame c'è tra paura e Pentecoste?” è stata la domanda di avvio. “I discepoli sono chiusi nel cenacolo per paura, la sera stessa di Pasqua, otto giorni dopo, quaranta giorni dopo; è come se questa paura non ci abbandonasse mai”. Guardando poi l'ingresso della pieve colma di gente, don Angelo ha visto oltre la porta aperta: “Qualcuno ha bussato alla porta della paura e la porta si è aperta; è entrato lo Spirito che ci fa uscire. Lo Spirito è dunque come quel vento che apre le porte, porta fuori e scompiglia”. Traendo spunto da un articolo della giornalista 6 Barbara Spinelli, don Angelo ha sottolineato come le emozioni siano importanti nella vita e tra queste le paure, non solo negative: “Le paure hanno due effetti: un effetto è quello di chiudere le porte, di chiudersi, ma l'altro effetto è quello di farsi delle domande, di chiedersi dove stiamo andando, ad esempio per l'acqua, per il nucleare (il giorno di Pentecoste si è votato per i referendum, ndr.) e allora spingono a scendere in strada, e danno una spinta per cambiare le cose. Allora c'è una paura che può diventare spinta per ciascuno di noi”. Spostando lo sguardo sulla chiesa attuale, la vocina di don Casati si è fatta ancora più mesta e sussurrata, quasi a confessarsi tra amici: “In certi ambienti ecclesiastici manca il respiro. Sono andato ad una riunione di preti del centro… i discorsi tra i preti sembrano dentro una bolla. Mi mancava l'aria, mi sentivo mancare il respiro, ad un certo punto sono uscito. Penso a quello che ci succede a volte di avvertire, nella chiesa come nella società, come un desiderio di vento, un vento che ti faccia uscire, per un viaggio diverso; a volte penso alla vita come ad una barca a vela, in un porticciolo, le vele sono afflosciate, la barca è ferma. Il desiderio è che arrivi il vento, investa queste vele e ci porti fuori. Sempre più mi capita di sentire di persone che, al mattino, non sentono più la voglia di cominciare la giornata, di riprendere il viaggio”. Siamo persone desiderose di andare al largo eppure a volte sentiamo questa poca spinta nelle nostre vele. Sembra mancare il vento, sembra che manchi il respiro. Allora “siamo tutti sulla barca e lasciamoci condurre dal vento, anche se ci sono momenti – come per i discepoli – in cui viene la paura, quando la tempesta investe la barca e l'acqua della paura invade la barca. Penso che la nostra vita sia questo nostro andare, non essere immobilizzati, fossilizzati”. “Abbiamo ricevuto un’educazione – continua Casati in un crescendo di ascolto e di silenzio – che spegne la fantasia, in cui ci viene chiesto di ripetere uno schema che ci è stato insegnato. Ma oggi potremmo dare a questo giorno di Pentecoste questo titolo: la fantasia dello Spirito al potere. Non la ripetizione di un modello ma, su suggerimento di uno Spirito che ti abita, l'invenzione di qualcosa di nuovo. Pensiamo che questo luogo di Romena sia uno stereotipo, un modello passato dalla chiesa? Questa chiesa è la dimostrazione dell'invenzione dello Spirito. Si può generare qualcosa di nuovo. Quando tornate a casa da qui voi avete questa coscienza: si può dare origine a qualcosa di nuovo. Nuovo non vuol dire necessariamente grande; nuovo è un nuovo modo di guardare le cose, le persone, di stare nella vita, di inventare ogni giorno la nostra vita. Questa forza dentro ci fa superare le paure”. Non è mancata poi una “stoccatina” alla scarsa fantasia dei nostri governanti che vogliono risolvere il problema della paura piazzando telecamere dappertutto, pure nei taxi. E come vincere quell'ansia oggi tanto comune che rivela la paura della vita, la prima dell'elen- co di paure del libro? “È normale aver paura – ha risposto don Angelo nel dibattito – e dobbiamo rispettare questa nostra misura, questa nostra fragilità che a volte nascondiamo. Non abbiate paura delle vostre fragilità, non sono una cosa sporca, siamo fatti di argilla. È normale avere ansia. Ma forse il passo successivo, ci dice il libro della Genesi, è che siamo argilla in cui Dio ha soffiato il suo spirito. Allora tu non sei ansia, preoccupazione, ma dentro di te c'è qualcosa di forte, anche se non appare. Vorrei farti pensare alla tua vita, a ciò che hai fatto fino ad oggi, e che in questo cammino qualcuno ti ha condotto e che se ti ha condotto ti condurrà ancora”. La fede non ci risparmia dal passare dalla “valle oscura”; ma in questa valle oscura non sei solo. “Questa è la forza: una mano che ti stringe, magari la mano di Dio che ti stringe è quella della persona che ti vuole bene, che ti è amica, che tu incontri”. Rispetto poi ad una maggiore esposizione degli uomini di chiesa di fronte ai temi caldi dell'attualità (citata una lettera di don Angelo al card. Tettamanzi riguardo la liturgia e la presa di posizione del nostro ospite sul più delicato caso Englaro), “dovremmo avere più coraggio ad esporci e questo ci viene più facile quando non abbiamo degli interessi da difendere. Io non ho nessuna voglia di far carriera; se mi facessero monsignore scapperei via! Pensa ai miei amici se mi vedessero con quegli stracci rossi… Vedi – ha concluso con il consueto sorriso – io un grado così di umiltà non l'ho ancora raggiunto!”. 7 Una vita non basta di Maria Teresa Marra Abignente Due dolori diversi, enormemente grandi. La perdita del padre, quella del compagno. Maria Teresa ci porta nel cuore della paura più grande, quella della morte, regalandoci parole piene di vita. E impregnate di amore. Sentii dolore di strappo, avevo quattordici anni, quando morì mio padre. Un dolore che a ondate mi sommergeva e dal quale sembrava che non potessi riuscire ad emergere. Un dolore che si insinuava subdolo la notte fra le lenzuola, o al riecheggiare di una canzone, o al cospetto del mare. Era un padre marinaio il mio, e ho sempre sentito nelle mie vene mescolati sangue e acqua di mare. Cercavo nel mare il suo volto e la sua carezza. Da allora l’ho odiata la morte. Odiavo perfino i fiori: troppi ne avevo visti al cimitero, sgualciti, appassiti, maleodoranti di caldo e comunque beffardi nel voler dare colore a una tomba, nell’ostinarsi a proporsi come segni di vita. Odiare la morte significa averne paura, credere che sfidandola si possa annientarla, distruggerla, eliminarla, per non doverci pensare, per non ritrovarsi con quel vuoto tra le dita. E nel cuore. Perché è il vuoto che spaventa, quel non-essere che occupa il posto dell’essere: la muta assenza che si sostituisce alle mani, agli occhi, al sorriso, alla voce. E ci fa rabbrividire il pensiero che le nostre mani, i nostri occhi e la nostra voce s’incamminano anche loro inesorabili verso quel vuoto. Brividi di freddo, gelido sgomento. Odiavo la morte e i fiori, i funerali e i camposanti e mi sembrava che quella marea di silenzio che aveva preso il posto di mio padre, avanzasse lentamente anche dentro di me. E quando la sera il sonno veniva, nel gioco ripetuto dei giorni, delle albe e dei tramonti, arrivava inquieta la domanda di quando quel gioco sarebbe finito, quando sarebbe stato per me solo notte e sonno perenne. Da allora cominciai a fuggire la morte. Finché non arrivò il giorno che me la ritrovai di nuovo accanto, pronta a divorare il dono più grande che la vita mi avesse fatto: Giovanni. Nel frattempo però avevo amato, avevo vissuto l’amore, il desiderio, l’attesa; la meraviglia del germoglio che si 8 trasforma in carne e poi in figlio; la bellezza del ritrovarsi dopo essersi persi; la gratitudine del sentirsi totalmente amata. E se prima mi atterriva il mistero della morte ora ero incantata dal mistero dell’amore e della vita che ne scaturisce. Fino a capire, a dolcemente e faticosamente riconoscere, che si tratta in realtà di un unico mistero, inseparabile, indissolubile, il mistero che lega la vita e quel che sembra il suo contrario all’amore. Ci siamo immersi, stentiamo ad intuirlo, fatichiamo ad afferrarlo, ma in realtà ci sorregge e ci sostiene, come il mare sostiene e sorregge la barca. Una vita non basta, non può bastare una vita a comprendere questo mistero. Perché l’amore opera meraviglie insospettate: è audace l’amore, lui sì che sfida le leggi umane del tempo e dello spazio, sorride delle nostre costrizioni e dei nostri limiti, non ha confini e gabbie in cui costringerlo, si fa gioco dei nostri schemi e calcoli. Riesce a riempire anche il vuoto. Misteriosamente, delicatamente, lasciando respirare il dolore, dandogli aria e fiducia. E se l’amore è nutrirsi di attesa sto ancora imparando ad amare. E ancora e sempre mi sorprende l’amore, nelle carezze della vita, nel mio andargli incontro cercando le sue orme, negli occhi azzurri di cielo e di mare dei nostri figli, nelle parole che sento bisbigliare la sera al tramonto e che teneramente dicono “continua ad amare”. La marea di silenzio che prima avvertivo incombente ha lasciato il posto ai mille riflessi del sole sull’acqua, ai suoi giochi di luce, inafferrabili, ma così veri. E la morte ha smesso di farmi paura perché nell’amore tutto è vita. Oggi, mentre scrivo, è il nostro anniversario di matrimonio e questa è quasi una lettera d’amore. Non basta una vita a dirti grazie Giovanni di avermi fatto capire che la vita, come l’amore, è infinita. Una vita non basta. Foto di Massimo Schiavo Ciò che dà sicurezza non sono le corazze ma la fiducia. Eugen Drewermann L'anima dell'uomo, più grande di ogni paura di Paola Nepi Dal letto dove, da molti anni, conduce la sua vita a causa di una grave malattia, le parole di Paola volano e vibrano. Per parlarci di quegli angoli bui che possono frenare la nostra vita. E della strada per superarli. Un amico mi ha chiesto di dire la mia sulle tante tagliati fuori dal consorzio umano per abitudine paure che abitano oggi il cuore della gente, culturale e le nostre paure hanno ben poco peso proprio a me, mi son chiesta? Per chi non mi sociale. conosce, solo due parole. Una stanza, un letto, Da anni non frequento più le strade del mondo, i miei libri, la mia musica, le poche cose che ma ogni giorno lo vedo sfilarmi sotto gli occhi: amo, le macchine che mi tengono in “vita” e quello vicino in chi si accosta al mio letto e mi fra me e la porta: l'abisso! Quali sono le mie racconta di sé ed il mondo fuori in tutti i mass paure? Tutte e nessuna, perché averne sarebbe media, nella grande rete informatica che fa inutile, energia sprecata, uccidere la fantasia, la viaggiare in e per ogni latitudine. Mi accorgo luce che ancora è in me. No, non sono saggia, ci così che l'uomo oggi trema per molti dei ragiono ogni giorno poi, faccio e penso ad altro. maledetti meccanismi che si è creato da solo, È sempre stato così, il cuore dell'uomo freme meccanismi che, in un delirio di onnipotenza, ha e poi riprende il cammino. So creduto gli dessero più potere e del timore innato di quando si di cui ora non sa come liberarsi. Credo che vincere le viene al mondo che ci fa cercare Potere! Ecco la dimensione che il seno materno, della sana paure sia rivoluzionario da sempre usa la paura come paura che salva dal pericolo controllo sociale, repressione più di ogni altra cosa perfino spinta al consumismo vero, difende e preserva la vita, tutto quel mondo, poi, di paure e che mondarsi delle smodato di ogni cosa, compresi che fanno nodo in ognuno di i sentimenti e gli affetti. paure sia il sapore vero L'argomento è vasto, non so di noi, io credo, abbiano un'unica ragione: l'umana debolezza sociologia e non voglio ancora della libertà. di pensarsi come centro dilungarmi, ho cominciato dell'universo. dicendo due parole su di me, Certo anch'io temo la morte ed il male, enigmi concludo con altre due parole. Da bambina, cruciali del vivere umano e, non solo ne ho paura quando ancora il male non mi aveva presa, in ma addirittura orrore, non del niente però, non casa dicevano che non avessi paura di niente, della fine, ma del dolore, della sofferenza. Dalle non era vero, il buio mi spaventava come tutti i ceneri qualcosa rinasce, dolore e sofferenza, bambini; mia madre non transigeva però, all'ora ne so qualcosa, non hanno nessuna ragione di andare a letto non c'erano deroghe e la luce si né l'hanno mai avuta, per chi crede dirò che il spengeva perché costava. Nel buio, i pugni e gli Cristo risorge dalla morte, dal dolore chiede al occhi stretti piano, piano si allentavano, piano, Padre di essere risparmiato. piano alla paura si sostituiva la fantasia poi il Se allora condizione umana è la sua fragilità, sonno beato dell'infanzia. Ecco io credo che la fine, tutto diventa dono degno di essere l'anima dell'uomo sia più vasta per restringersi conosciuto e vissuto, inutile ogni altro affanno. nell'angolo buio delle paure, che vincere le Il mio mondo è sempre stato altro, io e tutti paure sia rivoluzionario più di ogni altra cosa, quelli come me non possono permettersi le che mondarsi dalle paure sia il sapore vero della comuni paure di tutti: l'amore non corrisposto, libertà e che la strada infallibile verso questo la perdita o l'impossibilità di un lavoro, non stato di grazia sia ancora una volta ed abbia un avere una famiglia, una casa, dei figli, si vive solo nome: Amore. 10 Foto di Massimo Schiavo Questa è la vera natura della casa: il luogo della pace, il rifugio non soltanto dal torto, ma anche da ogni paura, dubbio e discordia. John Ruskin 11 Quell'ansia che ci ruba la vita di Luigi Padovese L'eccesso di paura può bloccare la nostra vita. E allora? Per evitare che questo ospite indesiderato si prenda ogni spazio della nostra casa è necessario cominciare a non eseguire i suoi continui, assillanti ordini… Un proverbio russo dice che “la paura ha gli oc- dalla paura, ha in sé un seme avvelenato che, in chi sgranati”: con gli occhi della paura vediamo una fase successiva della vita, sei chiamato a detutti i “pericoli” reali e immaginari e perdiamo bellare, bonificare, superare. Mi sono così trovato di vista le opportunità e le gioie della vita. Come a combattere il “drago” del dovere e l’occhio sbisi usa dire: “chi non accetta la morte non accetta lanciato sugli altri. Ho dovuto lavorare duro per ritrovare l’essenziale e il mio centro, per non perneppure la vita”. Due bisogni profondi sempre accompagnano la dermi rincorrendo le attese degli altri. Avere sucnostra esistenza: il bisogno di autorealizzazione e cesso, sull’onda del “far sempre bene”, seguendo il bisogno di sicurezza. Curiosità, novità, cambia- un ideale implicito di “essere perfetti”, mi stava mento, crescita contrapposti a stabilità, abitudini, portando lontano da me stesso, abitando le attese ripetizioni, conformismo. È il binario lungo il degli altri, non le mie. quale scorre il treno della nostra vita. Dobbiamo Nessuno ci chiede di essere perfetti, nemmeno Dio. Ciò che è importante, saper abbracciare entramperò, è essere interi, abbi questi bisogni. Ma nella La paura è come un ospite bracciando i nostri pregi e “storia personale”, nel nonostri difetti. Questo atstro passato, nello sguardo non invitato che occupa la iteggiamento personale ci del presente e nell’incertezpermette di sbagliare, di acza del futuro che ci attende, nostra poltrona, si prende il cettare l’errore, ci permette lì, nelle “pieghe” di questo di affrontare i rischi di quel intreccio, incontriamo le nostro posto a tavola… meraviglioso e spaventevole nostre paure. Le paure sono Se gli ubbidiamo che motivo laboratorio che è la vita: afmolteplici, potremmo dire frontare le paure, esprimere tante quante sono le stelavrebbe di andarsene? le nostre potenzialità con le del cielo e le gocce del coraggio. mare. Se prevale lo sguardo di paura la nostra vita si restringe, si dilata la lente Vivere la vita, anche se richiede impegno e duro dei pericoli possibili ed è facile imboccare la via lavoro su se stessi, apre la porta di un cammino più leggero, un cammino di evoluzione che ci stidell’involuzione personale, familiare, sociale. Nello scrivere queste riflessioni mi viene sponta- mola a ricominciare ogni volta che la vita ce lo neo ripensare a me stesso, a quelle paure, a quel- chiede. le ansie che mi hanno accompagnato per buona La paura, invece, cerca di bloccare la vita per una parte della vita. Il timore di essere rifiutato, di sicurezza impossibile. È come un ospite non innon saper rispondere alle attese degli altri, di far vitato in casa nostra, che si accomoda, usando il brutta figura mi ha fatto “soffrire”, soprattutto du- nostro frigorifero, occupando la nostra poltrona rante l’adolescenza, ma è stato anche la molla che preferita, il nostro posto a tavola. Se noi ubbidiamo mi ha permesso di affermarmi attraverso la “via” ai suoi ordini, che motivo avrebbe questo “ospite del lavoro e della professione, di essere stimato indesiderato” di lasciare la nostra casa? Quindi, per prima cosa, dobbiamo “disubbidire” ed apprezzato. Dunque la paura non è solo origine di blocchi, alle nostre paure, ricordando che finché abbiamo inibizioni, chiusure, può essere anche stimolo un attimo di vita possiamo cambiare, possiamo alla crescita o suggeritore accorto di “prudenza” evolvere, possiamo cercare noi stessi, abitare la nonecessaria. Però, nel tempo, mi sono accorto che stra vita e tornare “a casa”, abitandola in pienezza. se il “propellente” per la propria crescita nasce Non facciamoci rubare la vita dalla paura. 12 Foto di Giuditta Scola Dio non è nella rigidità, Dio non è nel trattenersi, Dio non è nel chiudersi. È nello sbilanciarsi, che è lo sbilanciarsi dell’amore. Angelo Casati 13 La magia del contatto di Pier Luigi Ricci Esiste in ciascuno di noi uno strumento capace di affrontare ogni paura. Si divide in due parti, strettamente collegate. E produce scintille di fuoco. Il contatto è la chiave per affrontare le paure. Non sto dicendo che le annienta, questo non sarebbe né possibile, né giusto. Le paure fanno parte comunque della nostra natura umana e tutto sommato a volte possono darci equilibrio. Penso che non si debba rimanerne prigionieri, che non possano loro determinare i tragitti e le scelte della nostra vita. Anche perché non si tratterebbe di scelte: chi si lascia prendere dalle paure non vive, non sceglie, sono loro che lo fanno al posto nostro. E questo, quando succede, è un dramma. Il contatto è una chiave impegnativa, ma accessibile a tutti. Ed è chiara, fa bene, funziona davvero. È come se noi, scintille divine, pur portandoci dentro la grandezza di cui facciamo parte, soffrissimo tremendamente la distanza o almeno la presunta distanza dalla nostra Origine. Ci troviamo quaggiù in questo pianetino, pur circondati da bellezze, a fare i conti con una condizione estremamente fragile e passeggera. Un po’ come quella marea di piccole scintille che escono dalla fiamma. Sono fuoco anch’esse, potrebbero incendiare qualcosa, ma potresti spegnerle una ad una sul palmo della mano. La natura umana è proprio così, portatrice di grandezza, ma estremamente fragile. Nella solitudine inoltre questa fragilità si fa sempre più forte e la paura diventa più grande. Il contatto crea invece un’altra condizione: è come se si attivasse un processo particolare, tramite il quale ogni volta che almeno due scintille si toccano, nasce l’energia e in esse ogni volta riaffiora la vita. Gli uomini da sempre hanno percepito di possedere questa magia che rasserena la mente, scioglie i nodi ed allenta le paure. E da sempre si sono cercati, si sono toccati, baciati, abbracciati, hanno cercato di comprendersi, di sostenersi e di proteggersi, anche se non sempre sono riusciti a farlo bene. 14 Il contatto è un fatto fisico, non un’intenzione, a volte si può creare con la parola, a volte nel silenzio. Fa vibrare, mette paura all’inizio, ma poi è lì che le paure si sciolgono. Non è automatico. Non basta toccarsi per far accadere il miracolo. Infatti con il contatto ci si può urtare, ci si può graffiare, respingere. Ed allora tutto diventa più difficile. Credo che siano due gli elementi che creano un contatto e che entrambi debbano essere presenti in contemporanea in me. I due elementi sono: io e te. Sottolineo il fatto che devono essere presenti insieme in me e non negli altri. Io: se in qualche modo non sono attaccato a me, non mi voglio un po’ bene, non mi percepisco, è molto facile che toccando te cerchi di rubartela l’energia e non di acquisirla e di condividerla. Questa cosa accade più spesso di quanto ci si possa rendere conto. Dagli altri si pretende, si cercano conferme, agli altri ci si aggrappa, si assegnano responsabilità, ma solo per evitare le nostre. Se mi voglio bene anche se non sono a posto, se sono onesto con me e so chiedere ciò di cui ho bisogno, allora il primo elemento del contatto è presente. Il secondo elemento sei tu: se non so guardarti negli occhi e non mi interessi, potrò anche toccarti, ma ti farò del male. Se penso a te come ad un problema o come causa dei miei mali potrei anche entrare in contatto con te, ma le mie paure aumenterebbero e forse anche le tue. Se invece mi piace che ci sei, se apprezzo che sei diverso da me e ti considero uguale, se ho pensato che tu avessi qualcosa da insegnarmi anche nel giorno in cui abbiamo litigato, allora ogni contatto potrà sciogliere in me la nebbia e le paure. La grandezza di ogni essere umano non sta nella solitudine, ma nelle opportunità che sa darsi di toccare e di farsi toccare. Sarà la meraviglia e la sorpresa che proverà ad ogni contatto a liberarlo dalla paura. Foto di Giuditta Scola Le peggiori sofferenze dell’uomo sono quelle che egli teme, perché il grande ostacolo è sempre l’immaginazione, e non la realtà. Etty Hillesum 16 Foto di Giuditta Scola Non avere mai paura delle ombre. Significano solamente che c’è della luce che splende lì vicino. Ruth Renkel 17 Dentro il mistero c'è la gioia di Giovanni Vannucci* di Giovanni Vannucci* “Un cristiano che ha paura della vita non è un cristiano”. Dice anche questo padre Giovanni Vannucci nel testo di questa bellissima omelia con cui affronta il tema delle paure della vita per invitarci a cambiare prospettiva… “Siate pronti, perché non sapete quando verrà il Figlio dell’Uomo”. Avete ascoltato queste parole di Cristo? A me interesserebbe moltissimo sapere le impressioni che la lettura di questo brano del vangelo di san Luca ha risvegliato nel vostro cuore. Sono impressioni di paura? Oppure sono impressioni di gioia? Che cos’è il Figlio dell’Uomo? Cos’è questa manifestazione improvvisa che avverrà nella nostra vicenda terrena per ciascuno di noi? Io, spesso, quando leggo il Vangelo sono preso da un grande senso di sgomento, non per le parole del Vangelo, ma per tutte quelle pesantezze che nascono dalle nostre paure e che vi abbiamo depositato come interpretazioni. Se percorrete un qualunque libro di meditazioni cristiane, troverete queste parole del vangelo di Luca come introduzione alla meditazione sulla morte: siate pronti, perché non sapete in che momento verrà la morte. Penso che questa sia una gravissima deviazione che abbiamo introdotto nella nostra lettura del Vangelo e nella nostra vita cristiana, e che ci ha deformati. Abbiamo paura della morte, del giudizio di Dio, abbiamo paura dell’inferno, temiamo il purgatorio e speriamo di andare in un cantuccino del paradiso. E queste parole ci mettono in uno stato di allarme. E se io vi dicessi che queste parole di Cristo non sono una sollecitazione alla paura, al timore, allo sgomento? Ma sono un invito alla gioia, ad affrontare la vita con un sentimento differente, non di paura, di timore, di angoscia, ma con un sentimento di gioia? Nelle parole di Cristo, la vigilanza è chiesta come atteggiamento di spirito nell’attesa della venuta dello Sposo. Arriverà improvvisamente, lo Sposo. Mica la morte! Lo Sposo! E quando la sposa si prepara per il giorno delle nozze e attende nella sua casa paterna il momento in cui lo sposo andrà a prenderla per condurla al matrimonio, che, ha paura? Chi di voi ha sposato e ha sperimentato questa attesa trepidante sa benissimo che non c’è paura, timore, ma gioia. Inizia una nuova vita, avverrà l’incontro con lo sposo, principierà una vita di amore più pieno e più completo tra i due. E credo che queste parole di Cristo debbano * Giovanni Vannucci (1913-1984) monaco, fondatore dell'eremo delle Stinche, nel Chianti, è una figura di riferimento per la nostra Fraternità. Il testo è tratto da “Nel cuore dell'essere” (Edizioni Romena, 2004). 18 essere interpretate così, e anche tutto il cristianesimo, che è un invito alla gioia, non è un invito al timore, alla preoccupazione della morte. Noi in ogni istante dobbiamo essere aperti alle manifestazioni della vita per partecipare a quanto di bello, di gioioso, di nobilmente forte ci offre la vita (…) avremmo abolito, non il fatto della morte fisica, che avviene per necessità di cose, ma avremmo abolito la paura della morte e avremmo sostituito la parola “morte” con la parola “risurrezione”. Quando siamo nati alla vita terrena, noi siamo morti a quella vita che avevamo nel seno della nostra madre. La nascita è una morte, cioè un passaggio da un modo di vita a un altro modo di vita. E così anche la morte è un passaggio da una vita più limitata, da una vita condizionata dai sensi, condizionata da limitate nostre facoltà, a una vita più ampia, più vasta, più immensa. Questo è l’incontro con lo Sposo. Ma non aspirate voi a più bellezza? Le piccole bellezze che riusciamo a costruire ci lasciano insoddisfatti e vogliamo andare oltre, a una bellezza più piena, più completa, più perfetta, più totale, che ci soddisfi pienamente! Ma non aspirate voi a una vita sempre più viva, più intensa, più ardente, più forte? Ma non aspiriamo noi a una Siamo chiamati alla vita, a una vita sempre più libertà sempre più piena? Non aspiriamo noi a intensa; siamo chiamati alla gioia, a una gioia un amore sempre più sconfinato? sempre più vasta e forte. Questo lo dobbiamo senVedete, in noi ci sono queste pulsioni, e lavorare tire e, soprattutto, lo dobbiamo vivere giorno per cristianamente nel nostro essere, essere svegli, giorno. Questa è la mia interpretazione personale. pronti, con le lampade accese, come ci dice Ma credo che se noi non cominciamo a risentire Cristo, significa portare avanti queste energie il cristianesimo come gioia, come cristiani siamo che sono in noi. Quindi non falliti. Non dobbiamo predidobbiamo aver paura. Un care la morte, né l’inferno, Non dobbiamo temere. cristiano che ha paura della né il peccato. Dobbiamo Ognuno di noi è chiamato dire agli uomini: noi, come vita non è un cristiano. Un cristiano che ha paura della Cristo, siamo sulla terra per a dischiudersi nell'infinita bellezza non è un cristiano. portare la vita e per intensiUn cristiano che ha paura pienezza di vita che è Dio. ficare tutte le manifestazioni della libertà non è un cridella vita. Allora saremo veGiovanni Vannucci ramente cristiani e il nostro stiano. Un cristiano che ha paura dell’amore e limita il cuore sarà vasto e i nostri suo amore non può essere un cristiano. Cristo polmoni respireranno in un’atmosfera, in uno ci dice: Io sono venuto a portarvi la vita perché spazio più immenso, e le nostre capacità di comabbiate una vita più abbondante. Mi direte: al- prendere le creature saranno molto più profonde e lora dobbiamo cambiare il mondo? Dobbiamo più accurate, perché quando guardiamo con gioia cambiare noi, noi stessi, perché ognuno di noi è un essere noi lo comprendiamo meglio di quando chiamato a dischiudersi nell’infinita pienezza di lo guardiamo condannandolo e recriminando. E vita che è Dio. (…) poi, soprattutto, saremo avvolti da una intensità di bellezza che ci renderà facile la vita, che è dura, Se noi cristiani sentissimo il cristianesimo come ci renderà amabile la nostra esistenza quotidiana, partecipazione gioiosa, aperta, amorosa, a tutte che è sempre pesante e dolorosa. le manifestazioni della vita, saremmo una presenza positiva nell’esistenza, e ci libereremmo Questo slancio verso la vita, questo amore per da tutte quelle paure, da tutti quegli spaventi, da la vita, questa spinta verso una gioia che deve tutte quelle moralizzazioni dei nostri atti che ci continuamente crescere nel nostro essere, ci perrendono deboli, inerti, pavidi, nell’esistenza. Mi metteranno di vivere in mezzo agli uomini come direte: ma la morte? La morte è un passaggio nella portatori del mistero di Dio che è un mistero di pienezza della vita. E se noi fossimo cristiani vita, che è un mistero di gioia. 19 Le voci della Terra di Stefania Ermini Cronaca di un giorno speciale. L'incontro a Romena tra Vandana Shiva, autentica icona mondiale della lotta per la biodiversità, e il nostro Wolfgang Fasser, fisioterapista e musicoterapeuta non vedente. Due persone innamorate della vita e della natura. Ascoltare le loro voci, insieme, è stato un regalo prezioso. Da condividere. C’è un vento nuovo, oggi, a Romena. Si respira un’aria di abbracci che si mescola ad un’attesa di suoni e voci della Terra. A stringersi, Vandana Shiva e Wolfgang Fasser, volti in armonia con l’aria, l’acqua, il fuoco. Oggi, accompagnati da Massimo Orlandi, il “nostro” giornalista e Lisa Clark, traduttrice appassionata delle parole di Vandana, sono anche voci della Terra. Laureata in fisica quantistica e in economia, Vandana Shiva insegna un’altra scienza e sogna la sua giungla immensa, come canta Gianna Nannini in Centomila. Nel tempo, Vandana ha fondato la rete contadina Navdanya; un’alternativa per i piccoli contadini indiani minacciati dalle multinazionali del settore agroalimentare. Quelle di Wolfgang e Vandana sono due storie speciali che si intrecciano, nella natura, sulla strada dell’amore per l’Universo. Due storie di vita che si tessono con il desiderio di proteggere e valorizzare ogni punto di luce della diversità. Wolfgang, fisioterapista, musicoterapeuta, non vedente dall’età di 22 anni, ci invita sin dal primo abbraccio a non bloccarci davanti ai nostri limiti, ma ad utilizzarli per cambiare direzione. Sono Wolfgang e Vandana, che 20 su invito di Massimo, si raccontano… “Sono un uomo sufficientemente tenace, paziente, creativo tanto da riuscire e invitarvi a rompere gli schemi quando ci fanno addormentare e fermare sul posto”. “Sono figlia dell’Himalaya e delle foreste dell’Himalaya. Godo dell’abbondanza e della bellezza della natura. Lotto contro le minacce alla bellezza della vita e della natura”. Da qui le loro parole acquistano sempre più vigore, fermezza, vitalità. Ci portano nei luoghi della loro vita, laddove sono partiti i loro progetti. Wolfgang ci conduce nella sua montagna svizzera, luogo di infanzia: montagna per sciare, e per scoprire le meraviglie della natura. È da lì che ha cominciato a sentirsi parte dalla natura. Wolfgang ci racconta così che si può essere in sintonia solo “facendo parte di questa natura. Mi sento, mi muovo, sono in relazione: ci sono tanti canali per stare in relazione con l’Universo”. E poi sulla sua cecità: “Non mi manca ciò che non ho: è un’illusione pensare questo. Il mio punto di vista è complementare al vostro e noi insieme ci arricchiamo”. Vandana ci riporta al 1973. “Ero in parten- za per un dottorato in Canada e prima di partire decisi di visitare nuovamente il mio luogo preferito: una volta quel luogo era una foresta con ruscelli e corsi di acqua e quando tornai, invece trovai la foresta morta. Per le donne del villaggio la foresta era fonte di vita: acqua, cibo per le persone e per gli animali. Con l’abbattimento del legname, l’acqua era venuta meno. Le donne del villaggio dettero così vita a questo movimento chiamato Circle nel quale ciascuno abbbracciava un albero per dire «queste foreste sono le nostre Madri, noi abbracciamo gli alberi e per arrivare a loro dovrete ucciderci!» Lo scopo delle foreste è darci acqua, è darci vita. In quel momento mi dissi che non era poi così necessario avere un dottorato; la vita era ed è l’insegnante migliore.” Massimo chiede a Vandana della biodiversità, chiede perché questa battaglia ci riguarda tutti.“La prima ragione – spiega Vandana – è che tutte le specie hanno diritto a vivere e noi dobbiamo proteggerle. La seconda è che l’industria è cieca a questa diversità. La biodiversità è intelligente, è creativa. In realtà la biodiversità produce più cibo, ci da l’abbondanza”. “Vandana ha detto: il nuovo rinascimento sarà consumare meno. Come ti suona questa frase?” chiede Massimo a Wolfgang. “Rispondo portando qualcosa dai miei amici del Leshoto, dei quali sono molto orgoglioso. Riporto a casa l’idea di pretese malate. Quante cose consumiamo e poi non troviamo il tempo di stare con i figli o nella coppia. Rinunciare a qualcosa ci fa stare meglio, ci rende liberi. Lavoriamo per guadagnare e compensare quel tempo che non abbiamo. Il mio amico in Leshoto mi dice: oggi è venuta mia sorella a trovarmi e mi ha donato un banana e una mela. Torniamo a meditare sulle sane pretese. Poi vi dono l’idea di tornare modesti. Non solo nel consumo, ma anche nelle relazioni. Tornare modesti per stare insieme abbassando le aspettative. Questi manager sono de-relazionati. Torniamo a essere umili, a vivere la vita com’è”. Anche Vandana, pone l’accento sul problema di questa modernità che si racchiude nell’ossessione dei soldi e la trascuratezza della comunità, delle relazioni; questo girare i soldi è povertà nella vita delle nostre comunità e non ricchezza. Ecco perché dobbiamo inventare nuove regole per la natura, per l’economia, per le relazioni. Le voci della Terra di Wolfgang e Vandana si ritrovano nelle loro, reciproche promesse. “Incontrarti è stato meraviglioso, un onore” dice Wolfgang a Vandana “Insieme continueremo a camminare: tu da una parte la fuori e noi qui. Cammineremo sugli stessi sentieri, incontrandoci. Se sarai stanca torna a casa, vieni a trovarci; lavorerai nell’orto. Grazie per quello che fai, per la tua fiducia e per la tua forza”. “Wolfgang” precisa con amorevolezza Vandana “la foresta è sempre stata la mia maestra, ma oggi mi hai insegnato ad ascoltarla e non solo a guardarla. Aver visitato la tua comunità mi ha fatto ricordare che è nella condivisione che si crea ricchezza e benessere. Tornerò Wolfgang, a fare una passeggiata con te nella foresta”. Le voci di Vandana e Wolfgang sono terra, sono acqua, sono aria. C’è aria di speranza, oggi nella pieve di Romena. C’è il fuoco della responsabilità verso la vita e i suoni delle loro voci ci invitano a restare immersi nella nostra Terra. Centomila voci in coro centomila volte in un respiro solo innamorati della terra di qualche verità. 21 Una nuova casa per la fraternità di Massimo Orlandi Viaggio tra i lavori di ristrutturazione che presto consegneranno a Romena nuove opportunità per accogliere. Con una guida speciale: Pier Massimo Morrone, l'architetto e amico di Romena che ha progettato i nuovi spazi. “Avete finito?” questo piccolo tormentone è diventato un modo per salutare gli amici che da mesi lavorano alla ristrutturazione della fattoria. Non rispondono, ovviamente. Ma da un po’ di tempo il loro sguardo è cambiato: perchè ora tutto comincia a prendere forma, e quella forma contiene quel sì che, prima o poi pronunceranno. “Andiamo” mi dice Pier Massimo Morrone, l'architetto che dirige i lavori. Bisogna essere sul posto per capire come il sogno si stia impastando con la fatica. Pier Massimo da oltre vent’anni cura ogni ristrutturazione della fraternità. È sua la mano leggera e attenta che ha permesso di valorizzare così bene gli 22 spazi della canonica, rispettandone la storia. Sapere che è suo anche il grande progetto della fattoria rassicura. È lui semmai a sentirsi un po’ preoccupato per la responsabilità: “Nella canonica abbiamo curato e rispettato ogni pietra, ogni centimetro, ogni spigolo. Eravamo in uno spazio antico e dovevamo rispettarlo. Questo lavoro è completamente diverso: per la grandezza degli immobili e perché sono in gran parte edifici moderni”. Integrare, raccordare: ecco le prime parole che l’architetto deve declinare in spazi. In questa funzione lo aiuta il primo immobile che incontriamo oltre la strada che fiancheggia la pieve: è la casa colonica. “Pensa che questo edificio è presente nel catasto leopoldino di inizio ‘800. Probabilmente risale al secolo precedente. Sarà importante, magari in una fase successiva, riscoprirne l’anima antica, oggi nascosta dai molti rifacimenti. Ma nel frattempo potrà già assolvere un ruolo prezioso: dare ospitalità ad almeno venti persone per volta”. Il profilo della casa colonica accompagna nella breve salita che conduce al cuore della nuova struttura: il grande immobile che ospitava le stalle dell'azienda agricola e il piazzale prospiciente. È qui che si concentrano, in gran parte, i lavori. È qui che ci si può fermare per provare a capire cosa è stato questo luogo e cosa potrà diventare. “Questa grande stalla fu costruita all'inizio degli anni sessanta. Vi venivano allevati bovini da latte. Gli ambienti più piccoli che si trovano intorno avevano funzioni strettamente connesse: vi era la stanza della mungitura, le stallette per le fattrici e per i tori. Poi dagli anni Ottanta l’attività cominciò a declinare e progressivamente tutti questi locali rimasero inutilizzati”. Nonostante il lungo abbandono la struttura è rimasta solida. I lavori effettuati sin qui sono serviti a ripulirla, a risanarla e a consolidarla. Già ora si può immaginare cosa diventerà: “Al centro della struttura – sono parole di Pier Massimo – sorgerà l'auditorium della fraternità. Abbiamo mantenuto la copertura a volta, le pareti in pietra sono state ripulite e stuccate. La sala avrà una capienza di 300 posti, ma potrà essere modulata su ogni esigenza. Sarà climatizzata con un impianto di trattamento completo che consentirà di regolare la temperatura per tutti i dodici mesi dell'anno”. All’auditorium si accederà da un grande atrio aperto, che servirà anche come porta d’ingresso per i due grandi locali laterali: il primo sarà adibito alla vendita dei libri, il secondo diventerà un punto di ristoro. Sull’altro lato rispetto all'auditorium saranno invece realizzate una cucina, una sala mensa da 40 persone, una saletta per piccoli gruppi, e inoltre la sede della casa editrice. Tutti questi locali, saranno intercomunicanti come fossero uno spazio unico; ciascuno, attraverso grandi aperture, si affaccerà sul grande prato esterno: “Questi spazi saranno fruibili a tutti: la progettazione prevede un’attenzione massima a evitare ogni barriera architettonica”. La visita si completa nel piazzale che 23 diventerà prato; sarà una terrazza verde aperta sulla valle, con un panorama mozzafiato del Casentino davanti. Il prato, inoltre, permetterà la ricucitura dello spazio con la pieve sottostante. Non è difficile, già, ora, immaginare tutto. Ma, concretamente, quando accadrà? Pier Massimo non si sbilancia, nei suoi occhi più che una data leggo una prospettiva: “Per alcuni ambienti, come il punto ristoro e la libreria siamo in dirittura d’arrivo, e presto potremo concentrare tutte le forze sull'auditorium. Diciamo che la prima parte delle opere saranno pronte per i primi mesi del 2012”. Ora si scende di nuovo verso la pieve. Mentre ascolto l’architetto penso che è impossibile rendere in un articolo il lavoro, la fatica, ma anche il grande sforzo creativo che si sta realizzando per offrire a Romena nuovi spazi e affinchè quegli spazi corrispondano al valore della pieve. Sarà bello vedere tutto finito, certo. Ma è anche prezioso guardare la me24 tamorfosi di un luogo mentre è in atto. Una volta, neppure troppo tempo fa, Romena aveva un'anima rurale, sottolineata dalla presenza di una grande azienda agricola. Quell’anima non scompare, ma si trasforma: la semplicità della campagna si mette al servizio di un luogo dove ciascun viandante possa fermarsi, ripensarsi, incontrare, fare un pezzo di strada. La fattoria servirà a questo: ad allargare gli spazi d’incontro, a renderli fruibili a tutti. Quando piove e quando c'è il sole, dodici mesi all'anno Romena proverà a offrirsi. Come porta aperta, come luogo di pace e di incontro. Con la frase che ama di più: “Vieni, chiunque tu sia…” Tempo di Fraternità Si chiama Tempo di fraternità la proposta di Romena per accompagnare un periodo delle vostre vacanze offrendo un'opportunità di incontro, di condivisione e di accoglienza. Si tratta di un'esperienza nuova solo in parte: da molti anni Romena, nel periodo estivo, organizzava settimane nelle quali si poteva vivere in fraternità seguendo lo stile di un eremo, e dunque fra momenti di incontro, di silenzio, di lavoro, di preghiera. Il tempo di fraternità riproporrà questa esperienza, ma allargandola nello spazio (dal primo al 25 agosto) e rendendola del tutto aperta alla disponibilità di chi vorrà parteciparvi. Chiunque, in sostanza, potrà vivere a Romena per il tempo che vorrà, anche per un solo giorno. Agosto 2011 Ad agosto, nel mese del riposo e delle vacanze, la proposta è quella di offrire uno spazio di semplicità, di attenzione, di gesti concreti per riscoprire la vita nella sua nudità, nella sua bellezza e nel suo mistero profondo. Per partecipare telefonare al 339.7055339 (Francesca) orario 18.30-20.30 25 Il cammino delle “Domeniche di Romena” naturale, parte del nostro percorso. L’appuntamento è alle 11, con la lode in chiesa, cui segue una riflessione sul Vangelo nel prato. Nel pomeriggio il momento centrale, l'ascolto di una testimonianza, prima della messa. Incontro delle 15 in Pieve Tonio Dell’Olio Offrire un’opportunità per trascorrere una giornata a Romena, con la possibilità di avere spazi di incontro e di silenzio, di ascolto e di condivisione. Sono nate per questo le domeniche di Romena. E dopo due mesi ci accorgiamo che stanno diventando, in modo La riflessione sul vangelo 26 Da Monsignor Bettazzi a Tonio dell’Olio, da Vandana Shiva ad Angelo Casati, tanti sono stati gli amici che hanno già offerto il loro contributo. Altri ne verranno. E cresce, spontaneamente anche la partecipazione di chi ora sa che la domenica di Romena può essere una risorsa preziosa. Per ascoltare, per stare, per rilassarsi. Per condividere da solo, in gruppo, con la famiglia, il prezioso spazio del giorno di festa. Festa della 20 ° Fraternità 1991- 2011 Incontro con don Luigi Ciotti Fondatore del gruppo Abele, presidente di Libera, don Luigi è una figura di riferimento per la nostra fraternità. Domenica 31 luglio festeggeremo insieme i 20 anni della fraternità. Lo faremo con una giornata di semplicità e di condivisione. Lo faremo insieme a don Luigi Ciotti, il “polmone di Dio” che ci ha sempre seguito con tanta passione e amicizia. Ma la giornata sarà anche un’occasione per stare insieme, per parlare del presente e del futuro della Fraternità, per trasmetterci reciprocamente la voglia di continuare questo cammino. Domenica 31 Luglio programma Ore 11 Lode del mattino Ore 12 riflessione a gruppi del vangelo Ore 13 Apertura punto ristoro Ore 15 Incontro con don Luigi Ciotti Ore 17 Messa Ore 18 Festa nel prato con la musica dei Bandidos Rurales 27 GRAFFITI on abbiate paura. Mentre ero in ospedale con il mio Tiziano, tutte le sere prima di andarmene e prima che lui mi facesse ciao e mi buttasse un bacio dalla finestra della sua stanza, pregavamo insieme una preghiera “la coroncina della Divina misericordia” e ad ogni pensiero intercalava l’esclamazione “Gesù pensaci tu!”. Tutte le volte nel tornare a casa in macchina dall’ospedale mi sforzavo di non chiedere al Signore come doveva pensarci secondo me, ma qualunque fosse stata la strada da percorrere, “il Gesù pensaci tu” era come un affidarsi totalmente a lui. Ovvio che la paura imperversava in me, ma subito ricordavo la prima omelia di Giovanni Paolo II “Non abbiate paura!”. Più di una volta ho riflettuto che l’espressione “non abbiate paura” abbracciava un sacco di cose, ma vista la situazione in cui Tiziano si trovava (ricoverato per emorragia cerebrale lieve, ma provocata da un tumore cerebrale aggressivo) ho davvero sentito la paura che mi attanagliava per una sua eventuale perdita. Ho pregato il Signore di darmi la forza e di non aver paura qualunque cosa succedesse…Sono stata esaudita! Dopo la biopsia Tiziano è stato rimandato a casa in attesa della risposta per la radio e la chemio, ma 7 giorni dopo a casa nostra, se n’è andato senza soffrire mentre mi stringeva la mano chiamandomi “Simonetta”, (la previsione era quella di radio e chemio palliativi per vivere forse 2 o 3 mesi perdendo anche la ragione)! Tre ore prima, visto che non aveva voglia di fare logopedia gli ho scritto una lettera in modo che lui la potesse leggere a voce alta: N Tiziano mio… Ho racchiuso in uno scrigno tutte le cose che non ho avuto modo di dirti. Per tutte le cose non ti ho detto, per tutti i pensie- 28 ri che non hai visto, per i baci che non ti ho dato sono qui a dirti che ho bisogno di te. Che strano il destino! Quando sembra che i giochi siano fatti ecco che un’altra mano di carte ti dice di puntare ancora sulla speranza e sull’ottimismo. Ce la faremo Tiziano, vedrai supereremo anche questa situazione, insieme come tutte le cose che abbiamo imparato a fare da quando ci siamo incontrati. Così sono qui a dirti che ti ho sempre amato, così ti amerò per sempre, e se il sempre non esistesse, ti prego svegliami un attimo prima che il "sempre" scompaia. Dedico queste mie parole ad un “piccolo” uomo, ma che è un gigante d’anima, bontà e di cuore, un uomo molto speciale, un uomo che mi ha dato molto e che insaputamente ha risvegliato in me la voglia di AMARE e di vivere… Mio “piccolo” uomo, mi sono innamorata di te, per quello che sei, per tuoi modi un po’ da orso, i tuoi occhietti furbetti, come un bimbo quando gli si dà la cioccolata, la tua risata di felicità e le tue lacrime di tristezza. Chi non ti conosce non capirà mai quello che dai, togli l’arsura, fai tornare l’arcobaleno, fai rinascere i fiori nel deserto! Ci sono viaggi, splendidi ed inaspettati, Tiziano, che non sai quando sono cominciati ed ancora, dove ti porteranno. Ci sono strade, sempre uguali, che percorri ogni giorno senza guardare ed altre che scopri improvvisamente, senza sapere. Ci sono temporali, violenti ed impetuosi, che riversano fiumi d’acqua sulle strade e rivestono di onde trasparenti le vetrate e, ci sono piogge sottili e leggere, che penetrano profonde nella terra a far vivere splendidi fiori e a crescere piante meravigliose. Ci sono tempi tutti uguali, uno accanto all’altro, rincalzati da un monotono orologio che rintocca le ore, che ormai non aspetti più, e ci sono istanti che vivono una vita. Ci sono sogni mai esauditi e sogni mai sognati. Ci sono occhi aperti che non guardano ed occhi chiusi che raccolgono emozioni profonde. Ti ho incontrato ad occhi chiusi nell’oscurità più intensa e, ad occhi chiusi, ho cominciato a camminare con te. Ad occhi chiusi ho raccolto il miracolo di una lacrima che sottile ha innaffiato le nostre radici, leggera e continua è entrata nella mia vita. Ad occhi chiusi ho vissuto parole, silenzi, gesti, emozioni che ho racchiuso nello scrigno più prezioso della mia memoria. Ad occhi chiusi ti dico:“ti amo”. GRAZIE DI ESISTERE, E GRAZIE DI AMARMI COSI!!! Un giorno da vecchi mi guarderai negli occhi e rideremo di questa ridicola lettere d’amore, ma quanto felici saremo di averle scritte sulle rughe della nostra vita. la tua Simonetta a paura che tutti noi proviamo spesso passa inosservata, facciamo fatica ad ascoltarla. Mi viene da paragonarla all’aria. Come l’aria c’è, ma non si vede, se non ci prestiamo attenzione è come se non esistesse, può essere sana o malata: nel primo caso ci nutre, nel secondo ci intossica. La paura è così, oggi almeno guardando fuori dalla finestra mi è sembrato. Fuori c’è vento, ieri era caldo, tutto sembrava terribilmente fermo. Oggi l’aria scompiglia le chiome degli alberi e ci annuncia un temporale estivo, ci rinfresca. Pensando alla paura non posso fare a meno di provare le stesse cose. A volte sembra lontana, altre è presente nelle mie giornate tanto da muovere sentimenti, pensieri, azioni. La prima reazione sarebbe quella di scappare, ma paradossalmente questo sentire che sembra così effimero corre più veloce di me. Col tempo ho apprezzato la consapevolezza di questo sentimento che richiede un po’ di fatica, ma può insegnarmi tanto. Quando la paura è sana, mi salva dal mettermi in situazioni pericolose che molto probabilmente finirebbero solo per ferirmi, non sempre l’ascolto forse perché a volte preferisco come tanti intorno a me, il brivido, il voler essere più forte, ma questo non vuol dire affrontare la paura. (…) Penso allora a Maria, al suo modo di stare, di serbare tutto nel suo cuore e provo grande ammirazione. In questo stare scopro l’umiltà e la libertà di essere L imperfetta, la scoperta meravigliosa che Dio mi ama già adesso e non per quello che potrei diventare. Ci vuole coraggio, ma alla fine mi rendo conto che è meno difficile di quello che sembra. La paura ingrandisce tutto ed allora io lo faccio tornare piccolo affidandolo a Dio. Elena Landi ani che tremano, umide e fredde come un mattino d’inverno. Cuore che batte e gambe che si preparano alla fuga. È tutta un contrasto di sensazioni la paura, di caldo e freddo, di pieno e vuoto. Avevo paura di mio babbo, quando con mia sorella si alzava la voce giocando all’ora del telegiornale. Avevo paura di avere freddo, nelle prime sere d’autunno o nelle giornate di aprile. E avevo paura dei cani, del loro impeto e della loro irruenza. Poi, crescendo, ho conosciuto la paura del domani, del passato che a volte ritorna e a volte non ritorna mai, di una vita in cui sembra non s’incastri mai nulla, di rispondere a quella domanda che di tanto in tanto ti passa per la testa… “che ci faccio qui?” Fino ad un giorno di primavera, in cui un temporale ha liberato nel cielo un arcobaleno, preannunciando un nuovo inizio. M 29 Ho imparato che ci si deve abbandonare alla vita con fiducia, perché quasi mai ho trovato quello che cercavo, ma quasi sempre la vita mi ha offerto ciò di cui avevo bisogno, gratuitamente e spontaneamente. Siamo cicli di natura, e non ho paura, perché il domani ha l’entusiasmo del mio cane quando torno la sera. Ora i cani sono miei amici. Antonio attanaglia e spesso non mi fa vivere con serenità le relazioni. Conscia di ciò, ascolto le emozioni cercando di dar loro uno sfondo razionale, fermo, di non farmi trasportare solo ed esclusivamente da questo timore. Fortunatamente riesco a coltivare sentimenti, relazioni, amicizie, ma non sempre è facile riuscire a non farmi ‘travolgere’ dalla paura dell’abbandono e dalla sofferenza che ne consegue. Anna Mordhorst rano forse le ore 23 quando quella sera aprii gli occhi, avevo 6 anni e forse avevo dormito per un paio d’ore. La campagna era silenziosa intorno, dormiva. La luce in cucina ancora accesa, ma non avvertivo la presenza di mia madre, nessun rumore. Mi alzai in preda ad una strana sensazione, una paura: dov’era mia madre? Cominciai a chiamarla a cercarla in casa e fuori. Niente. Avvertii un brutto senso di vuoto, di abbandono, di solitudine. Improvvisamente mi ricordai che la sera stessa prima che mi coricassi mi aveva proposto di andare a veglia dai vicini; ero stanca e l’avevo pregata di rimandare ad un’altra sera. Collegai la sua assenza al volere andare a veglia dai vicini… Uscii fuori nella buia notte di campagna; non l’avevo mai affrontata, per ora l’avevo solo temuta: ‘l’uomo nero’, ‘il lupo’, erano in agguato. Ero una bambina. La razionalità non fa parte dei bambini, essi vivono in prevalenza di emozioni e sentimenti. Cominciai a correre, il senso di abbandono, il desiderio di ritrovare mia madre sovrastavano la paura del buio. Correvo voltandomi ad ogni passo per essere sicura che nessuno mi seguisse. Bussai col cuore in gola e il fiato corto alla porta del vicino dopo una corsa di dieci minuti… voci.. qualcuno ridacchiava… ‘scommettete che è mia figlia?’; vennero ad aprirmi, corsi da mia madre e l’abbracciai stringendola forte tra le lacrime, felice di averla ritrovata, ma anche ferita dal fatto che mi aveva lasciata sola in casa. Non fu quella né la prima, né l’unica volta che mia madre mi lasciò sola. Da allora il senso di vuoto, di abbandono si è annidato in me, vive nel mio inconscio a dispetto della razionalità e purtroppo questa paura si presenta quotidianamente nella mia vita; nei rapporti sentimentali, nelle grandi amicizie, la paura di essere abbandonata, lasciata sola, mi E 30 n questi ultimi anni di grandi cambiamenti qualche volta mi sono sentita dire: – Hai forza e coraggio! – Queste due parole all'inizio entrano dentro di me con il ritmo squillante della fanfara della vittoria, ma poi, pian piano, scendendo nei meandri più nascosti, la musica si fa beffarda e insolente e va a risvegliare paure mai del tutto sopite. Ed eccole comparire: paure piccole, infantili, antiche, esistenziali, nuove, legate al tempo che passa, alla paura del dolore mio e altrui, della solitudine, di perdere chi amo… accompagnate per mano “dalla paura di aver paura”. Mi salva da questa strisciante inquietudine la mia voce che spesso affronta con i bambini a scuola il tema della paura, allora mi siedo anch’io al banco con loro per ripassare la lezione : “Bambini aver paura fa parte della nostra umanità, ogni stagione della vita presenta le sue difficoltà e le sue paure, diffidate di chi vi racconta di non averne. Il vero coraggio è nel cercare di affrontarle e ci sono delle piccole strategie che ci possono aiutare. Innanzitutto vicino a noi I c’è sempre una persona di cui ci fidiamo con cui condividere una nostra paura, che ci potrà dare buoni consigli. Parlandone, poi, scopriremo che anche altri hanno le nostre stesse paure e affrontarle insieme ci farà sentire più forti e impareremo a conoscerci meglio, a trovare nuovi amici. E, dopo aver parlato e ascoltato i consigli, ci sono dei momenti in cui siamo soli ad affrontare una difficoltà, una paura, ma anche lì non dobbiamo temere perchè dentro di noi ci sono delle risorse preziose, che a volte non sappiamo neanche di avere, ma che ci vengono in aiuto quando ne abbiamo bisogno… così come la Vita ci corre incontro con inaspettate sorprese, con aiuti provvidenziali…” Sì per me è stato così: della ritrovata fiducia in me e negli altri, del fiducioso abbandonarmi alla Vita, si nutre, forse, il mio debole coraggio. Maria Grazia De Angeli per avvelenarci la vita. Forse dobbiamo imparare a discernere quando dobbiamo scappare e quando dobbiamo restare, tutto qui. Di sicuro non c’è una “regola” fissa, ma quando le paure avvelenano la nostra vita, quando bloccano la nostra vita di sicuro portano un altro messaggio per noi. Sono forze molto potenti capaci di trasformare se solo siamo capaci di accoglierle. Forse un passo decisivo con le paure è di non considerarle “nostre” in assoluto. Ci sono e sono per tutti e anche se cambiano di contenuto, possiamo imparare a considerarle più universali. Quindi non più la “mia” paura, ma la “paura”. Uno spostamento di immagine che può risultare decisivo, non più per combatterle, ma per accettarle, non più una lotta, ma una resa senza condizione. Allargare le braccia e dare a quei visitatori una nuova fiducia, può essere il gesto da fare. Silvano Ferrari O gni giorno arrivano, sono tante e cambiano sempre in fretta. A volte non chiedono nemmeno il permesso di entrare, entrano e basta, all’improvviso, sbattendo le porte. Altre volte giungono a noi di soppiatto, silenziose si infilano dentro, sotto. Non ci sono barriere o protezioni che possono polverizzarle. In questo siamo davvero indifesi. Tutti allo stesso modo ne soffriamo, li soffriamo. Io credo però che avere paura, sia una cosa sana, indispensabile, come tutto quello che c’è sotto il sole. Non credo che Dio abbia messo qualcosa di troppo, qualcosa di inutile, se Dio è perfezione, come può una cosa perfetta creare cose guaste o che non funzionano. Forse anche per le paure occorre capire a cosa servono. Sono segnali, come campanelli che si mettono a suonare per ricordarci qualcosa. Se proviamo a seguirle, se proviamo a restare nella e con la paura del momento, anziché darsela sempre gambe, forse hanno un messaggio. Troppo spesso però non diamo loro il tempo di consegnare la loro missiva e allora ritornano. Vogliono essere riconosciute, vogliono la loro parte in questa vita, vogliono svegliarci. Senza ombra di dubbio, la cosa più facile da fare quando siamo visitati dalle paure è la fuga. È la reazione più spontanea, a prima vista anche la più naturale. Per certe paure è anche la cosa più saggia da fare, mentre per altre direi di no. Alcune paure vengono per salvarci la vita, ed è giusto e corretto fuggire, ma molte altre vengono PROSSIMO NUMERO: il giornale in uscita a ottobre approfondirà il tema: “Custodire e Coltivare”. Inviateci lettere, idee, articoli, foto (termine ultimo: 15 09 2011), preferibilmente alla nostra e-mail: [email protected] UN CONTRIBUTO: se volete darci una mano a realizzare il giornalino e a sostenere le spese potete inoltrare il vostro contributo col bollettino allegato, oppure effettuare un’offerta ai seguenti conti correnti intestati a Fraternità di Romena ONLUS, Pratovecchio (Arezzo): postale IBAN: IT 58 O 07601 14100 000038366340 bancario IBAN: IT 25 G 05390 71590 000000003260 PASSAPAROLA: se sai di qualcuno a cui non è arrivato il giornale o ha cambiato indirizzo, se desideri farlo avere a qualche altra persona, informaci. SEGRETERIA: l’orario per le iscrizioni ai corsi è preferibilmente dal mercoledì al venerdì dalle 17,30 alle 19,30, sabato e domenica quando vuoi. Le iscrizioni ai corsi si aprono il primo giorno del mese precedente al corso stesso. 31 Q uando si agisce cresce il coraggio, quando si rimanda cresce la paura. Foto di Giuditta Scola Publilio Siro 32