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Saper vedere per imparare a dipingere
Franco Spinelli Saper vedere Trattato di pittura a olio: materiali teoria del colore strategie esercizi guidati per imparare a dipingere Franco Spinelli Saper vedere per imparare a dipingere Trattato di pittura a olio: materiali strategie teoria del colore esercizi guidati A mia moglie Loretta e ai miei nipoti Leonardo e Jacopo RINGRAZIAMENTI Questa mia nuova esperienza dì scrittura, seguita a quella sul disegno, nasce dall’incontro tra una personale conoscenza, seppure parziale, della storia e dell’uso del colore e il desiderio dei miei allievi di capire perché non sempre i colori, sulla tela, assumono le tonalità desiderate. Ringrazio pertanto “i miei compagni di pennello” e il mio professore degli anni giovanili, e sostenitore culturale, Riccardo Marchese. Avvertenza: le immagini numerate o prive di didascalia sono opere dell’autore. Introduzione L’uomo ha cercato nel corso dei millenni di interpretare la realtà anche attraverso l’arte della pittura: con essa ha rappresentato, spesso inconsapevolmente, canoni sociali, politici, mistici ed estetici. Ognuno di noi è figlio ed espressione della società in cui vive, pur interpretandola con una soggettività originale. Gli artisti non sono privi di condizionamenti, che possono limitare pesantemente la creatività e diventare veicolo di un preciso messaggio politico, messaggio spesso espresso in canoni rigidi e simbolici. Questo è più evidente in certi periodi storici: si pensi, ad esempio, alla pittura egizia o a quella inglese del periodo elisabettiano. Marcus Gheeraerts il Giovane (?), Ritratto Ditchley, 1592 circa, Londra, National Portrait Gallery. Nel periodo elisabettiano il ritratto assume un progressivo distacco dalla realtà e compaiono vistosi elementi allegorici e simbolici. Soprattutto i ritratti della regina diventano sempre più fantastici, i tratti somatici più astratti, l’abbigliamento più sontuoso. Si tratta di veri manifesti della potenza regale, sia politica sia economica; i canoni europei di verosimiglianza, volume e profondità sono elusi a favore di un impatto visivo immediato, opulento e calligrafico, rigorosamente bidimensionale, più consono al potere. Negli ultimi tempi la pittura ha avuto un’evoluzione molto vivace ed è giunta a varie forme di espressione, non prevedibili solo un paio di secoli fa. Questa evoluzione certamente deve molto ad alcune scoperte della fisica e della chimica, teoriche e pratiche, come la teoria della reciproca 3 influenza dei colori, l’invenzione della fotografia, la produzione di nuovi colori e la possibilità di averli in tubetto. Per queste considerazioni, ho ritenuto opportuno dedicare il primo capitolo a una breve storia del colore, che, attraverso i secoli, “dipinge” un’evoluzione non soltanto tecnica, ma anche socio-culturale. In seguito, il testo evidenzia quelle parti della teoria del colore che più possono interessare il pittore. La parte tecnica focalizza l’attenzione su alcuni colori, con i quali si possono ottenere tutti gli altri, e li analizza uno per uno. Mostra come sia possibile creare toni più chiari e più scuri senza perdere la purezza del colore, come creare tinte nuove e come queste possano essere schiarite o scurite. Questa parte occupa ventitré pagine illustrate da sessantasei figure, con descrizione particolareggiata delle tinte usate. Nel capitolo dedicato ai materiali, si dà un’informazione sulla loro origine e sulla loro funzione. Per alcuni di essi, come i “medium” (miscugli di sostanze utilizzate per la diluizione dei colori), il libro offre indicazioni sui prodotti in commercio e sulle ricette da seguire per la creazione di un prodotto di qualità. Infine il testo descrive il percorso di realizzazione di alcuni dipinti: si parte dalla genesi dell’idea e, attraverso tappe supportate da immagini di quadri nei vari stadi di realizzazione, si giunge alla conclusione del lavoro. La tecnica pittorica considerata è quella della velatura, che segue la pratica del fresco su secco, con l’occhio sempre rivolto ai grandi maestri del Rinascimento. Questa tecnica offre una più semplice gestione del colore rispetto al fresco su fresco, poiché non permette alle tinte di sporcarsi a vicenda, consente di creare nuove sfumature date dalle trasparenze e facilita così i risultati. 4 Influenza dei colori: cenni storici I PRIMI PASSI La tradizione popolare ha sempre raccontato ai bambini che ai piedi dell’arcobaleno è nascosto un tesoro. Il tesoro esiste ed è rappresentato dalla scomposizione della luce e dalla percezione di tutte le lunghezze d’onda del visibile, contenute in quei sei colori, che, mischiati tra di loro, donano il cromatismo con cui è dipinto l’universo. E poiché di questo tesoro è intessuta la storia di tutti i popoli della Terra, ho ritenuto interessante condurre una breve ricerca sull’influenza che il colore ha esercitato negli usi e costumi, nell’evoluzione socio-culturale, psicologica e religiosa della civiltà, soprattutto occidentale, con riferimenti alle acquisizioni tecniche della lavorazione dei pigmenti e alle relative implicazioni economiche. Fin dall’inizio del Paleolitico superiore (40 000-10 000 a.C.), l’uomo ha imparato a produrre pigmenti e a mischiarli a leganti, per creare quelle affascinanti pitture primitive, miracolosamente giunte fino a noi, che si possono ancora ammirare in diverse grotte. Non si sa nulla sulle tecniche del Paleolitico superiore. Solo con l’osservazione si possono fare alcune deduzioni: i pigmenti sono prodotti con carbonato di calcio, polvere di carbone, ocre rosse e gialle derivate da ossidi metallici, terre e coloranti vegetali. I leganti sono certamente di tipo organico: latte, resine, albume d’uovo, urina, grassi animali e succhi vegetali. Le figure sono rappresentate con o senza contorno. Il colore è deposto con le dita o con tamponi vegetali o di pelo animale; a volte la tinta sembra spruzzata con la bocca. Arte paleolitica, (20 000-25 000 a.C.), pitture rupestri di Pech-Merle, Francia 5 Terminata la glaciazione del Wurm (circa 10 000 a.C.), l’uomo deve adattarsi a notevoli mutamenti ambientali. Questo periodo, detto Mesolitico (10 000-3 500 a.C.), vede la scomparsa di parte della fauna adattata al freddo come il mammut. Il lupo viene addomesticato e si crea con l’uomo un rapporto di mutuo soccorso. L’uomo orienta la propria dieta verso il consumo delle granaglie e diventa agricoltore; nello stesso tempo sviluppa l’allevamento di alcuni animali da cui può ottenere prodotti utili come il latte e la lana. La conseguenza di una dieta ricca di carboidrati favorisce l’aumento delle popolazioni che hanno scelto la sedentarietà. Infine l’uomo, oltre a seminare i campi e ad allevare gli animali, impara a filare le fibre e a tessere. I TESSUTI E LE TINTURE Per comprendere l’influenza che il colore ha avuto fra gli individui di un determinato gruppo sociale, è bene considerare i rapporti con il materiale tessile. Le pitture sul corpo risalgono alla notte dei tempi, ma la tintura dei tessuti è relativamente recente; le prime manifestazioni si hanno alla fine del Mesolitico. I primi colori usati nella tintura sono i rossi in tutti i loro toni e le tinte a questi collegabili, come gli ocra e i rosa. La materia prima è data dalla robbia (rubia tinctorum), detta anche garanza. La sostanza colorante si estrae dalle radici (alizarina) e, in tintura, entra profondamente nelle fibre creando resistenza agli agenti atmosferici. Robbia comune o garanza (Rubia tinctorum). IL BIANCO – IL ROSSO –IL NERO Nelle società antiche prevalgono, per molto tempo, tre colori: il rosso che rappresenta il colorato, il bianco che esprime il non tinto, ma pulito, e il nero che è indice di sporco o di scuro. Gran parte dei costumi tradizionali contiene questa triade. Il tingere sia di bianco che di nero è un esercizio difficile. Per il bianco si cerca di sbiancare i tessuti esponendoli per molto tempo alla luce del sole e bagnandoli con acqua fresca, ma il procedimento è lungo e di scarsi risultati; dopo un certo tempo, il tessuto ritorna ad avere il colore originale, grigio chiaro o écru. Per il nero 6 probabilmente sono utilizzate le noci di galla ricche di tannino, generate sulle querce da insetti cinipidi (Imenotteri terebranti). Per molti secoli, la società sarà influenzata, sul piano simbolico e sociale, da questi tre colori; in seguito, la presenza del giallo, del blu e del verde non andrà a modificare la simbologia sociale. Solo tra il XII e il XIII secolo, la cultura occidentale accetterà il sistema cromatico basato su sei colori. LE PRIME CIVILTA’ OCCIDENTALI In Grecia i colori dominanti sono il bianco, il giallo, il rosso, il nero e l’oro. Nella lavorazione del mosaico, venuta dall’oriente, abbiamo una tavolozza più ampia fatta anche di verdi e di azzurri. Il blu si trova più di frequente in scultura e in architettura come base per opere policrome. Il blu è molto utilizzato presso i popoli, chiamati barbari dai Romani, come i Celti e i Germani, i quali avevano imparato a estrarre questa tinta dal guado, pianta molto diffusa nel centro Europa; con questo pigmento tingevano le loro vesti e dipingevano i loro corpi per spaventare i nemici durante i combattimenti. Il guado è una pianta erbacea della famiglia delle crocifere (Isatis tinctoria) dalle cui foglie macerate si ottiene la sostanza colorante blu. Questa pianta era già conosciuta dagli antichi Egizi che la usavano in medicina e anche dai Romani per le virtù medicamentose e antisettiche. Guado (Isatis tintoria). Nella Roma antica e nel Medio Evo i colori valorizzanti, che ruotano attorno alla vita sociopolitica e religiosa, restano il bianco, il nero, il rosso e il porpora. Il blu non rappresenta quasi nulla, ancor meno del verde, che è simbolo della natura e del destino degli uomini; esso resta presente negli abiti e nelle cose della vita quotidiana delle classi più deboli. A Roma, il blu, in tutte le sue sfumature, ricorda i barbari; pertanto nella società romana assume un valore negativo. Avere gli occhi blu, tanto apprezzati oggi, diventa una disgrazia: sia gli uomini che le donne sono considerati poco affidabili e di dubbio comportamento 7 IL ROSSO PORPORA Il colore del potere è il rosso porpora, che, nell’epoca imperiale, è il colore per eccellenza, inimitabile, indelebile ai lavaggi e agli agenti atmosferici. Esso resta per lungo tempo riservato all’uso regale e sacerdotale; solo in seguito, diverrà status simbol anche per gli aristocratici e per i ricchi mercanti. Horace Fernet, Giulio II ordina i lavori in Vaticano, 1827, Parigi, Musée du Louvre. Il rosso porpora è un bel colore che può andare dal rosso scarlatto al rosso cupo, in funzione della diluizione che può avere in acqua marina. Esso era ricavato da un mollusco monovalve, il murice comune (Haustellum brandaris), di cui erano ricchi i bassi fondali del Mediterraneo. Si pensa che la pesca fosse effettuata tramite nasse contenenti esche. I molluschi poi erano conservati in vasche costruite alle periferie delle città; qui veniva rotta la conchiglia poiché il colorante si trova in una ghiandola del mollusco. Ogni mollusco fornisce una sola goccia di colorante e per questo è molto prezioso: ne servono circa un milione per ottenere 120 grammi di porpora. Murice. Sulle sponde del Mediterraneo sono ancora visibili le montagne di conchiglie lasciate dai Fenici come scarto della lavorazione. La produzione e la commercializzazione della porpora era talmente importante da identificare il colore prodotto (Phoenix) con il nome della regione di provenienza: Fenicia. 8 IL COLORE E LE OPERE D’ARTE Il colore ha sempre giocato, nel mondo antico, un ruolo importante sia nell’architettura sia nella scultura, oltre che nella decorazione parietale. Solo il tempo e i cattivi interventi di restauro hanno cancellato ogni traccia di colore: i restauratori consideravano che i pochi residui di pigmento deturpassero l’omogeneità della visione dell’opera. Il colore spesso corrispondeva a una simbologia e quindi aveva una funzione didascalica per facilitare la lettura dell’opera. L’immagine che ora noi abbiamo dell’architettura e della scultura dell’antichità è priva di colore. Questa deformazione dell’immaginario collettivo, causata soprattutto dalla presenza nei musei di statue rigorosamente bianche, è stata messa in discussione dalla seconda metà dell’ottocento, con una rilettura critica delle fonti e delle stesse opere d’arte. Galleria delle Statue, Musei Vaticani. I COLORI E LA LITURGIA All’inizio dell’era cristiana i colori principali per il culto sono sempre quelli prevalenti nelle società precedenti. Il bianco, certamente il più utilizzato, rappresenta la purezza, l’innocenza, la conversione, la resurrezione e la gloria della vita eterna. Il rosso simboleggia la passione, il martirio, il sacrificio e l’amore divino; il nero l’astinenza, la penitenza e l’afflizione. Dall’età carolingia, VIII secolo, un certo lusso entra in chiesa e i colori liturgici si arricchiscono dell’oro e di altri colori come il verde, il viola e il giallo. Fino al XII secolo la liturgia è in gran parte sotto il controllo dei vescovi e quindi il simbolismo dei colori è spesso legato alle tradizioni locali delle varie diocesi. 9 Con l’avvento di Innocenzo III al soglio pontificio (1198), la Chiesa assume una nuova organizzazione su basi monarchico-assolutistiche. I suoi scritti precedenti, riguardanti la liturgia e la funzione dei colori (1194-95), fanno scuola e ciò che è valido a Roma si diffonde in tutte le diocesi. Come tutti i predecessori, anche Innocenzo III non parla mai del colore blu, escludendolo in tal modo dalla liturgia. ICONOLATRI E ICONOCLASTI Da prima dell’età carolingia fino al XII-XIII secolo, nella Chiesa sorgono numerose controversie, che riguardano la presenza delle immagini e dei colori all’interno degli edifici sacri. Il movimento iconoclasta sorge a Costantinopoli con l’imperatore Leone III Isaurico (717-741), che, con un decreto del 726, intende contrastare gli abusi e la potenza monastica. A tale decisione non è estranea una concezione religiosa dualistica, dovuta all’influsso musulmano ed ebraico, contraria alla rappresentazione della divinità. Solo alla metà del IX secolo, con l’imperatrice Teodora, riprende il culto delle immagini. Per molti teologi medievali, la luce è la parte del mondo materiale visibile e al tempo stesso immateriale, quindi, se il colore è luce, scaccia le tenebre e avvicina l’uomo a Dio. Per altri, il colore è pigmento, una sostanza materiale, un artificio umano che, come tale, deve essere scacciato dal tempio, perché immorale e di ostacolo verso Dio. Queste dispute teologiche e speculative attraversano i secoli e giungono fino a noi, influenzando, e spesso modificando, i canoni estetici di ogni tempo. Sainte-Chapelle, interno, 1248, Parigi. Ad esempio, il colore della veste della Vergine Maria si modifica nel tempo. Fino all’undicesimo secolo, la veste è rappresentata con colori cupi: nero, grigio, bruno, viola o verde scuro, colori di afflizione e di lutto. Per tutto il periodo gotico e rinascimentale prevale il blu, poi nel periodo barocco subentra l’oro, che rappresenta la luce divina. Nel 1850, con il dogma di Pio IX dell’Immacolata Concezione, il colore iconografico diviene il bianco, che si sovrappone così a quello liturgico, simbolo di purezza e di verginità. 10 L’ARALDICA E I COLORI Attorno alla metà del XII secolo, il re di Francia, nel suo stemma, inserisce il fiordaliso, simbolo della Vergine Maria, protettrice della dinastia capetingia, in campo blu. In seguito questo colore sarà adottato anche dal re d’Inghilterra e da molti nobili. Anche Artù, re leggendario del medio evo, dal XIII secolo, è rappresentato vestito di blu, con uno scudo con tre corone d’oro in campo blu. L’espansione di questo colore nell’abbigliamento è dovuta anche ai progressi delle tecniche di tintura, che mettono a disposizione blu e azzurri saturi e brillanti. Il rosso, da sempre simbolo del potere, perde terreno, ma resta ancora simbolo dell’Impero e della Chiesa. I Nove Prodi, particolare, 1420 circa, Castello della Manta, Saluzzo, Cuneo. PRODUZIONI E TERRITORI Dal XIII secolo, la produzione dei pigmenti per la tintura dei tessuti assume una portata sempre più ampia. Le operazioni per ottenere i pigmenti e per raffinarli sono inquinanti, malsane e maleodoranti, come pure la coloritura dei tessuti e delle pelli: tra tessitori, conciatori e tintori nascono problemi che la legislazione locale deve disciplinare. Le associazioni di categoria e le autorità locali impongono regole molto precise, non solo sui coloranti da usare, ma anche relative al luogo dove lavorare e alle acque da utilizzare. I tintori del rosso si possono occupare anche della gamma dei gialli, mentre quelli del blu hanno la possibilità di tingere anche in verde e in nero. Per ottenere un arancio o un verde, si devono utilizzare pigmenti direttamente dalla natura: mischiare le tinte è considerato un procedimento scorretto, perché contro natura. Le controversie tra tessitori e tintori sono frequenti: a volte i tessitori, che non hanno diritto di tingere, lo fanno di nascosto o adducono la scusa di autorizzazioni comunali o signorili, per colori nuovi venuti di moda. Poiché le lavorazioni hanno necessità di 11 acqua pulita, tra conciatori e tintori nascono spesso dispute, che riguardano in particolar modo gli ordinamenti relativi all’accesso alle acque. Molte città europee tra il 1200 e il 1600 si arricchiscono con la tessitura e la tintura dei tessuti. A questo proposito va ricordata la città di Erfurt in Germania, che, in quel periodo, conta circa 20.000 abitanti. Qui si produce il colorante blu, che si ottiene dal guado. La città diviene in breve tempo il più grande mercato di guado in Europa. Attorno ad essa, in circa 300 paesi, si coltiva questa pianta e il solo mercato in cui si può vendere è la piazza di Erfurt, dove ogni passaggio di lavorazione è soggetto a nuova tassazione. La città diventa così ricca da poter fondare, nel 1392, un’università, una delle più antiche d’Europa. Tra il 1501 e il 1505, Martin Lutero studia all’università di Erfurt e consegue la laurea in filosofia. Vecchia macina da guado. LEGGI SUNTUARIE Fin dall’antichità greca e romana si ritrovano delle leggi, dette suntuarie, destinate alla limitazione degli eccessi del lusso; queste durano a lungo, nel tentativo di frenare la ricchezza eccessiva ed esibita. Col passare del tempo, queste leggi, attraverso l’apposizione di simboli e colori, sono utilizzate con scopi differenti: per segnalare le classi sociali o per indicare i ceti più deboli e disagiati. A Costantinopoli, durante l’impero d’oriente, la produzione serica e della porpora è severamente controllata da editti imperiali che ne limitano l’uso ai ceti dominanti. In Italia, le prime leggi suntuarie, di cui si ha notizia, riappaiono nel duecento: ai trasgressori di tali leggi si applica una pena pecuniaria o si vieta l’assoluzione in chiesa. Dal cinquecento le leggi sono utilizzate per colpire le classi più deboli o alcuni gruppi etnici; costoro non possono indossare abiti con coloriture sature e intense. Agli ebrei è imposto un cappello a punta o un contrassegno colorato sul braccio, alle prostitute è vietato l’uso di abiti appariscenti e, a volte, a seconda dei luoghi, viene loro imposto di indossare vesti o accessori di determinati colori. In pratica, tutti gli individui delle classi sociali più deboli, come i mendicanti, i malati, i musici, i giocolieri, i vagabondi, gli spergiuri, i bestemmiatori e altri, sono costretti a vestire 12 abiti con particolari segni cromatici. Gli eretici devono indossare abiti penitenziali, solitamente gialli. Questo colore, dalla metà del medioevo, è legato ai traditori, ai truffatori e a tutti coloro che, con l’inganno, carpiscono la fiducia altrui. Il giallo nella cultura medievale occidentale è il colore assegnato a coloro che si vuole condannare o escludere, come gli ebrei. Già da allora questo colore è sulla stella di Davide, ripresa poi dai nazisti durante la seconda guerra mondiale. A differenza del mondo occidentale, quello orientale vede nel giallo un simbolo positivo legato al potere, alla ricchezza e alla saggezza; a lungo fu il colore dell’imperatore della Cina. Pieter Bruegel, I ciechi, 1568, Gallerie Nazionali di Capodimonte a Napoli. COLORE E VISIBILITA’ SOCIALE Durante il XIII e il XIV secolo nasce una nuova classe sociale urbanizzata, formata da ricchi borghesi i quali, col passare del tempo, dispongono di patrimoni sempre più consistenti. Le leggi suntuarie tendono a limitare in costoro l’ostentazione della propria posizione sociale attraverso il vestiario, vietando l’accesso a tessuti particolari e a colori intensi, quali i blu e gli scarlatti veneziani. La nuova classe emergente inizia a vestirsi di nero, colore giudicato fino allora di scarso interesse, anche perché non bello e intenso come oggi lo conosciamo. I nuovi utilizzatori sono ricchi e quindi la richiesta di nuovi neri più saturi, più stabili e più vivi spinge i tintori a soddisfare queste esigenze. In breve tempo il mercato si arricchisce di questa nuova tinta, permettendo la nascita della moda del nero. I nuovi patrizi possono così soddisfare i loro gusti, rispettando le leggi suntuarie. L’uso nel vestiario del nero piace anche alle classi dominanti, quindi entra nel guardaroba dei regnanti, di tutta la nobiltà e del clero. 13 Nel XV secolo il nero consolida la propria presenza e trascina con sé altri colori considerati umili: la gamma dei grigi. Il successo del nero continua nei secoli successivi e, con la Riforma protestante, diviene il colore morale per eccellenza, adatto al buon cristiano. Alla vigilia della rivoluzione francese, i borghesi si presentano, all’apertura degli Stati Generali, in abito nero e cravatta bianca, indumenti imposti loro dall’aristocrazia, per umiliarli. Il contrasto provoca l’effetto opposto e i semplici abiti diventano simbolo di pulizia morale e di nuovi ideali. Giovanni Battista Moroni, Il conte Pietro Secco Suardi, 1560 ca., Galleria degli Uffizi, Firenze. RIFORMA E CONTRORIFORMA Con la Riforma luterana (1517) e la Controriforma del Concilio di Trento (1545-63), risorgono le vecchie tensioni, in parte affievolite, sulla presenza del colore nelle chiese. Per i protestanti, e in particolar modo per i calvinisti, ciò non è accettabile: il colore è materia, è impuro e non rappresenta Dio, quindi deve uscire dai luoghi sacri. Il rosso, simbolo del sangue di Cristo, per molti secoli colore per eccellenza della chiesa, viene visto, e quindi rifiutato dai riformatori, come immagine del lusso e della corruzione di Roma. Per Lutero, nel tempio non deve entrare la vanità umana; per Calvino, c’è posto solo per la parola di Dio. 14 Pieter Paul Rubens, Ritratto di Suzanne Fourment (part.), 1622 ca., National Gallery, Londra. Il contrasto di idee e la tendenza umana a imporre il proprio ideale porteranno, al di là della morte di milioni di persone, alle guerre di religione, a un periodo nero per l’intera Europa, alla spogliazione di migliaia di edifici di culto e alla distruzione di opere d’arte. Importante è osservare l’atteggiamento degli artisti nei decenni successivi alla Controriforma: la loro tavolozza spesso varia a seconda della diversità delle confessioni e della sensibilità religiosa. E’ interessante mettere a confronto due tra i maggiori pittori fiamminghi che lavorano tra la fine del XVI e la metà del XVII secolo. Pieter Paul Rubens (1577-1640), pittore cattolico, utilizza una tavolozza basata su colori luminosi, brillanti e sensuali, mentre Rembrant (1606-1669), pittore calvinista, sensibile alla lezione caravaggesca, trova nella luce, più che nel colore, la sua espressione artistica, a volte quasi monocroma. La gamma dei colori, usata dai protestanti per il vestiario, è quella giudicata espressione di onestà e moralità: il bianco, il nero, il grigio e il blu. Rembrandt, Donna al bagno, 1655, National Gallery, Londra. 15 L’ANTAGONISMO DEI BLU Sia i Greci sia i Romani conoscono l’indaco che importano dall’Oriente. La sua commercializzazione, in blocchi molto compatti, fa loro pensare, erroneamente, a un prodotto minerale (lapis indicus); in realtà questo colorante deriva da una pianta (indigofera tinctoria). Alla fine del Medio Evo, nell’abbigliamento europeo, esso è molto presente. La migliore qualità dell’indaco, rispetto al guado, induce i tintori a utilizzarlo sempre più; durante il XIV e XV secolo, per frenarne l’importazione, a difesa delle zone produttrici di guado (Europa centrale), si interviene con statuti e regolamenti. Questo protezionismo sarà comunque inutile: la pianta dell’indaco, dopo la scoperta dell’America, verrà coltivata anche nelle Antille e produrrà un colorante migliore di quello indiano; avrà anche il vantaggio di essere più economico perché frutto del lavoro degli schiavi. Per tutte le città del centro Europa, arricchitesi con la lavorazione del guado, inizia la fine dei guadagni facili. All’inizio del settecento, tutte le tintorie europee sono autorizzate all’uso dell’indaco. Nella seconda metà dell’ottocento, l’indigotina, principio colorante dell’indaco, viene prodotta sinteticamente. Questa scoperta comporta il declino delle piantagioni di indigofera tinctoria sia in India che in America. VERSO IL FUTURO Gli studi, condotti da Isaac Newton (1642-1727) sulla scomposizione della luce e sui colori, aprono la strada a molte nuove considerazioni che modificano credenze consolidate. L’assenza del bianco e del nero nella scomposizione della luce pone il dubbio che questi siano veri colori. Nella luce, i colori con cui si possono ottenere tutti gli altri sono il rosso, il verde e il violetto; nei pigmenti, il giallo, il rosso e il blu. Jacob Christoph Le Blon (1667-1741), pittore e incisore franco-tedesco, sperimenta attorno al 1710 la stampa a quattro colori, aggiungendo ai primari il nero. Il sistema medievale a sei non ha più ragion d’essere. In breve tempo si parlerà di cerchi cromatici, di colori complementari e di reciproca influenza dei colori, cose in parte già intuite dai grandi artisti del Rinascimento. Jacob Christoph Le Blon, Luigi XV, 1739. 16 Dalla seconda metà del XVIII secolo, le tintorie affinano i sistemi produttivi proponendo nuove sfumature di colori e aggiungendo a quelli tradizionali, intensi e saturi, tinte lievi e delicate. L’importazione dell’indaco americano, ormai privata di dazi e balzelli, permette ai tintori di mettere sul mercato una nuova gamma di azzurri, più brillanti e più resistenti ai lavaggi. In molti tessuti, il colorante passa agevolmente tra le fibre fissandosi facilmente alla trama e rendendo inutile la mordenzatura: è sufficiente immergere il tessuto nella vasca del colorante e poi esporlo all’aria. Gli azzurri e i grigi, prodotti fino allora con pigmenti mediocri e destinati col tempo a divenire sempre più scialbi e grigiastri, restano destinati all’abbigliamento dei contadini e delle classi più povere. IL ROMANTICISMO Il romanticismo favorisce la diffusione degli azzurri, dei grigi, dei gialli e dei verdi; questo periodo segna un allontanamento sempre maggiore dal rosso. Goethe ha un ruolo molto importante per la diffusione di questo nuovo ventaglio di colori. Nel suo romanzo I dolori del giovane Werther, pubblicato a Lipsia nel 1774, insiste sull’abbigliamento descrivendone i colori e le forme. Il rapido successo del romanzo influenzerà, nel decennio successivo, non solo la scelta delle tinte nell’abbigliamento dei giovani innamorati, ma anche le arti figurative. Lotte e Werther in un quadro ispirato all’opera di Goethe. Non si può dimenticare, in questa breve storia dei colori, un altro libro di Goethe, La teoria dei colori, pubblicato a Tubinga nel 1810. In questo trattato, l’autore ha un’intuizione nuova e importante: in contrasto con La teoria dei colori di Newton, egli evidenzia l’influenza della soggettività nella percezione del colore, introducendo l’elemento umano. Il blu non è solo quello romantico e malinconico, ma nella sua ascesa diventa, in molta parte dell’Europa, il colore nazionale e politico. Il rosso, simbolo del potere per tanti secoli, dall’ottobre del 1789, in Francia, assume un significato diverso. In caso di tumulti la bandiera rossa, posta alla finestra principale dei municipi accanto a quella nazionale, impone lo scioglimento di ogni assembramento di folla; in caso contrario, si ha l’intervento della forza pubblica. Questa bandiera diviene simbolo insurrezionale sul Champ-de-Mars a Parigi nel luglio del 1791 e dal XIX secolo, prima in Europa poi nel mondo intero, accompagnerà le rivoluzioni proletarie socialiste. 17 BLU SOCIALE E POLITICO Il blu, nelle sue sfumature, durante il XX secolo, continua a occupare spazi in tutti i settori della vita umana, da quello civile a quello militare. Nell’abbigliamento maschile, gradualmente, il nero è sostituito dal blu scuro, soprattutto nel campo delle divise istituzionali. Simbolo di questi cambiamenti sono i jeans, nati all’inizio della seconda metà dell’ottocento dall’idea del giovane Levi Strauss; questi è un piccolo venditore ambulante ebreo di New York, originario della Baviera, trasferitosi a San Francisco al seguito dei cercatori d’oro. Questi pantaloni sono inizialmente prodotti per lavoro, con un tessuto molto compatto, generalmente utilizzato per la costruzione di tende da terra e per carri. Nei jeans, il blu compare dopo alcuni anni, ma l’indaco, utilizzato per la tintura, ha difficoltà a penetrare in un tessuto così compatto; ciò determina un’instabilità di colore, che si manifesta con una scoloritura nelle parti più soggette a usura. Questo difetto ne determina il successo. In seguito, la sostituzione del tessuto di Genova con uno più leggero, il denim, e la produzione di un indaco sintetico permettono una coloritura stabile. Questa nuova soluzione non piace al mercato e costringe le case produttrici a decolorare i capi come se fossero usati. Una curiosità: nel 1936, per la prima volta, il marchio del produttore (Levi Strauss) compare su un capo di abbigliamento. Ancora oggi, come allora, il marchio è apposto sulla tasca posteriore destra dei jeans. Il blu, dal Romanticismo in avanti, assume, nella civiltà occidentale, un’importanza sempre maggiore. Nel resto del mondo, da quello asiatico a quello africano, si dà grande importanza non solo al colore, ma anche alla percezione di lucidità o di opacità che esso comunica. Oggi il blu, nelle varie sfumature, prevale su tutti gli altri colori: molte associazioni internazionali portano questa tinta nelle loro bandiere. I militari che rappresentano l’ONU sono chiamati i caschi blu. Gli abiti importanti sono blu scuro; questo colore, molto usato spesso assieme al verde, è divenuto simbolo di tranquillità, di quiete e di pace. In alto bandiera dell’ONU, in mezzo bandiera dell’UNESCO e in basso bandiera dell’UNICEF 18 Il colore ha dunque nel corso dei secoli assunto varie connotazioni. Ai nostri giorni è meno evidente, nell’abbigliamento, la diversificazione delle classi sociali. Spesso i ricchi, come i meno abbienti, portano i jeans scoloriti e sdruciti. Questo comportamento di mimetismo sociale può essere frutto di varie cause: la globalizzazione, la diffusione della scolarizzazione, una maggiore democrazia, un forte conformismo culturale di una società devastata da una pubblicità che spersonalizza, o, chissà, il tentativo di mimetismo fiscale. Lascio che in questo ginepraio di possibili interpretazioni si addentrino i sociologi e qui termino questa breve storia dei colori nei secoli. Bandiera dell’Unione Europea. 19 Teoria del colore RICERCA SCIENTIFICA E PERCEZIONE DEL COLORE Molti uomini di scienza e di cultura, negli ultimi secoli, hanno cercato di spiegare la percezione del colore. Già Leonardo (1452-1519), nel Rinascimento, intuì che l’apparato visivo doveva essere l’artefice di questa percezione. In seguito, Descartes (Cartesio 1596-1650) scrisse che la ricostruzione dell’immagine doveva avvenire nel nostro cervello. Al contrario di ciò che pensava Newton (1642-1727), cioè che la luce fosse formata da un fascio di corpuscoli che si muovevano ad altissima velocità, all’inizio del milleottocento, il medico inglese Thomas Young (1773-1829), sulla base di alcuni esperimenti, formulò la teoria ondulatoria che dimostra che la luce si diffonde con un’onda che oscilla ad altissima frequenza. Lo scienziato concentrò la propria attenzione sulla percezione dei colori e non sulle proprietà della luce. I suoi studi furono orientati verso la conformazione della retina dell’occhio umano: in essa esistono terminazioni nervose, i fotorecettori, sensibili alla luce, collegati al nostro cervello, luogo in cui si “materializzano” le immagini. L’occhio umano è in grado di percepire alcune centinaia di sfumature di colore. Young pensò che i recettori non potessero essere così numerosi su una superficie tanto esigua quanto quella della retina. Ipotizzò che fossero solo di tre tipi, uno per ogni colore primario della luce, che aveva stabilito essere il verde, il rosso, il violetto. Le sue ipotesi furono confermate, in seguito, dalla dimostrazione della presenza sulla retina di due tipi di cellule nervose o fotorecettori: i coni e i bastoncelli. I tre tipi di coni, soprattutto diffusi nella parte centrale della retina, hanno un ruolo importante nella visione diurna e rendono possibile la percezione dei colori attraverso azioni combinate. I bastoncelli giocano un ruolo importante quando le condizioni di luce sono scarse, come al crepuscolo o di notte; essi sono localizzati prevalentemente nelle zone periferiche e, essendo ciechi ai colori, producono una sensazione di tinta indefinibile, grigio-verdastra, tanto più livida quanto maggiore è l’oscurità. Il fisico tedesco Hermann Von Helmholtz (18211894), nel suo libro “Ottica fisiologica” (1866), introdusse le tre caratteristiche del colore, tuttora valide: tono o tinta, saturazione, luminosità. Diagramma dei colori di Hermann Von Helmholtz 20 Tono o tinta – definisce il colore secondo il nome con cui lo conosciamo. Saturazione – definisce il grado di purezza del colore. Luminosità – definisce quanto il colore è chiaro o scuro. Egli dimostrò inoltre che la miscela dei colori spettrali funziona secondo principi diversi dai miscugli di colore realizzati con i pigmenti usati in pittura. I colori primari dello spettro luminoso sono il verde, il rosso e il violetto. I colori primari dei pigmenti sono il giallo, il rosso e il blu. LUCE E COLORE Nell’ottica, il giallo è un colore secondario e si forma dalla miscela della radiazione rossa con quella verde. A seguito delle scoperte di Young, Von Helmholtz dimostrò che, in ottica, si poteva ottenere il bianco attraverso una miscela calibrata delle tre radiazioni: verde, rossa e violetta (sintesi additiva). Quando un corpo opaco (non trasparente) assorbe tutti i colori contenuti nella luce, l’oggetto ci appare nero; se invece riflette tutti i colori dello spettro, allora ci appare bianco. I colori che il nostro occhio percepisce sono quelli non assorbiti e quindi riflessi dal corpo. Il rosso della fragola risponde a un colore non assorbito dal frutto. Isaac Newton fu il primo che si accorse che la luce, pur essendo priva di colore, li conteneva tutti. Nel 1672 fece penetrare in una camera oscura un raggio di luce, il quale, colpendo un prisma di cristallo, produsse dalla parte opposta un ventaglio di colori, gli stessi dell’arcobaleno (fig. 1). Newton suddivise così la luce in sette colori: rosso, arancio, giallo, verde, blu, indaco, violetto (spettro solare). Egli pensò di distinguere l’indaco tra l’azzurro e il violetto, forse influenzato dalla convinzione dell’epoca che la natura si esprimesse attraverso il numero sette, considerato un numero perfetto. Fig. 1. Dispersione della luce bianca da parte di un prisma. 21 I raggi dei diversi colori sono deviati in maniera maggiore o minore secondo la loro lunghezza d’onda, sia all’entrata sia all’uscita del prisma di vetro: il rosso devia molto meno del violetto, mentre gli altri colori hanno un comportamento intermedio. I sei colori principali dello spettro dell’iride, suddivisi in tonalità intermedie. A destra è mostrata la loro luminosità per l’occhio umano, espressa in percentuale del suo valore massimo che si ha a 555 nanometri. 22 Il fisico scozzese James Clerk Maxwell (1831-1879) dimostrò che la luce è un’onda elettromagnetica le cui frequenze di oscillazione sono molto alte; inoltre osservò che i vari colori dello spettro corrispondono a differenti frequenze di oscillazione. Grazie alla costruzione di alcune macchine ottiche, come i cerchi rotanti, in cui erano fissate delle sagome di carta colorata di varia larghezza, Maxwell riuscì a miscelare i colori primari per ottenere le diverse sfumature dello spettro. Sia i diagrammi di Von Helmholtz che quelli di Maxwell dimostrarono che, per ottenere il bianco, non erano necessarie le stesse quantità di radiazione luminosa verde, rossa, violetta. Gli studi dei due scienziati costituirono la base della colorimetria moderna. Questi studi sulla luce e sulla percezione del colore indirizzarono molti scienziati e artisti a interessarsi, tra la fine dell’ottocento e la metà del novecento, alla visione e alla classificazione dei colori ottenute con miscele di pigmenti. Cerchio rotante di Maxwell. SINTESI ADDITIVA E SOTTRATTIVA Le radiazioni luminose di varia lunghezza d’onda dipingono tutto l’universo con i loro colori primari, rosso, verde e violetto. La somma di queste radiazioni dà colorazioni sempre più luminose fino a raggiungere il bianco: questo fenomeno si chiama sintesi additiva. 23 Sintesi additiva (luce). Diverso, anzi opposto, è il comportamento dei colori primari dei pigmenti, giallo, rosso e blu; questi, mischiati tra loro, in teoria dovrebbero dare il nero (sintesi sottrattiva). Nella pratica producono un grigio scuro (tinta neutra). Questo avviene poiché i colori non sono mai saturi e puri; la stampa, ad esempio, utilizza la quadricromia aggiungendo ai primari il nero. Sintesi sottrattiva (pigmento). COLORI PRIMARI E SECONDARI NEI PIGMENTI I colori primari sono il giallo, il rosso e il blu; essi sono la base con la quale si ottengono tutti gli altri. Mischiandoli tra loro si forma la tinta neutra (grigio scuro, in teoria nero). I colori secondari sono ottenuti unendo due a due i colori primari: giallo + rosso arancione giallo + blu verde rosso viola + blu COLORI COMPLEMENTARI Due colori sono complementari quando, insieme, contengono i tre colori primari. Se prendiamo in esame il giallo, allora diremo che il suo complementare è il colore secondario formato dagli altri due primari, il rosso e il blu. giallo complementare viola rosso complementare verde blu complementare arancione 24 Approfondiamo l’argomento relativo alla complementarietà dei colori, visualizzandola sul cerchio di Itten, che ci mostra come ogni colore abbia il proprio complementare esattamente dalla parte opposta (Fig. 2). Tracciamo una diagonale che dal verde chiaro, passando per il centro, giunga al rosso violaceo. Il primo di questi colori è formato da una forte quantità di giallo e un po’ di blu, il secondo da molto rosso e poco blu; come si può vedere contengono tutti e tre i colori primari. Un’osservazione che possiamo fare sui colori contrapposti sul cerchio cromatico, e quindi sui complementari, è che sono formati da un colore caldo e uno freddo. Fig. 2. CONTRASTI SIMULTANEI E CONSECUTIVI L’apparente differenza di luminosità si evidenzia in funzione dello sfondo: un oggetto appare più luminoso se lo sfondo è nero anziché bianco e un colore sembra più luminoso se accostato a un altro a esso complementare. Questo effetto si chiama contrasto simultaneo o spaziale. Contrasto simultaneo di luminosità: l’anello appare più luminoso sulla superficie nera. Questa regola naturale è molto importante, sia in disegno sia in pittura, poiché aiuta a dare rilievo alle figure e ad accentuare la profondità. Il contrasto consecutivo o temporale invece è un effetto legato all’affaticamento dei fotorecettori visivi. Le conseguenze di questo effetto sulle immagini in bianco e nero possono essere qui osservate e sperimentate (fig. 3) 25 Fig. 3. Contrasto consecutivo o temporale. Fissare per circa trenta secondi il punto posto nel centro della figura di sinistra, poi spostare lo sguardo sul punto di destra: si vedrà l’immagine precedente a colori invertiti con un alone bianco molto luminoso (questo effetto è legato all’affaticamento dei fotorecettori visivi). Per quanto riguarda il colore, le cose apparentemente cambiano, poiché l’affaticamento dei recettori rende evidente, al posto delle tinte osservate, il loro colore complementare. Per ottenere questo effetto è importante avere come fondo un colore neutro come il grigio (fig. 4). Fig. 4. Contrasto consecutivo di colore. Fissare per circa trenta secondi la crocetta di sinistra posta tra i colori, poi spostare lo sguardo su quella di destra. L’immagine che comparirà sarà uguale alla precedente, ma con i colori sostituiti dai rispettivi complementari (anche quest’effetto è legato all’affaticamento dei fotorecettori visivi). 26 RECIPROCA INFLUENZA DEI COLORI Il chimico francese Michel Eugène Chevreul (1786-1889) fu lo scienziato che probabilmente più influenzò la produzione artistica moderna: egli creò nuovi diagrammi cromatici considerando i colori solo come pigmenti. Chevreul fu incaricato dalla Gobelin, grande azienda francese specializzata nella colorazione e stampaggio dei tessuti, di compiere uno studio sul comportamento di certe coloriture. Si era notato che alcuni colori aumentavano la loro vivacità, o la diminuivano, secondo le tinte cui erano accostati. Chevreul notò che i colori primari risultavano vivaci se accostati al proprio complementare e tendevano a contaminarsi l’un l’altro. In prossimità di altri colori, invece, riducevano la propria luminosità. Colore primario adiacente al proprio complementare Fig. 5. Colore primario adiacente a un colore non complementare Osserviamo, nella colonna di sinistra della fig. 5, come nell’accostamento dei colori si formi una lieve linea di sovrapposizione che nella realtà non esiste; probabilmente ciò è dovuto al fatto, già osservato sui tessuti, che i colori complementari tendono a tingersi l’un l’altro. I colori delle due colonne sono gli stessi ritagliati da fogli di carta colorata; i cambiamenti di tono sono dovuti al fenomeno naturale intuito da Chevreul. Il ricercatore fu portato dalle proprie osservazioni a formulare la legge dei contrasti simultanei: “Due colori adiacenti vengono percepiti dall’occhio in modo diverso da come sono realmente”. 27 Fig. 6. In questa serie d’immagini le stelle viola sono tutte ritagliate dallo stesso cartoncino colorato. Nella prima immagine di sinistra la stella ha come fondo il suo complementare: da qui l’aumento di vivacità e di tono del viola. Van Gogh certamente conosceva questo studio del chimico Chevreul e questo passo di una sua lettera al fratello Teo ne è rivelatore. “Mi è mancato il denaro per pagare dei modelli, altrimenti mi sarei dedicato completamente alla pittura di figura, ho dipinto però una serie di studi di colori, semplicemente dei fiori: papaveri rossi, fiori di campo [...], rose bianche e rosa, crisantemi gialli, alla ricerca di contrasti di blu e arancione, di rosso e di verde, di giallo e viola, cercando toni spezzati e toni neutri che facciano armonizzare questi estremi così brutali”. Chevreul realizzò un cerchio dei colori con settantadue sfumature diverse ben sature. Il cerchio comprende i colori primari, i secondari e individua i relativi complementari dalla parte opposta. Questo strumento aveva la funzione di aiutare l’orientamento di chi si interessava al colore. Il cerchio dei colori di Chevreul. Qualche tempo dopo il fisico scozzese James Clerk Maxwell teorizzò il mélange optique: la mescolanza dei colori è nell’atteggiamento percettivo dell’occhio più che nel pigmento. In seguito il fisico americano Nicholas Odgen Rood (1831-1902) arricchirà ulteriormente la teoria del colore: egli realizzò una versione scientifica del cerchio dei colori tenendo conto delle precise posizioni angolari e della larghezza delle bande dei colori dello spettro luminoso. 28 Egli notò inoltre che di fronte a linee e puntini disposti in modo ravvicinato, l’occhio percepisce un’unica sfumatura dovuta ai toni presenti sulla superficie. Queste nuove scoperte sollecitarono l’interesse di molti artisti della seconda metà dell’ottocento. Tra questi ricordiamo: Seurat, Signac, Segantini, Pelizza da Volpedo, teorici e interpreti del pointillisme e del divisionismo. Per queste tecniche è importante l’utilizzo dei colori puri che uniscono l’intensità cromatica al massimo grado di saturazione in funzione della loro lunghezza d’onda. Georges Seurat, Una domenica pomeriggio all’Île de la Grande Jatte (particolare), 1884/86, Olio su tela, 205x308 cm, Chicago, Art Institute. Come abbiamo già visto, la percezione dei colori muta secondo l’ambiente in cui ci troviamo: la diversa intensità può venire influenzata dalla quantità di luce dell’ambiente, dalla presenza di altri colori, dal loro accostamento, ... Un fiore di colore viola, ad esempio, avrà sfumature diverse se è in piena luce, in ombra o lontano dalla fonte luminosa; assumerà la massima intensità di colore se avvicinato al suo complementare, il giallo. Così sarà anche per una rosa di colore rosso che assumerà la massima intensità se avvicinata al suo complementare, il verde. Il nostro occhio è in grado di percepire migliaia di varianti cromatiche. Il pittore svizzero Johannes Itten, insegnante prima alla Bauhaus di Weimar (19191923), poi a Berlino (1926-1934) e infine alla Scuola d’Arte e Mestieri di Zurigo (1938-1953), della quale fu anche direttore, nel 1961 pubblicò un’importante ricerca sulla teoria del colore con il titolo “Arte del colore: esperienza soggettiva e conoscenza oggettiva come vie per l’arte”. 29 Nei suoi scritti Itten, prende in esame la percezione del colore non solo dal punto di vista fisico-chimico o cromatico, ma anche psicologico e sociologico e cerca di intravederne tutte le possibili sfaccettature. I suoi studi sono utilizzati, tuttora, oltre che dagli artisti, dagli operatori del design, della pubblicità, del cinema, della moda, … Il cerchio cromatico di Itten è strutturato in modo da formare nella parte interna un triangolo equilatero i cui vertici sono occupati dai colori primari: giallo, rosso e blu. Questo triangolo diviene un esagono regolare occupato nei nuovi tre vertici dai colori secondari: arancio, viola e verde. I vertici dell’esagono toccano, sul cerchio cromatico, il colore che rappresentano. Il cerchio cromatico di Itten. Tra un vertice e l’altro vi è un colore intermedio: in tal modo si forma un cerchio di dodici colori. Come possiamo intuire, il cerchio cromatico può contenere settantadue tinte come il cerchio di Chevreul, ma anche centinaia di colori finché il nostro cervello è in grado di distinguere le variazioni cromatiche. Una suddivisione dei colori di valenza più psicologica che ottica è quella che interpreta le tinte in calde e fredde. Per colori caldi si intendono quelli che vanno dal giallo al rosso e per freddi quelli compresi tra il verde e il blu. Vi sono poi tinte intermedie di difficile collocazione che sono interpretate in modo soggettivo, come il verde chiaro o il viola. I colori sono influenzati dall’intensità della luce che li colpisce: più è alta, più il tono è chiaro, più si abbassa, più il tono scivola verso l’oscurità. Il cerchio cromatico di Itten: colori caldi e colori freddi dal chiaro allo scuro. 30 La legge dei contrasti simultanei fu intuita già nel Rinascimento e probabilmente anche prima. In Piero di Cosimo (1461-1522) spesso abbiamo l’accostamento di vividi colori complementari. Nei dipinti di questo artista, a volte, il colore azzurro del manto della Vergine, tradizionale per l’epoca, è sostituito dal colore verde, complementare al rosso della veste. Anche Raffaello (1483-1520) avvicina spesso in opposizione due colori complementari: nel dipinto accanto, oltre all’accostamento del rosso con il verde nel manto della Madonna, abbiamo anche la presenza ravvicinata dell’azzurro e della tinta aranciata della veste del Bambino. Raffaello Sanzio, Madonna della seggiola, 1513, Firenze, palazzo Pitti. Venendo a pittori più vicini ai nostri giorni, Van Gogh sfrutta con particolare abilità la legge dei contrasti simultanei (pag. 27), determinando immagini vigorose, di forte impatto visivo ed emotivo. . Vincent Van Gogh, Campo di grano con volo di corvi, Auverse-sur-Oise, prima del 9 luglio 1890, tela, 50,5 x 100,5 cm, Amsterdam, Rijksmuseum Vincent Van Gogh. 31 PROFONDITA’ E RILIEVO L’uso del colore, del chiaro scuro e della prospettiva sono importanti per dare profondità a un’immagine. Il colore, evidenziato nel chiaro scuro in modo opportuno, può essere sufficiente per creare la sensazione di profondità. Nel primo piano è importante usare colori saturi i quali, a mano a mano che la distanza aumenta, saranno sempre meno puri, essendo decisiva l’aria che s’interpone tra l’occhio e il piano più distante. Anche la definizione dell’immagine ricopre un ruolo importante nella percezione della profondità: più le figure si allontanano più i contorni assumono una rappresentazione incerta. Silvestro Lega, Un dopo pranzo, 1868, Milano, Pinacoteca di Brera. Leonardo nel suo Trattato della pittura così ci insegna: “853. Perchè gli alberi da una distanza in là quanto più sono lontani più si rischiarano. Da una distanza in là gli alberi, quanto più s’allontanano dall’occhio, tanto più gli si dimostrano chiari, tantoché all’ultimo sono della chiarezza dell’aria nell’orizzonte. Questo nasce per l’aria che s’interpone infra essi alberi e l’occhio, la quale essendo di bianca qualità, quanto con maggior quantità s’interpone, di tanto maggiore bianchezza occupa essi alberi, i quali per partecipare in sé di scuro colore, la bianchezza di tale aria interposta rende le parti oscure più azzurre che le parti loro illuminate” Nel dipinto di Silvestro Lega vediamo che i consigli sopra citati sono pienamente recepiti: le figure in primo piano possiedono colori più saturi e le ombreggiature creano un rilievo apprezzabile, mentre, sullo sfondo, osserviamo colori più tenui, che perdono la loro definizione a mano a mano che la distanza aumenta. Per accentuare il rilievo delle figure in primo piano, è importante l’elaborazione del chiaro scuro: i colori sono influenzati dall’intensità della luce che li colpisce e l’ombreggiatura gioca un ruolo importante nell’accentuare il contrasto luminoso e nell’assorbire la linea di contorno, la cui presenza appiattirebbe l’immagine. 32 A sostegno di quanto affermato, bisogna osservare i maestri del passato. Leonardo è forse stato il primo grande maestro a interessarsi della profondità attraverso la prospettiva lineare e aerea. Egli conosce la visione binoculare del nostro sistema visivo e, in tutte le sue opere, cerca di dare al primo piano una tridimensionalità virtuale, sfruttando la luce e un chiaro scuro molto spinto. Leonardo da Vinci, Sant’Anna, la Vergine e il Bambino, 1510, olio su tavola 168x112 cm, Parigi, Musée du Louvre. Caravaggio tratta sia la luce sia il colore in modo teatrale e scenografico. La prospettiva lineare è quasi inesistente; profondità e rilievo sono dati da fasci luminosi che provengono dall’alto o di lato. Le linee di contorno non si notano perché assorbite dal chiaro scuro. Caravaggio, Deposizione nel sepolcro, 1602-03, Città del Vaticano, Musei vaticani, Pinacoteca vaticana. 33 Non tutti gli artisti cercano profondità e rilievo, molti si disinteressano di questo; ciò avviene soprattutto nella pittura moderna e contemporanea. Cézanne ha sempre rifiutato di abbandonare la linea di contorno: questo l’ha distinto dagli impressionisti verso i quali ha spesso espresso forti divergenze verbali. Paul Cézanne, Natura morta con mele, 1895-98, New York, Museum of Modern Art. Klimt oltre a mantenere la linea di contorno, utilizza raramente il chiaro scuro; in questo modo le immagini, volutamente, risultano prive di rilievo. Il suo simbolismo, affiancato da una pittura metafisica molto particolare, ha fatto di lui un grande artista. Gustav Klimt, Le tre età della vita (particolare), 1905, olio su tela 180x180 cm, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna. 34 TONALITA’ ARMONICHE O MODULAZIONI TONALI Ricordiamo che l’individuo è da sempre immerso nella natura ed è influenzato dalle sensazioni che questa produce. Un bel tramonto dona toni caldi a tutto il paesaggio e armonizza spesso i colori coinvolti. Una scena poetica come questa può indurre a varie espressioni artistiche: musica, poesia e pittura sono manifestazioni diverse di un intimo sentire. Nella storia dell’arte, spesso la pittura e la musica sono state messe in relazione, associando i suoni ai colori. Lo stesso Newton, dovendo selezionare i colori dello spettro solare, li definì nel numero di sette, come le note della scala musicale. Generalmente chiamiamo toni armonici o modulazioni tonali la scala di gradazione di colori che, pur mantenendo la tinta di base simile, passa dal chiaro allo scuro, incorporando piccole quantità di altri colori compatibili con la cromaticità di base. Nel quadro di Boldini (1842-1931) abbiamo la presenza di pochissimi colori, intonati e accordati tra loro, come fu sua abitudine negli ultimi decenni della sua vita. Questo quadro è modulato su una ristretta gamma di terre, unite da una presenza molto discreta di un tono lievemente rosato che conferisce un aspetto delicato a un disegno molto dinamico. Boldini, Nudo di schiena, 1895, Giunti, Dossier Art n.145. 35 I materiali I MATERIALI OGGI E NEL TEMPO L’oggetto di questo testo, come già detto, è particolarmente rivolto alla pittura a olio e alla tecnica delle velature. Fin dai tempi dell’antico Egitto e dell’età classica greca si utilizzavano, per vari impieghi, colori derivati dalla miscelatura degli oli essiccativi, in genere di lino, di noce o di papavero, crudi e purificati, con polveri colorate di origine vegetale, animale o minerale. Il bagaglio tecnico del pittore consisteva nel conoscere i procedimenti per preparare i vari materiali utili al proprio lavoro, dagli oli essenziali ai colori, dai supporti su cui dipingere alle vernici (oggi chiamate vernici finali o protettive). Gli oli essiccativi dovevano essere crudi e ben filtrati e lasciati a riposo anche per anni; un olio cotto poteva causare facilmente annerimento e scrostamento del dipinto. Gli oli essenziali erano ricavati o da piante, essenza di trementina, o da alcuni oli minerali, essenza di petrolio. Queste sostanze davano ai colori a olio una grande fluidità, ma, se non sufficientemente filtrate o purificate, tendevano a resinificare: a contatto con l’aria ingiallivano, ispessivano e, di conseguenza, diventavano inutili per l’attività pittorica. Si doveva porre attenzione alle mescole dei colori, poiché vi erano tinte che presentavano delle incompatibilità con altre sostanze e potevano creare delle reazioni chimiche deleterie per il lavoro. Le vernici furono un grosso problema fino a pochi decenni fa, poiché il materiale utilizzato spesso dava luogo a ingiallimento o screpolature. Infine i materiali e le tecniche dovevano cambiare secondo i supporti che si usavano: tela, legno, muro. Fig. 7. Oggi i problemi sono minori. L’industria ci offre prodotti che difficilmente sono incompatibili tra loro; è bene fare riferimento a una sola marca, poiché spesso colori simili possono essere ottenuti con procedimenti chimici diversi. Come olio essiccativo possiamo utilizzare l’olio di lino che oggi va per la maggiore. E’ importante fare attenzione anche al prezzo: circolano colori di basso costo con poca qualità, probabilmente indirizzati verso un consumo non artistico. Un colore economico spesso è poco saturo e lo possiamo paragonare a un vino annacquato. Ora l’industria ci propone anche vernici finali di buona qualità che possono essere lucide o opache: il loro utilizzo è importante, poiché il colore deve resistere nel tempo, in presenza di luce non deve alterarsi, se esposto ai gas dell’aria non deve annerire. 36 LA QUALITÀ DEI COLORI Come detto nel paragrafo precedente, sul mercato circolano colori a olio di vario prezzo. Non è facile orientarsi nella scelta di un prodotto di qualità e di prezzo accettabili; a tal fine può essere utile conoscerne il processo produttivo. A differenza di ciò che era in uso fare nel Rinascimento, quando gli apprendisti dei maestri pittori preparavano a mano la macinazione dei pigmenti con gli oli essiccativi, oggi l’industria utilizza, in genere, macchine chiamate ‘macinatori a triplo rullo’. Ogni colore ha un proprio ciclo di lavorazione, atto a potenziarne le caratteristiche e a mantenerne la stabilità di emulsione. Ciascun pigmento richiede un volume diverso di olio essiccativo nella sua formulazione; per questa ragione la brillantezza di superficie potrà variare da un colore all’altro. Terminato il ciclo di lavorazione della macinazione, il colore si presenta come una pasta emulsionata che, confezionata in tubetti o in vasetti, si manterrà in sospensione stabile per una durata di tempo molto lunga. Se il procedimento non è valido o gli ingredienti non sono di qualità, l’emulsione non sarà stabile e, all’interno del tubetto, l’olio salirà verso il tappo, mentre il pigmento rimarrà sul fondo. Nel momento in cui l’emulsione entra in contatto con l’aria, si essicca per ossidazione: la molecola dell’olio, essenzialmente lineare, si trasforma lentamente in una struttura reticolata, rigida e tridimensionale. Se la pellicola del colore è dovuta a una buona emulsione, l’ossidazione dà stabilità e permanenza alla pittura, mentre una cattiva lavorazione porta a un colore “poco legato” che formerà una pellicola povera di olio e quindi poco stabile nel tempo. ESSICCAZIONE E STABILITÀ DELLA PELLICOLA DI COLORE Se applicata correttamente, la pellicola di colore è stabile e permanente. Per ottenere questo, è consigliabile adottare alcuni accorgimenti di cui parleremo più ampiamente in seguito e che possiamo così riassumere: non utilizzare troppo solvente puro che può assottigliare la pellicola; non utilizzare essenze vecchie e ossidate: la trementina, invecchiando, assume uno stato gommoso e non è più atta all’uso; utilizzare sempre, come medi, oli essiccativi sicuri (lino, noce, papavero e cartamo) ed evitare l’uso di oli d’oliva o di semi; dipingere sempre “grasso su magro”: ciò permette di avere una maggiore elasticità nei successivi strati di colore; dipingendo a velature, assicurarsi sempre che lo strato precedente sia perfettamente asciutto; dipingere “spesso su sottile”, mantenendo le prime mani di colore più diluite e le successive più materiche. 37 I COLORI CONSIGLIATI Prima di parlare dei colori che suggerisco come tinte di base e di vedere come renderli più chiari o più scuri, è utile fare alcune riflessioni. Il bianco è il colore più usato per schiarire le tinte, ma non sempre questo suo utilizzo dà risultati validi; in molti casi si devono cercare soluzioni alternative, affiancando al bianco altri colori per mantenere le modulazioni tonali delle tinte. Il nero è un colore da usare in pochi casi per scurire; le soluzioni le vedremo nelle pagine successive. Gli impressionisti lo esclusero dalla loro tavolozza. Tra l’inizio del settecento e i primi dell’ottocento furono individuati nuovi elementi chimici, lo zinco, il cobalto, il cromo e il cadmio che costituirono la base di nuovi colori sintetici. Per la nostra tavolozza è sufficiente considerare una serie di dodici colori con i quali è possibile realizzare una vasta gamma di sfumature. 01 - Bianco di zinco 07 - Ocra d’oro 02 - Bianco di titanio 08 - Terra di Siena bruciata 03 - Giallo primario 09 - Terra d’ombra bruciata 04 - Rosso primario – Magenta 10 - Blu di Prussia 05 - Vermiglione scuro 11 - Blu oltremare scuro 06 - Violetto di cobalto 12 - Nero d’avorio ANALISI DEI COLORI Se escludiamo i due bianchi, che nella luce rappresentano la somma dei colori, e il nero che ne rappresenta l’assenza, possiamo contare solo nove tinte vere e proprie. Con esse potremo sviluppare centinaia di colori compresi quelli che non sono rappresentati nel nostro elenco, come i verdi, i grigi e i carne. 01 Bianco di zinco Il bianco di zinco è il secondo pigmento sintetico realizzato in laboratorio nel 1782. È ideale per le tempere e per l’acquarello; nella pittura a olio, invece, non è molto coprente e pertanto è utilizzabile, solo parzialmente, per creare tinte delicate e trasparenti. Questo bianco poco invadente non aggredisce i colori: le tinte così 38 ottenute mantengono una buona brillantezza. Nella tavolozza della pittura a olio è fondamentale avere un bianco coprente; pertanto il bianco di zinco dovrà essere affiancato dal bianco di titanio. La loro funzione è diversa e a volte non sostituibile. 02 Bianco di titanio Per secoli gli artisti hanno avuto problemi nell’uso del bianco, poiché il materiale più adatto e coprente era la così detta biacca, un carbonato basico di piombo. Questo materiale, oltre ad essere velenoso, a contatto con l’aria, dopo un certo periodo, si ossidava e tendeva al nero. Dall’inizio del novecento la vecchia biacca è stata sostituita dal biossido di titanio. Questo colore è molto coprente, è inattaccabile dalla luce e dagli agenti atmosferici e non è velenoso; nella nostra tavolozza avrà un posto di rilievo, poiché può essere mischiato con le tinte posate su superfici scure o già parzialmente dipinte. Può anche essere utilizzato puro su superfici scure, destinate come base per velature chiare e brillanti. Un’altra funzione importante del bianco di titanio è il suo utilizzo come correttore, grazie alla sua capacità coprente. 03 Giallo primario Louis Nicolas Vauquelin (1763-1829), chimico francese, nel 1809, scoprì il cromo e ottenne una notevole gamma di pigmenti gialli, arancioni e rossi. Dal 1870 si diffuse anche il giallo di cadmio. Il giallo primario è un colore poco coprente: per schiarirlo, possiamo utilizzare il bianco di zinco (fig. 8) se la superficie su cui dipingiamo è bianca o molto chiara, altrimenti dovremo mischiarlo con il bianco di titanio. Fig. 8. Bianco di zinco + Giallo primario. 39 Le possibilità di scurire il giallo primario sono varie: per istinto siamo portati a usare il nero, ma questo genera un colore lievemente verdastro e fa perdere al giallo la propria brillantezza (fig. 9). Nonostante la tinta così ottenuta appaia poco gradevole, nel seicento fu utilizzata da numerosi pittori fiamminghi con buoni risultati soprattutto negli sfondi. Fig. 9. Giallo primario + nero d’avorio. Altri colori possono essere mescolati col giallo primario senza far perdere a quest’ultimo la propria brillantezza. In base all’effetto che vogliamo ottenere, possiamo utilizzare varie tinte; vediamone alcune. Il giallo primario unito alle terre dà buoni risultati: qui sotto si può osservare l’incontro del giallo primario con la terra di Siena bruciata (fig. 10.) e con la terra d’ombra bruciata (fig. 11). Fig. 10 Giallo primario + terra di Siena bruciata. Fig. 11. Giallo primario + terra d’ombra bruciata. Interessante è vedere cosa succede quando il giallo primario si mischia con il viola di cobalto. Come si può osservare nella figura 12, tra i due colori si forma una tinta molto simile alle due terre usate prima, con un tono che ricorda il color mattone. Fig. 12. Giallo primario + violetto di cobalto. Il giallo primario, unito al rosso Magenta (fig. 14), o al vermiglione scuro (fig. 18), origina due tinte molto calde e brillanti. 40 04 Rosso primario - Magenta I rossi sono generalmente colori grassi, cioè ricchi di oli essiccativi e poco coprenti. Nella nostra tavolozza abbiamo inserito due rossi i quali rispondono a esigenze differenti; per primo prendiamo in considerazione il rosso primario - Magenta. La figura 13 mostra le tonalità, dal chiaro allo scuro, ottenute dall’unione di questo colore con altre tinte della nostra tavolozza. Per schiarire questo rosso, non potremo affidarci al solo bianco di zinco, poiché andremmo a creare una tinta rosata, mentre efficace sarà l’aggiunta di piccole quantità di un colore terzo, rappresentato dal giallo primario. Fig. 13. Bianco di zinco + giallo primario + rosso Magenta + blu oltremare scuro. Per scurire il rosso Magenta possiamo servirci del blu oltremare scuro, oppure utilizzare un verde scuro formato da blu oltremare scuro e giallo primario. Queste scelte dovranno essere valutate, di volta in volta, in base alle esigenze e ai toni che si vogliono ottenere. Il rosso Magenta mischiato al giallo primario dà origine a un arancio brillante (fig. 14) molto simile all’arancio che si ottiene con il vermiglione. Fig. 14. Giallo primario + rosso Magenta. Con il rosso Magenta e il bianco di zinco possiamo realizzare un buon rosa (fig. 15). Fig. 41 15. Bianco di zinco + rosso Magenta. Con il rosso Magenta, il giallo primario e il bianco di zinco, otteniamo un color carne molto gradevole e caldo (fig. 16). Nel caso siano necessarie tinte più spente, si possono aggiungere al colore piccole quantità di verde o blu, o velare con il verde come già si faceva nel trecento. Il color carne si può ottenere in vari modi partendo dalle terre o da altri colori; ogni pittore troverà la propria strada. Fig. 16. Giallo primario + rosso Magenta + bianco di zinco. 05 Vermiglione scuro Un tempo si utilizzava il termine vermiglione per indicare il cinabro, solfuro di mercurio, o altri minerali di colore rosso vivo. Ora il termine è utilizzato per indicare il cinabro artificiale, ossisolfuro di antimonio, usato come pigmento colorante di un rosso vivo e di splendore adamantino. Fig. 17. Bianco di zinco + giallo primario + vermiglione scuro + blu oltremare scuro. Per schiarire o scurire questo colore (fig. 17), resta valido ciò che si è detto per il rosso Magenta. 42 Questo vale anche quando vogliamo ottenere un arancio vivace con il giallo primario (fig. 18). Fig. 18. Giallo primario + vermiglione scuro. Si può realizzare un ottimo rosa mischiando il vermiglione scuro con il bianco di zinco (fig. 19). Fig. 19. Bianco di zinco + vermiglione scuro. Il vermiglione scuro, unito al giallo primario e al bianco di zinco, origina un colore carne brillante come il precedente. Il commento sul color carne, ottenuto con il rosso Magenta, vale anche in questo caso. 06 Violetto di cobalto Un tempo i violetti erano ottenuti per velature: si metteva come base una stesura densa di oltremare naturale e, a essiccazione avvenuta, si sovrapponeva una velatura di lacca rossa. Dal 1868 si ha la commercializzazione in tubetto di alcuni violetti tra cui quello di cobalto. La scelta di questo colore, nella nostra tavolozza, è dovuta al fatto che difficilmente, con la mestica di rossi e blu, si riescono a ottenere violetti così belli e brillanti. Il viola è un colore che viene ingiustamente sott’utilizzato dai neo-pittori, forse perché la sua presenza è percepita solo quando si palesa in modo molto evidente. Se osserviamo con attenzione le opere degli artisti importanti, ci rendiamo conto che il viola è mischiato o velato con altre tinte più di quanto si creda, per creare sfondi, ombre, parti scure, … 43 Se osserviamo il quadro di Boldini (pag. 35), ci rendiamo subito conto che, all’interno dei colori delle terre, è stata inserita una piccola quantità di violetto: ho proposto, sopra l’opera, una rappresentazione grafica delle stesse tonalità. Piccolissime quantità di viola, a ben guardare, s’intravedono anche sui colori dello sfondo, in particolare sui tetti, del quadro di Silvestro Lega (pag. 32); anche nel quadro di Van Gogh, Caffè di notte, si osserva, in modo più evidente, la presenza del viola sia nelle facciate delle case in ombra sia sul selciato della piazzetta. Il violetto di cobalto può essere schiarito con il bianco di zinco, quando vogliamo mantenere lo stesso tono di colore (fig. 20), o con altri colori chiari, se vogliamo modificarne la tonalità. Fig. 20. Violetto di cobalto + bianco di zinco. Nelle figure 21 e 22, possiamo osservare due mestiche con altre tinte chiare: una con il color carne ottenuto come in figura 16, l’altra con il color vermiglione scuro e il bianco di zinco. La prima soluzione (fig. 21) ci mostra come, per scurire il color carne, possiamo utilizzare, oltre le terre, anche altri colori. Fig. La seconda soluzione può essere utilizzata per scurire drappi o tessuti rossi o di altri colori (fig. 22). Fig. 22. Violetto di cobalto + vermiglione scuro + bianco di zinco. 44 21. Violetto di cobalto + carne. 07 Ocra d’oro Ocra è la denominazione generica di varietà terrose di minerali. Le ocre sono utilizzate come sostanze coloranti dopo lunghi trattamenti di purificazione e macinazione. La scelta dell’ocra d’oro per la nostra tavolozza è dovuta soprattutto alla gradevolezza del colore; altre ocre, come la gialla o la terra di Siena naturale, possono prenderne il posto. Per schiarire l’ocra d’oro, possiamo utilizzare il bianco di zinco il quale tenderà ad affievolirne il colore e la brillantezza (fig. 23): per ridare vivacità alla tinta sarà quindi sufficiente inserire un po’ di giallo primario (fig. 24). Fig. 23. Ocra d’oro + bianco di zinco. Fig. 24. Ocra d’oro + giallo primario + bianco di zinco. Per scurire l’ocra d’oro, possiamo utilizzare colori scuri come il violetto di cobalto (fig. 25), oppure utilizzare altre terre più scure come la terra di Siena bruciata o la terra d’ombra bruciata (fig. 26). Fig. 25. Ocra d’oro + violetto di cobalto. Fig. 26. Ocra d’ oro + terra di Siena bruciata + terra d’ombra bruciata. 45 08 Terra di Siena bruciata Questo colore è indispensabile in qualsiasi tavolozza: è una delle tinte più usate fin dall’antichità. Lo schiarimento di questo colore direttamente con il bianco di zinco crea un impoverimento cromatico (fig. 27). Fig. 27. Terra di Siena bruciata + bianco di zinco. Se desideriamo recuperare la brillantezza del colore, dobbiamo utilizzare un intermediario come il giallo primario (fig. 28) o l’ocra d’oro, oppure entrambi in sequenza (fig. 29). Fig. 28. Terra di Siena bruciata + giallo primario + bianco di zinco. Fig. 29. Bianco di zinco + giallo primario + ocra d’oro + terra di Siena bruciata + violetto di cobalto + terra d’ombra bruciata. La terra di Siena bruciata può essere scurita direttamente con una terra scura, nel nostro caso la terra d’ombra bruciata (fig. 26.), oppure con un colore intermedio posto tra le due terre, come il violetto di cobalto (fig. 29.); un buon risultato si può ottenere con il blu oltremare scuro (fig. 30.). Fig. 30. Bianco di zinco + giallo primario + ocra d’oro + terra di Siena bruciata + blu oltremare scuro. 46 Come potete dedurre da queste pagine la tinta bianca deve essere utilizzata con molta discrezione e il color nero non deve essere usato per scurire i colori se non in casi particolari. 09 Terra d’ombra bruciata La terra d’ombra bruciata è la terra più scura che si presenta tra i colori della nostra tavolozza. La scelta di questa tinta è dovuta al fatto che lega bene con il color carne. Con l’aiuto di tinte intermedie, come la terra di Siena bruciata, si ottengono soluzioni più calde, utilizzate spesso nei ritratti (fig. 32.). Fig. 31. Carne + terra d’ombra bruciata. Fig. 32. Carne + terra di Siena bruciata + terra d’ombra bruciata. Spesso si pensa che la terra d’ombra bruciata possa essere sostituita dal bruno Van Dych o dalla terra di Cassel o ancora dal grigio di Payne. Questo può essere vero se ci troviamo a dipingere una natura morta o un paesaggio, ma se il nostro pennello lavora su un viso o su un corpo, queste tinte ci possono creare molti dispiaceri, poiché nel loro impasto sono presenti il nero d’ossa e il nero di carbonio che vanno a degradare la brillantezza e la purezza dei colori che incontrano. Per ottenere lo schiarimento di questo colore, possiamo riprendere il discorso fatto con la terra di Siena bruciata e l’ocra d’oro (fig. 26.). Per scurirlo e per togliere quella tendenza al giallo rossiccio che ha questo colore, possiamo utilizzare il blu oltremare scuro (fig. 33.). Fig. 33. Terra d’ombra bruciata + blu oltremare scuro. 47 Il miscuglio della terra d’ombra bruciata e del blu oltremare scuro o del blu di Prussia, in parti uguali, dà origine a un colore molto scuro, quasi nero che in seguito utilizzeremo spesso in sostituzione del nero d’avorio: lo chiameremo “nero artificiale”. I fondi scuri dei quadri del cinquecento e del seicento, che spesso a noi paiono neri, erano ottenuti con colori simili a questi citati. 10 Blu di Prussia Il blu di Prussia o azzurro di Berlino è il primo pigmento sintetico, realizzato nel 1704 facendo reagire un sale ferrico con ferrocianuro di potassio. Il blu di Prussia e il blu oltremare scuro sono i due blu della nostra tavolozza. Mischiando questi due colori possiamo ottenerne un terzo simile al blu di cobalto, che è molto utilizzato soprattutto per dipingere cieli; questo blu è il sostituto del costosissimo azzurro oltremare naturale dell’antichità, ottenuto dal lapislazzuli. Fig. 34. Blu di Prussia a sinistra + blu oltremare scuro a destra + bianco di zinco per schiarire. Il blu di Prussia, schiarito con il bianco di zinco, dà origine ad azzurri molto brillanti e allegri che ricordano i colori dei disegni della nostra infanzia. Per rendere scuro questo colore si può utilizzare la terra d’ombra bruciata che, come detto nel paragrafo precedente, crea un colore molto scuro simile al nero. Fig. 35. Bianco di zinco + blu di Prussia + terra d’ombra bruciata. 48 11 Blu oltremare scuro La gamma dei blu si allarga nel 1828 con la sintesi dell’oltremare artificiale o francese. Il blu oltremare scuro è uno dei colori più usati e non può certo mancare su qualsiasi tavolozza. Questa tinta è facilmente schiaribile con il bianco di zinco. Il colore può essere reso più scuro, come già visto, con la terra d’ombra bruciata. Fig. 36. Bianco di zinco + blu oltremare scuro + terra d’ombra bruciata. 12 Nero d’avorio Il nero nella teoria della luce rappresenta l’assenza di raggi luminosi o il completo assorbimento di questi da parte di oggetti opachi. Il colore in tubetto è formato da una miscela di pigmenti di nero d’ossa e nero di carbonio, macerati con olio essiccativo; queste presenze, a contatto con i colori, creano perdite notevoli di brillantezza e danno origine spesso a tinte poco gradevoli. Questa motivazione ci spinge a utilizzare questo colore solo quando non abbiamo soluzioni alternative: lo useremo per creare alcuni grigi, oppure per rappresentare le pupille degli occhi, gli indumenti e altri particolari. Quando è necessario uno scuro intenso, è opportuno utilizzare un miscuglio di terra d’ombra bruciata e blu di Prussia o blu oltremare scuro, il “nero artificiale”. Questa tinta, a contatto con altri colori, non causerà gli inconvenienti descritti sopra (fig. 33.). Analizzati i colori della nostra tavolozza, cominciamo a comporre le tinte più diffuse che ci mancano: i verdi, i grigi e i carne. Si precisa che i colori che otterremo saranno simili a quelli commerciali, ma la formula chimica non corrisponderà. 49 I verdi La gamma dei verdi può essere ottenuta in vari modi: noi utilizzeremo i blu, il giallo e le terre della nostra tavolozza. Di seguito sono riportate alcune combinazioni di questi colori. 1 - Uniamo il giallo primario al blu di Prussia, che sono le tinte classiche per formare il verde. Fig. 37. Giallo primario + blu di Prussia. Da questo miscuglio si ottengono vari toni di colore, dal più chiaro al più scuro. Possiamo individuare tre tinte che portano un preciso nome commerciale: verde di cadmio (fig. 38), verde permanente chiaro (fig. 39) e verde ftalo (fig. 40). Fig. 38. Giallo primario + blu di Prussia, con prevalenza di giallo (verde di cadmio). Fig. 39. Giallo primario + blu di Prussia, con tinte in equilibrio (verde permanente chiaro). 50 Fig. 40. Giallo primario + blu di Prussia con prevalenza di blu (verde ftalo). 2 - Ora al giallo primario e al blu di Prussia aggiungiamo il bianco di zinco (fig. 41). In funzione delle quantità mischiate, si possono ottenere varie tonalità di verde molto differenti; qui di seguito ne indichiamo alcune. Fig. 41. Giallo primario + blu di Prussia + bianco di zinco Prendiamo la parte chiara di questa combinazione di tre colori: possiamo osservare che, rispetto al verde della figura 38, la tinta, pur essendo simile, è meno brillante. Fig. 42. Giallo primario + blu di Prussia + bianco di zinco con prevalenza di giallo. Se alla figura 42 aggiungiamo il bianco di zinco e pochissimo blu di Prussia otteniamo il colore della fig. 43. Fig. 43. Giallo primario + blu di Prussia + bianco di zinco con prevalenza di bianco di zinco e poco giallo primario. Aggiungendo il bianco di zinco e un po’ di blu di Prussia al colore della figura 43, abbiamo la tinta della fig. 44: il blu turchese. 51 Fig. 44. Giallo primario + blu di Prussia + bianco di zinco con prevalenza di bianco di zinco e blu di Prussia (blu turchese). Se uniamo al colore della figura 44 il bianco di zinco e un po’ di blu di Prussia, otteniamo il blu reale chiaro (fig. 45). Fig. 45. Giallo primario + blu di Prussia + bianco di zinco, come in figura 44 con più bianco di zinco e un po’ di blu di Prussia (blu reale chiaro). Se arricchiamo il colore della figura 44 con il blu di Prussia e il giallo primario, otteniamo il verde smeraldo o verde Veronese (fig. 46). Fig. 46. Giallo primario + blu di Prussia + bianco di zinco (verde smeraldo o verde Veronese). 3 - Possiamo ottenere nuovi verdi aggiungendo al giallo primario e al blu di Prussia una terra. Fra le tre della nostra tavolozza, prendiamo in considerazione l’ocra d’oro. Nella figura 47 abbiamo lo sviluppo dei tre colori. 52 Fig. 47. Giallo primario + blu di Prussia + ocra d’oro Ora prendiamo in visione la parte chiara del colore, dove il giallo primario prevale: osserviamo che questa tinta può essere riconducibile ad un cinabro verde giallastro (fig. 48). Fig. 48. Giallo primario + blu di Prussia + ocra d’oro, con prevalenza di giallo primario (cinabro verde giallastro). Quando vi è equilibrio fra le tre tinte, si ha un verde ossido di cromo (fig. 49). Fig. 49. Giallo primario + blu di Prussia + ocra d’oro con colori in equilibrio (verde ossido di cromo). Se tra questi tre colori prevale il blu di Prussia, si ha un verde scuro, molto utilizzato nell’antichità, che commercialmente è chiamato terra verde (fig. 50). 53 Fig. 50. Giallo primario + blu di Prussia + ocra d’oro con prevalenza di blu di Prussia (terra verde). Potremmo sperimentare altri miscugli utilizzando il giallo e il blu di Prussia con gli altri colori della tavolozza: otterremmo altri verdi, ma questi esercizi li tralasciamo perché potranno essere personalizzati da ognuno di noi nello svolgimento della pittura. Si possono ottenere serie diverse di verde sostituendo il blu di Prussia con il blu oltremare scuro: pertanto riprendiamo in esame i tre casi precedenti con la sostituzione citata e osserviamo le notevoli differenze. 1 bis - Mischiamo il giallo primario con il blu oltremare scuro (fig. 51). Fig. 51. Giallo primario + blu oltremare scuro. Fig. 52. Giallo primario + blu oltremare scuro con prevalenza di giallo primario. Fig. 53. Giallo primario + blu oltremare scuro con prevalenza di blu oltremare scuro. 2 bis - Aggiungiamo al giallo primario e al blu oltremare scuro il bianco di zinco (fig. 54). Fig. 54. Giallo primario + blu oltremare scuro + bianco di zinco. 54 Fig. 55. Giallo primario + blu oltremare scuro + bianco di zinco con prevalenza di giallo primario. Fig. 56. Giallo primario + blu oltremare scuro + bianco di zinco con prevalenza di blu oltremare scuro. 3 bis - Ora al giallo primario e al blu oltremare scuro aggiungiamo una terra: l’ocra d’oro. Fig. 57. Giallo primario + blu oltremare scuro + ocra d’oro. Fig. 58. Giallo primario + blu oltremare scuro + ocra d’oro con prevalenza di giallo primario. Fig. 59. Giallo primario + blu oltremare scuro + ocra d’oro con prevalenza di blu oltremare scuro (verde vescica). 55 I grigi Parlando di grigio pensiamo spesso a un unico colore fatto col bianco e col nero; in realtà i grigi, come tutti i colori, possiedono varie tonalità secondo la diversa esposizione alla luce o l’influenza delle tinte che stanno loro vicine. Un grigio ombreggiato sulla neve difficilmente sarà simile al grigio dell’ombra di una casa al tramonto. Vediamo come formare una gamma di grigi: A – utilizzando il nero B – agendo su altri colori scuri A - Iniziamo considerando i grigi che hanno come componente base il nero. Per realizzare il grigio classico, dovremo prendere dalla nostra tavolozza il bianco di zinco e il nero d’avorio (quest’ultimo oggi è prodotto dalla carbonizzazione delle ossa e non dell’avorio); la diversa percentuale di questi due colori usata nella miscelazione produrrà i chiari e gli scuri (fig. 60). Fig. nero 60. Bianco di zinco + d’avorio. Per ottenere dei grigi caldi, sarà sufficiente aggiungere ai colori base suddetti delle quantità infinitesimali di colori caldi, come il giallo primario (fig. 61), il vermiglione scuro, l’ocra d’oro o la terra di Siena bruciata. Fig. 61. Bianco di zinco + giallo primario + vermiglione scuro + nero d’avorio. 56 L’aggiunta di violetto di cobalto cambia la tonalità del grigio e la mantiene in una posizione intermedia tra i toni caldi e quelli freddi (fig. 60). Fig. 62. Bianco di zinco + violetto di cobalto + nero d’avorio. Per creare grigi freddi, in aggiunta ai colori base, dovremo utilizzare i due blu che abbiamo in tavolozza. Con il blu di Prussia otterremo un grigio freddo e leggermente azzurrato (fig. 63); con il blu oltremare scuro il grigio ci sembrerà meno freddo e più simile a quello ottenuto con il violetto di cobalto (fig. 64). Fig. 63. Bianco di zinco + blu di Prussia + nero d’avorio Fig. 64. Bianco di zinco + blu oltremare scuro + nero d’avorio. 57 B - Consideriamo altri colori per produrre grigi. Possiamo ottenere altri grigi con tonalità differenti utilizzando il “nero artificiale”, cioè il miscuglio tra terra d’ombra bruciata e uno dei nostri due blu di base. Fig. 65. Bianco di zinco + terra d’ombra bruciata (prevalente) + blu oltremare scuro Con questi colori possiamo ottenere grigi caldi facendo prevalere la terra d’ombra bruciata (fig. 65) o aggiungendo piccole quantità di altri colori caldi. Per creare grigi freddi, invece, faremo prevalere il blu oltremare scuro (fig. 66) o il blu di Prussia (fig. 67). Anche in questi casi lo schiarimento dei colori si otterrà con il bianco di zinco. Fig. 66. Bianco di zinco + terra d’ombra bruciata + blu oltremare scuro (prevalente). Fig. 67. Bianco di zinco + terra d’ombra bruciata + blu di Prussia (prevalente) 58 Gli incarnati Già parlando del rosso Magenta, abbiamo visto come si ottiene un buon color carne (fig. 16); personalmente utilizzo questa combinazione per creare la tinta che mi serve nelle figure come base di riempimento per la prima stesura di colore. Fig. 16. Giallo primario + rosso Magenta + bianco di zinco. Con altri colori della nostra tavolozza possiamo ottenere risultati simili. Con il vermiglione scuro abbiamo un carne molto simile al precedente (fig. 68). Fig. 68. Giallo primario + vermiglione scuro + bianco di zinco Fig. 69. Giallo primario + vermiglione scuro + bianco di zinco + blu oltremare scuro (piccola parte). Qualora decidessimo di ottenere un carne meno brillante, che si adatti di più ad un corpo maschile, oltre a utilizzare meno bianco, possiamo seguire due strade. 59 La prima prevede l’inserimento di una parte molto discreta di blu oltremare o blu di Prussia (fig. 69); la seconda, quella da me preferita, consiste nel creare sulla parte interessata una lieve velatura di verde, tecnica molto utilizzata nel Rinascimento. La velatura consiste nel passare sul color carne, ben asciutto, un colore verde molto diluito che ricorda l’acquerello: col pennello bisognerà tirare il colore, lasciando quindi un lievissimo strato di pigmento. Se ci si trova in difficoltà, si può passare, con leggerezza, sulla parte appena velata un foglio di carta a strappo. La modesta quantità di verde avrà permesso un cambio di tono del colore. Per ottenere colori carne meno brillanti possiamo utilizzare l’ocra d’oro in combinazione con i colori visti in precedenza (fig. 70). Fig. 70. Bianco di zinco + giallo primario + ocra d’oro + vermiglione scuro Per le parti in ombra e per i corpi più scuri, utilizzeremo, in particolar modo, le terre; ciò non toglie che, aumentando l’esperienza, le parti in ombra possano essere evidenziate anche da altri colori come i rossi, i verdi o i blu. Fig. 71. Ocra d’oro + vermiglione scuro + terra di Siena bruciata. Fig. 72. Terra di Siena bruciata + ocra d’oro + terra d’ombra bruciata 60 L’ IMPRIMITURA Con il termine imprimitura si intende la preparazione cui sono sottoposte le superfici che devono essere dipinte (tele, cartoni, tavole ...), per facilitare l’applicazione del pigmento, garantire la durata e la buona conservazione nel tempo. L’imprimitura in generale ha la funzione di assorbire moderatamente gli oli essiccativi contenuti nei colori. Ogni artista ha nei secoli provveduto a sviluppare formule proprie con vari prodotti sia organici sia inorganici come gesso, uova, miele, oli sia seccativi che essenziali, caseina, colle di vario tipo, farina, zucchero, ... Le formule sono decine e spesso contengono materiali oggi in disuso, pertanto è opportuno spostare la nostra attenzione sia sui componenti che sui prodotti di mercato attuali. Vi sono materiali già preparati, facilmente reperibili, come stucchi da muro o gessi, che, stesi sulla superficie con una spatola d’acciaio o con un pennello grosso, creano una buona imprimitura. In questo caso sarà buona regola chiedere consigli d’uso al personale dei negozi specializzati in prodotti artistici. Per chi vuole fare da sé, si può utilizzare una mestica adatta a preparare superfici grezze. All’interno di una ciotola o di una tazza si impasti il seguente materiale: - 3 cucchiai rasi di pan gesso, - 2 cucchiai di colla vinilica, - 3-4 gocce di olio di lino crudo. Il pan gesso, solfato di calcio idrato, detto anche gesso di Bologna o gesso oro, è un materiale impalpabile al tatto che ben aderisce alle varie superfici. La presenza minima dell’olio di lino dona più elasticità all’imprimitura ed evita il rischio crepe. Mescolando a lungo questi materiali con un cucchiaio, si ottiene uno stucco denso che si può portare sulla tavola con una spatola d’acciaio. Per ricevere l’imprimitura, la superficie deve essere liscia e pulita; per ottenere questo si può usare della carta vetrata da legno di grana media. Dopo aver dato una prima mano di preparato, muovendo la spatola sia orizzontalmente che verticalmente (fig. 73), si lascia asciugare. 61 Fig. 73. A superficie asciutta si può dare una seconda e una terza mano. Qualora si preferisca un impasto più cremoso, si può modificare la mestica precedente aggiungendo acqua: - 3 cucchiai rasi di pan gesso, 2 cucchiai di colla vinilica, 3-4 gocce di olio di lino crudo, 1 cucchiaio d’acqua. Fig. 74. Questo miscuglio può essere distribuito con maggiore facilità sulla superficie con un grosso pennello tondo o piatto (fig. 74). Anche in questo caso sono consigliabili diversi passaggi. Terminata la preparazione, con una carta vetrata media da legno, si dovrà levigare la superficie trattata fino a renderla perfettamente liscia. L’imprimitura si presenterà traslucida, tendente all’ocra, a causa della presenza dell’olio di lino. Questa presenza, essendo molto discreta permette ai colori magri, cioè quelli ad acqua, di aderire bene. Se si desidera una base bianca, si passerà la superficie con un colore ad acqua come una tempera o un acrilico; ciò consentirà di dipingere grasso su magro, cosa che non potremmo fare se dipingessimo la base con un bianco a olio. Occorre aggiungere che, se vogliamo proteggere il nostro lavoro nel tempo, dobbiamo considerare anche il retro delle superfici, che va spalmato con il medium, di cui parleremo nelle pagine successive, con o senza l’aggiunta del bianco di titanio. GLI OLI SECCATIVI Gli oli seccativi sono di origine vegetale: all’aria essiccano reagendo con l’ossigeno atmosferico e danno origine a una pellicola dura e resistente. Il potere legante e la resistenza si mantengono nel tempo. Gli oli seccativi più importanti usati per la macinazione e l’impasto dei colori sono: l’olio di lino crudo, l’olio di papavero e l’olio di noce. L’olio di lino crudo è il più utilizzato nella pittura artistica. Esiste anche l’olio di lino cotto, di un colore assai più 62 scuro e di un effetto seccativo molto più pronunciato: esso è utilizzato nella produzione di vernici industriali. GLI OLI SEMI SECCATIVI Gli oli semi seccativi sono sostanze oleose vegetali con potere essiccativo meno accentuato rispetto all’olio di lino. Gli oli semi seccativi, come cartamo e papavero, durante l’essiccazione, sono soggetti a cambiamenti dimensionali più consistenti rispetto all’olio di lino, dovuti all’insorgenza di varie reazioni chimiche. Mentre un bianco a base di olio di cartamo è perfettamente idoneo nelle normali applicazioni e nella miscelazione dei colori, non risulta adatto per la pittura del fondo. L’olio di cartamo è un prodotto vegetale che si ottiene dalla spremitura dei semi del Carthamus tinctorius detto anche zafferanone per la sua somiglianza con la pianta più conosciuta. Grazie al colore più chiaro, l’olio di cartamo è usato nella macinazione di molti bianchi e colori chiari. Si essicca più lentamente, ma può essere miscelato con sicurezza con l’olio di lino. GLI OLI ESSENZIALI Si chiamano oli essenziali alcune sostanze volatili di origine vegetale o minerale. Le principali essenze per uso pittorico sono: l’essenza di trementina e l’essenza di petrolio. Queste servono per la diluizione dei colori a olio e donano una grande fluidità. Con il termine di spirito o essenza di trementina s’intende l’essenza distillata due volte; con il termine acqua ragia s’intende un’essenza meno pura. L’essenza di trementina è la più usata e la più conosciuta nella pittura a olio: si ottiene dalla distillazione delle parti resinose di alcuni alberi come i pini, gli abeti, i larici, ecc. Molti affermano che sia preferibile all’essenza di petrolio perché lascia i colori più morbidi ed elastici, ma sviluppa un forte odore. L’essenza di trementina, come tutte le essenze, ha il difetto di resinificare a contatto con l’aria, cioè di addensarsi, ingiallire e non essere più volatile. A questo punto è bene rinnovarla senza esitazione. L’essenza di petrolio si ottiene dalla distillazione del petrolio. Questo prodotto deve essere purissimo per essere utilizzato nella pittura a olio. Le sue caratteristiche sono l’ottima volatilità, la solubilità negli oli, la mancanza di residui e l’assenza di odore. La presenza di valide caratteristiche in entrambe le essenze ha spinto molti pittori a miscelarle. 63 I SECCATIVI O ESSICCANTI Si considerano seccativi tutte le sostanze che concorrono a rendere più rapida l’essiccazione dei colori a olio. La presenza di seccativi nella pittura può creare alterazioni di vario genere, come screpolature, alterazione dei toni o diminuzione di luminosità: è bene quindi utilizzare queste sostanze in quantità molto ridotte. In commercio si trova un preparato, chiamato “medio essiccante”, che contiene olio di lino, essenza di petrolio, essiccanti e altre sostanze. In esso la quantità di seccativo può essere considerata troppo elevata: è consigliabile perciò utilizzarlo mischiato ad altre sostanze. Alla voce medium, riprenderemo l’argomento. I MEDIUM I colori a olio possono essere utilizzati così come escono dal tubetto oppure aggiungendo oli, essenze o seccativi per modificarne la fluidità. Queste sostanze possono essere utilizzate singolarmente oppure combinate tra loro, dando origine a dei medium che possono essere composti secondo l’esigenza dell’artista. In commercio esistono dei prodotti, chiamati “olietto diluente”, formati dalla combinazione di oli ed essenze; se aggiungiamo a questo preparato un 20% circa di “medio essiccante”, possiamo ottenere un medium di buona qualità. Un miscuglio personalizzato potrebbe essere il seguente: - olio di lino 40% - essenza di trementina 40% - medio essiccante 20% Questo medium ci permette di avere l’essiccazione dei colori in circa tre giorni. Con esso si ottiene una pittura fluida e di ottimo effetto. Se inseriamo l’essenza di petrolio al posto dell’essenza di trementina, abbiamo un prodotto quasi inodore, ma aumentiamo lievemente l’opacità del colore e riduciamo l’elasticità della pittura. L’utilizzo diretto del colore dal tubetto comporta un’essiccazione ovviamente più lenta che può arrivare alle due o tre settimane per alcuni colori, come il bianco di titanio, i gialli e i verdi. LA VERNICE FINALE La vernice protettiva è uno strato pittorico privo di pigmenti: è essenzialmente composta da un legante naturale o sintetico, veicolato in un solvente che è destinato ad allontanarsi dopo l’applicazione. In commercio troviamo vernici lucide come la Dammar, che si ottiene da una resina vegetale ricavata da grossi alberi di alto fusto (Agathis loranthifolia), oppure vernici opache che contengono resine acriliche e silice opacizzante. Alcune di queste, a temperatura ambiente, formano un fondo denso per cui è necessario metterle a 64 bagnomaria e scuoterle ripetutamente prima dell’uso. La scelta tra queste due soluzioni è strettamente legata al gusto personale. Dal punto di vista estetico, la vernice finale conferisce alla pellicola pittorica una brillantezza uniforme e fa apparire più saturi i colori. La sua funzione protettiva si manifesta attraverso la formazione di una pellicola che, sovrapposta a quella pittorica, la protegge dalle abrasioni, dalle radiazioni della luce solare, dall’umidità, dagli agenti e inquinanti atmosferici. La vernice finale va applicata quando la superficie pittorica è perfettamente asciutta e pulita: è opportuno verificare con la pressione di un dito la completa essiccazione dei vari colori del dipinto. Nel passato si attendeva circa un anno e nel frattempo si usava dare al dipinto una vernice provvisoria di facile rimozione; oggi, poiché i colori di più lenta essiccazione impiegano circa tre settimane, è bene provvedere alla sua applicazione non prima di un paio di mesi. La vernice deve essere data in clima temperato-secco, poiché l’umidità può causare opacità, screpolature e ingiallimenti. Durante l’applicazione il dipinto deve essere su una superficie orizzontale; si versa il liquido in una ciotola e lo si stende sul dipinto utilizzando una pennellessa pulita e flessibile di circa 30 millimetri, incrociando le pennellate. La vernice deve essere tirata e stesa in modo uniforme, in un velo sottile, senza eccedere nella quantità. Infine, è opportuno osservare di scorcio, controluce, l’uniformità dello strato e la completa copertura della superficie; ad asciugatura avvenuta si può stendere una seconda mano. Terminata l’operazione, il pennello può essere pulito con essenza di trementina o acquaragia. LA TELA In commercio esistono tele di diversa qualità: esse vanno giudicate per il tipo di fibra usata, per l’imprimitura e per la costruzione del telaio. Le tele usate nel passato, per la pittura a olio, erano di lino; oggi sono state sostituite da quelle in cotone. La scelta è fra tre tipi di trama: grossa, media e fine. Per la pittura a velature, di cui parleremo in questo libro, è bene utilizzare la trama fine. Se ci troviamo a lavorare su una tela a trama grossa, sarà opportuno dare una nuova mano di imprimitura, utilizzando la formula consigliata per la preparazione delle tavole. Il telaio deve essere costruito con i regoli, provvisti di una certa inclinazione, più spessi sull’esterno del telaio e meno nella parte interna; in questo modo, durante la pittura, la pressione del pennello non metterà la tela a contatto con i regoli, evitando così di lasciare, sulla superficie pittorica, linee non desiderate (fig. 75). Fig. 75. 65 Per una buona protezione della tela nel tempo, sarà bene passare sul retro uno strato di quel medium che utilizziamo per la diluizione del colore, con o senza l’aggiunta di bianco di titanio. Qualora la tela sia stata appoggiata male e la superficie abbia subito una deformazione, sarà sufficiente inumidire il retro perchè ritorni piana e in tensione. I PENNELLI I pennelli sono strumenti molto importanti per la buona riuscita di un dipinto e quindi vanno tenuti con cura. Sul mercato troviamo pennelli costruiti con varie tipologie di setole, naturali e sintetiche. Noi possiamo utilizzare quelli fabbricati con pelo di bue o con fibre sintetiche. Anche per quanto riguarda la forma, vi sono diverse soluzioni; il nostro interesse è verso quelli tondi e quelli piatti. I pennelli tondi, da possedere come primo corredo, sono delle seguenti misure: 00 – 2 – 5 – 8 – 14; le misure minori devono essere ben appuntite. Per i pennelli piatti la base è la seguente: 4 – 10 – 16. In genere per gli sfondi si utilizzano i pennelli piatti, mentre nei particolari spesso si usano i tondi. In ogni caso si procede secondo le esigenze e il gusto di ognuno di noi. I pennelli si lavano con più saponate fino alla scomparsa di ogni traccia di colore. Il materiale di lavaggio può essere costituito dagli avanzi dei comuni saponi, cui sarà aggiunta acqua; il tutto raccolto in un vasetto di vetro. OLTRE I PENNELLI Nell’attività artistica pittorica, i pennelli non sono l’unico strumento utilizzabile. Tutto è ammesso: l’uso delle dita, degli stracci, della carta, di pezzi di legno, di punte di vario materiale, di spugne e di qualsiasi oggetto atto a dare un gradevole aspetto all’opera. In quest’ultimo paragrafo voglio prendere in considerazione alcuni di questi strumenti meno ortodossi: - dita, pezzi di legno e punteruoli, penne d’istrice, vecchie spugne. LE DITA Fin dai tempi più remoti della pittura, le dita sono state utilizzate in alternativa al pennello. L’abitudine di maneggiare i colori senza precauzioni ha causato la morte o l’intossicazione di molte persone, soprattutto nel passato. I componenti tossici di 66 alcune tinte giungevano, attraverso i pori delle mani, all’interno dell’organismo avvelenandolo. Il killer peggiore è stato il carbonato basico di piombo, la così detta biacca, sostituito, agli inizi del millenovecento, dal bianco di titanio. Fortunatamente oggi i colori non sono più così pericolosi, per cui possiamo manipolarli con maggiore sicurezza, ovviamente sempre con qualche cautela; in certi casi l’uso delle dita, oltre a dare buoni risultati, è anche sensualmente gradevole. Nell’analisi dei colori di questo testo, tutte le sessantasei prove di coloritura sono state da me sviluppate con le dita. Riporto qui a fianco la figura 70 per osservarla da un diverso punto di vista, quello della sfumatura tra vari colori. Partendo da quattro tinte differenti, in pochi secondi, il dito mi ha permesso di avere una nuova coloritura al centro. Risultati simili si possono ottenere attraverso il sistema delle velature: prima si prepara un colore di base che sarà lasciato asciugare. Sopra di questo si potrà intervenire con pochissima tinta più chiara o più scura, non diluita, creando ottimi effetti di chiaro-scuro. Fig. 70. PEZZI DI LEGNO E PUNTERUOLI Oltre l’utilizzo di parti del nostro corpo, possiamo usare materiali che abbiamo quotidianamente sottomano. La realizzazione dello sfondo di questo lavoro (fig. 77) mi ha creato molti problemi e indecisioni, finché, un giorno, stanco di non concludere, ho schiacciato direttamente dai tubetti sulla tela vari colori; quindi ho estratto dalla cassetta un punteruolo e un tenditela (fig. 76) e li ho utilizzati per spargere le tinte. Fig. 67 76. Fig. Fig. 78 77. Ho lavorato sulla parte superiore della tela, girando e rigirando il punteruolo con un’inclinazione di venti o trenta gradi, come per disegnare delle stelle filanti, evitando il contatto diretto della punta con la tela (fig. 78). Nella parte inferiore dello sfondo, ho usato il tenditela che ha la forma di un trapezio rettangolo: l’ho impugnato dalla base maggiore e l’ho utilizzato con una buona inclinazione. Questa sagoma di legno presenta delle venature impercettibili che lasciano sul colore dei segni quasi regolari, i quali accompagnano le volute in modo elegante e gradevole (fig. 79). Sui bordi del punteruolo e del tenditela, si formano dei cumuli di colore che devono essere eliminati, perché l’eventuale reinserimento di tinte, già in parte mischiate tra loro, renderebbe meno apprezzabile la brillantezza e la purezza dei colori. Fig. 79. 68 PENNE D’ISTRICE L’uso di oggetti diversi dai pennelli e dalle spatole, probabilmente, è sempre stato praticato dagli artisti. Tempo fa una mia allieva ha voluto riprodurre la Dama con l’ermellino di Leonardo. Giunta al ricamo della veste si è fermata, poiché non riusciva a dipingerla con i pennelli. Il quadro è stato realizzato dal grande Maestro su una tavola di legno di modeste dimensioni. Con molta probabilità l’artista ha sfruttato la tecnica delle velature preparando, nella zona ricamata, un fondo di ocra chiara da far seccare. Leonardo da Vinci, La dama con l’ermellino, 1485/90, olio su tavola, 54x39 cm, Cracovia, Czartoryski Muzeum. Dopo alcuni giorni ha rivestito con un’ocra rossastra scura il corpetto e con una terra d’ombra il suo bordo. Mentre le tinte erano ancora fresche, ha inciso con una punta, forse di penna d’istrice, la superficie: il colore sottostante è così emerso e ha creato le sembianze di un ricamo. La stessa tecnica è stata utilizzata in altre parti dell’opera, come nella testa del furetto e nei capelli raccolti della ragazza. Leonardo da Vinci, La dama con l’ermellino, particolare. 69 Fig. 80. La penna d’istrice (fig. 80) è dotata di due punte diverse: una grossa, inserita nella cute dell’animale, e una molto fine, appuntita, che ferisce con facilità. Queste due forme permettono di incidere il colore fresco con effetti differenti. Con una di queste penne, l’allieva ha terminato con piena soddisfazione la riproduzione della Dama con l’ermellino. Fig. 81. Di tanto in tanto utilizzo la penna in particolari dove il pennello ha difficoltà a realizzare l’effetto voluto. Qui riporto la frangia di una tovaglia da me dipinta con questa tecnica (fig. 82). Fig. 82 70 VECCHIE SPUGNE Altri oggetti, che possono essere utili per ottenere effetti particolari con i colori, sono i vecchi spazzolini da denti e le spugne non più utilizzate. Le spugne possono essere naturali, sintetiche o metalliche; ognuna di queste presenta effetti differenti. La cosa importante è utilizzare abbondanza di colore senza diluizione. La leggerezza del tocco è fondamentale. La figura 83 rappresenta una classica spugna da cucina tagliata a pezzi. Questa presenta una parte più morbida e una più rigida; utilizzando entrambi i lati si possono ottenere buoni risultati. Fig. 83. Ad esempio, nella pittura di paesaggi con alberi o cespugli, lo sfondo può essere realizzato con la parte morbida della spugnetta, che stenderà sulla tela colori poco vivaci e alterati, per rilevare la qualità dell’aria. È bene utilizzare il pennello per i tronchi e i rami, mentre le fronde, dipinte in seguito con l’utilizzo di tinte non diluite, potranno essere realizzate con la parte rigida della spugna. Naturalmente gli alberi in primo piano avranno i colori più puri; per generare la sensazione di lontananza, le tinte perderanno gradualmente intensità. Fig, 84 Fig. 85 Gli strumenti e i materiali per dipingere possono essere ancora tanti, ma qui mi fermo affermando che la sperimentazione, per chi desidera affrontare l’espressione di sé nell’arte, è vitale e non finisce mai. 71 Pittura a olio RIFERIMENTI STORICI Il dipingere ha affascinato l’uomo nel suo percorso millenario: l’arte figurativa ha da sempre costituito un “linguaggio” universale attraverso cui gli esseri umani hanno dato corpo a intime pulsioni religiose, affettive e sociali. Segni di questa attività li troviamo già nel paleolitico superiore, quando l’arte ha cominciato a differenziare il genere umano e a specificarne l’unicità. Col passare dei secoli, gli artisti hanno acquisito una serie di esperienze che sono alla base di tecniche le quali, con il tempo, si sono notevolmente raffinate. Gli elementi essenziali per la pittura a olio sono: pigmenti colorati, oli seccativi (lino, noce, papavero) e oli essenziali (trementina e petrolio). Le origini della pittura a olio sono antiche: gli Egizi conoscono e utilizzano oli seccativi ed essenziali mischiati a pigmenti colorati con i quali dipingono tele che applicano sui sarcofagi. Nell’era imperiale romana, Vitruvio e Plinio il Vecchio trattano l’argomento. Teofilo Monaco ne parla nel De diversis artibus (prima metà del XII secolo), il primo e più importante trattato tecnico e artistico del Medio Evo. Nel 1401 anche Cennino Cennini affronta l’argomento della pittura a olio nel suo Libro dell’Arte e afferma che questa tecnica è usata dagli artisti d’oltralpe. Nelle Fiandre, nei primi decenni del ‘400, la pittura a olio assume un rilievo particolare. L’eccessiva umidità del clima da sempre rende difficoltosa la pittura a tempera: probabilmente questo fatto sollecita i fiamminghi a cercare soluzioni differenti, riuscendo a mettere a punto la tecnica a olio, fino ad allora priva di radici stabili. Jan Van Eyck (1390 ca. – 1441) non è l’inventore della pittura a olio, come scrive il Vasari nelle sue Vite de’ più eccellenti architetti, pittori et scultori italiani da Cimabue infino ai tempi nostri, ma è certo colui che perfeziona questa nuova tecnica pittorica. La pittura a olio, inizialmente, è utilizzata su tavole di legno: dal XVI secolo si afferma anche su tela di lino. I supporti lignei sono preparati con un’attenta imprimitura e il colore è steso con leggere velature: questo dà maggiore vita alla luce e al colore e rende questa tecnica più interessante di quella a tempera. Jan Van Eyck, L’uomo col turbante, 1433, olio su tavola, 25,5 x 19 cm, Londra, National Gallery. 72 L’introduzione in Italia della pittura a olio è tradizionalmente attribuita ad Antonello da Messina (1430-1479), che entra in contatto con il pittore fiammingo Petrus Christus (1410-1472). Il Rinascimento italiano vede un progressivo prevalere della pittura a olio che raggiunge alti livelli, universalmente riconosciuti. Nel corso dei secoli essa assume diverse elaborazioni: gli artisti utilizzano velature, ma anche forti concrezioni materiche, impastando, a volte, direttamente sulla tela o sulla tavola con l’aiuto di pennelli duri, spatole o altri strumenti. Paul Cézanne, Grandi bagnanti, 1892-1894, Parigi, Musée d’Orsay. Per comprendere la tecnica delle velature (fresco su secco), sarà interessante cercare di analizzare le esperienze di coloro che in precedenza hanno seguito lo stesso percorso. Rivolgiamo quindi lo sguardo verso i maestri del passato. Il periodo più studiato, al quale noi faremo riferimento, va dal primo Rinascimento fino al milleseicento. Generalmente, sull’imprimitura, i pittori dell’epoca apprestano un disegno ben fatto: in questo le parti scure sono evidenziate con il nero o il bruno, mentre le parti in luce sono messe in risalto con la biacca. Su alcuni di questi disegni preparatori, gli studiosi hanno notato la presenza di una vernice protettiva, in strato sottilissimo, probabilmente ottenuta dall’aloe o dall’asfalto, mischiata con oli seccativi come l’olio di lino o di noce e diluita con essenze come la trementina o l’essenza di petrolio. Dell’asfalto si è a conoscenza come vernice finale fin dall’antichità. Plinio dichiara che Apelle - pittore di corte di Alessandro Magno, IV sec. a.C. - produsse un certo numero di utili innovazioni all’arte della pittura, tra queste una vernice scura, chiamata da Plinio atramentum, la cui ricetta è andata perduta con la morte del pittore. «Ad opera finita era solito dare ai suoi dipinti una velatura scura così sottile che, riflettendo, intensificava la lucentezza del colore, mentre, allo stesso tempo, proteggeva il dipinto dalla polvere e dalla sporcizia e non era percettibile se non da vicino. Ma il suo scopo principale era di evitare che la brillantezza dei colori offendesse lo sguardo, dando la sensazione all’osservatore di guardare attraverso un velo di talco, cosicché aggiungeva un impercettibile tocco di severità ai colori particolarmente brillanti.» (Plinio, Naturalis Historia, XXXV). 73 Leonardo da Vinci, L’adorazione dei Magi, 1481/82, Tavola allo stato di abbozzo (particolare), 246x243 cm, Firenze, Galleria degli Uffizi. Leonardo ci ha lasciato due importanti quadri allo stato di abbozzo: “L’adorazione dei Magi” e il “San Gerolamo”. L’abbandono di queste due tavole è dovuto al fatto che, nel 1482, Leonardo si trasferisce a Milano al servizio di Ludovico il Moro. Questi due dipinti, lasciati in abbozzo, ci comunicano alcune informazioni importanti. 1 – Il disegno degli abbozzi è in molte parti sviluppato fin nei minimi particolari: vi è una preparazione esemplare sia nella parte compositiva che in quella anatomica. 2 – Sugli abbozzi viene data una velatura di colori a tempera; questo fa pensare che si procedesse con la tecnica del grasso su magro. 3 – I due abbozzi così preparati, entrambi monocromi e dorati, sembrano rispondere a procedimenti di esecuzione ben precisi e possedere, a loro protezione, uno strato sottile di quella vernice usata da Apelle e giudicata da Plinio dorata e molto gradevole. Leonardo da Vinci, San Gerolamo, 1480/82, Tavola allo stato di abbozzo, 103x75 cm, Roma, Pinacoteca Vaticana. 74 L’ IDEA E IL SUO SVILUPPO In qualsiasi campo dell’attività artistica è necessario che il nostro cervello elabori delle idee, frutto di creatività e fantasia personali. Il percorso che rende possibile la loro realizzazione può essere riassunto nei seguenti stadi di elaborazione: 1. genesi dell’idea: questa fase di elaborazione mentale può durare pochi minuti o molti giorni; 2. ricerca di come sviluppare l’idea per raffigurarla; questa seconda fase possiamo definirla impostazione spaziale dell’idea; 3. preparazione dei bozzetti; 4. realizzazione del disegno sul supporto (tela, tavola,...); 5. inserimento di ombreggiature e chiaroscuri sul disegno; 6. fissaggio del disegno, quando necessario; 7. inizio della pittura con velature di colore; 8. finitura della pittura con concrezioni di colore sempre maggiori; 9. stesura della vernice finale. Il percorso proposto non è, ovviamente, in funzione del soggetto da rappresentare, ma vale per qualsiasi cosa si voglia produrre. I primi due punti fanno parte della creatività di ognuno di noi; una volta concretizzata l’idea, vediamo come conviene procedere con i bozzetti. Dal quarto punto in poi, i suggerimenti fanno parte dell’area tecnica e quindi non dovrà esserci il timore di essere influenzati per ciò che si desidera esprimere. L’acquisto o la preparazione del supporto dovrà tenere presente la necessità di disegnarvi sopra: se decidiamo di acquistare una tela commerciale, dobbiamo fare attenzione a sceglierla a trama molto fine. Oltre al tipo di tessitura, la nostra attenzione deve cadere sull’imprimitura che non sempre è fatta a regola d’arte, poiché a volte assorbe troppo il colore e a volte si comporta come una carta oleata; in entrambi i casi è bene rifarla. 75 Il bozzetto definitivo può essere riportato sul supporto come ognuno crede più opportuno: con il sistema della quadrettatura, con un proiettore o a mano libera. Possiamo utilizzare due diversi strumenti per fare questo: la matita di grafite o le matite colorate acquerellabili. ◊ - Con la matita di grafite HB riportiamo il disegno sulla tela, sfumando e ombreggiando con le dita, con sfumini o con pezzi di tela: importante è non eccedere con la pressione della mano sulla matita per evitare sfumature troppo decise. Il disegno, una volta terminato, sarà fissato con un lieve spruzzo di una qualsiasi lacca per capelli. Questa operazione darà un duplice vantaggio: manterrà il disegno visibile sotto la prima velatura impedendo all’essenza, contenuta nel medium, di cancellarne le tracce e impedirà alla maggior parte della grafite di disperdersi nei colori, sporcandoli. ◊ - Con le matite colorate acquerellabili riportiamo il disegno con i suoi chiaroscuri sull’imprimitura: questa operazione serve a distribuire il pigmento colorato in quantità opportuna. In seguito portiamo acqua sull’immagine con un pennello; se l’imprimitura sarà buona, otterremo un disegno acquerellato. In questo caso non importa fissare l’immagine. Riportato il disegno, possiamo iniziare la pittura a velature cominciando dallo sfondo fino a raggiungere gradualmente il primo piano. Il primo strato di colore, molto diluito e fatto di tinte pure o poco mischiate, non richiede fedeltà coloristica: può essere dato con il pennello e tirato delicatamente con carta a strappo o stracci, per evitare i segni delle pennellate. Questa procedura consente eventuali ripensamenti sul disegno originale. Con l’avanzare dell’opera, ci porremo il problema della giusta scelta del colore. Giunti verso il termine, ci troveremo con un’immagine di base completamente colorata con pennellate impercettibili. A questo punto la scelta può essere: o continuare fino in fondo questa tecnica ricercando i colori più opportuni, oppure passare a concrezioni maggiori di colore, con l’utilizzo di pennelli di varie forme e misure o di spatole e strumenti vari. Finito il quadro, dovremo attendere da uno a due mesi prima di stendere la vernice protettiva, poiché alcune tinte, come i bianchi, i gialli e i verdi, impiegano alcune settimane per avere una polimerizzazione completa. Fonti rinascimentali ci insegnano che l’attesa andava dai sei mesi a un anno. 76 I MATERIALI E LE VELATURE Le tecniche della pittura a olio e ad acrilico, si possono paragonare a due comportamenti umani: l’immediatezza e l’attesa. ◊ - All’immediatezza corrisponde la tecnica più diffusa del fresco su fresco, cioè l’incontro e la fusione diretta di colori, appena usciti dal tubetto, sul supporto pittorico. ◊ - All’attesa si addice la tecnica, oggi poco utilizzata, ma molto diffusa nelle botteghe rinascimentali e seicentesche, del fresco su secco, dove i colori, sul supporto pittorico, si incontrano, ma non si mischiano e parlano solo un linguaggio di trasparenze. L’avversione per le mescolanze ha radici nella cultura biblica, che giudica queste operazioni contrarie all’ordine e alla natura delle cose volute dal Creatore. Noi tratteremo di questa seconda tecnica, dove la condizione fondamentale per l’applicazione di una nuova tinta è la polimerizzazione certa del colore. Inizieremo con strati di colore molto diluiti e quindi daremo origine, per trasparenze, a nuove tinte che andranno ad arricchire la policromia dell’immagine. Procedendo nel lavoro, la diluizione deve diminuire fino ad annullarsi quasi completamente. Utilizzando questo procedimento, che possiamo definire spesso su sottile, garantiremo la crescente flessibilità degli strati di colore, che renderanno il lavoro finito meno soggetto a tensioni e screpolature. Come si può intuire l’uso della tavolozza diverrà marginale. In sostituzione della tavolozza, useremo dei piatti a fondo bianco di ceramica o usa e getta. Come contenitore del medium, per la diluizione delle tinte, potremo utilizzare flaconi di plastica di recupero con coperchio a contagocce. Inoltre ci procureremo pennelli tondi e piatti, tovaglioli di carta o carta a strappi, purché soffice (fig. 86). I MATERIALI E LE VELATURE 77 Fig. 86. DIPINGERE A VELATURE: COME PROCEDERE Per capire come procedere con questa tecnica pittorica, prendiamo un soggetto non troppo complesso e seguiamo le sequenze costruttive. La nostra immagine di riferimento sarà rappresentata da una coppia di gatti. Procuriamoci una tela di cotone o di lino a trama fine, di dimensioni adeguate al soggetto e alle nostre esigenze. La trama della tessitura è molto importante, poiché, dovendo prima preparare il disegno e poi stendere il colore, è necessario avere una superficie simile a un foglio da disegno. Procediamo col riportare l’immagine utilizzando una matita HB, cioè di media durezza; con l’aiuto di uno sfumino, di un pezzo di tela o delle dita creiamo le ombre e le sfumature sempre molto tenui (fig. 87). Ora prendiamo un tubo di comune lacca per capelli e fissiamo il disegno: questa operazione ci permette di bloccare gran parte della grafite sulla tela. Fig. 87. Prepariamo sul piatto i vari colori. Per il cielo formiamo l’azzurro con blu di Prussia, bianco di zinco e una punta di blu oltremare scuro. L’ocra gialla tenue, che si vede nel cielo e sul gattino, è formata da ocra d’oro, un po’ di giallo primario, che serve a mantenere brillante il colore, e bianco di zinco. Il grigio chiaro del pelo dei gattini è ottenuto con terra d’ombra bruciata in dose maggiore, blu oltremare e bianco di zinco, oppure con nero d’avorio, bianco di zinco e una punta di ocra gialla, per rendere più caldo il grigio. Per i rami utilizziamo la terra di Siena bruciata. Questi colori, preparati su un paio di piatti, devono essere ben diluiti. 78 Passiamo alla stesura del colore partendo dallo sfondo. Applichiamo l’azzurro e l’ocra gialla sul cielo e sul gattino con un pennello piatto, senza indugi e con tranquillità, facendo attenzione che questi colori non si incontrino; poi, con la carta a strappo, provvederemo a toglierne gli eccessi, mantenendo una lieve pressione della mano, fino a lasciare un leggero strato di colore privo di pennellate. Questo ci permetterà di poter intervenire sull’immagine se avremo dei ripensamenti; allo stesso modo porremo anche il grigio dei gatti e la terra bruciata dei rami. Possiamo iniziare a dipingere anche gli occhi, inserendo nell’iride il miscuglio di ocra d’oro, giallo e bianco preparato in precedenza. Il rosa del naso lo otteniamo con il vermiglione e il bianco di zinco (fig. 88). . Fig. 88. Il medium, utilizzato per la diluizione, permette di avere un’essiccazione più veloce e quindi, dopo due o tre giorni, possiamo riprendere il lavoro. Il quadro sta prendendo forma e colore: per aumentarne la profondità e il rilievo è necessario cominciare a inserire gli scuri. Non utilizzeremo il nero, ma quello che a suo tempo abbiamo chiamato “nero artificiale”, prodotto con un miscuglio di terra d’ombra bruciata e blu di Prussia o blu oltremare scuro. La diluizione sarà inferiore a quella dello strato già polimerizzato, ma sempre presente. 79 La figura precedente racchiude già parte del secondo passaggio di colore: infatti, lo scuro si trova già nel gatto di sinistra, sui rami e nelle pupille. Inseriamo il verde ottenuto con giallo primario e blu di Prussia se si vuole un verde brillante; se desideriamo renderlo meno appariscente, mischiamo il giallo primario al blu oltremare scuro. E’ preferibile dipingere prima il verde chiaro, poiché il giallo con cui è formato è un colore poco coprente e sullo scuro non ha possibilità di apparire. Inserite queste nuove parti cromatiche, con eventuali piccoli ritocchi con l’ocra sull’iride dei gatti e sui rami, attendiamo di nuovo l’essiccazione. Fig. 89. Polimerizzata la velatura precedente, riprendiamo il lavoro. Prepariamo un verde scuro con giallo primario e blu oltremare scuro. Inoltre, a parte, teniamo pronta anche un po’ di ocra d’oro e terra di Siena bruciata: in questi colori vanno inserite poche gocce di medium. Da questo momento può essere utilizzata la tavolozza. Il verde scuro lo distribuiamo con pennellate veloci sia sopra sia accanto al verde chiaro, inserendo anche alcune pennellate di un colore formato con ocra d’oro e terra di Siena bruciata. Aggiungendo a questi ultimi colori un po’di bianco di titanio, creiamo una terra chiara con la quale si possono applicare colpi di luce ai rami. All’ocra d’oro aggiungiamo poco giallo primario e bianco di titanio, per creare un’ocra molto chiara con la quale possiamo ritoccare la parte bassa dell’iride: ciò darà la giusta sensazione del passaggio della luce nel cristallino dell’occhio. Con il bianco di titanio sistemiamo il riflesso della pupilla. 80 Il gattino di destra è un tre colori e quindi, in fase di finitura, dovremo velare alcune zone del corpo, fregandole con un pennello lievemente colorato di ocra d’oro priva di diluizione. Per le finiture dei peli bianchi e neri e dei baffi dei gatti useremo tassativamente pennelli doppio o triplo zero a punta fine. Fig. 90. Giunti al termine della fase pittorica, prima di stendere la vernice finale, dovremo attendere un paio di mesi, perché tutti i colori siano polimerizzati completamente. L’applicazione di questa vernice ha varie funzioni: dare una brillantezza uniforme e proteggere i colori (vedi pag. 64). La nostra scelta può essere rivolta a una vernice lucida o a una opaca. - La lucida dona un’ottima uniformità alla brillantezza, ma riflette molto la luce creando un impatto visivo non sempre gradevole. - L’opaca dà uniformità visiva e non riflette la luce. Queste vernici si trovano in commercio sia liquide sia spray. Considero più opportuno utilizzare la vernice liquida, da stendere con un pennello, per avere uno strato sottile e uniforme; lo spray può lasciare la superficie a chiazze. La vernice opaca, a volte, presenta nel fondo della confezione un addensamento di materiale: in questo caso, prima dell’uso, è bene riscaldarla a bagnomaria. 81 DIPINGERE A VELATURE: MODIFICHE ELEMENTI COMPOSITIVI Leggendo le pagine precedenti, ci si rende conto che per dipingere non è sufficiente riportare sul supporto un’immagine così come la vediamo, ma è necessario seguire un pensiero e modificare la realtà, utilizzando, oltre alla tecnica, la nostra creatività. L’esperienza insegna che, di fronte ad ogni nuovo soggetto, si creano problemi che ci obbligano a cercare strumenti diversi per nuovi percorsi: sarà quindi opportuno presentare alcuni esempi e vedere come il lavoro potrà svilupparsi. Prendiamo una foto che contiene soggetti e colori che ci hanno particolarmente colpito (fig. 91). . Fig. 91. L’immagine di questo giardino è particolarmente attraente, ma l’inquadratura non è adatta per realizzare un quadro; sarà quindi opportuno “smontarla”, cioè scorporare e annullare parte degli elementi compositivi per costruire, in seguito, una nuova forma figurativa, tenendo conto del nostro gusto, della prospettiva e delle ombre. Le possibilità di lavoro sono due: decidere di preparare un bozzetto su un foglio, oppure dare forma alla nuova immagine direttamente sulla tela. Questa rappresentazione floreale non presenta particolari difficoltà e quindi possono essere trascurate eventuali inesattezze; disegniamo direttamente sull’imprimitura con un segno tenue cercando di usare il meno possibile la gomma. Mi scuso se le foto prodotte durante il percorso creativo non sono sempre di buona qualità. 82 Ricordo che la matita da usare è la HB; se la mano è pesante, è meglio adottare una matita più dura come la 3H o la 4H, mai una B perché troppo morbida. Terminato e fissato il disegno con una spruzzata di lacca per capelli (fig. 92.), iniziamo a pensare al colore da inserire sullo sfondo. Fig. 92. Fig. 93. Osserviamo che, nel primo piano della foto, la tinta prevalente è il giallo. Sappiamo che i colori primari sono più vivaci se accostati al proprio complementare (reciproca influenza dei colori pag. 27.): diventa perciò molto interessante inserire del viola nello sfondo (fig. 93.). Queste prime mani di colore le stendiamo molto diluite e le distribuiamo sulla tela aiutandoci con la carta a strappo, per evitare la presenza di pennellate e segni vari. 83 Decidiamo di non portare le tinte fino ai bordi, lasciandole concentrate nel mezzo dell’opera, in modo da far convivere il disegno con il colore attraverso una particolare interpretazione della scena. Possiamo continuare a distribuire colori sul quadro fino a riempire l’intera immagine. Fig. 94. Utilizziamo il giallo primario, sempre diluito, per i petali (fig. 94.) e la terra di Siena bruciata per la parte centrale dei fiori (fig. 95.). Come possiamo notare, il chiaro scuro della grafite ci comunica la sensazione di un’ombreggiatura data a olio. Questi effetti possono, in seguito, essere ritoccati o lasciati così in base al nostro gusto personale. Fig. 84 95. Possiamo continuare inserendo due colori che non si sovrappongono agli altri: prepariamo il verde con giallo primario e poco blu oltremare scuro. Dipingiamo le parti erbacee, poi prepariamo un colore adatto al legno della staccionata con terra d’ombra bruciata, blu oltremare scuro e bianco di zinco. A questo punto è necessario attendere la polimerizzazione dei colori. Fig. 96. Fig. 97. Dopo alcuni giorni, essiccato il colore, decidiamo di inserire nell’immagine una figura non presente nella foto: una farfalla. È una decisione tardiva, possibile perché abbiamo proceduto per velature, non lasciando tracce di concrezioni materiche. Con il bianco di titanio copriamo la superficie necessaria (a metà del lato sinistro, fig. 97.). Ora riprendiamo con la sovrapposizione delle tinte: ‘scaldiamo’ il colore dei petali con una lieve velatura di giallo primario mischiato a una punta di Magenta. 85 Questa operazione deve essere compiuta con poco colore nel pennello. Per donare le sfumature rossastre sull’attacco dei petali, occorre usare un pennello fine, intriso in poca quantità della tinta preparata in precedenza e arricchita di Magenta. Lasciamo riposare i colori per qualche giorno (il giallo e il bianco sono colori di lunga essiccazione); quindi inseriamo la farfalla e rifiniamo il dipinto con colpi di luce, riprendendo i colori già usati, schiariti con il bianco di titanio. Il gusto personale consiglierà un maggiore o minore contrasto o altre soluzioni. Fig. 98. 86 DIPINGERE A VELATURE: TONALITA’ARMONICHE Molte persone, che si dedicano alle arti figurative, amano rappresentare le immagini con il solo uso del bianco e nero o con l’aggiunta di pochi colori; testimone ne è la fotografia, dove il bianco e nero o le immagini color seppia sono molto amate. Molti pittori nel loro percorso artistico hanno prodotto opere legate a pochi colori. A pagina 35 si è accennato a Boldini, il quale, durante l’arco della propria lunga carriera, ha ridotto sempre più la tavolozza, creando opere con una tendenziale monocromaticità di base. Da una fotografia, che rappresenta la transumanza di una mandria di buoi, ho tratto il soggetto di un dipinto di cui ho documentato le sequenze di lavorazione. L’opera ha una certa monocromaticità e può essere realizzata con l’utilizzo esclusivo di terre unite al bianco e al giallo. Interessante, dal punto di vista pittorico, è la luce che filtra con difficoltà attraverso la polvere sollevata dagli animali. E’ importante procurarsi una tela a trama fine, per disegnare e sfumare senza difficoltà. Ora, a mano libera o con l’aiuto della quadrettatura, riportiamo la sagoma dei singoli buoi della mandria sull’imprimitura con una matita HB, utilizzando un segno tenue che può essere cancellato con facilità. Si può ottenere l’ombreggiatura sui corpi trascinando la grafite con l’aiuto di un ritaglio di stoffa o di un dito (fig. 99.). Fig. 99. Il disegno sarà fissato con lacca per capelli. Per stendere la prima base di colore si dovranno preparare due tinte molto diluite: la prima formata da terra di Siena bruciata e la seconda, un’ocra gialla, composta da ocra d’oro, giallo primario e bianco di zinco. 87 Fig. 100. Stenderemo la terra di Siena bruciata sul lato sinistro dell’immagine, la parte più in ombra protetta in basso da alti fusti d’erba e rovi. L’ocra gialla coprirà la parte destra della tela, il settore più luminoso dell’immagine, dove la polvere è più evidente. Ricordo che la diluizione di questi colori deve essere molto forte: dopo averli stesi col pennello, è bene accarezzarli in modo delicato con uno straccetto o con carta a strappo soffice, in modo da creare un colore uniforme e privo di pennellate. Passati due o tre giorni, polimerizzato questo strato molto sottile di colore, si possono evidenziare le parti in luce della mandria con il bianco di titanio (fig. 100.). Fig. 101. Completate le parti chiare sul dorso dei buoi, si introduce la terra d’ombra bruciata, ultimo colore utile per la nostra scarna tavolozza. 88 Questa tinta fa risaltare la presenza di erbe e rovi e, mischiata alla terra di Siena bruciata, approfondisce il tuttotondo del corpo dei buoi (fig. 102.). Fig. 102. Occorrono vari passaggi per aumentare il contrasto dei colori: prima utilizziamo le tonalità scure (fig. 103.), poi, polimerizzate queste, quelle chiare che evidenzieranno i colpi di luce, in particolare sulle corna dove si dovrà intervenire con un pennello doppio zero a punta fine. Sistemati i chiaroscuri sul corpo degli animali, ci apprestiamo a definire le piante in primo piano, utilizzando un’ocra molto chiara formata con ocra d’oro, giallo primario e bianco di titanio; questo bianco è indispensabile per poter dipingere su un fondo scuro. La figura 104 rappresenta il quadro finito. Fig. 103. 89 Fig. 104. 94. 90 ALTRI DIPINTI A VELATURE Fig. 105. Il ritorno Fig. 91 106. L’abbeverata Fig. 107. Bologna: Giardini Margherita 1911 Fig. 108. Lo stagno 1 Fig. 109. Lo stagno 2 92 INDICE DEI NOMI E DELLE IMMAGINI Alessandro Magno, 73 Antonello da Messina, 73 Apelle, 73 Boldini Giovanni, 44, 87 Nudo di schiena, 35 Cennini Cennino, 72 Bruegel Pieter: I ciechi, 13 Calvino, 14 Caravaggio: Amore vincitore, 33 Cézanne Paul: Natura morta con mele, 34 Chevreul Michel Eugène, 27, 28, 30 Il cerchio dei colori, 28 Christus Petrus, 73 Descartes, 20 Fernet Horace: Giulio II ordina i lavori in Vaticano, 8 Gheeraerts Marcus il Giovane: Ritratto Ditchley, 3 Goethe Johan Wolfgang, 17 Innocenzo III, 10 Itten Johannes, 25, 29 Cerchio cromatico, 30 Klimt Gustav: Le tre età della vita (part.), 34 Le Blon Jacob Christoph: Luigi XV, 16 Lega Silvestro, 44 Un dopo pranzo, 32 Leonardo da Vinci, 20, 32 S. Anna, la Vergine e il Bambino, 33 La dama con l’ermellino, 69 L’adorazione dei Magi, 74 S. Gerolamo, 74 93 Leone III Isaurico, 10 Levi Strauss, 18 Ludovico il Moro, 74 Lutero Martin, 12, 14 Maxwell Clerk, 23, 28 Cerchio rotante, 23 Moroni Giovanni Battista: Il conte Pietro Secco Suardi, 14 Newton Isaac, 16, 17, 20, 21, 35 Odgen Rood Nicholas, 28 Pelizza da Volpedo Giuseppe, 29 Piero di Cosimo, 31 Plinio il Vecchio, 72, 73 Raffaello Sanzio: Madonna della Seggiola, 31 Rembrandt: Donna al bagno, 15 Rubens Pieter Paul: Ritratto di Suzanne Fourment (part.), 15 Segantini Giovanni, 29 Seurat Georges, 29 Una domenica pomeriggio all’Île de la Grande Jatte (part.),29 Signac Paul, 29 Teodora, 10 Teofilo Monaco, 72 Van Gogh Vincent, 28 Campo di grano con volo di corvi, 31 Van Eyck Jan: L’uomo col turbante, 72 Vasari Giorgio, 72 Vauquelin Louis Nicolas, 39 Vitruvio Marco Pollione, 72 Von Helmholtz Hermann, 20, 21, 23 Diagramma dei colori, 20 Young Thomas, 20, 21 94 INDICE PER ARGOMENTI 3 Introduzione 5 Influenza dei colori: cenni storici 5 6 6 7 8 9 9 10 11 11 12 13 14 16 16 17 18 I primi passi I tessuti e le tinture Il bianco – il rosso – il nero Le prime civiltà occidentali Il rosso porpora Il colore e le opere d’arte Il colore e la liturgia Iconolatri e iconoclasti L’araldica e i colori Produzioni e territori Leggi suntuarie Colore e visibilità sociale Riforma e Controriforma L’antagonismo dei blu Verso il futuro Il Romanticismo Blu sociale e politico 20 Teoria del colore 20 21 23 24 24 25 27 32 35 Ricerca scientifica e percezione del colore Luce e colore Sintesi additiva e sottrattiva Colori primari e secondari nei pigmenti Colori complementari Contrasti simultanei e consecutivi Reciproca influenza dei colori Profondità e rilievo Tonalità armoniche o modulazioni tonali 36 I materiali 36 37 37 I materiali oggi e nel tempo La qualità dei colori Essiccazione e stabilità della pellicola di colore 95 38 38 38 39 39 41 42 43 45 46 47 48 49 49 50 56 59 61 62 63 63 64 64 64 65 66 66 66 67 69 71 I colori consigliati Analisi dei colori 01 Bianco di zinco 02 Bianco di titanio 03 Giallo primario 04 Rosso primario – Magenta 05 Vermiglione scuro 06 Violetto di cobalto 07 Ocra d’oro 08 Terra di Siena bruciata 09 Terra d’ombra bruciata 10 Blu di Prussia 11 Blu oltremare scuro 12 Nero d’avorio I verdi I grigi Gli incarnati L’imprimitura Gli oli seccativi Gli oli semi seccativi Gli oli essenziali I seccativi o essiccanti I medium La vernice finale La tela I pennelli Oltre i pennelli Le dita Pezzi di legno e punteruoli Penne d’istrice Vecchie spugne 72 Pittura a olio 72 75 77 78 82 87 91 93 95 Riferimenti storici L’idea e il suo sviluppo I materiali e le velature Dipingere a velature: come procedere Dipingere a velature: modifiche elementi compositivi Dipingere a velature: tonalità armoniche Altri dipinti a velature Indice dei nomi e delle immagini Indice per argomenti 96