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Il giorno della difesa: «Iaria non è il padrino»

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Il giorno della difesa: «Iaria non è il padrino»
Frontale sulla ex 460
Rivara, ricettazione
Lorenzo sta meglio
Se la caveranno con qualche settimana
di prognosi Luca L., 63 anni di Cuorgnè,
e Damiano F., 43 di Valperga, i due automobilisti coinvolti nello scontro di lunedì sera tra Valperga e Cuorgnè. (al.pre.)
Due fratelli sono stati denunciati per ricettazione perché sorpresi mentre, in un
garage, stavano smontando uno scooter
e una Fiat 500 rubata a Rivara. Avevano
allestito un’oficina clandestina. (al.pre.)
Migliorano le condizioni del sedicenne
di Rivarolo che, tre settimane fa, è stato
travolto a un incrocio mentre era in sella al proprio scooter. Il ragazzo per venti
giorni è rimasto in coma.
(al.pre.)
Giovedì 24 ottobre 2013
pagina 8
‘NDRANGHETA. È la decisione della Corte
«Il pentito sembra confuso»
Non sarà sentito a processo
FAVRIA — Nicodemo Ciccia, il cesso e di sentire Ciccia in aula,
nuovo pentito del Minotauro, visto che le sue parole costituinelle sue dichiarazioni «ha fatto rebbero un’assoluta novità tale
confusione e lui stesso ha riferi- da interrompere questa fase del
to di avere avuto ricordi sbaglia- procedimento. Pochi giorni fa è
ti». Per questo, quanto ha rife- arrivato il “no” dei giudici. «Le
rito ai pm della procura di Tori- dichiarazioni di Ciccia – scrivono non costituisce di per sé una no nell’ordinanza – per costituire
prova «nuova e assolutamen- prova necessitano di riscontri inte necessaria», ed è sempre per dividualizzanti. Ciò signiica che
questo che non sarà ascoltato al esse sa sole non possono costituprocesso, ormai arrivato alla fa- ire prova piena di fatto». «Peralse inale. È la decisione della cor- tro – proseguono i giudici – ante del maxi-processo presieduta che laddove Ciccia ha riferito, in
da Paola Trovati e composta da un primo momento, in modo parDiamante Minucci e Alessandra ticolareggiato, certi episodi cruSalvadori. La corciali come direttate ha rigettato così
mente vissuti, ha tala richiesta dei pm
lora inito con l’amRoberto Sparagna e
mettere successivaMonica Abbatecola
mente di avere fatto
di portare in aula il
confusione e di avenuovo collaboratore
re avuto ricordi sbadi giustizia. Nicodegliati». Come esemmo Ciccia era stato
pio la corte fa rifearrestato nel giugno
rimento a Giuseppe
2011 insieme agli alCamarda, imputato.
tri 150 imputati cir- Nicodemo Ciccia
Ciccia aveva dichiaca, con l’accusa di
rato che il iglio di
far parte della locale di Cuorgnè, Nicodemo, Giuseppe Camarda,
e aveva patteggiato. Durante i «fa parte della locale di Cuorngé
primi giorni di settembre 2013 con la dote di Santa». In un altro
era stato nuovamente arresta- interrogatorio aveva aggiunto di
to con l’accusa di avere tentato aver partecipato al conferimenun’estorsione a un imprenditore to della dote, per poi negarlo, e
di Pont. Dal 6 settembre Ciccia spiegare che «fu Bruno Iaria a
aveva riferito di volere collabo- dirmi che vi era stato il conferirare con la giustizia e da allora mento di una dote al Camarda,
è stato sentito 16 volte. Ha rife- presso l’abitazione di Iaria». «I
rito dei clan, delle locali, dei ca- riti erano più o meno con le stespi. Dei riti come il suo battesimo, se persone, quindi è facile fare
del “boss Bruno Iaria” e delle confusione» si giustiica Ciccia.
estorsioni compiute in Canave- Ma questa «onesta ammissiose. L’accusa aveva quindi chie- ne», per i giudici, «implica la imsto alla corte del Minotauro di in- possibilità di ritenere decisive le
(e.s.)
terrompere la fase inale del pro- sue propalazioni».
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Bruno Iaria (sopra). Il suo
legale:«Qui basta una frase
detta per una condanna?»
Il giorno della difesa:
«Iaria non è il padrino»
Minotauro, ieri in aula i legali ed il presunto boss canavesano
ALTO CANAVESE — «Bruno Iaria non è il padrino». Nell’ordinanza da cinquemila pagine del
Minotauro che portò nel l 2011 a 150 arresti per
‘Ndrangheta il nome del presunto boss della locale di Cuorgné viene menzionato centinaia di volte. Ma all’udienza del processo che si è celebrata
ieri davanti alla corte d’appello, l’avvocato Claudio d’Alessandro, che difende l’imputato insieme
al collega Ferdinando Terrando, ha impiegato solo un quarto d’ora per spiegare perché Iaria, già
condannato a 13 anni e mezzo in primo grado,
non andrebbe condannato nuovamente per associazione a delinquere di stampo mafioso.
Pochi concetti ma incisivi per dimostrare alla Corte che non ci sarebbero prove a suo carico. Questa la strategia scelta dai legali, che hanno deciso di portare in aula per la prima volta l’imputato. «Ecco, questo è Bruno Iaria, adesso potete presentarvi», ha esordito l’avvocato d’Alessandro davanti alla corte.
«Buongiorno signori», ha detto Iaria avvicinandosi dalle gabbie. «Buongiorno signor Iaria» è stata
la risposta.
«Dovrei parlare forse per un giorno intero – ha
premesso il legale – ma ci metterò solo 10 minuti». Il primo punto della requisitoria difensiva punta sul fatto che non bastano le intercettazioni per
condannare una persona. «La suprema corte – ha
spiegato d’Alessandro - ha ben determinato i limiti in cui l’intercettazione non è un mezzo di ricerca della prova, a meno di prove gravi e precise
suffragate da riscontri esterni. Veniamo ai riscontri esterni del nostro caso, i collaboratori di giustizia. Varacalli dice che Iaria è affiliato alla ‘Ndrangheta. Che riscontro hanno le intercettazioni?
Quanti reati – rapine, estorsioni, sequestri di persona - sono stati sventati dalle intercettazioni?
Nessuno, neanche la cosiddetta estorsione dello
champagne». «Vorrei sapere – ha proseguito il legale - di quanti e quali reati si è acquisita la prova. Non il mero indizio, con le intercettazioni. Certo che, come il pg ha puntualizzato, se in un’intercettazione si sente che la pistola dà fastidio e
questo basta per il porto abusivo d’armi, allora
non ci siamo. In un processo normale se ci scappa l’uso delle armi, si fa almeno una perizia per vedere se l’arma è funzionante o se è un giocattolo
privo di tappo rosso. Qui basta una frase detta per
una condanna? Spero di no, altrimenti sento profumo di gulag».
«Gli incontri tra gli appartenenti al sodalizio– ha
sostenuto poi l’avvocato – mi sembrano prevalentemente conviviali. Si parla di gradi. Ma possono benissimo essere di fantasia. Qual è lo scopo
di questo sodalizio, quindi? Io credo che sia tenere i contatti tra corregionali. Sono persone, inoltre, accomunate dal fatto di lavorare nel settore
dell’edilizia privata. Sono tutti artigiani».
«Il pg – ha concluso il legale - ha richiesto l’acquisizione di articoli di giornali, cercando palesemente le prove fuori dal processo, perché dentro
non ce ne sono».
E, riferendosi a una frase pronunciata a una delle udienze passate dal procuratore generale Elena Daloiso, che si era lasciata sfuggire: «Mi sembra di essere nel film Il padrino», d’Alessandro ha
detto: «Il padrino è un film. Iaria avrebbe la dote
di padrino? No. Lui non è il padrino. Non è Marlon Brando. Piuttosto, è Franco Franchi del film
“L’onorata società” con Ciccio Ingrassia. A proposito, Franco Franchi, nel 1989, fu indagato per associazione mafiosa. Non se ne fece nulla. Malgrado il valore del magistrato inquirente che si chiamava Giovanni Falcone».
— ELISA SOLA
Processo Pirelli
Udienza preliminare
Si è aperta al tribunale di Torino l’udienza preliminare del
maxiprocesso Pirelli, che vede
alla sbarra 19 dirigenti o ex capi della società come imputati
e 39 parti lese tra morti e malati. La maggioranza ha chiesto
di costituirsi parte civile.
Nella fabbrica di Settimo dagli anni Cinquanta si lavorava
la gomma per fabbricare gli
pneumatici. Decine di persone
sono morte di tumore all’apparato respiratorio o alla vescica, secondo l’accusa perché
troppo esposti all’amianto, al
talco, a sostanze radioattive e
nocive. Tra i 21 i morti, c’è Francesco Di Maggio, morto a Lanzo l’8 giugno 2006 a causa di
un carcinoma polmonare. Fu
dipendente dal 1961 al 1992,
come addetto agli altiforni e
alla mescola delle gomme. Gli
imputati dovranno rispondere anche di 18 malati gravi. Tra
questi ci sono Massimo e Lidia
Oberti, di Leinì, eredi di Giulia
Gaggio, ex operaia morta nel
2010 dopo aver lavorato per
30 anni, dal ‘51 all’81, alla rifilatura e sbavatura dei manufatti
di gomma.
E ancora Alberto Molinaro, residente a San Maurizio, erede
di Nicola Molinaro, anche lui
morto nel 2009 dopo aver prestato servizio, dall’84 all’89, al
confezionamento coperture
e dall’89 al ‘95 al confezionamento cerchietti.
La maggior parte delle parti lese durante l’udienza ha chiesto di costituirsi parte civile al
processo. Il gup Massimo Scarabello deciderà alla prossima
udienza.
(e.s.)
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VOLPIANO — C’è anche Saverio
Barbaro, 22enne, il iglio di Giuseppe Barbaro, già condannato a cinque anni in primo grado
per associazione a delinquere di
stampo maioso al processo Minotauro, tra gli arrestati di una
maxi operazione dei carabinieri
di Chivasso che ha portato a 13
fermi per detenzione e spaccio
di droga.
Barbaro, incensurato, è inito
in manette a Volpiano. Era nella
sua casa. Il suo avvocato Carlo
Romeo, farà appello al tribunale
del Riesame nei prossimi giorni
per «mancanza di gravità indiziaria». I carabinieri di Chivasso
coordinati dal maggiore Stefano
Saccocci oltre a lui hanno arrestato altre 12 persone nell’ambito dell’operazione Filo d’Arian-
Spaccio di droga: volpianese in cella
Fermate anche altre dodici persone
na, che si estende anche alla zona
di Settimo e ad alcuni paesi della Val di Susa. La banda, che era
capeggiata, secondo l’accusa, da
Enzo Carnazza, già in carcere,
catanese, comprendeva oltre ad
alcuni suoi famigliari anche calabresi e albanesi.
Lo spaccio di eroina, cocaina e
hashish avveniva soprattutto nei
negozi da loro “controllati”. Bar,
pizzerie, luoghi “sicuri” dove i
clienti venivano a ritirare le dosi
ordinate al telefono. Per parlarsi spacciatori e compratori, più
di 70, usavano frasi in codice per
indicare quale e quanta droga
c’era da preparare. “Righeira”
“Tarallo”, “Nano”, “Pedro” “Buma”, “Esattore” e il “Pivello”.
Nomignoli studiati dall’organizzazione per rendere più sicure
le consegne ed evitare di essere
identiicati. Sono 66 i chili di droga sequestrati, di cui 65 trovati in
un garage a Settimo. L’inchiesta,
coordinata dal sostituto procuratore Stefani Castellani, è una sorta di costola dell’indagine sui Magnis, il clan dei siciliani che gestivano il racket dei videopoker
a Torino e cintura. La famiglia
Magnis è già andata a processo.
Dei 13 arrestati nella nuova operazione, 7 sono in carcere - 2 lo
erano già, Franco Carnazza e Davide Molino - e 6 ai domiciliari.
L’inchiesta Filo d’Arianna è iniziata nel 2010. Da allora ad oggi
sono 25 gli arresti. La peculiarità di questa banda che agiva nel
torinese, secondo gli investigatori, è una sorta di “mix” tra la malavita catanese, quella calabrese
legata alla ‘Ndrangheta e quella “importata” dall’est Europa.
“Clan” diversi ma non rivali nello spaccio di droga. Una perquisizione, relativa alla posizione di
Saverio Barbaro, è avvenuta anche a Platì, in Calabria. Il paese
è citato più volte nell’ordinanza
che portò ai 150 arresti del Mino(e.s.)
tauro nel giugno del 2011.
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