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2011/2-Le paure che ci abitano

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2011/2-Le paure che ci abitano
Tariffa Assoc. Senza Fini di Lucro: Poste Italiane S.P.A - In A.P -D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/ 2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB/43/2004 - Arezzo - Anno XV n° 2/2011
Le paure
che ci abitano
20°
1991- 2011
1
SOMMARIO
3
Primapagina
Quel filo sottile
6
4
Il vento che scompiglia le paure
Una vita non basta
8
10 L'anima dell'uomo, più grande di ogni paura
Quell'ansia che ci ruba la vita
12
14 La magia del contatto
Dentro il mistero c'è la gioia
18
20 Le voci della Terra
Una nuova casa per la fraternità
22
25 Tempo di Fraternità
Il cammino delle “Domeniche di Romena”
28 Graffiti
trimestrale
Anno XV - Numero 2 - Luglio 2011
REDAZIONE
località Romena, 1 - 52015 Pratovecchio (AR)
tel. 0575/582060 - fax 0575/016165
www.romena.it
e-mail: [email protected]
DIRETTORE RESPONSABILE:
Massimo Orlandi
REDAZIONE e GRAFICA:
Raffaele Quadri, Massimo Schiavo, Luca Buccheri
FOTO:
Massimo Schiavo, Giuditta Scola, Piero Checcaglini
Copertina: Giuditta Scola
Hanno collaborato:
Luigi Verdi, Paola Nepi, Pier Luigi Ricci, Luca Buccheri,
Luigi Padovese, Maria Teresa Marra Abignente,
Stefania Ermini
Filiale E.P.I. 52100 Arezzo
Aut. N. 14 del 8/10/1996
26
Paolo ha avuto una vita troppo intensa per costringerla in poche righe. Attore e regista
teatrale, personaggio sempre fuori schema, circa 30 anni fa ha mollato tutto per seguire le
strade della povertà in sandali. Ha creato le “ronde della carità” per dare cibo e assistenza
ai senza tetto di Firenze e poi ha girato l’Italia per seminare quest’idea (oggi le ronde operano in oltre 70 città). A 75 anni sostiene di essersi ritirato, ma da “eremita metropolitano”,
così si definisce, è più che mai immerso nel vortice della vita sociale tanto che ogni giorno
affolla la posta di giornali e amici con esternazioni su tutto.
Il suo fiume di mail scorre anche sul mio computer e talvolta, lo ammetto, guardo e lascio
passare. Quella volta però no. La vittoria sul drago andava celebrata.
In quella mail, con uno stile epico e un po’ di narcisismo da attore, ma anche con un grande
dispendio di umanità, Paolo aveva concentrato tre preziosi insegnamenti per affrontare,
concretamente, le paure più grandi.
Primo. Parlane agli altri. Non lasciare che il drago ti attacchi mentre sei in uno spazio chiuso.
Paolo racconta del paradossale senso di esclusione e di vergogna (questi i termini che usa)
dei malati che incontrava ogni giorno in corsia, chiusi nell'assurdo senso di colpa di esser
lì. La clausura amplifica ogni paura. E allora aprire il guscio è necessario.
Secondo. Lasciati abbracciare. Paolo parla delle dimostrazioni di affetto ricevute da amici,
volontari, medici, radioterapisti come della cura più importante per guarire. Gli stati d'ansia montano quando proviamo ad affrontarli con le nostre elucubrazioni. Quello che serve
è invece una coccola, una carezza, una condivisione: le nostre paure ci appaiono sempre
enormi e inconfessabili finché non le liberiamo dalla nostra stretta.
Terzo. Guarda oltre. Paolo dice di aver avuto una “feroce volontà di guarire”, ma non credo
si riferisca a un impegno fisico o mentale. La feroce volontà di guarire è in realtà figlia di
una voglia irrefrenabile di vivere. E si ha voglia di vivere quando la nostra vita è incastonata
nel mondo, quando si sente che la nostra presenza non si legittima da sola, ma come parte di
una dinamica più grande. È questo “sentirsi parte” che ci alleggerisce di un peso e ci carica
di una voglia: la voglia di esserci. La “feroce voglia” di cui parla Paolo.
“Non conosco spettacolo più bello di un uomo onesto che lotta contro le avversità”. Così
scrive l’amico alla fine della sua mail, citando Seneca. Mi prendo la forza di queste parole
e di questa testimonianza per prendere slancio e aprire la porta di questo giornalino.
Che parla di paure, e quindi un po’ ci fa paura. Che non offre soluzioni, e quindi può sembrare
inutile. Ma che un piccolo aiuto prova a darlo.
L'aiuto consiste nell’invitarci ad aprire le finestre della nostra casa, della nostra intimità.
Le paure non se ne andranno, d’accordo. Però forse circolerà un po’ più d’aria.
Anche in un solo respiro più leggero questo giornalino troverà il suo senso.
Massimo Orlandi
PRIMAPAGINA
“Paolo Coccheri ha sconfitto il drago”. In una mattina d’estate la mia casella di posta
elettronica mi ha recapitato questa novità. Non era un dispaccio d'agenzia, ma un gioioso
tam tam per gli amici.
Quel giorno Paolo Coccheri era andato all’ospedale di Careggi per una serie di controlli
dopo un lungo ciclo di radioterapie. Alla fine i medici lo avevano congedato senza fissare
nuove sedute: il “drago” aveva battuto in ritirata.
Quel filo sottile
“Al tempo che santo Francesco dimorava nella
città di Gubbio, apparì un lupo grandissimo,
terribile e feroce, il quale non solamente divorava gli animali, ma eziandio gli uomini…”
Ho sempre pensato al lupo ammansito da San
Francesco come a una rappresentazione perfetta di ciò che rappresenta la paura.
La paura è la più arcaica e primordiale delle
emozioni umane. È un’emozione naturale e
complessa, una reazione di difesa, un fattore
di paralisi che ci porta ad aggredire o a fuggire.
Accompagna ogni essere umano sin dalla
nascita, un po’ come l’immagine del lupo si
associa a una pulsione forte, negativa, ma in
qualche modo non sradicabile.
Eppure, di fronte a questo lupo vorace, pronto
a bloccare o addirittura a fagocitare la nostra
vita cosa fa san Francesco? Non scappa, vuol
capire perché quel lupo è violento. Si avvicina
e si accorge che il lupo non è cattivo, che ha
solo fame e paura.
Tra l’atteggiamento di chi si blocca, o fugge
davanti al lupo e quello di chi si avvicina, lo
scarto è minimo: basta un gesto, una spinta,
un atto di coraggio. E ci accorgiamo che la
paura presidiava solo un filo sottile di spazio: quel filo tra il nostro star fermi e il nostro
muoverci.
Al di qua del filo il lupo appare imbattibile,
appena oltre è mansueto: nel confronto con la
realtà le paure si ridimensionano sempre.
Poco più che ventenne, a lungo ho vissuto una
mia personale paura, la paura dello sguardo
degli altri. Strano a dirsi per chi oggi vive costantemente a contatto, faccia a faccia, con le
persone, eppure allora non riuscivo a sostenere l’altezza dello sguardo.
Mi riparavo dietro la mia timidezza, che in
quel caso si era alleata con la paura.
Per affrontare e superare quella difficoltà non
c’è stato altro modo che decidermi a reggerlo
4
di Luigi Verdi
quello sguardo, a accettare il rossore infuocato del mio viso, a passare nel mezzo di una
realtà per me insuperabile.
Di certe paure, una volta affrontate, si finisce
per sorridere.
Così San Francesco non ha paura della vita,
del cielo, della terra, del lupo, del fuoco: passa porte strette, varca le soglie portando se
stesso al di là.
Come lui dobbiamo imparare a vivere stando dentro la vita, prendere decisioni e saper
riscegliere ogni giorno con forza, coraggio e
fiducia. Così i fantasmi della paura rivelano
quello che solo: apparenze.
La difficoltà del tempo presente è che la paura ha assunto anche un altra forma. L’insicurezza, il senso di solitudine e di smarrimento
che domina soprattutto i giovani, nonostante
le loro ostentate sicurezze, hanno alimentato una paura che gira su se stessa, una paura
della paura. I contorni chiari, precisi, benché
alimentati dall’immaginazione si sono trasformati in angosce pungenti senza campi delimitati e in qualche modo aggredibili. Questo rende la paura un ospite sempre più inafferrabile.
Ma la sua natura non è cambiata: e una volta
districato il nodo la risposta è sempre la stessa: occorre un passaggio del fuoco, occorre
una spinta di coraggio. La fragilità che quella
paura indica non sarà superata, ma ricollocata.
Avrà il suo spazio, diventerà accettabile.
Un ultimo pensiero. Quando parliamo di paure in realtà noi ne indichiamo una, da cui tutte
le altre dipendono: la paura del cambiamento.
Le paure contengono tutte un ostinato attaccamento alle proprie prigioni che ha, per conseguenza, un rifiuto del cambiamento. La posta
in palio è altissima.
Bisogna allora provare a sporgerci un metro
oltre l’orizzonte. Perché proprio oltre quel
metro, oltre quello spazio minimo presidiato
dai fantasmi, c’è la nostra libertà.
La paura ha bussato alla porta.
La fede ha aperto.
Non c'era nessuno là fuori.
Foto di Giuditta Scola
Martin Luther King
Il vento che scompiglia le paure
di Luca Buccheri
La paura di vivere, e quella di morire. La paura di amare, e quella dell'altro. Angelo Casati ha
preso queste e tutte le altre paure e le ha messe in fila, una per una. A ciascuna ha dedicato un
capitolo del suo ultimo libro. Il giorno di Pentecoste è venuto a Romena a presentarlo, stringendo
ciascuno di noi nell'abbraccio del suo calore umano, della sua fede e della sua poesia.
“Il prete che parla di Dio sottovoce”, secondo
l'efficace pennellata di una sua piccola parrocchiana, un giovane ottantenne che sa amabilmente parlare di Dio e dell'uomo con un filo di
voce, forse perché è “nel mormorio di un vento
leggero che abita lo Spirito”. Ed era proprio
dentro quel soffio leggero dello Spirito, giusto
nel giorno di Pentecoste, che si è potuta udire la voce di don Angelo Casati, il prete-poeta
milanese che ultimamente ha
regalato a Romena il suo ultimo
prezioso libro, “Le paure che
ci abitano”. Quella domenica
pomeriggio di Pentecoste non è
stata una semplice presentazione del libro, ma l'entrare con lui
e grazie a lui dentro noi stessi
e le nostre paure, favoriti da un
clima esterno un po' autunnale,
che ha favorito l'introspezione
e lo scaldarsi reciproco. “Forse
le paure che ci abitano non le
vinciamo del tutto – ha esordito citando la bella prefazione di
Massimo Orlandi – ma le possiamo scompigliare”.
“Che legame c'è tra paura e
Pentecoste?” è stata la domanda di avvio. “I
discepoli sono chiusi nel cenacolo per paura,
la sera stessa di Pasqua, otto giorni dopo, quaranta giorni dopo; è come se questa paura non
ci abbandonasse mai”.
Guardando poi l'ingresso della pieve colma di
gente, don Angelo ha visto oltre la porta aperta:
“Qualcuno ha bussato alla porta della paura e
la porta si è aperta; è entrato lo Spirito che ci
fa uscire. Lo Spirito è dunque come quel vento
che apre le porte, porta fuori e scompiglia”.
Traendo spunto da un articolo della giornalista
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Barbara Spinelli, don Angelo ha sottolineato
come le emozioni siano importanti nella vita e
tra queste le paure, non solo negative: “Le paure hanno due effetti: un effetto è quello di chiudere le porte, di chiudersi, ma l'altro effetto è
quello di farsi delle domande, di chiedersi dove
stiamo andando, ad esempio per l'acqua, per il
nucleare (il giorno di Pentecoste si è votato per
i referendum, ndr.) e allora spingono a scendere in strada, e danno una spinta
per cambiare le cose. Allora c'è
una paura che può diventare
spinta per ciascuno di noi”.
Spostando lo sguardo sulla chiesa attuale, la vocina di don Casati si è fatta ancora più mesta
e sussurrata, quasi a confessarsi tra amici: “In certi ambienti
ecclesiastici manca il respiro.
Sono andato ad una riunione di
preti del centro… i discorsi tra i
preti sembrano dentro una bolla. Mi mancava l'aria, mi sentivo mancare il respiro, ad un
certo punto sono uscito. Penso
a quello che ci succede a volte
di avvertire, nella chiesa come
nella società, come un desiderio di vento, un
vento che ti faccia uscire, per un viaggio diverso; a volte penso alla vita come ad una barca a
vela, in un porticciolo, le vele sono afflosciate,
la barca è ferma. Il desiderio è che arrivi il vento, investa queste vele e ci porti fuori. Sempre
più mi capita di sentire di persone che, al mattino, non sentono più la voglia di cominciare la
giornata, di riprendere il viaggio”. Siamo persone desiderose di andare al largo eppure a volte sentiamo questa poca spinta nelle nostre vele.
Sembra mancare il vento, sembra che manchi
il respiro. Allora “siamo tutti sulla barca e lasciamoci condurre dal vento, anche se ci sono
momenti – come per i discepoli – in cui viene
la paura, quando la tempesta investe la barca
e l'acqua della paura invade la barca. Penso
che la nostra vita sia questo nostro andare, non
essere immobilizzati, fossilizzati”.
“Abbiamo ricevuto un’educazione – continua
Casati in un crescendo di ascolto e di silenzio
– che spegne la fantasia, in cui ci viene chiesto
di ripetere uno schema che ci è stato insegnato. Ma oggi potremmo dare a questo giorno di
Pentecoste questo titolo: la fantasia dello Spirito al potere. Non la ripetizione di un modello
ma, su suggerimento di uno Spirito che ti abita,
l'invenzione di qualcosa di nuovo. Pensiamo
che questo luogo di Romena sia uno stereotipo, un modello passato dalla chiesa? Questa
chiesa è la dimostrazione dell'invenzione dello Spirito. Si può generare qualcosa di nuovo.
Quando tornate a casa da qui voi avete questa
coscienza: si può dare origine a qualcosa di
nuovo. Nuovo non vuol dire necessariamente
grande; nuovo è un nuovo modo di guardare le
cose, le persone, di stare nella vita, di inventare
ogni giorno la nostra vita. Questa forza dentro
ci fa superare le paure”. Non è mancata poi
una “stoccatina” alla scarsa fantasia dei nostri
governanti che vogliono risolvere il problema
della paura piazzando telecamere dappertutto,
pure nei taxi.
E come vincere quell'ansia oggi tanto comune
che rivela la paura della vita, la prima dell'elen-
co di paure del libro? “È normale aver paura
– ha risposto don Angelo nel dibattito – e dobbiamo rispettare questa nostra misura, questa
nostra fragilità che a volte nascondiamo. Non
abbiate paura delle vostre fragilità, non sono
una cosa sporca, siamo fatti di argilla. È normale avere ansia. Ma forse il passo successivo,
ci dice il libro della Genesi, è che siamo argilla in cui Dio ha soffiato il suo spirito. Allora
tu non sei ansia, preoccupazione, ma dentro
di te c'è qualcosa di forte, anche se non appare. Vorrei farti pensare alla tua vita, a ciò che
hai fatto fino ad oggi, e che in questo cammino
qualcuno ti ha condotto e che se ti ha condotto
ti condurrà ancora”. La fede non ci risparmia
dal passare dalla “valle oscura”; ma in questa
valle oscura non sei solo. “Questa è la forza:
una mano che ti stringe, magari la mano di Dio
che ti stringe è quella della persona che ti vuole
bene, che ti è amica, che tu incontri”.
Rispetto poi ad una maggiore esposizione degli
uomini di chiesa di fronte ai temi caldi dell'attualità (citata una lettera di don Angelo al card.
Tettamanzi riguardo la liturgia e la presa di posizione del nostro ospite sul più delicato caso
Englaro), “dovremmo avere più coraggio ad
esporci e questo ci viene più facile quando non
abbiamo degli interessi da difendere. Io non ho
nessuna voglia di far carriera; se mi facessero
monsignore scapperei via! Pensa ai miei amici
se mi vedessero con quegli stracci rossi… Vedi –
ha concluso con il consueto sorriso – io un grado così di umiltà non l'ho ancora raggiunto!”.
7
Una vita non basta
di Maria Teresa Marra Abignente
Due dolori diversi, enormemente grandi. La perdita del padre, quella del compagno.
Maria Teresa ci porta nel cuore della paura più grande, quella della morte, regalandoci parole
piene di vita. E impregnate di amore.
Sentii dolore di strappo, avevo quattordici anni,
quando morì mio padre. Un dolore che a ondate mi sommergeva e dal quale sembrava che non
potessi riuscire ad emergere. Un dolore che si insinuava subdolo la notte fra le lenzuola, o al riecheggiare di una canzone, o al cospetto del mare.
Era un padre marinaio il mio, e ho sempre sentito
nelle mie vene mescolati sangue e acqua di mare.
Cercavo nel mare il suo volto e la sua carezza.
Da allora l’ho odiata la morte. Odiavo perfino
i fiori: troppi ne avevo visti al cimitero, sgualciti, appassiti, maleodoranti di caldo e comunque beffardi nel voler dare colore a una tomba,
nell’ostinarsi a proporsi come segni di vita.
Odiare la morte significa averne paura, credere
che sfidandola si possa annientarla, distruggerla, eliminarla, per non doverci pensare, per non
ritrovarsi con quel vuoto tra le dita. E nel cuore.
Perché è il vuoto che spaventa, quel non-essere
che occupa il posto dell’essere: la muta assenza
che si sostituisce alle mani, agli occhi, al sorriso, alla voce. E ci fa rabbrividire il pensiero che
le nostre mani, i nostri occhi e la nostra voce
s’incamminano anche loro inesorabili verso quel
vuoto. Brividi di freddo, gelido sgomento.
Odiavo la morte e i fiori, i funerali e i camposanti e mi sembrava che quella marea di silenzio che
aveva preso il posto di mio padre, avanzasse lentamente anche dentro di me. E quando la sera il
sonno veniva, nel gioco ripetuto dei giorni, delle
albe e dei tramonti, arrivava inquieta la domanda
di quando quel gioco sarebbe finito, quando sarebbe stato per me solo notte e sonno perenne.
Da allora cominciai a fuggire la morte. Finché
non arrivò il giorno che me la ritrovai di nuovo
accanto, pronta a divorare il dono più grande che
la vita mi avesse fatto: Giovanni. Nel frattempo
però avevo amato, avevo vissuto l’amore, il desiderio, l’attesa; la meraviglia del germoglio che si
8
trasforma in carne e poi in figlio; la bellezza del
ritrovarsi dopo essersi persi; la gratitudine del
sentirsi totalmente amata. E se prima mi atterriva
il mistero della morte ora ero incantata dal mistero dell’amore e della vita che ne scaturisce.
Fino a capire, a dolcemente e faticosamente riconoscere, che si tratta in realtà di un unico mistero, inseparabile, indissolubile, il mistero che
lega la vita e quel che sembra il suo contrario
all’amore. Ci siamo immersi, stentiamo ad intuirlo, fatichiamo ad afferrarlo, ma in realtà ci
sorregge e ci sostiene, come il mare sostiene e
sorregge la barca. Una vita non basta, non può
bastare una vita a comprendere questo mistero.
Perché l’amore opera meraviglie insospettate: è
audace l’amore, lui sì che sfida le leggi umane
del tempo e dello spazio, sorride delle nostre
costrizioni e dei nostri limiti, non ha confini e
gabbie in cui costringerlo, si fa gioco dei nostri
schemi e calcoli. Riesce a riempire anche il vuoto. Misteriosamente, delicatamente, lasciando
respirare il dolore, dandogli aria e fiducia.
E se l’amore è nutrirsi di attesa sto ancora imparando ad amare. E ancora e sempre mi sorprende
l’amore, nelle carezze della vita, nel mio andargli incontro cercando le sue orme, negli occhi
azzurri di cielo e di mare dei nostri figli, nelle
parole che sento bisbigliare la sera al tramonto e
che teneramente dicono “continua ad amare”.
La marea di silenzio che prima avvertivo incombente ha lasciato il posto ai mille riflessi del sole
sull’acqua, ai suoi giochi di luce, inafferrabili,
ma così veri. E la morte ha smesso di farmi paura perché nell’amore tutto è vita.
Oggi, mentre scrivo, è il nostro anniversario di
matrimonio e questa è quasi una lettera d’amore. Non basta una vita a dirti grazie Giovanni di
avermi fatto capire che la vita, come l’amore, è
infinita. Una vita non basta.
Foto di Massimo Schiavo
Ciò che dà sicurezza
non sono le corazze
ma la fiducia.
Eugen Drewermann
L'anima dell'uomo, più grande di ogni paura
di Paola Nepi
Dal letto dove, da molti anni, conduce la sua vita a causa di una grave malattia, le parole di
Paola volano e vibrano. Per parlarci di quegli angoli bui che possono frenare la nostra vita.
E della strada per superarli.
Un amico mi ha chiesto di dire la mia sulle tante tagliati fuori dal consorzio umano per abitudine
paure che abitano oggi il cuore della gente, culturale e le nostre paure hanno ben poco peso
proprio a me, mi son chiesta? Per chi non mi sociale.
conosce, solo due parole. Una stanza, un letto, Da anni non frequento più le strade del mondo,
i miei libri, la mia musica, le poche cose che ma ogni giorno lo vedo sfilarmi sotto gli occhi:
amo, le macchine che mi tengono in “vita” e quello vicino in chi si accosta al mio letto e mi
fra me e la porta: l'abisso! Quali sono le mie racconta di sé ed il mondo fuori in tutti i mass
paure? Tutte e nessuna, perché averne sarebbe media, nella grande rete informatica che fa
inutile, energia sprecata, uccidere la fantasia, la viaggiare in e per ogni latitudine. Mi accorgo
luce che ancora è in me. No, non sono saggia, ci così che l'uomo oggi trema per molti dei
ragiono ogni giorno poi, faccio e penso ad altro. maledetti meccanismi che si è creato da solo,
È sempre stato così, il cuore dell'uomo freme meccanismi che, in un delirio di onnipotenza, ha
e poi riprende il cammino. So
creduto gli dessero più potere e
del timore innato di quando si
di cui ora non sa come liberarsi.
Credo che vincere le
viene al mondo che ci fa cercare
Potere! Ecco la dimensione che
il seno materno, della sana paure sia rivoluzionario da sempre usa la paura come
paura che salva dal pericolo
controllo sociale, repressione
più di ogni altra cosa perfino spinta al consumismo
vero, difende e preserva la vita,
tutto quel mondo, poi, di paure
e che mondarsi delle smodato di ogni cosa, compresi
che fanno nodo in ognuno di
i sentimenti e gli affetti.
paure sia il sapore vero L'argomento è vasto, non so di
noi, io credo, abbiano un'unica
ragione: l'umana debolezza
sociologia e non voglio ancora
della libertà.
di pensarsi come centro
dilungarmi, ho cominciato
dell'universo.
dicendo due parole su di me,
Certo anch'io temo la morte ed il male, enigmi concludo con altre due parole. Da bambina,
cruciali del vivere umano e, non solo ne ho paura quando ancora il male non mi aveva presa, in
ma addirittura orrore, non del niente però, non casa dicevano che non avessi paura di niente,
della fine, ma del dolore, della sofferenza. Dalle non era vero, il buio mi spaventava come tutti i
ceneri qualcosa rinasce, dolore e sofferenza, bambini; mia madre non transigeva però, all'ora
ne so qualcosa, non hanno nessuna ragione di andare a letto non c'erano deroghe e la luce si
né l'hanno mai avuta, per chi crede dirò che il spengeva perché costava. Nel buio, i pugni e gli
Cristo risorge dalla morte, dal dolore chiede al occhi stretti piano, piano si allentavano, piano,
Padre di essere risparmiato.
piano alla paura si sostituiva la fantasia poi il
Se allora condizione umana è la sua fragilità, sonno beato dell'infanzia. Ecco io credo che
la fine, tutto diventa dono degno di essere l'anima dell'uomo sia più vasta per restringersi
conosciuto e vissuto, inutile ogni altro affanno. nell'angolo buio delle paure, che vincere le
Il mio mondo è sempre stato altro, io e tutti paure sia rivoluzionario più di ogni altra cosa,
quelli come me non possono permettersi le che mondarsi dalle paure sia il sapore vero della
comuni paure di tutti: l'amore non corrisposto, libertà e che la strada infallibile verso questo
la perdita o l'impossibilità di un lavoro, non stato di grazia sia ancora una volta ed abbia un
avere una famiglia, una casa, dei figli, si vive solo nome: Amore.
10
Foto di Massimo Schiavo
Questa è la vera natura della casa:
il luogo della pace,
il rifugio non soltanto dal torto,
ma anche da ogni paura,
dubbio e discordia.
John Ruskin
11
Quell'ansia che ci ruba la vita
di Luigi Padovese
L'eccesso di paura può bloccare la nostra vita. E allora? Per evitare che questo ospite indesiderato
si prenda ogni spazio della nostra casa è necessario cominciare a non eseguire i suoi continui,
assillanti ordini…
Un proverbio russo dice che “la paura ha gli oc- dalla paura, ha in sé un seme avvelenato che, in
chi sgranati”: con gli occhi della paura vediamo una fase successiva della vita, sei chiamato a detutti i “pericoli” reali e immaginari e perdiamo bellare, bonificare, superare. Mi sono così trovato
di vista le opportunità e le gioie della vita. Come a combattere il “drago” del dovere e l’occhio sbisi usa dire: “chi non accetta la morte non accetta lanciato sugli altri. Ho dovuto lavorare duro per
ritrovare l’essenziale e il mio centro, per non perneppure la vita”.
Due bisogni profondi sempre accompagnano la dermi rincorrendo le attese degli altri. Avere sucnostra esistenza: il bisogno di autorealizzazione e cesso, sull’onda del “far sempre bene”, seguendo
il bisogno di sicurezza. Curiosità, novità, cambia- un ideale implicito di “essere perfetti”, mi stava
mento, crescita contrapposti a stabilità, abitudini, portando lontano da me stesso, abitando le attese
ripetizioni, conformismo. È il binario lungo il degli altri, non le mie.
quale scorre il treno della nostra vita. Dobbiamo Nessuno ci chiede di essere perfetti, nemmeno
Dio. Ciò che è importante,
saper abbracciare entramperò, è essere interi, abbi questi bisogni. Ma nella
La paura è come un ospite bracciando i nostri pregi e
“storia personale”, nel nonostri difetti. Questo atstro passato, nello sguardo
non invitato che occupa la iteggiamento
personale ci
del presente e nell’incertezpermette
di
sbagliare,
di acza del futuro che ci attende,
nostra poltrona, si prende il
cettare l’errore, ci permette
lì, nelle “pieghe” di questo
di affrontare i rischi di quel
intreccio, incontriamo le
nostro posto a tavola…
meraviglioso e spaventevole
nostre paure. Le paure sono
Se gli ubbidiamo che motivo laboratorio che è la vita: afmolteplici, potremmo dire
frontare le paure, esprimere
tante quante sono le stelavrebbe di andarsene?
le nostre potenzialità con
le del cielo e le gocce del
coraggio.
mare. Se prevale lo sguardo
di paura la nostra vita si restringe, si dilata la lente Vivere la vita, anche se richiede impegno e duro
dei pericoli possibili ed è facile imboccare la via lavoro su se stessi, apre la porta di un cammino
più leggero, un cammino di evoluzione che ci stidell’involuzione personale, familiare, sociale.
Nello scrivere queste riflessioni mi viene sponta- mola a ricominciare ogni volta che la vita ce lo
neo ripensare a me stesso, a quelle paure, a quel- chiede.
le ansie che mi hanno accompagnato per buona La paura, invece, cerca di bloccare la vita per una
parte della vita. Il timore di essere rifiutato, di sicurezza impossibile. È come un ospite non innon saper rispondere alle attese degli altri, di far vitato in casa nostra, che si accomoda, usando il
brutta figura mi ha fatto “soffrire”, soprattutto du- nostro frigorifero, occupando la nostra poltrona
rante l’adolescenza, ma è stato anche la molla che preferita, il nostro posto a tavola. Se noi ubbidiamo
mi ha permesso di affermarmi attraverso la “via” ai suoi ordini, che motivo avrebbe questo “ospite
del lavoro e della professione, di essere stimato indesiderato” di lasciare la nostra casa?
Quindi, per prima cosa, dobbiamo “disubbidire”
ed apprezzato.
Dunque la paura non è solo origine di blocchi, alle nostre paure, ricordando che finché abbiamo
inibizioni, chiusure, può essere anche stimolo un attimo di vita possiamo cambiare, possiamo
alla crescita o suggeritore accorto di “prudenza” evolvere, possiamo cercare noi stessi, abitare la nonecessaria. Però, nel tempo, mi sono accorto che stra vita e tornare “a casa”, abitandola in pienezza.
se il “propellente” per la propria crescita nasce Non facciamoci rubare la vita dalla paura.
12
Foto di Giuditta Scola
Dio non è nella rigidità,
Dio non è nel trattenersi,
Dio non è nel chiudersi.
È nello sbilanciarsi,
che è lo sbilanciarsi
dell’amore.
Angelo Casati
13
La magia del contatto
di Pier Luigi Ricci
Esiste in ciascuno di noi uno strumento capace di affrontare ogni paura. Si divide in due parti,
strettamente collegate. E produce scintille di fuoco.
Il contatto è la chiave per affrontare le paure.
Non sto dicendo che le annienta, questo non
sarebbe né possibile, né giusto. Le paure fanno
parte comunque della nostra natura umana e
tutto sommato a volte possono darci equilibrio.
Penso che non si debba rimanerne prigionieri,
che non possano loro determinare i tragitti e
le scelte della nostra vita. Anche perché non
si tratterebbe di scelte: chi si lascia prendere
dalle paure non vive, non sceglie, sono loro
che lo fanno al posto nostro. E questo, quando
succede, è un dramma.
Il contatto è una chiave impegnativa, ma accessibile a tutti. Ed è chiara, fa bene, funziona
davvero.
È come se noi, scintille divine, pur portandoci
dentro la grandezza di cui facciamo parte, soffrissimo tremendamente la distanza o almeno
la presunta distanza dalla nostra Origine.
Ci troviamo quaggiù in questo pianetino, pur
circondati da bellezze, a fare i conti con una
condizione estremamente fragile e passeggera.
Un po’ come quella marea di piccole scintille
che escono dalla fiamma. Sono fuoco anch’esse, potrebbero incendiare qualcosa, ma potresti spegnerle una ad una sul palmo della
mano.
La natura umana è proprio così, portatrice di
grandezza, ma estremamente fragile. Nella
solitudine inoltre questa fragilità si fa sempre
più forte e la paura diventa più grande.
Il contatto crea invece un’altra condizione: è
come se si attivasse un processo particolare,
tramite il quale ogni volta che almeno due
scintille si toccano, nasce l’energia e in esse
ogni volta riaffiora la vita.
Gli uomini da sempre hanno percepito di possedere questa magia che rasserena la mente,
scioglie i nodi ed allenta le paure.
E da sempre si sono cercati, si sono toccati,
baciati, abbracciati, hanno cercato di comprendersi, di sostenersi e di proteggersi, anche
se non sempre sono riusciti a farlo bene.
14
Il contatto è un fatto fisico, non un’intenzione,
a volte si può creare con la parola, a volte nel
silenzio. Fa vibrare, mette paura all’inizio, ma
poi è lì che le paure si sciolgono.
Non è automatico. Non basta toccarsi per far
accadere il miracolo. Infatti con il contatto ci
si può urtare, ci si può graffiare, respingere.
Ed allora tutto diventa più difficile.
Credo che siano due gli elementi che creano
un contatto e che entrambi debbano essere presenti in contemporanea in me. I due elementi
sono: io e te. Sottolineo il fatto che devono essere presenti insieme in me e non negli altri.
Io: se in qualche modo non sono attaccato a
me, non mi voglio un po’ bene, non mi percepisco, è molto facile che toccando te cerchi
di rubartela l’energia e non di acquisirla e di
condividerla. Questa cosa accade più spesso
di quanto ci si possa rendere conto. Dagli altri
si pretende, si cercano conferme, agli altri ci
si aggrappa, si assegnano responsabilità, ma
solo per evitare le nostre. Se mi voglio bene
anche se non sono a posto, se sono onesto con
me e so chiedere ciò di cui ho bisogno, allora
il primo elemento del contatto è presente.
Il secondo elemento sei tu: se non so guardarti negli occhi e non mi interessi, potrò anche
toccarti, ma ti farò del male. Se penso a te
come ad un problema o come causa dei miei
mali potrei anche entrare in contatto con te,
ma le mie paure aumenterebbero e forse anche
le tue.
Se invece mi piace che ci sei, se apprezzo che
sei diverso da me e ti considero uguale, se ho
pensato che tu avessi qualcosa da insegnarmi
anche nel giorno in cui abbiamo litigato, allora
ogni contatto potrà sciogliere in me la nebbia
e le paure.
La grandezza di ogni essere umano non sta
nella solitudine, ma nelle opportunità che sa
darsi di toccare e di farsi toccare. Sarà la meraviglia e la sorpresa che proverà ad ogni contatto a liberarlo dalla paura.
Foto di Giuditta Scola
Le peggiori sofferenze dell’uomo
sono quelle che egli teme,
perché il grande ostacolo
è sempre l’immaginazione,
e non la realtà.
Etty Hillesum
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Foto di Giuditta Scola
Non avere mai paura
delle ombre.
Significano solamente
che c’è della luce
che splende lì vicino.
Ruth Renkel
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Dentro il mistero c'è la gioia
di Giovanni
Vannucci*
di Giovanni
Vannucci*
“Un cristiano che ha paura della vita non è un
cristiano”. Dice anche questo padre Giovanni
Vannucci nel testo di questa bellissima omelia
con cui affronta il tema delle paure della vita per
invitarci a cambiare prospettiva…
“Siate pronti, perché non sapete quando verrà il
Figlio dell’Uomo”. Avete ascoltato queste parole
di Cristo? A me interesserebbe moltissimo sapere
le impressioni che la lettura di questo brano del
vangelo di san Luca ha risvegliato nel vostro
cuore. Sono impressioni di paura? Oppure sono
impressioni di gioia? Che cos’è il Figlio dell’Uomo? Cos’è questa manifestazione improvvisa che
avverrà nella nostra vicenda terrena per ciascuno
di noi? Io, spesso, quando leggo il Vangelo sono
preso da un grande senso di sgomento, non per le
parole del Vangelo, ma per tutte quelle pesantezze
che nascono dalle nostre paure e che vi abbiamo
depositato come interpretazioni. Se percorrete
un qualunque libro di meditazioni cristiane, troverete queste parole del vangelo di Luca come
introduzione alla meditazione sulla morte: siate
pronti, perché non sapete in che momento verrà
la morte.
Penso che questa sia una gravissima deviazione
che abbiamo introdotto nella nostra lettura del
Vangelo e nella nostra vita cristiana, e che ci
ha deformati. Abbiamo paura della morte, del
giudizio di Dio, abbiamo paura dell’inferno,
temiamo il purgatorio e speriamo di andare in
un cantuccino del paradiso. E queste parole ci
mettono in uno stato di allarme. E se io vi dicessi
che queste parole di Cristo non sono una sollecitazione alla paura, al timore, allo sgomento? Ma
sono un invito alla gioia, ad affrontare la vita con
un sentimento differente, non di paura, di timore,
di angoscia, ma con un sentimento di gioia? Nelle
parole di Cristo, la vigilanza è chiesta come atteggiamento di spirito nell’attesa della venuta dello
Sposo. Arriverà improvvisamente, lo Sposo. Mica
la morte! Lo Sposo! E quando la sposa si prepara
per il giorno delle nozze e attende nella sua casa
paterna il momento in cui lo sposo andrà a prenderla per condurla al matrimonio, che, ha paura?
Chi di voi ha sposato e ha sperimentato questa
attesa trepidante sa benissimo che non c’è paura,
timore, ma gioia. Inizia una nuova vita, avverrà
l’incontro con lo sposo, principierà una vita di
amore più pieno e più completo tra i due.
E credo che queste parole di Cristo debbano
* Giovanni Vannucci (1913-1984) monaco, fondatore dell'eremo delle Stinche, nel Chianti, è una figura di
riferimento per la nostra Fraternità. Il testo è tratto da “Nel cuore dell'essere” (Edizioni Romena, 2004).
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essere interpretate così, e anche tutto il cristianesimo, che è un invito alla gioia, non è un invito
al timore, alla preoccupazione della morte. Noi
in ogni istante dobbiamo essere aperti alle manifestazioni della vita per partecipare a quanto
di bello, di gioioso, di nobilmente forte ci offre
la vita (…)
avremmo abolito, non il fatto della morte fisica,
che avviene per necessità di cose, ma avremmo
abolito la paura della morte e avremmo sostituito
la parola “morte” con la parola “risurrezione”.
Quando siamo nati alla vita terrena, noi siamo
morti a quella vita che avevamo nel seno della
nostra madre. La nascita è una morte, cioè un
passaggio da un modo di vita a un altro modo
di vita. E così anche la morte è un passaggio da
una vita più limitata, da una vita condizionata
dai sensi, condizionata da limitate nostre facoltà,
a una vita più ampia, più vasta, più immensa.
Questo è l’incontro con lo Sposo.
Ma non aspirate voi a più bellezza? Le piccole
bellezze che riusciamo a costruire ci lasciano insoddisfatti e vogliamo andare oltre, a una bellezza
più piena, più completa, più perfetta, più totale,
che ci soddisfi pienamente! Ma non aspirate
voi a una vita sempre più viva, più intensa, più
ardente, più forte? Ma non aspiriamo noi a una Siamo chiamati alla vita, a una vita sempre più
libertà sempre più piena? Non aspiriamo noi a intensa; siamo chiamati alla gioia, a una gioia
un amore sempre più sconfinato?
sempre più vasta e forte. Questo lo dobbiamo senVedete, in noi ci sono queste pulsioni, e lavorare tire e, soprattutto, lo dobbiamo vivere giorno per
cristianamente nel nostro essere, essere svegli, giorno. Questa è la mia interpretazione personale.
pronti, con le lampade accese, come ci dice Ma credo che se noi non cominciamo a risentire
Cristo, significa portare avanti queste energie il cristianesimo come gioia, come cristiani siamo
che sono in noi. Quindi non
falliti. Non dobbiamo predidobbiamo aver paura. Un
care la morte, né l’inferno,
Non dobbiamo temere.
cristiano che ha paura della
né il peccato. Dobbiamo
Ognuno di noi è chiamato dire agli uomini: noi, come
vita non è un cristiano. Un
cristiano che ha paura della
Cristo, siamo sulla terra per
a
dischiudersi
nell'infinita
bellezza non è un cristiano.
portare la vita e per intensiUn cristiano che ha paura
pienezza di vita che è Dio. ficare tutte le manifestazioni
della libertà non è un cridella vita. Allora saremo veGiovanni Vannucci ramente cristiani e il nostro
stiano. Un cristiano che ha
paura dell’amore e limita il
cuore sarà vasto e i nostri
suo amore non può essere un cristiano. Cristo polmoni respireranno in un’atmosfera, in uno
ci dice: Io sono venuto a portarvi la vita perché spazio più immenso, e le nostre capacità di comabbiate una vita più abbondante. Mi direte: al- prendere le creature saranno molto più profonde e
lora dobbiamo cambiare il mondo? Dobbiamo più accurate, perché quando guardiamo con gioia
cambiare noi, noi stessi, perché ognuno di noi è un essere noi lo comprendiamo meglio di quando
chiamato a dischiudersi nell’infinita pienezza di lo guardiamo condannandolo e recriminando. E
vita che è Dio. (…)
poi, soprattutto, saremo avvolti da una intensità di
bellezza che ci renderà facile la vita, che è dura,
Se noi cristiani sentissimo il cristianesimo come ci renderà amabile la nostra esistenza quotidiana,
partecipazione gioiosa, aperta, amorosa, a tutte che è sempre pesante e dolorosa.
le manifestazioni della vita, saremmo una presenza positiva nell’esistenza, e ci libereremmo Questo slancio verso la vita, questo amore per
da tutte quelle paure, da tutti quegli spaventi, da la vita, questa spinta verso una gioia che deve
tutte quelle moralizzazioni dei nostri atti che ci continuamente crescere nel nostro essere, ci perrendono deboli, inerti, pavidi, nell’esistenza. Mi metteranno di vivere in mezzo agli uomini come
direte: ma la morte? La morte è un passaggio nella portatori del mistero di Dio che è un mistero di
pienezza della vita. E se noi fossimo cristiani vita, che è un mistero di gioia.
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Le voci della Terra
di Stefania Ermini
Cronaca di un giorno speciale. L'incontro a Romena tra Vandana Shiva, autentica icona
mondiale della lotta per la biodiversità, e il nostro Wolfgang Fasser, fisioterapista e
musicoterapeuta non vedente. Due persone innamorate della vita e della natura.
Ascoltare le loro voci, insieme, è stato un regalo prezioso. Da condividere.
C’è un vento nuovo, oggi, a Romena. Si respira un’aria di abbracci che si mescola ad
un’attesa di suoni e voci della Terra. A stringersi, Vandana Shiva e Wolfgang Fasser,
volti in armonia con l’aria, l’acqua, il fuoco.
Oggi, accompagnati da Massimo Orlandi, il
“nostro” giornalista e Lisa Clark, traduttrice
appassionata delle parole di Vandana, sono
anche voci della Terra.
Laureata in fisica quantistica e in economia,
Vandana Shiva insegna un’altra scienza e
sogna la sua giungla immensa, come canta Gianna Nannini in Centomila. Nel tempo, Vandana ha fondato la rete contadina
Navdanya; un’alternativa per i piccoli contadini indiani minacciati dalle multinazionali del settore agroalimentare.
Quelle di Wolfgang e Vandana sono due storie speciali che si intrecciano, nella natura,
sulla strada dell’amore per l’Universo. Due
storie di vita che si tessono con il desiderio
di proteggere e valorizzare ogni punto di
luce della diversità.
Wolfgang, fisioterapista, musicoterapeuta,
non vedente dall’età di 22 anni, ci invita sin
dal primo abbraccio a non bloccarci davanti
ai nostri limiti, ma ad utilizzarli per cambiare direzione. Sono Wolfgang e Vandana, che
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su invito di Massimo, si raccontano…
“Sono un uomo sufficientemente tenace, paziente, creativo tanto da riuscire e invitarvi
a rompere gli schemi quando ci fanno addormentare e fermare sul posto”.
“Sono figlia dell’Himalaya e delle foreste
dell’Himalaya. Godo dell’abbondanza e
della bellezza della natura. Lotto contro le
minacce alla bellezza della vita e della natura”.
Da qui le loro parole acquistano sempre più
vigore, fermezza, vitalità. Ci portano nei
luoghi della loro vita, laddove sono partiti
i loro progetti.
Wolfgang ci conduce nella sua montagna
svizzera, luogo di infanzia: montagna per
sciare, e per scoprire le meraviglie della
natura. È da lì che ha cominciato a sentirsi
parte dalla natura. Wolfgang ci racconta così
che si può essere in sintonia solo “facendo
parte di questa natura. Mi sento, mi muovo, sono in relazione: ci sono tanti canali
per stare in relazione con l’Universo”. E
poi sulla sua cecità: “Non mi manca ciò che
non ho: è un’illusione pensare questo. Il mio
punto di vista è complementare al vostro e
noi insieme ci arricchiamo”.
Vandana ci riporta al 1973. “Ero in parten-
za per un dottorato in Canada e prima di
partire decisi di visitare nuovamente il mio
luogo preferito: una volta quel luogo era
una foresta con ruscelli e corsi di acqua e
quando tornai, invece trovai la foresta morta. Per le donne del villaggio la foresta era
fonte di vita: acqua, cibo per le persone e
per gli animali. Con l’abbattimento del legname, l’acqua era venuta meno. Le donne
del villaggio dettero così vita a questo movimento chiamato Circle nel quale ciascuno
abbbracciava un albero per dire «queste foreste sono le nostre Madri, noi abbracciamo
gli alberi e per arrivare a loro dovrete
ucciderci!» Lo scopo
delle foreste è darci
acqua, è darci vita.
In quel momento mi
dissi che non era poi
così necessario avere
un dottorato; la vita
era ed è l’insegnante
migliore.”
Massimo chiede a Vandana della biodiversità, chiede perché questa battaglia ci riguarda
tutti.“La prima ragione – spiega Vandana –
è che tutte le specie hanno diritto a vivere
e noi dobbiamo proteggerle. La seconda è
che l’industria è cieca a questa diversità.
La biodiversità è intelligente, è creativa. In
realtà la biodiversità produce più cibo, ci da
l’abbondanza”.
“Vandana ha detto: il nuovo rinascimento
sarà consumare meno. Come ti suona questa frase?” chiede Massimo a Wolfgang.
“Rispondo portando qualcosa dai miei
amici del Leshoto, dei quali sono molto orgoglioso. Riporto a casa l’idea di pretese
malate. Quante cose consumiamo e poi non
troviamo il tempo di stare con i figli o nella
coppia. Rinunciare a qualcosa ci fa stare
meglio, ci rende liberi. Lavoriamo per guadagnare e compensare quel tempo che non
abbiamo. Il mio amico in Leshoto mi dice:
oggi è venuta mia sorella a trovarmi e mi ha
donato un banana e una mela. Torniamo a
meditare sulle sane pretese.
Poi vi dono l’idea di tornare modesti. Non
solo nel consumo, ma anche nelle relazioni.
Tornare modesti per stare insieme abbassando le aspettative. Questi manager sono
de-relazionati. Torniamo a essere umili, a
vivere la vita com’è”.
Anche Vandana, pone l’accento sul problema di questa modernità che si racchiude
nell’ossessione dei soldi e la trascuratezza
della comunità, delle relazioni; questo girare i soldi è povertà nella vita delle nostre
comunità e non ricchezza. Ecco perché dobbiamo inventare nuove regole per la natura,
per l’economia, per le relazioni.
Le voci della Terra di
Wolfgang e Vandana
si ritrovano nelle loro,
reciproche promesse.
“Incontrarti è stato meraviglioso, un
onore” dice Wolfgang a Vandana “Insieme continueremo a
camminare: tu da una
parte la fuori e noi qui. Cammineremo sugli
stessi sentieri, incontrandoci. Se sarai stanca torna a casa, vieni a trovarci; lavorerai
nell’orto. Grazie per quello che fai, per la
tua fiducia e per la tua forza”.
“Wolfgang” precisa con amorevolezza Vandana “la foresta è sempre stata la mia maestra, ma oggi mi hai insegnato ad ascoltarla
e non solo a guardarla. Aver visitato la tua
comunità mi ha fatto ricordare che è nella
condivisione che si crea ricchezza e benessere. Tornerò Wolfgang, a fare una passeggiata con te nella foresta”.
Le voci di Vandana e Wolfgang sono terra,
sono acqua, sono aria. C’è aria di speranza,
oggi nella pieve di Romena. C’è il fuoco
della responsabilità verso la vita e i suoni
delle loro voci ci invitano a restare immersi
nella nostra Terra.
Centomila voci in coro
centomila volte in un respiro solo
innamorati della terra
di qualche verità.
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Una nuova casa per la fraternità
di Massimo Orlandi
Viaggio tra i lavori di ristrutturazione che presto consegneranno a Romena nuove
opportunità per accogliere. Con una guida speciale: Pier Massimo Morrone, l'architetto e
amico di Romena che ha progettato i nuovi spazi.
“Avete finito?” questo piccolo tormentone è diventato un modo per salutare
gli amici che da mesi lavorano alla
ristrutturazione della fattoria. Non rispondono, ovviamente. Ma da un po’
di tempo il loro sguardo è cambiato:
perchè ora tutto comincia a prendere
forma, e quella forma contiene quel sì
che, prima o poi pronunceranno.
“Andiamo” mi dice Pier Massimo
Morrone, l'architetto che dirige i lavori. Bisogna essere sul posto per capire
come il sogno si stia impastando con
la fatica.
Pier Massimo da oltre vent’anni cura
ogni ristrutturazione della fraternità.
È sua la mano leggera e attenta che ha
permesso di valorizzare così bene gli
22
spazi della canonica, rispettandone la
storia. Sapere che è suo anche il grande progetto della fattoria rassicura. È
lui semmai a sentirsi un po’ preoccupato per la responsabilità: “Nella canonica abbiamo curato e rispettato
ogni pietra, ogni centimetro, ogni spigolo. Eravamo in uno spazio antico e
dovevamo rispettarlo. Questo lavoro
è completamente diverso: per la grandezza degli immobili e perché sono in
gran parte edifici moderni”.
Integrare, raccordare: ecco le prime
parole che l’architetto deve declinare
in spazi. In questa funzione lo aiuta il
primo immobile che incontriamo oltre
la strada che fiancheggia la pieve: è la
casa colonica. “Pensa che questo edificio è presente nel catasto leopoldino
di inizio ‘800. Probabilmente risale al
secolo precedente. Sarà importante,
magari in una fase successiva, riscoprirne l’anima antica, oggi nascosta
dai molti rifacimenti. Ma nel frattempo potrà già assolvere un ruolo prezioso: dare ospitalità ad almeno venti
persone per volta”.
Il profilo della casa colonica accompagna nella breve salita che conduce
al cuore della nuova struttura: il grande immobile che ospitava le stalle
dell'azienda agricola e il piazzale prospiciente.
È qui che si concentrano, in gran parte, i lavori. È qui che ci si può fermare
per provare a capire cosa è stato questo
luogo e cosa potrà diventare. “Questa
grande stalla fu costruita all'inizio
degli anni sessanta. Vi venivano allevati bovini da latte. Gli ambienti più
piccoli che si trovano intorno avevano
funzioni strettamente connesse: vi era
la stanza della mungitura, le stallette
per le fattrici e per i tori. Poi dagli
anni Ottanta l’attività cominciò a declinare e progressivamente tutti questi
locali rimasero inutilizzati”. Nonostante il lungo abbandono la struttura
è rimasta solida. I lavori effettuati sin
qui sono serviti a ripulirla, a risanarla
e a consolidarla. Già ora si può immaginare cosa diventerà: “Al centro
della struttura – sono parole di Pier
Massimo – sorgerà l'auditorium della fraternità. Abbiamo mantenuto la
copertura a volta, le pareti in pietra
sono state ripulite e stuccate. La sala
avrà una capienza di 300 posti, ma
potrà essere modulata su ogni esigenza. Sarà climatizzata con un impianto
di trattamento completo che consentirà di regolare la temperatura per tutti
i dodici mesi dell'anno”.
All’auditorium si accederà da un grande atrio aperto, che servirà anche come
porta d’ingresso per i due grandi locali
laterali: il primo sarà adibito alla vendita dei libri, il secondo diventerà un
punto di ristoro.
Sull’altro lato rispetto all'auditorium
saranno invece realizzate una cucina,
una sala mensa da 40 persone, una
saletta per piccoli gruppi, e inoltre la
sede della casa editrice. Tutti questi
locali, saranno intercomunicanti come
fossero uno spazio unico; ciascuno, attraverso grandi aperture, si affaccerà
sul grande prato esterno: “Questi spazi
saranno fruibili a tutti: la progettazione prevede un’attenzione massima a
evitare ogni barriera architettonica”.
La visita si completa nel piazzale che
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diventerà prato; sarà una terrazza verde aperta sulla valle, con un panorama
mozzafiato del Casentino davanti. Il
prato, inoltre, permetterà la ricucitura
dello spazio con la pieve sottostante.
Non è difficile, già, ora, immaginare
tutto. Ma, concretamente, quando accadrà? Pier Massimo non si sbilancia,
nei suoi occhi più che una data leggo
una prospettiva: “Per alcuni ambienti, come il punto ristoro e la libreria
siamo in dirittura d’arrivo, e presto
potremo concentrare tutte le forze
sull'auditorium. Diciamo che la prima
parte delle opere saranno pronte per i
primi mesi del 2012”.
Ora si scende di nuovo verso la pieve.
Mentre ascolto l’architetto penso che
è impossibile rendere in un articolo il
lavoro, la fatica, ma anche il grande
sforzo creativo che si sta realizzando
per offrire a Romena nuovi spazi e affinchè quegli spazi corrispondano al
valore della pieve.
Sarà bello vedere tutto finito, certo.
Ma è anche prezioso guardare la me24
tamorfosi di un luogo
mentre è in atto.
Una volta, neppure
troppo tempo fa, Romena aveva un'anima
rurale, sottolineata
dalla presenza di una
grande azienda agricola.
Quell’anima non scompare, ma si trasforma:
la semplicità della
campagna si mette al
servizio di un luogo
dove ciascun viandante possa fermarsi, ripensarsi, incontrare, fare un pezzo
di strada.
La fattoria servirà a questo: ad allargare gli spazi d’incontro, a renderli fruibili a tutti. Quando piove e quando c'è
il sole, dodici mesi all'anno Romena
proverà a offrirsi. Come porta aperta,
come luogo di pace e di incontro. Con
la frase che ama di più: “Vieni, chiunque tu sia…”
Tempo di
Fraternità
Si chiama Tempo di fraternità la proposta di Romena per accompagnare
un periodo delle vostre vacanze offrendo un'opportunità di incontro, di
condivisione e di accoglienza.
Si tratta di un'esperienza nuova solo in
parte: da molti anni Romena, nel periodo
estivo, organizzava settimane
nelle quali si
poteva vivere
in fraternità seguendo lo stile
di un eremo, e dunque fra momenti
di incontro, di silenzio, di lavoro, di
preghiera.
Il tempo di fraternità riproporrà questa
esperienza, ma allargandola nello spazio
(dal primo al 25 agosto) e rendendola del
tutto aperta alla disponibilità di chi vorrà parteciparvi. Chiunque, in sostanza,
potrà vivere a Romena per il tempo che
vorrà, anche per un solo giorno.
Agosto 2011
Ad agosto, nel mese del riposo e delle
vacanze, la proposta è quella di offrire
uno spazio di
semplicità, di
attenzione, di
gesti concreti
per riscoprire
la vita nella
sua nudità,
nella sua bellezza e nel suo mistero
profondo.
Per partecipare telefonare
al 339.7055339 (Francesca)
orario 18.30-20.30
25
Il cammino delle
“Domeniche di Romena”
naturale, parte del nostro percorso.
L’appuntamento è alle 11, con la lode in
chiesa, cui segue una riflessione sul Vangelo
nel prato. Nel pomeriggio il momento centrale, l'ascolto di una testimonianza, prima
della messa.
Incontro delle 15 in Pieve
Tonio Dell’Olio
Offrire un’opportunità per trascorrere una
giornata a Romena, con la possibilità di avere spazi di incontro e di silenzio, di ascolto
e di condivisione. Sono nate per questo le
domeniche di Romena. E dopo due mesi ci
accorgiamo che stanno diventando, in modo
La riflessione sul vangelo
26
Da Monsignor Bettazzi a Tonio dell’Olio,
da Vandana Shiva ad Angelo Casati, tanti
sono stati gli amici che hanno già offerto il
loro contributo. Altri ne verranno. E cresce,
spontaneamente anche la partecipazione di
chi ora sa che la domenica di Romena può
essere una risorsa preziosa. Per ascoltare,
per stare, per rilassarsi. Per condividere da
solo, in gruppo, con la famiglia, il prezioso
spazio del giorno di festa.
Festa della 20
°
Fraternità
1991- 2011
Incontro con
don Luigi Ciotti
Fondatore del gruppo Abele, presidente di
Libera, don Luigi è una figura di riferimento
per la nostra fraternità.
Domenica 31 luglio festeggeremo insieme i 20 anni della fraternità. Lo faremo con una giornata di semplicità e
di condivisione. Lo faremo insieme a
don Luigi Ciotti, il “polmone di Dio”
che ci ha sempre seguito con tanta
passione e amicizia.
Ma la giornata sarà anche un’occasione per stare insieme, per parlare del
presente e del futuro della Fraternità,
per trasmetterci reciprocamente la voglia di continuare questo cammino.
Domenica 31 Luglio
programma
Ore 11 Lode del mattino
Ore 12 riflessione a gruppi del vangelo
Ore 13 Apertura punto ristoro
Ore 15 Incontro con don Luigi Ciotti
Ore 17 Messa
Ore 18 Festa nel prato
con la musica dei Bandidos Rurales
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GRAFFITI
on abbiate paura.
Mentre ero in ospedale con il mio Tiziano, tutte le sere prima di andarmene e
prima che lui mi facesse ciao e mi buttasse un
bacio dalla finestra della sua stanza, pregavamo
insieme una preghiera “la coroncina della Divina misericordia” e ad ogni pensiero intercalava
l’esclamazione “Gesù pensaci tu!”. Tutte le volte
nel tornare a casa in macchina dall’ospedale mi
sforzavo di non chiedere al Signore come doveva pensarci secondo me, ma qualunque fosse
stata la strada da percorrere, “il Gesù pensaci tu”
era come un affidarsi totalmente a lui. Ovvio che
la paura imperversava in me, ma subito ricordavo la prima omelia di Giovanni Paolo II “Non
abbiate paura!”. Più di una volta ho riflettuto che
l’espressione “non abbiate paura” abbracciava
un sacco di cose, ma vista la situazione in cui Tiziano si trovava (ricoverato per emorragia cerebrale lieve, ma provocata da un tumore cerebrale
aggressivo) ho davvero sentito la paura che mi
attanagliava per una sua eventuale perdita. Ho
pregato il Signore di darmi la forza e di non aver
paura qualunque cosa succedesse…Sono stata
esaudita!
Dopo la biopsia Tiziano è stato rimandato a casa
in attesa della risposta per la radio e la chemio,
ma 7 giorni dopo a casa nostra, se n’è andato
senza soffrire mentre mi stringeva la mano chiamandomi “Simonetta”, (la previsione era quella di
radio e chemio palliativi per vivere forse 2 o 3
mesi perdendo anche la ragione)! Tre ore prima,
visto che non aveva voglia di fare logopedia gli
ho scritto una lettera in modo che lui la potesse
leggere a voce alta:
N
Tiziano mio…
Ho racchiuso in uno scrigno tutte le cose che
non ho avuto modo di dirti.
Per tutte le cose non ti ho detto, per tutti i pensie-
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ri che non hai visto, per i baci che non ti ho dato
sono qui a dirti che ho bisogno di te.
Che strano il destino! Quando sembra che i giochi siano fatti ecco che un’altra mano di carte ti
dice di puntare ancora sulla speranza e sull’ottimismo. Ce la faremo Tiziano, vedrai supereremo
anche questa situazione, insieme come tutte le
cose che abbiamo imparato a fare da quando ci
siamo incontrati.
Così sono qui a dirti che ti ho sempre amato,
così ti amerò per sempre, e se il sempre non
esistesse, ti prego svegliami un attimo prima che
il "sempre" scompaia.
Dedico queste mie parole ad un “piccolo” uomo,
ma che è un gigante d’anima, bontà e di cuore, un uomo molto speciale, un uomo che mi ha
dato molto e che insaputamente ha risvegliato in
me la voglia di AMARE e di vivere…
Mio “piccolo” uomo, mi sono innamorata di te,
per quello che sei, per tuoi modi un po’ da orso, i
tuoi occhietti furbetti, come un bimbo quando gli
si dà la cioccolata, la tua risata di felicità e le tue
lacrime di tristezza.
Chi non ti conosce non capirà mai quello che
dai, togli l’arsura, fai tornare l’arcobaleno, fai rinascere i fiori nel deserto!
Ci sono viaggi, splendidi ed inaspettati, Tiziano,
che non sai quando sono cominciati ed ancora,
dove ti porteranno.
Ci sono strade, sempre uguali, che percorri ogni
giorno senza guardare ed altre che scopri improvvisamente, senza sapere.
Ci sono temporali, violenti ed impetuosi, che riversano fiumi d’acqua sulle strade e rivestono di
onde trasparenti le vetrate e, ci sono piogge sottili e leggere, che penetrano profonde nella terra
a far vivere splendidi fiori e a crescere piante
meravigliose.
Ci sono tempi tutti uguali, uno accanto all’altro,
rincalzati da un monotono orologio che rintocca
le ore, che ormai non aspetti più, e ci sono istanti
che vivono una vita.
Ci sono sogni mai esauditi e sogni mai sognati.
Ci sono occhi aperti che non guardano ed occhi chiusi che raccolgono emozioni profonde. Ti
ho incontrato ad occhi chiusi nell’oscurità più
intensa e, ad occhi chiusi, ho cominciato a camminare con te. Ad occhi chiusi ho raccolto il miracolo di una lacrima che sottile ha innaffiato le
nostre radici, leggera e continua è entrata nella
mia vita.
Ad occhi chiusi ho vissuto parole, silenzi, gesti,
emozioni che ho racchiuso nello scrigno più
prezioso della mia memoria.
Ad occhi chiusi ti dico:“ti amo”.
GRAZIE DI ESISTERE,
E GRAZIE DI AMARMI COSI!!!
Un giorno da vecchi mi guarderai negli occhi e
rideremo di questa ridicola lettere d’amore, ma
quanto felici saremo di averle scritte sulle rughe
della nostra vita.
la tua Simonetta
a paura che tutti noi proviamo spesso
passa inosservata, facciamo fatica ad
ascoltarla. Mi viene da paragonarla
all’aria. Come l’aria c’è, ma non si vede, se non
ci prestiamo attenzione è come se non esistesse, può essere sana o malata: nel primo caso
ci nutre, nel secondo ci intossica. La paura è
così, oggi almeno guardando fuori dalla finestra
mi è sembrato. Fuori c’è vento, ieri era caldo,
tutto sembrava terribilmente fermo. Oggi l’aria
scompiglia le chiome degli alberi e ci annuncia
un temporale estivo, ci rinfresca. Pensando alla
paura non posso fare a meno di provare le stesse cose. A volte sembra lontana, altre è presente
nelle mie giornate tanto da muovere sentimenti, pensieri, azioni. La prima reazione sarebbe
quella di scappare, ma paradossalmente questo
sentire che sembra così effimero corre più veloce di me. Col tempo ho apprezzato la consapevolezza di questo sentimento che richiede un po’
di fatica, ma può insegnarmi tanto. Quando la
paura è sana, mi salva dal mettermi in situazioni
pericolose che molto probabilmente finirebbero
solo per ferirmi, non sempre l’ascolto forse perché a volte preferisco come tanti intorno a me, il
brivido, il voler essere più forte, ma questo non
vuol dire affrontare la paura. (…) Penso allora
a Maria, al suo modo di stare, di serbare tutto
nel suo cuore e provo grande ammirazione. In
questo stare scopro l’umiltà e la libertà di essere
L
imperfetta, la scoperta meravigliosa che Dio mi
ama già adesso e non per quello che potrei diventare. Ci vuole coraggio, ma alla fine mi rendo
conto che è meno difficile di quello che sembra.
La paura ingrandisce tutto ed allora io lo faccio
tornare piccolo affidandolo a Dio.
Elena Landi
ani che tremano, umide e fredde come
un mattino d’inverno.
Cuore che batte e gambe che si preparano alla fuga.
È tutta un contrasto di sensazioni la paura, di
caldo e freddo, di pieno e vuoto.
Avevo paura di mio babbo, quando con mia sorella si alzava la voce giocando all’ora del telegiornale.
Avevo paura di avere freddo, nelle prime sere
d’autunno o nelle giornate di aprile.
E avevo paura dei cani, del loro impeto e della
loro irruenza.
Poi, crescendo, ho conosciuto la paura del domani, del passato che a volte ritorna e a volte
non ritorna mai, di una vita in cui sembra non
s’incastri mai nulla, di rispondere a quella domanda che di tanto in tanto ti passa per la testa… “che ci faccio qui?”
Fino ad un giorno di primavera, in cui un temporale ha liberato nel cielo un arcobaleno, preannunciando un nuovo inizio.
M
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Ho imparato che ci si deve abbandonare alla vita
con fiducia, perché quasi mai ho trovato quello
che cercavo, ma quasi sempre la vita mi ha offerto ciò di cui avevo bisogno, gratuitamente e
spontaneamente.
Siamo cicli di natura, e non ho paura, perché il
domani ha l’entusiasmo del mio cane quando
torno la sera.
Ora i cani sono miei amici.
Antonio
attanaglia e spesso non mi fa vivere con serenità le relazioni.
Conscia di ciò, ascolto le emozioni cercando di
dar loro uno sfondo razionale, fermo, di non farmi trasportare solo ed esclusivamente da questo
timore.
Fortunatamente riesco a coltivare sentimenti, relazioni, amicizie, ma non sempre è facile riuscire
a non farmi ‘travolgere’ dalla paura dell’abbandono e dalla sofferenza che ne consegue.
Anna Mordhorst
rano forse le ore 23 quando quella sera
aprii gli occhi, avevo 6 anni e forse avevo dormito per un paio d’ore.
La campagna era silenziosa intorno, dormiva.
La luce in cucina ancora accesa, ma non avvertivo la presenza di mia madre, nessun rumore.
Mi alzai in preda ad una strana sensazione, una
paura: dov’era mia madre? Cominciai a chiamarla a cercarla in casa e fuori. Niente.
Avvertii un brutto senso di vuoto, di abbandono,
di solitudine. Improvvisamente mi ricordai che
la sera stessa prima che mi coricassi mi aveva
proposto di andare a veglia dai vicini; ero stanca
e l’avevo pregata di rimandare ad un’altra sera.
Collegai la sua assenza al volere andare a veglia dai vicini…
Uscii fuori nella buia notte di campagna; non
l’avevo mai affrontata, per ora l’avevo solo temuta: ‘l’uomo nero’, ‘il lupo’, erano in agguato.
Ero una bambina. La razionalità non fa parte dei
bambini, essi vivono in prevalenza di emozioni
e sentimenti.
Cominciai a correre, il senso di abbandono, il
desiderio di ritrovare mia madre sovrastavano la
paura del buio. Correvo voltandomi ad ogni passo per essere sicura che nessuno mi seguisse.
Bussai col cuore in gola e il fiato corto alla porta
del vicino dopo una corsa di dieci minuti… voci..
qualcuno ridacchiava… ‘scommettete che è mia
figlia?’; vennero ad aprirmi, corsi da mia madre
e l’abbracciai stringendola forte tra le lacrime,
felice di averla ritrovata, ma anche ferita dal fatto
che mi aveva lasciata sola in casa.
Non fu quella né la prima, né l’unica volta che
mia madre mi lasciò sola.
Da allora il senso di vuoto, di abbandono si è
annidato in me, vive nel mio inconscio a dispetto della razionalità e purtroppo questa paura si
presenta quotidianamente nella mia vita; nei
rapporti sentimentali, nelle grandi amicizie, la
paura di essere abbandonata, lasciata sola, mi
E
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n questi ultimi anni di grandi cambiamenti qualche volta mi sono sentita
dire: – Hai forza e coraggio! – Queste
due parole all'inizio entrano dentro di me con il
ritmo squillante della fanfara della vittoria, ma
poi, pian piano, scendendo nei meandri più nascosti, la musica si fa beffarda e insolente e va a
risvegliare paure mai del tutto sopite. Ed eccole
comparire: paure piccole, infantili, antiche, esistenziali, nuove, legate al tempo che passa, alla
paura del dolore mio e altrui, della solitudine,
di perdere chi amo… accompagnate per mano
“dalla paura di aver paura”.
Mi salva da questa strisciante inquietudine
la mia voce che spesso affronta con i bambini a scuola il tema della paura, allora mi siedo
anch’io al banco con loro per ripassare la lezione : “Bambini aver paura fa parte della nostra
umanità, ogni stagione della vita presenta le sue
difficoltà e le sue paure, diffidate di chi vi racconta di non averne. Il vero coraggio è nel cercare
di affrontarle e ci sono delle piccole strategie
che ci possono aiutare. Innanzitutto vicino a noi
I
c’è sempre una persona di cui ci fidiamo con
cui condividere una nostra paura, che ci potrà
dare buoni consigli. Parlandone, poi, scopriremo
che anche altri hanno le nostre stesse paure e
affrontarle insieme ci farà sentire più forti e impareremo a conoscerci meglio, a trovare nuovi
amici. E, dopo aver parlato e ascoltato i consigli,
ci sono dei momenti in cui siamo soli ad affrontare una difficoltà, una paura, ma anche lì non
dobbiamo temere perchè dentro di noi ci sono
delle risorse preziose, che a volte non sappiamo
neanche di avere, ma che ci vengono in aiuto
quando ne abbiamo bisogno… così come la Vita
ci corre incontro con inaspettate sorprese, con
aiuti provvidenziali…” Sì per me è stato così: della ritrovata fiducia in me e negli altri, del fiducioso abbandonarmi alla Vita, si nutre, forse, il mio
debole coraggio.
Maria Grazia De Angeli
per avvelenarci la vita. Forse dobbiamo imparare a discernere quando dobbiamo scappare
e quando dobbiamo restare, tutto qui. Di sicuro
non c’è una “regola” fissa, ma quando le paure
avvelenano la nostra vita, quando bloccano la
nostra vita di sicuro portano un altro messaggio per noi. Sono forze molto potenti capaci di
trasformare se solo siamo capaci di accoglierle. Forse un passo decisivo con le paure è di
non considerarle “nostre” in assoluto. Ci sono
e sono per tutti e anche se cambiano di contenuto, possiamo imparare a considerarle più
universali. Quindi non più la “mia” paura, ma la
“paura”. Uno spostamento di immagine che può
risultare decisivo, non più per combatterle, ma
per accettarle, non più una lotta, ma una resa
senza condizione. Allargare le braccia e dare a
quei visitatori una nuova fiducia, può essere il
gesto da fare.
Silvano Ferrari
O
gni giorno arrivano, sono tante e cambiano sempre in fretta. A volte non
chiedono nemmeno il permesso di entrare, entrano e basta, all’improvviso, sbattendo le porte.
Altre volte giungono a noi di soppiatto, silenziose
si infilano dentro, sotto. Non ci sono barriere o
protezioni che possono polverizzarle. In questo
siamo davvero indifesi. Tutti allo stesso modo ne
soffriamo, li soffriamo. Io credo però che avere
paura, sia una cosa sana, indispensabile, come
tutto quello che c’è sotto il sole. Non credo che
Dio abbia messo qualcosa di troppo, qualcosa di
inutile, se Dio è perfezione, come può una cosa
perfetta creare cose guaste o che non funzionano. Forse anche per le paure occorre capire a
cosa servono. Sono segnali, come campanelli
che si mettono a suonare per ricordarci qualcosa. Se proviamo a seguirle, se proviamo a
restare nella e con la paura del momento, anziché darsela sempre gambe, forse hanno un
messaggio. Troppo spesso però non diamo loro
il tempo di consegnare la loro missiva e allora ritornano. Vogliono essere riconosciute, vogliono
la loro parte in questa vita, vogliono svegliarci.
Senza ombra di dubbio, la cosa più facile da fare
quando siamo visitati dalle paure è la fuga. È la
reazione più spontanea, a prima vista anche la
più naturale. Per certe paure è anche la cosa
più saggia da fare, mentre per altre direi di no.
Alcune paure vengono per salvarci la vita, ed è
giusto e corretto fuggire, ma molte altre vengono
PROSSIMO NUMERO: il giornale in
uscita a ottobre approfondirà il tema:
“Custodire e Coltivare”.
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ultimo: 15 09 2011), preferibilmente alla
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mese precedente al corso stesso.
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Q uando si agisce
cresce il coraggio,
quando si rimanda
cresce la paura.
Foto di Giuditta Scola
Publilio Siro
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