Lezione Pigmenti 2c - Home page | Dipartimento di Chimica
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L´oro deve essere cioè steso prima dei colori sulla tavola già preparata. Per preparare il supporto a riceverlo si incide il contorno della parte da dorare, quindi, secondo la procedura, si stendono su di essa quattro mani di un composto costituito da acqua, chiara d´uovo montata a neve e cosiddetto (un´argilla untuosa e rossiccia finissima). E´ quest´ultima che riaffiora comunemente in seguito alla caduta dello strato d´oro, rimanendo in vista in molti dipinti del XIII, XIV e XV secolo. Dopo aver fatto asciugare la tavola protetta dalla polvere con un panno, si procede con la brunitura (una sorta di lucidatura) del bolo mediante pietre dure levigate (pietra d´agata) oppure con strumenti ricavati da denti di animali. Le sottili foglie d´oro zecchino, ricavate da una lamina battuta con un martello tra due strati di pelle ad opera dei , sono poste ad una ad una su un pezzo di carta e lasciate scivolare con il pennello sul bolo precedentemente inumidito. A questo punto sull´oro brunito si possono apporre decorazioni incise o impresse con dei timbri detti "punzoni", l´uso e la diffusione dei quali contribuisce non poco al risultato finale del dipinto. Esempio di provino di ricostruzione sulla tecnica della tempera ad uovo su tavola, tipica del ‘300, con particolari riferimenti alle fasi della doratura. 1 - Preparazione della tavola 2 - Doratura a “guazzo” con foglia d’oro 3 - Colorazione di rifinitura delle ombreggiature 4 - Preparazione del fondo con bolo per la doratura 5 - Preparazione del supporto ligneo (vari strati: gesso, colla, imprimiture colorate) 6 - Preparazione del disegno a spolvero. 7 - Esempio di stesura tratteggiata tipica della tempera ad uovo 8 - Colorazione base “incarnato” (ocre, biacca, cinabro, nero) 9 - Punzonatura sulla doratura 10 - Lumeggiatura 11 - Colorazione di rifinitura a base rosso cinabro 12 - Colorazioni di preparazione per decorazione del tessuto “Santo Stefano”, Giotto, tempera su tavola, Firenze, Fondazione H. P. Horne. Oltre alla stesura dell´oro a bolo, la doratura di alcune parti dei dipinti medievali si ottiene anche con le tecniche a missione ed a conchiglia, generalmente riservate a zone più minute. La prima era ottenuta stendendo con un pennellino sulle parti da dorare , cioè una colla fatta di olio di lino, una resina e, talvolta, un pigmento essiccante. Quando la colla cominciava a far presa vi si metteva sopra la foglia d´oro, premendola con la bambagia affinché aderisse, e quindi la si spolverava con un pennello morbido per togliere l´oro in esubero. era invece ottenuta mescolando la polvere d´oro con un legante come la gomma arabica e stendendola a pennello. Nei dipinti medievali si fa spesso ricorso anche a decorazioni a pastiglia: si tratta di decorazioni in rilievo fatte con gesso e colla proteica, oppure gesso e colla di farina, spesso estese a parti di carpenteria anche prive di figurazione, come pilastrini laterali di polittici o aureole di santi stese sulla preparazione del dipinto. L'affresco della Deposizione di Giotto nella cappella degli Scrovegni, con dettagli in oro Un dipinto su tavola se visto in sezione si compone schematicamente di un supporto, di una preparazione, della stesura pittorica vera e propria e di uno strato di vernice. Tali strati corrispondono in realtà ad altrettante fasi di realizzazione dell’opera. La prima di queste è la realizzazione della tavola e quindi la sagomatura il consolidamento ed il trattamento del supporto ligneo. Seguono le fasi di preparazione dello strato pittorico ossia la copertura del legno con una tela su cui viene poi applicata un "imprimitura" di gesso su cui tratteggiare il disegno e stendere i colori. Questi vengono realizzati con minuziosi trattamenti dei pigmenti (terre minerali e materiali di altra origine) resi fluidi ed aderenti a mezzo di opportuni leganti ("tempere") e infine stesi con vari tipi di pennelli. Parallelamente ove necessario si procede all’applicazione della foglia d’oro nei fondi e nei piccoli dettagli che talvolta vengono decorati ad incisione o a mezzo di punzoni. Il dipinto a tempera così terminato viene infine di norma trattato con varie vernici che hanno la funzione di lucidarlo e proteggerlo Scenes from the Life of Saint John the Baptist (Francesco Granacci; ca. 1506–1507), egg tempera, oil, and gold on wood; 77.6×151.1 cm. Bottom: Cross Section of paint layers from Scenes from the Life of Saint John the Baptist, 20x objective, DIC light Si nota la presenza di quattro strati: 1° strato: base preparatoria bianca (gesso e colla) 2° strato: colla animale 3° strato: biacca 4° strato: pigmento verde rame (acetato di rame) Analisi condotta con il microscopio ottico a luce riflessa (30x). Giorgio Vasari, Cristo in casa di Marta e Maria, olio su tavola,1539-1540 La tavola deve essere di legno ben stagionato; le specie da privilegiare sono il pioppo (che viene addirittura chiamato "albero" essendo di gran lunga il più impiegato in Italia centrale) il tiglio, il salice. – Assemblaggio delle tavole a coda di rondine (1) per evitare le spaccature dovute alla normale trazione del legno "vivo" – Impannaggio (2) la superficie viene ricoperta di una tela intrisa di colla – Stesura di una miscela di gesso e colla (3) – Imprimitura (4) manto di gesso fine e colla – Su questa superficie si riportava il disegno preparatorio con carboncino o inchiostro – Sulle zone da dorare venivano stese e fatte aderire le foglie d’oro (5) – Successivamente si dipingeva il resto della scena Sezione stratigrafica di una policromia dorata su tavola Analisi al SEM di una policromia dorata Secondo periodo → compreso fra il Trecento ed il primo Quattrocento, in cui l'uso del colore avveniva per graduato accostamento, e non per aggiunzione; Giotto, Cacciata di Gioacchino dal tempio, Cappella degli Scrovegni, Padova Terzo periodo → corrisponde alla seconda metà del Quattrocento, che vede le figure e gli oggetti rappresentati nei dipinti indagati con molta minuzia. La tempera ebbe il suo periodo di massimo splendore nel Rinascimento, anche se la pittura a tempera dei pittori del „400 non è generalmente ad uovo puro. Infatti era già in uso un sistema di pittura, definito ad emulsione, dove all'uovo venivano aggiunti olii, essenze e vernici. In questo senso si potrebbe affermare che non fu Van Eych a introdurre in senso assoluto la pittura ad olio in Europa. SPOSALIZIO DI MARIA VERGINE Maestro di Santa Verdiana 1390 - 1399 La Pala di Annalena è una tempera su tavola (108×202 cm) di Beato Angelico, databile al 1430 circa L‟impiego della tela come supporto di manufatti artistici è antichissimo, basti pensare che i primi esemplari di tele raffigurate risalgono al I secolo d.C. Nel Medioevo fu ampiamente utilizzata nella preparazione delle tavole per la pittura a tempera e a partire dalla seconda metà del „500 divenne il supporto principe della pittura ad olio, in quanto la tela come supporto elastico dotato di una superficie scabrosa si adattava ad un tipo di pittura rapida e non eccessivamente accurata. Amico Aspertini. Pietà e Santi. 1519 ca., tempera su tela, Bologna, San Petronio Il misantropo, tempera su tela di Pieter Bruegel il Vecchio Si dice che la pittura a tempera su tela sia nata nel XV secolo nei Paesi Bassi quando si iniziò a dipingere su tela, un supporto che aveva l'innegabile pregio della maggior trasportabilità, la relativa economicità e l'ottima resa. Gradualmente la tela si diffuse in tutta Europa e in Italia si affermò nel XVI secolo. Tradizionalmente la tela è formata dall'intreccio di fibre di lino, di canapa o juta ma, con l'età moderna è largamente invalso anche l'uso del cotone e delle fibre sintetiche. Le diverse trame dei tessuti hanno una notevole influenza sulla resa pittorica: trame fini come quella del lino consentono finiture più minuziose (come quelle a velatura della pittura fiorentina del Rinascimento), la canapa o la juta sono invece adatte ad esecuzioni pittoriche più libere o a opere di grandi dimensioni (come nella pittura di scuola veneta). Originariamente la tela veniva applicata mediante colle sulle tavole di legno (se di grandi dimensioni costituite da più tavole opportunamente saldate tra loro con incastri) ed aveva la funzione di uniformare la superficie nonché di ovviare ai problemi legati alle escursioni cui è soggetto il legno per il calore o l'umidità. Solo a partire dal Rinascimento la tela comincia ad essere inchiodata e tesa su telai mobili, dotati di chiavi per garantirne la tensione, creando il tipo di supporto che ancora oggi è il più largamente diffuso tra gli artisti. Questo sistema garantisce una tensione costante della tela, consente di sostituire il telaio nel caso di deformazioni col passare del tempo e facilita il trasporto delle opere, in quanto la tela può essere agevolmente rimossa dal telaio e arrotolata riducendone notevolmente l'ingombro. La tela è un tessuto ottenuto tramite la tessitura o intreccio su un telaio di filati provenienti da fibre in massima parte vegetali (lino, canapa, cotone), in alcuni casi animali (lana, seta) ed eccezionalmente minerali (argento, oro). In una tela sono caratteristiche la grana ( più o meno pronunciata in funzione della maggiore o minore sezione del filo ) e la densità ( più o meno fitta a seconda del numero di fili per cm2 ). Individuando la fibra impiegata, le caratteristiche dei filati sia nella trama che nell‟ordito e del tessuto ( tipo di armatura, densità, regolarità, ecc. ) è possibile ottenere informazioni sull‟epoca e zona di realizzazione dell‟opera. E‟ importante conoscere le modalità di preparazione della tela e di tensionamento sul telaio perché influiscono sulle caratteristiche fisicomeccaniche del supporto, quindi sul suo comportamento nel tempo e di conseguenza sullo stato di conservazione del dipinto. I due sistemi di fili costituenti il tessuto sono l’ordito e la trama; l’ordito è costituito da un filo longitudinale parallelo attraverso cui si introduce ad angolo retto il filo lungo e continuo della trama, procedendo da sinistra verso destra. Il modo con il quale sono intrecciati i due sistemi di fili si dice armatura, questa può essere: : è la più semplice e la più usata da sempre in cui ciascun filo di trama passa alternativamente sopra e sotto i successivi fili di ordito; : la trama passa sopra due o più fili di ordito e uno sotto; : deriva dalla diagonale e presenta un caratteristico disegno a zig-zag. Da questa è stata La classificazione dell’intreccio avviene attraverso l’utilizzo dello stereomicroscopio che permette di identificare la categoria di appartenenza dei vari tessuti in base alla loro armatura (intreccio tra ordito e trama). L’analisi della fibra viene effettuata tramite il microscopio ottico, con l’utilizzo di coloranti e reattivi chimici specifici, identificandone le caratteristiche morfologiche. Fibre di lino. Osservate al microscopio ottico appaiono cilindriche, uniformi e con striature che si estendono trasversalmente, sovente in forma di X, e che sono una peculiarità delle fibre di lino. Fibre di canapa. Fibre di cotone. Si presentano appiattite, a nastro e con convoluzioni nel senso della lunghezza La fibra più comune nelle prime tele è quella di lino e la più pregiata è la tela rensa, cioè un sottile tessuto di lino, prodotto a Reims, sottoposto a processi di imbianchimento per eliminare il colore naturale della fibra. E’ nella Venezia della seconda metà del ‘400 che la diffusione del supporto in tela diventa assoluta e rapidissima, favorita soprattutto dalla fiorente produzione tessile. Il grande sviluppo della pittura su tela a Venezia è motivato dalla constatazione dell’inadeguatezza del clima lagunare, umido e salmastro, per la conservazione di affreschi. Al contrario le tele montate su un telaio costituivano una superficie separata dalla parete e quindi meno soggette ai danni indotti dall’assorbimento dell’umidità per risalita capillare delle murature. LA TEMPESTA (1504 circa) Giorgione (1477-1510) - Galleria dell’Accademia - Venezia - XVI secolo Tela cm. 82 x 73 Il lino rimase la fibra più comune anche nei supporti tessili della Venezia del ‟400-500 per le buone proprietà meccaniche (deboli variazioni di lunghezza ed i graduali movimenti delle sue fibre in relazione alle variazioni termoigrometriche ) basti pensare alle condizioni ambientali della laguna. A differenza della tela rensa, il lino era lasciato allo stato grezzo per consentire una migliore adesione degli strati sovrastanti e per conservarne la robustezza altrimenti indebolita dalle operazioni di sbiancamento; occasionale fu la produzione di supporti di canapa mista a cotone. Ciò che varia nel tempo nei supporti di lino è la struttura e tessitura. Infatti i primi supporti erano tessuti in maniera serrata, ordinata e regolare, con un filato leggero e sottile. La semplicità dell‟intreccio e la sottigliezza di queste tele rispondevano alle esigenze di una tecnica pittorica caratterizzata da una stesura dettagliata del colore e da uno strato pittorico sottile. Verso la metà del ‟500 le innovazioni tecniche e nuove forme espressive da parte dei pittori portarono all‟uso delle nuove , che avendo una superficie più robusta e scabrosa ma anche elastica meglio si prestavano ad un tipo di pittura a pennellate dense ed irregolari. Il diffondersi della pittura su tela aprì il campo a nuove sperimentazioni riguardanti la scelta dei possibili tessuti utilizzabili come supporti pittorici, vennero così usati damascati di seta, tovagliati a losanghe o a righe e tele d’argento. Nel ‘600 l’esigenza di avere una superficie scabra e più adatta ad una pittura veloce e corposa, ma soprattutto la necessità di far fronte ad una maggiore richiesta di tele quali supporto pittorico determinò la realizzazione di tele più economiche e meno accurate nella lavorazione caratterizzate da una grana grossa e da una trama larga; il principale centro di produzione fu Napoli. Il lino venne sostituito dalla canapa e questa rimase la fibra più usata nel tempo in quanto, il cotone era troppo sensibile all’umidità, la lana fortemente igroscopica e la seta troppo fragile polverizzava a contatto con gli oli siccativi. Nella seconda metà del ‘700 ricompaiono tele di qualità più fine, con tessitura più fitta e realizzate in lino e canapa. Armatura: definisce il tipo di intreccio tra i fili della trama e dell’ordito; Peso o grammatura: indica la pesantezza del tessuto e viene riferito al m2; Riduzione: indica la fittezza del tessuto ed è data dal numero di fili al cm nei sensi della trama e dell’ordito; Densità: rappresenta la fittezza globale del tessuto ed è data dal prodotto del numero di fili/cm nelle due direzioni; Titolo filato: indica le dimensioni del filato ed è dato dal suo rapporto lunghezza/peso; Torsione: è l’indice di coesione fra le fibre che costituiscono il filato ed è responsabile della sua resistenza a trazione. La torsione può essere singola (se ad un solo capo) o ritorta (se a più capi) e si riferisce al m; Carico di rottura: è il carico massimo a cui si rompe una striscia di tela sottoposta a trazione; Tenacità: è il rapporto tra il carico di rottura ed il peso della tela (g/den) e consente il confronto delle caratteristiche di tele con peso diverso; Allungamento a rottura: indice della rigidità della tela viene utilizzato per valutare l’efficienza dei trattamenti di tensionamento ed incollaggio. Espresso in % è dato dal rapporto tra l’allungamento subito dalla tela al momento della rottura e la sua lunghezza iniziale; Modulo di elasticità o di Young: indica la deformabilità elastica della tela sottoposta a sollecitazioni minori del punto di snervamento. E’ definito dalla pendenza della curva sforzo/deformazione nella parte lineare e consente il confronto di tele differenti per struttura, materiali o tensionamento; Curva carico/allungamento o diagramma sforzo/deformazione: descrive graficamente il comportamento della tela durante la prova a trazione e consente di dedurre tutti i parametri meccanici sopra indicati. Da queste caratteristiche dipende il comportamento del supporto quando è sottoposto a sollecitazioni di trazione dovute all’uso. Sono per la maggior parte macromolecole organiche che tendono a legarsi fra loro con legami trasversali, generalmente deboli legami intermolecolari come i legami di Van der Waals, i legami dipolari ed a ponte idrogeno. Questo allineamento porta ad un ordinamento tridimensionale delle catene polimeriche con formazione di cristalliti. Il sistema polimerico di una fibra tessile prevede: - peso molecolare elevato, - linearità delle macromolecole, - orientamento delle macromolecole, - punto di fusione alto, - presenza di zone cristalline e zone amorfe. Per esempio nella cellulosa le catene sono disposte parallelamente le une alle altre e si legano fra loro per mezzo di legami ad idrogeno molto forti, formando fibrille, catene molto lunghe, difficili da dissolvere. La diffrazione a raggi X ( XRD) di questi polimeri ha evidenziato elementi di simmetria relativi ad un certo grado di cristallinità, con zone cristalline inglobate in zone amorfe. La distinzione tradizionale: fibre naturali (animali, vegetali e minerali) artificiali (da polimeri di origine biologica) sintetiche (da polimeri di sintesi). Oggi si preferisce parlare di fibre naturali e di fibre chimiche o manmade. Fibre Naturali Sostanze filabili esistenti in natura Animali Da secrezione coagulata di lepidotteri baco da seta: SETA Dal vello della pecora: LANA Vegetali Da produzione epidermica dei mammiferi Minerali Da seme: COTONE Da fusto: LINO, CANAPA, JUTA, RAMIE’, IBISCO Dal vello di altri mammiferi: ANGORA (coniglio), MOHAIR (capra d‘angora), CASHMERE (capra del Tibet), CAMMELLO, VIGOGNA, LAMA, ALPACA Amianto Da foglie: SISAL, ABACA, ALFA Da frutto: COCCO, KAPOK Il lino è una fibra proveniente dal fusto della pianta Linum usitatissimum di natura cellulosica multicellulare dall’aspetto cilindrico. E’ costituita per il 60% di cellulosa, 15% di emicellulose, 4% di sostanze pectiche, 3% di lignina, 10% di acqua, 2% di cere e grassi, 6% di altre sostanze solubili in acqua. Il sistema polimerico è più cristallino del cotone e dopo la lavorazione è composto al 78-80% da cellulosa. Il cosiddetto “Parnaso” Andrea Mantegna (tempera su tela, 150 x 192 cm., 1497) Girolamo di Giovanni (su cartone di Giovanni Angelo d'Antonio?), Madonna della misericordia, 1463, tempera su tela, 206 x 125 cm, Camerino, Pinacoteca e Museo Civici La cellulosa è simile all’amido - entrambi sono polimeri di unità di glucosio. Tuttavia, le molecole di amido possono avere catene ramificate, mentre la cellulosa è un polimero di unità di glucosio. Al fine di formare una fibra, un polimero deve essere in grado di formare lunghe catene ordinate e le catene devono essere in grado di allinearsi in questo modo: Se le catene non si possono allineare, non possono formare una fibra. Quando le molecole della fibra sono molto ordinate si dice che la sostanza è cristallina. Il grado di polimerizzazione della cellulosa nelle pareti cellulari primarie è ~2,000-6,000 unità di glucosio, mentre è di ~10,000 residui in quelle secondarie. In generale I polimeri di cellulosa sono impaccati parallelamente tra loro in strutture dette microfibrille composte da ~36 catene polimeriche di cellulosa. Nelle pareti secondarie le microfibrille si associano tra loro ultriormente formando macrofibrille. A triple strand of cellulose showing the (cyan lines) between glucose strands Lungo la fibra di cellulosa ci sono diversi gruppi OH. Questi gruppi hanno due funzioni importanti nella fibra polimerica: si legano debolmente tra loro, mantenendo legate insieme le molecole di polimero, e trattengono le molecole d'acqua. Le fibre di cotone e di lino contengono una quantità piuttosto grande di acqua. L'acqua agisce un po‘ come plastificante – lubrifica le catene polimeriche in modo che possano muoversi l’una accanto all'altra più facilmente, mantenendo la struttura flessibile. Se una parte dell'acqua si perde,si formano più legami tra le catene del polimero rendendo la struttura più simile a una rete. Photomicrograph of linen fibers. Proprietà fisiche: è una fibra igroscopica, più del cotone ma meno di lana e seta (12% di contenuto di acqua a 21°C e 65% di umidità relativa ). Resiste bene al calore, cambia colore a 280°C e comincia a decomporsi a 310°C; ha un’ottima conducibilità termica e come il cotone è una fibra antistatica, cioè non trattiene le cariche elettriche accumulatesi sulla superficie. E’ una fibra non elastica e molto rigida; è insensibile all’invecchiamento e molto resistente anche grazie ad una tenacità che varia tra i 5 e i 6.1 g/den ed aumenta del 40% se la fibra viene bagnata; questa proprietà è dovuta alla struttura della fibra di lino che è un polimero cristallino lungo e con un numero elevato di legami idrogeno tra polimeri adiacenti. Comportamento chimico: a differenza del cotone, il lino è più resistente all’azione degli acidi mentre è più sensibile verso gli alcali ed agenti ossidanti ; si scioglie con difficoltà nel reattivo di Schwaitzer. Il lino grezzo, diversamente da quello trattato, non dà luogo a colorazioni ma tende ad ingiallire con il tempo. Il reattivo di Schweitzer è formato da solfato di rame CuSO4 al 10% e NaOH al 10% con ammoniaca concentrata ( NH3). Quando si immerge nel reattivo la lana non si scioglie e si colora, la seta e le fibre vegetali invece si sciolgono rapidamente. Tutti i materiali organici si deteriorano. Ciò vale anche per i supporti tessili che durante il processo di invecchiamento perdono robustezza ed elasticità. I danni sono principalmente dovuti ad alcune caratteristiche negative della cellulosa: 1) si ossida a contatto con l'aria, assorbe energia luminosa che innesca reazioni fotochimiche frammentando le fibre, 2) viene aggredita dagli acidi presenti nell'atmosfera, 3) può essere terreno di coltura per microrganismi, 4) reagisce in maniera sensibile alle sollecitazioni meccaniche, 5) è fortemente igroscopica. In particolare quest'ultima proprietà è il fattore più evidente delle deformazioni di un supporto tessile. Infatti le fibre assorbono umidità dall'aria, così si gonfiano, si inspessiscono e si accorciano. Ciò causa l'ingenerarsi di tensioni spesso molto forti che, unendosi a tutti gli altri fattori, può rompere i fili intrecciati. Invece quando il tessuto cede umidità si dilata rilassandosi modificando la planarità della tela (la cosiddetta deformazione sotto carico – l’effetto CREEP che si ha a causa della forza di gravità esercitata dai materiali sulla tela, evidenziando l’impronta dei lati interni del telaio sulla superficie dipinta e crettature in particolare in alto ed al centro) e producendo una perdita di tensione che può manifestarsi con il distacco degli strati pittorici. Come operazioni di prevenzione si dovranno adottare precauzioni soprattutto riguardo le condizioni climatiche. Quelle ottimali ottimali sono per una tela 18°c con un umidità relativa del 45-65%. Prima di essere dipinta la tela necessita di due operazioni: l' , con cui viene stabilizzata la trama della tela ed eliminati eventuali peli presenti sulla superficie utilizzando una miscela di colla e gesso l' che costituisce il primo fondo di materia atto a ricevere la pittura, generalmente uno strato ad olio di colore omogeneo, nei primi tempi era costituito da biacca e olio di lino al fine di impermeabilizzare la preparazione a gesso e colla sottostante. In alternati casi potevano applicare più mani di colla animale (collatura) Le tele fatte con questo materiale erano utilizzate nel medioevo per fare l’incamottatura delle tavole, cioè creare uno strato di tela tra la tavola e la preparazione a gesso e colla (ammannitura) per formare uno strato correttivo dei difetti del legno come i nodi e le giunture, ed inoltre per formare un ulteriore strato elastico capace di ammortizzare i movimenti del legno proteggendo così il film pittorico. Tale pratica già nel trecento risultò andare in disuso passando a pratiche più economiche quali l’“impannatura” e poi all’uso di stoppa. Si dice che alla fine del Cinquecento si sia diffusa in Italia una nuova tecnica pittorica, attribuita generalmente ad artisti fiamminghi. Questa tecnica è detta ad olio perché il mezzo legante è costituito da oli siccativi, come l'olio di lino, di noce e di papavero. Tuttavia le origini della pittura a olio affondano le radici nell'antichità; ne davano notizia già Galeno, Vitruvio e Plinio il Vecchio. Teofilo monaco la riporta nel “De diversis artibus”, un celebre ricettario della prima metà del XII secolo e, alla fine del Trecento, la cita Cennino Cennini nel Libro dell'Arte. Non è pertanto da prendere alla lettera la leggenda, riportata anche dal Vasari nelle sue Vite, secondo cui Jan Van Eyck fu l'inventore dei colori ad olio; è certo, invece, che i pittori fiamminghi del XV secolo perfezionarono questa «nuova e prodigiosa maniera di colorire», ovviando ad alcuni inconvenienti Si dice che il primo veneziano a far uso della pittura ad olio fu Antonello da Messina (1430-79), che portò la conoscenza della tecnica direttamente dalle Fiandre, dove aveva conosciuto i fratelli Van Eyck. La preparazione da lui usata consisteva nello stendere una prima patina sulla tavola preparata a gesso duro, poi su una mano di olio cotto stendeva i colori, e usava ancora dell’olio per ottenere una leggera fusione; lasciava seccare e compieva in forma definitiva, usando per diluente l’essenza di trementina. L’Annunciata di Antonello da Messina Ecce Homo di Antonello da Messina Gli oli siccativi sono dei grassi vegetali in cui i pigmenti si stemperano facilmente dando per essiccamento all’aria un film sottile elastico resistente all’acqua. La pittura può così essere stesa a pennello su una preparazione secca su muro, su tavola, su tela, su stucco, ecc. L'olio è un ottimo legante, fluido e resistente; la possibilità di creare finissime velature, trasparenti e lente ad asciugare, permetteva di creare effetti di luce e di consistenza impossibili con le altre tecniche pittoriche. Consentiva inoltre di ampliare la gamma cromatica, ammorbidire le sfumature e potenziare il modellato. I colori impastati con l'olio, una volta asciutti, garantivano una lunga durata, soprattutto rispetto alla tempera, e mantenevano pressoché inalterati i valori cromatici. Grazie a queste caratteristiche, la pittura ad olio si diffuse velocemente, favorita anche dai commerci dei mercanti che ne apprezzarono i vantaggi pratici e la diffusero in tutta Europa; infatti, le tele arrotolate erano molto più facili da trasportare delle rigide tavole di legno. Antonello da Messina, Ritratto virile, National Gallery, Londra L’olio deve essere raffinato con cura perché asciughi in modo soddisfacente , a volte vengono usati agenti essiccanti come sali di metalli, in ogni caso l’asciugatura è più lenta di quella della tempera d’uovo: richiede ore o giorni invece di minuti. Il processo di essiccamento consiste in un meccanismo di polimerizzazione con formazione di una rete tridimensionale. Questi oli erano usati già dai romani, la trasparenza della pittura ad olio era usata per ricoprire di un sottile strato di rosso (velatura) l’oro per farlo sembrare più brillante. Allora quale fu la “grande scoperta” di Van Eyck ? In pratica si rese conto che il procedimento di velatura poteva avere un enorme valore per l‟artista, si potevano ottenere colori profondi, ricchi e stabili, mai eguagliati dalla sola tempera all‟uovo. Egli stese i colori ad olio su un fondo a tempera abbinando la l’asciugatura rapida di quest’ultima alla possibilità di mescolanze offerte dagli oli. Il processo di polimerizzazione è determinato dalla reazione dell’ossigeno atmosferico con le catene di acidi grassi presenti negli oli formando specie radicaliche molto reattive (RO• e ROO•) con una serie di reazioni a catena: Nell’olio ogni particella di pigmento è isolata da uno strato di fluido, per cui pigmenti che nella tempera possono reagire tra di loro, sono combinati stabilmente nell’olio. Il fatto che asciughi lentamente permette di sfumare i toni e i contorni, cosa che si addice particolarmente alla rappresentazione delle tonalità della pelle. L’indice di rifrazione dell’olio è diverso da quello del tuorlo d’uovo: i pigmenti non mantengono necessariamente lo stesso colore. Moretto, San Francesco di Paola (1550 circa, collezione privata, Brescia), dipinto a olio su rame La pittura a olio può essere eseguita su supporti vari: sin dal Trecento, come riferisce il Cennini, si usano tavole di legno, fino alla comparsa, nel secolo successivo, delle tele. La tela, come è noto, aveva il pregio della leggerezza e della relativa semplicità di preparazione, affermandosi nel corso del XVI secolo come supporto privilegiato per la pittura. Altri supporti, più rari, sono il cuoio, diffuso nella Venezia del XVI secolo, il rame, o la carta, di solito adeguatamente preparati per permettere ai colori di fissarsi saldamente alla superficie; oggi si trovano in commercio cartoni telati o carte speciali, a grana grossa e con scarsa permeabilità. Infine, sono usati anche altri materiali, soprattutto per fini decorativi: metalli (oro, argento, platino), dipinti in modo tale da non coprire del tutto lo sfondo, per sfruttarne la brillantezza in giochi di trasparenza o alternanza luminosa; pietra (marmi, ardesia etc.); seta; vetro; legni, preziosi per l'effetto decorativo delle loro venature. Solitamente, si preferisce dipingere su uno strato di imprimitura che renda uniforme il supporto e che limiti l'assorbimento dell'olio, per lavorare con facilità il colore. L'imprimitura più usata, fin dai secoli passati, è il gesso, mescolato con colla, di caseina o di coniglio, e una piccola parte di olio di lino cotto: la miscela deve essere densa per formare spessore, ma allo stesso tempo abbastanza fluida da poter essere stesa. Questa imprimitura può essere utilizzata sia sulle tele che sulle tavole. Spesso, soprattutto in epoca antica, l'imprimitura era distribuita su più strati, applicati in maniera ortogonale tra l'uno e l'altro (ad esempio uno dall'alto al basso e uno da destra a sinistra, ecc.)[1]. Talvolta, su questa preparazione bianca o chiara si stendeva un ultimo strato colorato, o un velo d'olio[1]. Questo accorgimento facilitava la realizzazione successiva di un disegno preparatore a chiaroscuro, in cui alla tonalità media di base occorreva aggiungere i chiari e gli scuri che creavano effetti di plasticità e volume, o particolari effetti di luce. La carta o il cartone possono essere preparati con una stesura di olio di lino cotto, colla, vernice, oppure con i residui di colori a olio presenti sulla tavolozza, ben impastati. Oggi si trovano in commercio imprimiture acriliche, chiamate impropriamente "gesso", poiché sono composte da medium acrilico e bianco di titanio. Anonimo Le storie di Giona, VI secolo Basilica di Aquileia Il mosaico è una decorazione parietale o pavimentale ottenuta accostando e variamente componendo cubetti, o frammenti colorati di pietra, vetro e simili. I primi mosaici dai requisiti formali degni di un'opera d'arte risalgono all'antica cultura egea, che impiegava questa tecnica essenzialmente per le pavimentazioni: tradizione questa, che si protrasse sino all'epoca romana. Nel periodo bizantino il mosaico raggiunse, utilizzando al massimo le possibilità cromatiche delle tessere in vetro fuso, quella raffinatezza tecnica e formale che magistralmente interpretò lo stile dell'epoca. I colori, quasi sempre di tonalità calde (rossi, ocra bruni, oltre a nero) erano pigmenti ricavati da minerali e vegetali presenti nell'ambiente: ossidi di ferro e manganese per la gamma dall'ocra scuro al giallo. Il nero si otteneva con il carbone e fuliggine, il bianco con terre argillose. I pigmenti si ottenevano da tali sostanze minerali e vegetali, e dopo essere state macinate e ridotte in polvere (mediante lo sfregamento di pietre levigate) venivano conservati in conchiglie o ossa cave. Potevano essere usati a secco, fregati direttamente sulle rocce, similmente agli odierni disegni a carboncino o gessetto, o liquidi, mescolati con acqua, applicati con le dita o con pennelli fatti con piume, fibre vegetali, bastoncini appuntiti (pittura vera e propria). Altre tecniche già usate erano quella della tamponatura, dello spruzzo mediante cannucce, e dello stampo (una specie di timbratura). A queste si aggiunge la tecnica dell'incisione, un procedimento a metà tra il disegno e la scultura, che consisteva nell'incidere in profondità le pareti rocciose mediante pietre scheggiate e appositamente appuntite. I contorni delle figure potevano essere incisi o colorati e sono presenti anche vari esempi di tecniche miste. La conservazione di questi dipinti antichissimi è dovuta all'umidità delle rocce: l'evaporazione permette la cristallizzazione dei carbonati in un naturale processo di fissaggio dei colori. I colori utilizzati erano pigmenti naturali : minerali terrosi come le ocre per i colori dal giallo chiaro ( limonite ) al rosso chiaro ( ocra rossa , ematite )al bruno scuro ( ocra rossa mescolata al biossido di manganese ) , il nero venita fatto con carbone di legna o il biossido di manganese. Il blu e il verde non sono documentati nell' arte paleolitica , il giallo e il bruno sono più rari rispetto al nero e al rosso. Ai colori si univa un legante : acqua , grasso animale , uova. Il colore veniva steso con un pennello ( il suo uso ha lasciato tracce ben visibili ) , con le dita ( su alcuni dipinti si notano le impronte digitali ) e con la tecnica dello "spruzzo" : l' ocra rossa o gialla veniva masticata e poi soffiata o sputata sulla parete , in modo da ottenere un riempimento della figura a tinta piena , oppure poteva essere eseguita riempiendo un tubicino di osso riempito di colore. Nello strato pittorico sono i materiali che contribuiscono maggiormente al “colore” Il potere coprente o opacità di un pigmento dipende da diversi fattori: -Granulazione del pigmento (minore la dimensione delle particelle del pigmento, maggiore è il fenomeno di diffusione della luce → opacità) - Indice di rifrazione del pigmento rispetto all‟indice di rifrazione del medium - Tonalità del colore del pigmento - Concentrazione del pigmento nel medium : prevale l’indice di rifrazione nel determinare il potere coprente : prevale l’assorbimento selettivo : tutti i fenomeni avvengono contemporaneamente