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Presentazione Per usare le parole in modo appropriato

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Presentazione Per usare le parole in modo appropriato
Presentazione
Per usare le parole in modo appropriato
Succede talora, forse un po’ più spesso con il passare degli anni, di non
trovare con prontezza la parola giusta, per quella frase, in quel momento.
Succede a molti, ma sono coloro che sono abituati a un rapporto rispettoso con le parole, quelli che le scelgono con cura e precisione, che appaiono più infastiditi da queste piccole defaillance. Un “giro di termini”, guidato dall’esperienza e da un’abilità lessicale che proprio i più esigenti nella scelta delle parole hanno particolarmente sviluppata, risolve spesso il
problema. Ma una piccola disillusione rimane sempre.
L’esigenza di usare bene le parole probabilmente non si distribuisce,
nella popolazione generale, secondo la curva di Gauss. È influenzata, comunque, da fattori molteplici ed è certamente alimentata dallo studio, dalle letture, da fattori culturali di varia natura, e anche dall’attitudine alla riflessione. Spero che nessuno voglia pensare che stia conducendo questa
argomentazione per proporre l’ipotesi che gli uomini (e le donne) portati
all’azione e particolarmente abili a scegliere, tra le varie alternative, quella più efficace e più adatta al momento, abbiano invece più modeste abilità verbali. La questione, ovviamente, è assai più complessa di quella esprimibile secondo un gradiente riflessione-azione. Mi auguro anche che non
sia necessario ricordare il ruolo, anzi il peso e il potere delle parole, quelle dette e quelle scritte, nelle relazioni umane; meglio, per quanto riguarda quelle dette, l’importanza delle parole e dei gesti insieme, e delle loro
interazioni, talora coerenti, talora contraddittorie. Se una formazione culturale che affini le abilità che consentono di scegliere le parole giuste è importante per tutti, essa è fondamentale per quelli per i quali le relazioni interpersonali sono sostanziali e determinanti, e per quelli per i quali le parole, quelle dette e quelle scritte, costituiscono addirittura l’essenza del loro lavoro.
Scegliere bene le parole è, comunque, un esercizio critico che tutti dovremmo fare, un esercizio di rigore, che aiuta a svolgere e sviluppare il
pensiero che sta dietro le parole e ad accrescere il “pensiero critico”.
Massimo Cacciari ha detto che un pensiero degno di questo nome non si
limita a descrivere lo stato delle cose; è pensiero che parte dallo stato delle cose per decostruire e cambiare, è “pensiero critico”. Oggi circolano, invece, molte volgarità pseudoculturali, “pensieri dell’adattamento”.1 Ha poi
aggiunto che, se è vero che il pensiero, di per sé, non muove assolutamente nulla, è vero altresì che il “pensiero critico” aiuta a capire e a modificare, quando ciò è necessario, la realtà.1 Il “pensiero critico” può dunque es-
Dizionario di psicologia e psichiatria
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sere un volano del cambiamento. Ma non possiamo ignorare, assieme a
quella di un “pensiero critico”, un’altra esigenza, vale a dire quella di un
“pensiero chiaro”. J.L. Austin, filosofo inglese, ha spiegato che ciò che è
proprio del “pensiero chiaro” filosofico è produrre un quadro più compiuto ed esauriente del reale significato di concetti complessi dai quali deriviamo il senso del mondo che ci circonda.2 Per promuovere il “pensiero
critico” e per incoraggiare il “pensiero chiaro” è importante, anzi è essenziale, favorire e sostenere un uso rigoroso delle parole.
Io considero il rigore un principio etico. Dall’altra parte c’è l’approssimazione, che tradisce l’attitudine a considerare le cose in modo superficiale, ad “aggiustare” discorsi, pensieri ed opinioni a seconda delle circostanze e, talora, delle mutevoli convenienze. Qualcuno potrebbe considerare
questa seconda attitudine, l’approssimazione, che è evidentemente alternativa al rigore, in qualche modo vicina alla flessibilità. Io penso invece che
la flessibilità, che spesso rappresenta una risposta matura alle sfide che la
vita ci propone ogni giorno, debba, essa stessa, essere esercitata con rigore, perché rappresenta una sorta di (mi si perdoni il riferimento a termini
statistici) “intervallo di confidenza”, che ha appunto limiti definiti e non
estensibili a piacere, a seconda delle circostanze.
Tra le discipline che richiedono, anzi esigono, al tempo stesso un “pensiero critico” ed anche un “pensiero chiaro” sugli argomenti dei quali si occupano, in quanto immerse in difficoltà concettuali del tutto peculiari, c’è
la psichiatria. Se, da questo punto di vista, è la filosofia la principale disciplina “alleata” della psichiatria, quella cioè in grado di fornirle un contributo determinante per lo sviluppo sia di un “pensiero critico” sia di un
“pensiero chiaro”, la complessità del compito ci conferma l’esigenza che
si cominci a far chiarezza con le parole. Pascal diceva che “parole organizzate in modi diversi hanno diversi significati, come significati organizzati in modi diversi hanno diversi effetti”.3 Bisogna insomma comprendere e scegliere con cura le parole, i componenti di base dei pensieri e dei significati, per interpretare e comunicare bene questi ultimi.
“Pensiero critico”, “pensiero chiaro” e rigore, oppure “pensiero dell’adattamento” e approssimazione.
Ricordo, per fare riferimento a uno dei miei settori di interesse, la pubblicazione da parte di N. Krieger, Professore all’Harvard School of Public
Health,4 di un breve e utilissimo glossario di epidemiologia sociale.
L’epidemiologia sociale, termine utilizzato per la prima volta, in lingua inglese, nel 1950, “si distingue per la sua insistenza nello studiare in modo
esplicito i determinanti sociali della distribuzione nella popolazione della
salute, delle malattie e del benessere, invece che di trattare questi determinanti come meri fattori che fanno da sfondo ai fenomeni biomedici”.4
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Presentazione
Ebbene, Krieger ha discusso con grande lucidità, in quel breve glossario,
il significato di termini e di concetti diversi (un po’ più di una ventina,
elencati in ordine alfabetico), come ad esempio “discriminazione”, “teoria
eco-sociale della distribuzione delle malattie”, “povertà, deprivazione ed
esclusione sociale”, “classe sociale e determinanti sociali della salute”,
“disuguaglianza sociale”, ma anche “analisi multi-level”, fornendo punti di
riferimento preziosi per interpretare bene concetti non sempre chiari a tutti e non sempre intesi nello stesso modo. Tutti ricordiamo, d’altra parte, il
Dizionario di Politica di Norberto Bobbio e Nicola Matteucci.5 Strumenti
preziosi, questi come altri dizionari e glossari dedicati ad altre discipline,
di grande utilità per comprendersi e comunicare.
Le difficoltà di un uso appropriato delle parole crescono quando non ci
esprimiamo nella nostra lingua madre e sono tanto maggiori quanto meno
familiare è la lingua che stiamo usando. Nel mondo della scienza, a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, la lingua ufficiale è l’inglese.
Mentre non posso evitare di ricordare che spesso non si dà atto come si dovrebbe ai ricercatori che non sono di madre lingua inglese, dell’handicap
che devono superare per scrivere ed esprimersi in una lingua diversa dalla
propria, devo anche sottolineare come l’esigenza di esprimersi bene in
questa lingua imponga oggi a tutti uno sforzo. Le difficoltà sono più grandi per coloro che devono esprimere concetti con sfumature e ricchezze lessicali notevoli, come ad esempio gli psicologi, i sociologi, i filosofi, gli
psichiatri. L’uso di un vocabolario inglese-italiano e italiano-inglese è in
questi casi di grande aiuto, purché si tratti di uno strumento adeguato, di
buona qualità e sufficientemente specializzato.
Il volume di Hugo Bowles ci mette ora a disposizione un nuovo strumento, particolarmente accurato, per rendere meno gravoso agli psichiatri
e agli psicologi il superamento di quelle difficoltà. Sono lieto di raccomandarlo ai lettori italiani.
Michele Tansella
Università di Verona
1. Cacciari M. Intervento durante le esequie di Franca Ongaro Basaglia, Venezia,
16 Gennaio 2005.
2. Austin JL. A plea for excuses. Proceedings of the Aristotelian Society; 57: 1-30,
1956.
3. Shepherd M. Jean Starobinski. Lancet, April 4, pag. 798, 1987.
4. Krieger N. A glossary for social epidemiology. Journal of Epidemiology and
Community Health; 55: 693-700, 2001.
5. Bobbio N, Matteucci N. Dizionario di Politica (Redattore Gianfranco
Pasquino). UTET, Torino, 1976.
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