Attraverso il sudore, l`uomo deve ancora vedere la bellezza del
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Attraverso il sudore, l`uomo deve ancora vedere la bellezza del
Attraverso il sudore, l'uomo deve ancora vedere la bellezza del lavoro, come attraverso le stille della pioggia si forma la consolante visione dell'arcobaleno. C'è, a questo proposito, l'esempio di tre differenti risposte, date da tre uguali lavoratori, ai quali venne chiesto che cosa facessero. “Non lo vedi – rispose il primo, curvo e sudato sotto il peso d'una grossa pietra – sudo e fatico in questo durissimo lavoro”. Il secondo, rialzandosi sulle reni dolenti, “Lavoro – disse – per guadagnarmi il pane quotidiano e mantenere con stento la mia famiglia”. Il terzo, volgendo lo sguardo al lavoro già compiuto, per quanto anch'egli stanco e sudato, ebbe la forza di un sorriso di compiacimento. “Ecco – rispose – stiamo costruendo una bella cattedrale”. Il primo non sentiva del lavoro che l'aspra condanna della fatica. Il secondo sentiva nel lavoro il prezzo del proprio sudore, per il dovere di guadagnarsi da vivere e di mantenere la propria famiglia. Ma il terzo, più fortunato dei suoi compagni, pur avvertendo la fatica, pur apprezzando il guadagno che ne derivava, era ancora capace di percepire la bellezza dell'opera alla quale contribuiva col proprio lavoro. Egli vedeva, con intima gioia, crescere dinanzi a sé una bella cattedrale; e sono tutte cattedrali le opere del lavoro, anche le più modeste, anche le più vili, quando siano rese sacre dalla coscienza di compiere una missione. (da Piero Bargellini, Il libro degli esempi) George Gray Molte volte ho studiato la lapide che mi hanno scolpito: una barca con vele ammainate, in un porto. In realtà non è questa la mia destinazione ma la mia vita. Perché l'amore mi si offrì e io mi ritrassi dal suo inganno; il dolore bussò alla mia porta, e io ebbi paura; l'ambizione mi chiamò, ma io temetti gli imprevisti. Malgrado tutto avevo fame di un significato nella vita. E adesso so che bisogna alzare le vele e prendere i venti del destino, dovunque spingano la barca. Dare un senso alla vita può condurre a follia, ma una vita senza senso è la tortura dell'inquietudine e del vano desiderio – è una barca che anela al mare eppure lo teme. (da E.L. Masters, Antologia di Spoon River, trad. di F. Pivano, Einaudi) Allora un contadino domandò: Parlaci del Lavoro. Ed egli rispose, dicendo: Voi lavorate per seguire la terra e la sua anima. Poi che oziare è allontanarsi dalle stagioni e dal corso della vita, che solenne e fiera e vinta procede all'infinito. Voi dite che il lavoro è maledetto e la fatica una sventura. Ma io vi dico che mentre lavorate si compie la parte più remota del sogno della terra, che vi fu dato quando la terra nacque. Così vivendo di fatica, voi amate in verità la vita. E amando la fatica della vita, voi ne capite il segreto più profondo. Fu anche detto che l avita è oscurità, e la vostra debolezza ripete le parole dei deboli come un'eco. E io vi dico invero che la vita è oscurità se non vi è slancio. E ogni slancio è cieco se privo di sapienza, e ogni sapienza è vana senza agire, e ogni azione è vuota senza amore, e lavorare con amore è un vincolo con gli altri, con voi stessi e Dio. Sovente vi ho udito parlare, come diceste in sonno: chi scolpisce il marmo, forma la sua anima nel sasso, è più nobile di chi ara i campi. E chi dipinge sulla tela rubati arcobaleni in un'effigie umana, è più di chi foggia sandali per i nostri piedi. Ma io vi dico che il vento, nel desto e pieno mezzogiorno e non enl sonno, parla dolcemente alle giganti querce come allo stelo più piccolo dell'erba. E' grande soltanto chi traveste la voce del vento in un canto ripetuto della dolcezza dell'amore. Il lavoro è amore rivelato. Se non potete lavorare con amore, ma esso vi ripugna, lasciatelo. Poiché se fate il pane, indifferenti, questo pane sarà amaro e non potrà sfamare l'uomo. E se premendo l'uva, in voi non c'è trasporto, nel vino la vostra ripugnanza distillerà veleno. E pure se cantate come angeli, ma non amate il canto, rendete l'uomo sordo alle voci del giorno e della notte. (da Gibran Kahlil Gibran, Il profeta, Trad. di G. Bona, Guanda)