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02° Zadankai 20 gennaio 11

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02° Zadankai 20 gennaio 11
TRATTO DAL NUOVO RINASCIMENTO N°364!
20 GENNAIO 2011
ZADANKAI
Questa volta decido io!
La decisione di agire o, al contrario, l'incapacità di farlo, viene attribuita con facilità
all'esterno: la responsabilità è dell'ambiente che ci costringe a fare cose che in realtà non
vorremmo o che non ci sostiene abbastanza nelle nostre iniziative. Un'esperienza vissuta sulla
propria pelle può portare alla scoperta di cosa significhi "alzarsi da soli" e trovare, su questa strada,
un nuovo modo di interagire con gli altri.
di Marine!a Giangreco
«Solo Toda, fra tutte le persone che erano intervenute alla cerimonia, si alzò, pronto ad assumere la
guida e a diffondere la Legge suprema. Quella sera egli aveva pronunciato il suo primo appello per kosen-rufu. Era una data storica. In quel momento nessuno riusciva a comprendere la sua determinazione
straordinaria, ma negli anni seguenti essa avrebbe prodotto dei grandi risultati nella crescita della Soka
Gakkai, visibile agli occhi del mondo. I suoi discepoli, in quel momento, stavano solo desiderando di
fare ritorno a casa, soddisfatti di aver ripagato con la cerimonia i loro obblighi di devozione. L'aria del
cielo autunnale era limpida e penetrante, proprio come le riflessioni di Toda. Le stelle brillavano, quasi
applaudendo le future vittorie. Di tanto in tanto delle gelide folate scuotevano i rami degli alberi e le
finestre, preannunciando l'inverno. In una occasione Schiller scrisse: "Colui che è forte e si alza da solo
è davvero un uomo coraggioso"» (RU, 1, 139). Il quinto capitolo del primo volume della Rivoluzione
umana di Daisaku Ikeda si intitola Alzarsi da soli, un'espressione usata frequentemente fra i membri
della Soka Gakkai e che trova ispirazione dal comportamento coraggioso di Josei Toda, il secondo presidente, e Nichiren Daishonin. Il Daishonin, oltre ad aver vissuto in prima persona la realtà di esiliato
in molti scritti incoraggia i discepoli a sviluppare un'identità forte, capace di resistere alle tempeste
della vita, e, nel contempo, a coltivare e nutrire l'ambizioso ideale di kosen-rufu. Nel commentare
L'apertura degli occhi, il presidente Ikeda scrive: «Lungo tutto il corso della storia umana ci sono stati
santi e saggi che hanno coraggiosamente sopportato attacchi e oppressioni. Tra di loro Nichiren spicca
per avere dichiarato il suo intento di salvare tutta l'umanità e avere assicurato il sentiero per l'Illuminazione mentre si trovava in esilio nelle condizioni più dure. "Io sarò il pilastro del Giappone", gridò
indomito. Nessuna persecuzione e nessuna forza demoniaca potevano impedirgli il compimento del
suo voto di condurre tutte le persone all'Illuminazione. Un individuo risvegliato all'intrinseca Legge
della vita può davvero diventare un gigante dello spirito umano» (BS, 106, 40).
GRUPPO PROMONTORIO!
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TRATTO DAL NUOVO RINASCIMENTO N°364!
20 GENNAIO 2011
INSIEME MA DA SOLI
Alzarsi da soli non è un vero e proprio principio buddista e poco è stato scritto a questo proposito. Il
termine alzarsi da soli è stato tradotto dall'inglese stand up alone che letteralmente significa: stare in
piedi da soli, prendere posizione da soli. Esprime la difficoltà e il senso di solitudine che provava Josei
Toda, nel primo dopoguerra quando si trovò, all'uscita dal carcere, ad affrontare quello che era rimasto
della Soka Gakkai. Toda aveva vissuto un'esperienza molto intensa in prigione che gli aveva permesso di
rinnovare profondamente la sua convinzione, ma si sentiva ancora incapace di condividerla con le persone che lo circondavano, come se gli altri non
potessero capire. E lui continuava caparbiamente a dialogare e a ricevere calorosamente
anche chi aveva abbandonato la pratica buddista durante la guerra, incoraggiando tutti
senza alcun giudizio, fra lo stupore dei responsabili del tempo. Spesso si sentiva solo,
tanto da identificarsi nel detto orientale "il
leone non cerca mai compagni". Ma questo
divenne proprio il suo punto di forza: imparò
a non aspettare che gli altri risolvessero i
suoi problemi, ricostruissero l'organizzazione distrutta o trovassero la giusta strada per
diffondere il Buddismo. «Devo essere un
leone!» fu la sua conclusione (vedi RU, 1, 138).
Questa condizione di dover decidere da soli,
senza l'appoggio degli altri, a un primo impatto può dare l'idea della solitudine e dell'isolamento, ma in realtà questa forte presa di posizione individuale - per inciso to stand up for in inglese vuol dire proprio "prendere posizione", levarsi a difendere ciò che si ritiene giusto - è proprio il presupposto indispensabile per un incontro autentico con gli altri. Mi spiego meglio. Nella proposta di pace
2006 Ikeda afferma: «Benché si parli di "società intessuta di buone relazioni" o di "persona che ha relazioni sociali", chi attiva tutto ciò è, in ultima analisi, il singolo essere umano. Se in ogni individuo mancasse l'intenzione e l'aspirazione a partecipare e a portare avanti tali relazioni a partire da sé, anche la
società nel suo complesso non potrebbe continuare a esistere. Invece di cadere facilmente in una "individualità libera" o in una individualità assolutamente spoglia, colta nella sua più assoluta "nudità", ritengo piuttosto che sia ormai divenuta pressante l'esigenza di una base, di un punto di appoggio su cui forgiare attivamente e intenzionalmente una "individualità salda"». Questa "individualità salda" di cui parla
Ikeda mette a fuoco l'esigenza di chiarire la relazione fra il singolo e l'ambiente, fra le decisioni che ciascuno di noi prende e ciò che il proprio ambiente presenta come esigenze fondamentali. Sviluppare questo tipo di consapevolezza richiede il superamento di alcuni scogli: da una parte c'è la difficoltà di imparare a conoscere e a esprimere pienamente se stessi, dall'altra quella di superare l'illusione della separatezza per comprendere che è impossibile una felicità indipendente dall'ambiente. Insomma, quanto incide nelle nostre decisioni, il parere altrui e il rapporto con il nostro ambiente? Sapere davvero chi siamo
e ciò che vogliamo è davvero difficile. Eppure, solo essendo se stessi fino in fondo si può riuscire a superare la separazione dal proprio ambiente senza eliminare la propria individualità. Ikeda ci incoraggia a
cercare una comprensione della realtà molto più profonda che richiede lo sforzo di fare emergere qualità
di umiltà e rispetto insieme alla capacità di rivedere il proprio punto di vista, e ciò non è sinonimo di
debolezza.
IO E GLI ALTRI
Qualche anno fa ho avuto modo di verificare questo personalmente. Dopo svariati anni ho attraversato
un momento in cui ho visto crollare le mie aspettative e la fragile impalcatura sulla quale avevo costruito
i miei ideali. Ero molto giovane quando ho iniziato a praticare il Buddismo e questa scelta, così come
quella di voler realizzare kosen-rufu, si è rivelata negli anni forse l'unica scelta vera, la più sentita della
mia vita.
GRUPPO PROMONTORIO!
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TRATTO DAL NUOVO RINASCIMENTO N°364!
20 GENNAIO 2011
Ciononostante avevo, col tempo, stravolto un po' il significato di questa decisione, fino ad arrivare a illudermi che il solo fatto di continuare a recitare Daimoku e a svolgere diligentemente i compiti che mi venivano richiesti nell'organizzazione fosse sufficiente. Fortunatamente ho potuto comprendere che stavo
sbagliando. Tutto ciò avvenne grazie a un cambiamento nella responsabilità. Lì per lì non ebbi alcuna reazione visibile, ma nel giro di poche ore si fece strada dentro di me un dolore impossibile da descrivere:
«Quindi gli altri non credevano in me... Possibile che non avessero capito quanto avevo investito nell'attività buddista? A che cosa erano valsi tutti i miei sforzi?» iniziai a ripetermi. Questa sofferenza mi spinse
davanti al Gohonzon; recitando Daimoku e studiando il Buddismo (in particolare un DuemilaUno sui
dieci eserciti del demone) ho potuto fare a brandelli la mia maschera da wonder woman e fare emergere
forse per la prima volta in maniera così prepotente, la vera me stessa. Ho visto da dove nasceva quel bisogno di essere perfetta, ho perfino rivisitato la mia infanzia, ho provato una grande compassione verso me
stessa e la vita e mi sono sentita libera e piena di gratitudine per esistere, così come ero. Con tutti i lati
oscuri, senza i quali è impossibile manifestare la luce. Non era certo nascondendoli a me stessa che potevo illudermi di non averli, ma riuscii a provare gratitudine davanti al Gohonzon perché grazie a loro potevo ricercare e manifestare la natura pura e illuminata che è presente in me come in tutti gli esseri viventi... Proprio come la figlia del re Drago! Sono dovuta ripartire dalla mia singola decisione che doveva rispondere alla domanda impellente: «Cosa voglio fare davvero? E perché?». Questo ha significato per me
"alzarmi da sola". E così, in maniera del tutto naturale, ho cominciato a scoprire un modo nuovo e più
vero di rapportarmi al mondo, in famiglia, con i membri, con le persone in generale e perfino con l'ambiente naturale, basato sul rispetto, la condivisione, la solidarietà. Inutile dire che in quel breve periodo
in cui mi sono occupata di un piccolo ambito di persone della mia città, abbiamo realizzato una crescita
esponenziale e che ho potuto finalmente "ricongiungermi" alla mia famiglia d'origine come non avevo
mai fatto prima. Così ho potuto sperimentare che ogni passo fatto alla conquista di se stessi, porta a scoprire la grande gioia di stare con gli altri. L'ideale di kosen-rufu tende allo sviluppo e alla felicità di ciascun
individuo e, proprio per questo, richiede la piena espressione della propria individualità. Decidere in
prima persona, senza aspettare che sia l'ambiente a farlo per noi, credo che sia "alzarsi da soli". Solo se la
motivazione interiore è forte è possibile superare le difficoltà che sorgono dalle differenze. Lo scopo del
Buddismo non è quello di rimanere da soli o attorniarsi di una cerchia di sostenitori, bensì quello di
estendere una rete di relazioni umane quanto più vasta possibile fino ad abbracciare l'umanità intera.
DIVENTARE AUTONOMI FA PAURA
Erich Fromm, nel libro Fuga dalla libertà, ripercorre la storia della società per spiegare quanto il processo
di conquista di autonomia dell'individuo sia ostacolato dall'interno, dagli stessi esseri umani. Egli spiega
che l'uomo, da sempre spinto alla ricerca della libertà da restrizioni esterne, quando si trova a doversi
basare sulle proprie forze viene colto da un senso di insicurezza e di isolamento che lo spinge a cercare
dei meccanismi di fuga. Si cerca così qualcosa o qualcuno a cui delegare le proprie responsabilità e si sviluppano rapporti di sottomissione o di dipendenza. Oppure si può tentare di rendere gli altri dipendenti
confondendo i sentimenti di amore o benevolenza con il bisogno di dominio che nasce dalla propria instabilità interiore. A volte ci si spinge al punto di rinunciare al proprio io e si sviluppa uno "pseudo-carattere", uno "pseudo-pensiero" e perfino degli "pseudo-sentimenti". Spinti dal senso del dovere, dalle convenzioni o da semplici pressioni, si arriva al punto di dimenticare chi siamo, e cosa vogliamo veramente.
«Le illusioni su se stessi possono diventare stampelle utili a coloro che non sono in grado di camminare
da soli; ma aumentano certamente la debolezza della persona. Quanto maggiore è l'integrazione della
personalità dell'individuo, e quanto maggiore è quindi la sua limpidezza verso se stesso, tanto più grande
è la sua forza». Se non ci si aspetta niente dagli altri è più facile perseverare, altrimenti, se siamo spinti
dal bisogno di approvazione, basterà che ci venga negata per crollare. Se invece possiamo "stare in piedi
da soli" non abbiamo bisogno di alcun consenso esterno, non siamo spinti a conformarci per sentirci più
sicuri. La realizzazione dell'unità di "diversi corpi, stessa mente" (itai doshin) diventa allora anche il risultato naturale degli sforzi volti a manifestare le singole identità. A quel punto non si percepisce più la differenza in termini di superiorità e inferiorità o di giudizio o di qualunque classificazione in ruoli, ma ci si
sente spinti verso gli altri da un profondo spirito di uguaglianza e di solidarietà. In definitiva si potrebbe
dire che chi si alza da solo in realtà non rimane tale ma, al contrario, trova compagni. Più di quanti possa
immaginare.
GRUPPO PROMONTORIO!
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