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politica economica
INSEGNAMENTO DI
POLITICA ECONOMICA
LEZIONE VIII
“LA POLITICA DEI REDDITI E DEI PREZZI”
PROF. GAVINO NUZZO
Politica Economica
Lezione VIII
Indice
1 La relazione tra salari e profitti in uno schema semplificato ------------------------------------ 3 2 Le politiche dei redditi----------------------------------------------------------------------------------- 6 2.1 Politiche dirigistiche ------------------------------------------------------------------------------------ 6 2.2 Politiche istituzionali ----------------------------------------------------------------------------------- 7 2.3 Politiche di mercato ------------------------------------------------------------------------------------ 8 3 La produttività del lavoro ------------------------------------------------------------------------------ 9 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Politica Economica
Lezione VIII
1 La relazione tra salari e profitti in uno schema
semplificato
La relazione dialettica tra salari e profitti non appare una invenzione recente della teoria
economica, a Marx spetta il primato dell'autore che ha inizialmente intuito quello che nella sua
teoria sarebbe stato definito il «conflitto di classe», è questo l'argomento di cui trattiamo in questo
paragrafo e, probabilmente, in questo capitolo.
Abbiamo descritto nella premessa le condizioni di funzionamento del semplice modello
economico che andiamo adesso ad analizzare.
Il sistema è chiuso, vi si produce un unico bene, impiegando unicamente il lavoro; in simili
circostanze, la seguente equazione risulta verificata:
pY=W+Π
dove :
p
= prezzo del bene
Y = quantità del bene
W = monte salari
Π = monte profitti.
Se i lavoratori sono N e il salario unitario è pari a w, la può essere scritta, dividendo i due
termini per Y, come:
p=wN/Y+II/Y
Poiché abbiamo anticipato nella premessa che il profitto viene calcolato come percentuale
del costo pieno, considerando che quest'ultimo corrisponde al monte salari, se m è il mark up
possiamo scrivere:
p=wN/Y+wNm/Y=wN/Y(l+m)
poiché la produttività del lavoro, pl risulta essere pari a: Y/N, sostituendo nella [3]
avremo:
p=w/p1(l+m)
Quest'ultima espressione esplicita la relazione tra prezzi, salari e profitti.
Vogliamo adesso analizzare cosa accade in un contesto dinamico, ossia stabilire a quali
condizioni si ottiene la stabilità dei prezzi, che può essere scritta come:
AP/P=0
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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Per semplificare la scrittura analitica indichiamo p/p con p*, di conseguenza w* sarà pari
a
w/w e PI* a
pl/pl.
Modificando la in termini dinamici, possiamo scrivere:
p*=w*-pl*+(l+m)
Ossia, le condizioni sufficienti ma non necessarie ad assicurare la stabilità dei prezzi (p*
= 0), prevedono che la variazione dei salari non superi la variazione della produttività del lavoro
(w* -p* = 0) e che (1 + m) sia pari a 0.
L'azzeramento dell'inflazione richiede quindi che il salario non cresca più rapidamente
della produttività del lavoro (da questo momento per produttività si intende quella del lavoro) a
meno che non si verifichino variazioni delle quote distributive del reddito che assicurino, in ogni
caso sia pari a 0.
Un esempio numerico chiarirà il punto precedente: se il salario cresce del 6% e la
produttività soltanto del 4%, la costanza dei prezzi, w* -pl* + (1 + m) = 0 permane quando (1 +
m) sia pari a - 2%.
Questo schema, nella sua astrattezza, ha confermato le ipotesi marxiane circa l'esistenza di
una dialettica tra salario e profitto per la quale, a meno che non si verifichino particolari
condizioni e a meno di non provocare una spirale inflazionistica dagli effetti quanto mai incerti,
l'uno non può aumentare che a fronte della riduzione dell'altro.
Complicando il modello e paragonandolo alle economie reali si scorgono immediatamente
i suoi limiti.
La condizione della crescita simmetrica salario-produttività può essere realizzata
esclusivamente con riferimento ad un unico mercato, infatti ogni produzione viene caratterizzata
da un proprio livello di produttività ed è molto difficile che questi livelli corrispondano in tutti i
mercati.
Un secondo aspetto della questione riguarda la possibilità di effettuare una produzione che
utilizzi unicamente il fattore lavoro, la necessaria presenza di capitale porta a distinguere tra profitto
lordo e netto, dove quest'ultimo è da intendersi al netto dell'ammortamento.
Anche le ipotesi di due sole categorie di reddito, qui utilizzata appare estremamente
riduttiva, nella realtà occorre considerare almeno altre due categorie nel circuito del reddito:
- i redditieri che mettono a disposizione proprietà come terre ed immobili;
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- lo Stato che interviene in più fasi del circuito del reddito, attraverso la duplice funzione del
prelievo fiscale e della distribuzione di redditi e trasferimenti.
Infine, poiché l'ipotesi di un'economia chiusa è del tutto anacronistica, allargando il discorso
e complicando l'analisi con l'inserimento di merci estere, di valute estere e di materie prime e
semilavorati esteri, si comprende che l'inflazione possa essere alimentata da fattori del tutto estranei
al "conflitto di classe".
Da tutti questi rilievi risulta chiaro che la condizione di uguaglianza tra crescita del salario e
della produttività per garantire l'azzeramento dell'inflazione è meno sufficiente ed assolutamente
non necessaria.
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2 Le politiche dei redditi
Le politiche dei redditi possono essere distinte in tre grosse categorie: le politiche
dirigistiche, le politiche istituzionali, le politiche di mercato.
2.1
Politiche dirigistiche
Queste politiche operano sulla scorta del potere di imperium appartenente allo Stato, che può
stabilire regole fisse sull'andamento dei salari e/o dei prezzi.
Quando lo Stato agisce unicamente sul livello dei salari opera una politica frammentaria e
dai risultati vaghi, infatti non è certamente ancorando gli aumenti dei salari all'andamento della
produttività che si riesce a domare l'inflazione, se intanto, le imprese sono lasciate libere di
determinare i prezzi di vendita a loro piacimento.
Nei capitoli precedenti abbiamo visto quali enormi distorsioni si incontrano nelle economie
concrete, dove la concentrazione delle imprese produce condizioni di monopolio o di oligopolio
tanto marcate da generare grosse quote di extra profitti.
In un contesto delineato da forte globalizzazione dei mercati, l'imprenditore pur in possesso
di ampio potere contrattuale rispetto al consumatore, soccombe proprio di fronte alla concorrenza
tra titani nazionali e soprattutto multinazionali.
Questi scenari influenzano pesantemente la determinazione dei prezzi sottraendo margine di
manovra alle politiche dei redditi, le quali ultime riescono molto più agevolmente (ma spesso
vanamente) a controllare i salari.
La situazione attuale vede, infatti, il numero di prezzi amministrati in rapida caduta ed il
mercato sempre più libero di autodeterminarsi, anche a seguito delle numerose critiche (non sempre
fondate) mosse dagli economisti contro gli imbrigliamenti del mercato.
Il salario di categoria, a differenza dei prezzi, viene stabilito da contratti nazionali,
lungamente dibattuti, inoltre le prestazioni di lavoro sono ben codificate e tipologicamente
inequivocabili. Una trasparenza del genere non esiste a livello merceologico, dove un
semplice attributo fa la differenza tra due prodotti con caratteristiche analoghe, senza contare le
persuasioni consumistiche che ingenerano false credenze sulla qualità superiore di un certo prodotto
del tutto sganciate dalle caratteristiche tecniche.
L'intervento sui salari vincola, solitamente, questi alla produttività, al di là delle
considerazioni di merito sull'argomento sovraesposte, passiamo ad esaminare come possa risolversi
la questione della differente produttività tra le industrie.
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In sostanza si potrebbero seguire due strade, la prima vincola gli aumenti salariali in ogni
settore alla produttività corrispondente. Questa alternativa è quella più coerente dal punto di vista
dell'efficienza, tuttavia crea molti problemi sotto il profilo dell'equità, soprattutto perché la cresci
:a della produttività dipende in larga misura da circostanze avulse dai comportamenti sia t'ei
lavoratori che dei manager e legate piuttosto al livello di conoscenze tecnologiche e di innovazioni
del processo e del prodotto.
Penalizzare alcuni settori non appare equo, né sarebbe accettabile in sede di contrattazione
sindacale, inoltre potrebbe comportare il trasferimento intersettoriale dei lavoratori dagli esiti
incerti.
La seconda strada è quella di calcolare il livello di produttività medio del paese e di
ancorare a quest'ultimo la crescita salariale in ciascun settore.
La soluzione appare più equa ma estremamente inefficiente;. Nelle industrie a forte crescita
della produttività il salario aumenterebbe più lentamente e ciò comporterebbe la crescita dei profitti,
non compensata da una riduzione degli stessi nelle industrie dei settori in cui la produttività
aumenta ad un tasso inferiore di quello medio nazionale. Qui, al contrario, applicando il mark up i
prezzi tenderebbero a salire in modo improprio.
Il correttivo astrattamente valido a risolvere la questione sarebbe quello di ridurre i prezzi
nei settori a forte dinamicità, l'operazione non andrebbe a comprimere i profitti che aumenterebbero
in conseguenza della crescita della produttività superiore a quella dei salari. Orbene questi ultimi
settori difficilmente sarebbero disposti ad abbassare i prezzi, inoltre una regola siffatta indurrebbe a
ritardare innovazioni e ad abbassare la produttività.
2.2
Politiche istituzionali
Queste politiche attribuiscono allo Stato il prestigioso ruolo di garante dell'interesse
collettivo e di arbitro nel "conflitto di classe".
Lo Stato può stabilire le regole della cooperazione tra le parti sociali, e solitamente lo fa
istituendo tavoli di discussione in cui gli aumenti salariali rappresentano la maggiore materia da
contendere tra sindacati avversi. In questo caso la sua funzione si limita a quella dell'arbitrato.
In circostanze diverse può assumere un ruolo più incisivo impegnandosi in prima linea, la
natura degli impegni assunti può essere economica o politica, nel primo caso lo Stato si impegna a
realizzare determinati programmi economici, per lo più investimenti, in cambio di coerenti
comportamenti da parte delle categorie sociali.
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Gli impegni politici allargano lo stretto ambito economico prevedendo comportamenti che
attengono alla sfera dei diritti e delle garanzie sociali.
Se si addiviene ad un patto sociale, significa che tutte le parti, Stato compreso, si sono
assunte precisi impegni di natura economica e politica.
L'intervento dello Stato nella contrattazione sindacale, sempre più frequente nelle economie
moderne, prende il nome di neocorporativismo, sulla sua natura e, soprattutto,
sulla sua efficienza ed equità le opinioni degli economisti ed i risultati delle ricerche
empiriche sono, per il momento, discordanti.
2.3
Politiche di mercato
Queste politiche si basano sulla attribuzione di incentivi o disincentivi per arginare la
crescita del salario e dei prezzi.
Gli incentivi possono consistere in agevolazioni fiscali, commesse statali e perfino
trasferimenti, mentre i disincentivi consistono soprattutto nella perdita di ingaggi da parte della
pubblica amministrazione. Con una definizione estremamente suggestiva, nell' ambito delle
politiche che si servono di incentivi, questi ultimi sono chiamati, tip carota, simmetricamente i tip
bastone sono rappresentati dai disincentivi.
Astrattamente si è anche pensato di considerare i comportamenti inflazionistici come quelli
inquinanti e di «vendere il permesso di aumentare prezzi e i salari», allo stesso modo in cui si è
pensato di mettere all'asta il diritto di inquinare, ovvero di attribuire ad un'impresa tale diritto che
può a sua volta rivenderlo.
Il ragionamento analogico è estremamente complesso ed ancora una volta penalizzante per
le imprese in cui la crescita della produttività del lavoro si mantiene lenta.
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3 La produttività del lavoro
Abbiamo finora parlato della necessità di ancorare la crescita del salari a quella della
produttività del lavoro, si è anche detto che quest'ultima non dipende completamente dal
comportamento delle imprese ma da molti fattori, genericamente riassunti nella espressione
«innovazione di processo e di prodotto». La locuzione racchiude molti aspetti connessi
all'avanzamento tecnologico e delle conoscenze, trascurando fattori di competenza non economica o
perlomeno non prettamente economica, analizzeremo di seguito le altre componenti della
produttività.
Essendo l'impresa un sistema aperto, il suo funzionamento dipende dall'interscambio con le
realtà esterne, tra cui quella del mercato del lavoro. I fattori che condizionano la produttività sono in
parte interni ed in parte esterni.
La qualificazione ed il livello di professionalità dei lavoratori influenzano fortemente la
produttività, su questa componente l'impresa può agire direttamente incrementando il livello di
conoscenze e competenze dei lavoratori attraverso corsi di aggiornamento da essa stessa finanziati,
ovvero può far cadere questi oneri sugli stessi lavoratori che andranno a migliorare il livello di
qualificazione professionale a proprie spese.
La performance complessiva dell'impresa, a cui, in una qualche misura, si collega anche la
produttività dipende pure dalle relazioni con altre organizzazioni: fornitori e clienti - essenzialmente
- ed anche dalla maniera in cui tali relazioni avvengono, ossia dalle infrastrutture di trasporto e
comunicazione esistenti tra i diversi operatori economici.
Infine, l'azienda è anche inserita all'interno di un determinato contesto socio-culturale, che
anche geograficamente condiziona la sua attività (vedi la teoria dei distretti).
In questi brevi accenni sul funzionamento generale e astratto dell'impresa, si nota che
l'intervento pubblico può inserirsi sotto diversi aspetti.
Le politiche dei redditi e dei prezzi vanno opportunamente affiancate a quelle della
produttività, che consistono, ad esempio, nella istituzione di corsi gratuiti o meglio ancora, retribuiti
per la qualificazione del personale; nella miglioramento dei mezzi di comunicazione e trasporto;
nelle iniziative di sostengo alle aree depresse.
Le politiche della produzione rendono quelle dei redditi più comprensibili ed accettabili ad
un tavolo di trattative sindacali, lapalissianamente possiamo concludere che nessun lavoratore
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
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sarebbe insoddisfatto di ancorare la crescita del livello salariale a quello della produttività, se
quest'ultima aumentasse velocemente.
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