...

Lezione 15 Prestazioni degli endoreattori

by user

on
Category: Documents
44

views

Report

Comments

Transcript

Lezione 15 Prestazioni degli endoreattori
Lezione 15
Prestazioni degli endoreattori
E’ stato visto, per gli esoreattori, che la scelta del propulsore più adatto dipende dal particolare compito
richiesto al velivolo. Una situazione analoga si verifica per gli endoreattori, per i quali, per valutare le
prestazioni di un motore, bisogna anche studiare la missione che esso deve essere in grado di portare a
termine. Pertanto in questo capitolo, dopo aver esaminato quali sono i componenti principali comuni a
tutti gli endoreattori e la distribuzione della massa tra tali componenti, si studieranno gli aspetti principali
del moto di un veicolo propulso ad endoreazione, con l’attenzione rivolta alle manovre più comuni che
tali veicoli sono chiamati a svolgere. La stretta correlazione che sussiste tra le caratteristiche del sistema
propulsivo e le missioni che esso può esplicare fa sı̀ che sia necessaria un’analisi preliminare (per quanto
semplificata), che considera il moto di un razzo visto come punto materiale, per comprendere gli sviluppi
della progettazione di endoreattori.
La prima analisi semplificata, la più semplice, si riferisce al moto di un razzo 1 nello spazio, in assenza
di forze aerodinamiche e gravitazionali. Essa porta all’equazione di Tsiolkowski (detta anche ‘equazione
del razzo’), la cui validità può peraltro essere estesa a molti casi pratici, e che permette significative
considerazioni riguardo alle manovre che il veicolo può svolgere. Successivamente si accennerà al caso
reale, all’effetto delle forze aerodinamiche e a quello delle perdite gravitazionali. Si rimanda invece ad
un corso di meccanica del volo spaziale per l’analisi completa del moto, la quale può essere svolta grazie
all’integrazione numerica delle equazioni che lo descrivono.
15.1 Componenti degli endoreattori
A seconda del tipo di endoreattore considerato (termico, chimico, elettrico, a propellente liquido o solido,. . . ), i suoi componenti sono evidentemente diversi. Possiamo tuttavia individuare in ciascun endoreattore una parte dedicata all’immagazzinamento del propellente, una parte dedicata all’accelerazione
del fluido propulsivo, una parte strutturale in grado di trasmettere le forze tra le varie parti, una parte
costituita dal propellente stesso ed una parte costituita dal carico utile (o pagante, payload). A queste
parti si aggiungono poi quelle specifiche di ciascuna famiglia di endoreattori, e quelle relative al controllo e alla guida (sistemi di controllo e guida, motori di assetto, . . . ). Queste parti principali di un
endoreattore sono schematicamente illustrate in Fig. 15.1, dove il posizionamento e le dimensioni dei
blocchi all’interno del razzo considerato è puramente indicativo della presenza di masse attribuibili a
strutture, motore, carico utile e propellente all’interno del missile.
1
Nel corso di questo capitolo si intenderà con la parola razzo un qualunque veicolo propulso da endoreattori.
2
Lezione 15
Prestazioni degli endoreattori
Strutture e
Sistemi di Controllo
mp
3
mu
Figura 15.2: Distribuzione delle masse in un missile.
Carico Utile
Una volta introdotte queste definizioni è anche comodo, come si vedrà in seguito, introdurre alcuni rapporti adimensionali tra le masse attribuibili a ciascuna parte (carico utile, propellente, strutture) o stato
(iniziale, finale) del missile, in quanto le prestazioni del razzo dipendono dai rapporti tra le masse e non
direttamente dalle masse stesse. Questi rapporti sono talvolta definiti in maniera lievemente differente
(ma i concetti di fondo sono gli stessi); qui si adottano le definizioni:
Motore
Propellente
(15.2)
15.2 Equazione di Tsiolkowski (Ideal rocket equation)
Il moto di un razzo viene dapprima studiato sotto alcune ipotesi semplificative, la cui validità e il cui
superamento verranno discussi in seguito. Tale ipotesi sono:
Massa di Carico Utile o Payload Mass ( ) massa del carico pagante (satellite, sonda interplanetaria,
equipaggio, approvvigionamenti, stadio superiore, . . . );
Per quantificare le prestazioni di un razzo, è comodo introdurre alcune definizioni, ed in particolare
considerare la massa totale del razzo come la somma di quelle che possono essere attribuite a ciascuna
delle parti principali costituenti il veicolo. Prima di fare questo si precisa che per il momento si considera
il caso di un missile monostadio2 a singola accensione. Queste ipotesi semplificative, necessarie per
chiarezza in questa fase, potranno poi essere estese a casi più complessi. Si definiscono quindi (vedi
Fig. 15.1 e Fig. 15.2):
Schematizzazione delle parti principali che costituiscono tutti gli
che prendono il nome rispettivamente di rapporto di carico utile, rapporto di massa di propellente, raprisulta
porto di massa, mentre è detto coefficiente strutturale (indicato anche con ). Si noti che
necessariamente maggiore di uno, mentre gli altri rapporti sono tutti minori di uno. L’adimensionalizzazione della massa strutturale rispetto alla massa di propellente è dovuta al fatto che, nel caso (peraltro
è la parte più importante di , la massa strutturale
è costituita in larga parte dalla
usuale) in cui
struttura che contiene i propellenti, per cui
si può ragionevolmente considerare proporzionale a
,
attraverso un coefficiente che, come si ricava subito dall’ultima delle (15.1), è strettamente legato ad :
Figura 15.1:
endoreattori.
(15.1)
Massa di Propellente ( ) massa del propellente (stivato allo stato solido, liquido o gassoso) che viene
poi reso disponibile al motore come fluido propulsivo, dopo opportune trasformazioni (eventuali
residui non utilizzati vanno computati in );
Massa Strutturale o Inerte ( ) massa della struttura portante del veicolo, del motore, dei sistemi di
controllo e guida, delle strutture di immagazzinamento del propellente, di eventuali residui di
propellente, . . . : in sostanza, tutto ciò che non è né propellente, né carico utile;
Veicolo monostadio
Si vedrà successivamente l’opportunità di utilizzare veicoli multistadio. Qui basta ricordare che
per stadio si intende un’unità propulsiva completa.
Il propulsore viene acceso una sola volta
Questa ipotesi, pur non strettamente necessaria, semplifica alcune definizioni.
La direzione della spinta è allineata con quella della velocità
Questa ipotesi (peraltro nient’affatto scontata, vedi 15.3) consente di scrivere l’equazione del
moto del razzo in forma scalare anziché vettoriale.
) massa complessiva dell’endoreattore prima dell’accensione del moto;
2
Università di Roma “La Sapienza”
Corso di Propulsione Aerospaziale
) massa totale allo spegnimento del motore (indicata anche con
.
Massa finale o Burnout Mass (
risulta
(o totale
In seguito si parlerà di razzi multistadio. Qui è sufficiente ricordare che per veicolo monostadio si intende un veicolo
dotato di un’unità propulsiva completa.
);
La spinta è l’unica forza agente sul veicolo
Questa ipotesi, apparentemente molto restrittiva, può essere soddisfatta con buona approssimazione in alcune applicazioni reali in cui, pur essendoci altre forze agenti sul veicolo, la risultante delle
forze diverse dalla spinta è nulla (ad esempio, la risultante della forza di attrazione gravitazionale
e della forza centrifuga agenti su un satellite in orbita circolare è nulla).
Massa iniziale
re; risulta
Università di Roma “La Sapienza”
Corso di Propulsione Aerospaziale
4
Lezione 15
Prestazioni degli endoreattori
Come è stato visto in precedenza (Lezione 3) la spinta generata da un endoreattore può essere espressa
come
(15.3)
30
di
Isp=
Isp=
Isp=
25
nell’ugello corrisponde alla diminuzione nell’unità di tempo della massa
dove la portata
propellente rimasto a bordo, ossia
(15.5)
15
10
150 s
300 s
450 s
20
∆V=(km/s)
(15.4)
è la velocità di efflusso equivalente (o velocità di efflusso efficace), comprensiva del termine
e dove
impulsivo e del termine di pressione. Nel caso in esame in cui la spinta è l’unica forza agente sul razzo,
al generico istante in cui la massa del veicolo è , vale l’equazione della dinamica nella forma:
5
5
0 0
10
1
2
10
con
'
in funzione di
, derivata dalle definizioni dei rapporti di massa (15.1), si vede
*
(15.11)
12 /0
4
5
3
5
(
!
*
)
3
*7
)
!
6
e per
Università di Roma “La Sapienza”
Corso di Propulsione Aerospaziale
Università di Roma “La Sapienza”
3:
8 3
8 3
9
#
#
"
dove
ovviamente cresce con
,e
. La relazione tra
e
è mostrata graficamente
in Fig. 15.3, dove si può notare che è stata adottata una scala lineare per
, ed una scala logaritmica
per
. Risulta quindi evidente che missioni ad alto
richiedono rapporti di massa
molto
elevati, che rendono problematica la realizzabilità della missione (almeno con la soluzione monostadio
e . Manipolando la (15.9)
qui contemplata). La figura evidenzia anche la relazione lineare tra
(15.12)
quindi, anche per carico utile nullo, sussiste un limite nel
massimo che può essere ottenuto, dovuto al
fatto che è diverso da zero. La Fig. 15.4 riporta il
che può essere ottenuto, in funzione del rapporto
), con l’impulso specifico
di carico utile, per un assegnato valore del coefficiente strutturale (
come parametro. Analogamente, la Fig. 15.5 riporta il
che può essere ottenuto, in funzione del
coefficiente strutturale, per un assegnato valore del rapporto di carico utile (
), con l’impulso
specifico come parametro. L’introduzione dei rapporti di massa consente un’analisi di massima di
un razzo, senza specificare in dettaglio le masse delle singole parti (in particolare, il valore assoluto
delle masse in gioco diventerà importante solo quando si considererà l’effetto della forza aerodinamica).
!
(15.10)
(
*
)
è la variazione di velocità indotta sul veicolo sottoposto alla sola spinta,
è la massa
dove quindi
del veicolo prima dell’inizio della manovra e
è la massa del veicolo alla fine della manovra. L’equazione di Tsiolkowski è detta anche equazione del razzo (rocket equation). Se dunque l’obiettivo della
missione è quello di accelerare il veicolo (e cioè il suo carico utile) dalla velocità a nelle condizioni
ideali sopra descritte, si vede che ovviamente ciò può essere realizzato con una quantità di propellente
tanto più bassa quanto più è elevata la velocità di efflusso equivalente, od equivalentemente l’impulso
specifico. La forma (15.9) può essere riscritta come
4
!
, cresce la frazione della massa del razzo costituita da propellente.
che mostra che al crescere di
È importante osservare che nella (15.9) appare
, e non direttamente
, nell’argomento del
logaritmo. Quindi anche la massa delle strutture e del carico utile, oltre alla massa del propellente,
che il veicolo può realizzare. Nel caso limite in cui la massa del carico
influenzano il valore di
utile fosse nulla, e la massa delle strutture potesse essere ridotta a zero, il razzo sarebbe costituito
e
), per cui si avrebbe
, e quindi si potrebbe
esclusivamente da propellente (
conseguire un
. Nella realtà, le masse delle strutture e del carico utile determinano un limite
nel valore del
effettivamente conseguibile da un razzo monostadio. Per mettere in evidenza questi
limiti, si osserva che dalle definizioni dei rapporti di massa (15.1) si può ricavare che
e quindi la (15.9) può essere riscritta come:
(15.8)
Supponendo che
sia costante (come p. es. si verifica nell’operazione nel vuoto, essendo costante la
,
pressione ambiente), oppure che il suo valore sia ben rappresentato da un opportuno valore medio
si ottiene:
(Equazione di Tsiolkowski)
(15.9)
+
,
.-
()
che integrata dà:
attraverso la relazione
facilmente che
(15.7)
3
&
Figura 15.3: Equazione di Tsiolkowski, andamento di
come parametro.
%$
10
Km
(15.6)
Quindi la (15.5) si può riscrivere come:
10
dove è la velocità del razzo. Si osserva inoltre che la massa del razzo diminuisce nel tempo a causa
dell’espulsione del propellente e quindi:
Corso di Propulsione Aerospaziale
6
Lezione 15
Prestazioni degli endoreattori
7
10
ε=0.10
∆V=(km/s)
8
6
Isp=
Isp=
Isp=
4
150 s
300 s
450 s
2
0
0.2
0.4
Ku
0.6
0.8
in funzione di
per
&
%$
Figura 15.6: Andamento di (a destra) e
(a sinistra) in funzione di
per endoreattori a propellente liquido utilizzanti come combustibile un idrocarburo (linea piena)
o idrogeno (linea tratteggiata). (Adattato da [3, pag. 408]).
;
;
'
%$
Figura 15.4: Equazione di Tsiolkowski, andamento di
a parametro.
assegnato , con e
1
&
0
20
(15.13)
E’ stato osservato che si può ragionevolmente ritenere che la massa delle strutture e del motore,
,
sia proporzionale alla massa di propellente
. In realtà questa proporzionalità può essere considerata
prossimi ad uno,
valida solo se il razzo è costituito in larga proporzione da propellente, cioè per
corrispondenti a grandi incrementi di velocità. Per incrementi di velocità più contenuti i valori di
risultano invece più alti, ossia la massa delle strutture non dipende solo dalla massa del propellente,
ma anche dalle altre masse in gioco, vedi Fig. 15.6. Il coefficiente strutturale è in genere compreso tra
0.05 e 0.5 [2, 3]), ma è in genere più basso per razzi di grosse dimensioni (non superando solitamente il
valore 0.15). Per un endoreattore chimico a propellente liquido è una misura dell’abilità del progettista
nel progettare serbatoi e strutture di supporto leggeri. Negli endoreattori chimici a più alte prestazioni,
alimentati con idrogeno liquido come combustibile, i valori di risultano più elevati rispetto ad altre
soluzioni, per esempio ad idrocarburi, a causa della bassissima densità dell’idrogeno liquido (circa 70
kg/m , contro tipicamente 810 kg/m per un idrocarburo liquido), che richiede serbatoi voluminosi,
quindi pesanti, vedi ancora Fig. 15.6.
E’ utile ricordare qui gli ordini di grandezza dei valori generalmente assunti dagli altri coefficienti
richiesto e del conseguibile. Il rapporto di
introdotti, per quanto essi siano una conseguenza del
carico utile
tipicamente è compreso tra l’1 e il 20%. Il propellente nei lanciatori in genere costituisce
almeno metà della massa dell’intero veicolo, potendo arrivare fino al 90%, quindi
.
e
è strettamente dipendente dalla missione considerata e in
Anche il rapporto di massa, come
genere è
.
150 s
300 s
450 s
Isp=
Isp=
Isp=
10
∆V=(km/s)
15
Ku=0.05
0.15
in funzione di
per
Università di Roma “La Sapienza”
Corso di Propulsione Aerospaziale
Università di Roma “La Sapienza”
Corso di Propulsione Aerospaziale
>
=
8 3
9
=
3
=
?
=
L’analisi fin qui svolta sottolinea come sia importante contenere la massa delle strutture e del motore,
rappresentate insieme attraverso il coefficiente strutturale:
8 3:
9
'
Figura 15.5: Equazione di Tsiolkowski, andamento di
, con
a parametro.
assegnato
&
0.2
ε
0.1
<
0.05
;
0
%$
0
<
5
Lezione 15
Prestazioni degli endoreattori
9
L’equazione di Tsiolkowski è stata ottenuta sotto ipotesi piuttosto restrittive, per cui può sembrare
più utile dal punto di vista teorico che pratico. In realtà, si vedrà nei prossimi paragrafi che la sua validità
può essere facilmente estesa ad una gran parte delle manovre reali che gli endoreattori sono chiamati a
svolgere.
l’angolo d’attacco , inteso come l’angolo tra la direzione del moto e l’asse del missile, come parametro
(Fig. 15.8). L’angolo d’attacco, per un veicolo non alato, è in genere molto piccolo (al massimo 1 ).
G
@
8
15.3 Equazioni generali del moto di un veicolo propulso da endoreattore
@
L’equazione di Tsiolkowski è stata ricavata sotto alcune ipotesi: 1) veicolo monostadio; 2) il motore
viene acceso una sola volta; 3) la spinta è l’unica forza agente sul veicolo; e 4) la direzione della spinta
è allineata con quella della velocità. In questo paragrafo si vedrà come estendere la validità di (15.9)
anche ai casi in cui la spinta non sia l’unica forza agente sul veicolo, e non sia allineata con la direzione
della velocità. Va ricordato tuttavia che in alcune manovre (come si vedrà in seguito) la risultante delle
forze applicate sul veicolo è proprio la spinta e quindi la terza condizione è effettivamente soddisfatta.
Le forze che comunemente agiscono su un veicolo in volo sono la spinta, le forze aerodinamiche
. Per
e la forza di attrazione gravitazionale (Fig. 15.7). La spinta è stata espressa come
semplicità si fa ancora l’ipotesi che la spinta sia diretta lungo l’asse del veicolo, e che l’angolo di
incidenza aerodinamica possa essere considerato pari all’angolo tra il vettore velocità e l’asse del
veicolo (la situazione sarà invece in generale differente per un veicolo alato [5, pag. 127]). Inoltre, per
il momento supponiamo di trascurare il moto di rotazione della Terra (successivamente saranno viste le
implicazioni del moto di rotazione).
y
α=ψ−θ
L
F
ψ
V
θ
x
Figura 15.8: Coefficienti aerodinamici per un razzo vettore (da [5]).
D
"
@
H
W
"
"
La forza di attrazione gravitazionale che l’astro (nel cui campo gravitazionale si trova il razzo) esercita sul veicolo è invece proporzionale alla massa del veicolo stesso e all’accelerazione di gravità locale
(indicata con , da non confondere con la costante pari al valore di sulla superficie terrestre, vedi
15.4.1) ed è diretta verso il centro di attrazione gravitazionale. Si introducono gli angoli tra l’asse
del veicolo e l’orizzontale, e , tra l’asse del veicolo e la direzione della velocità, vedi Fig. 15.7, e di
conseguenza anche l’angolo
. Supponendo il moto piano (cioè che non ci siano forze al di
fuori del piano) si può riscrivere l’equazione del moto (Fig. 15.7):
Università di Roma “La Sapienza”
Corso di Propulsione Aerospaziale
N
M
L
K
(15.14)
I
Q
"
!T
D A
?
@
OPQ
R E
S
La componente della risultante delle forze lungo la direzione del vettore velocità dà luogo ad un’accelerazione del razzo
(15.15)
F
D A
C
B A
C
E
Le forze aerodinamiche sono, come di consueto, indicate come portanza e resistenza. La prima è la
componente nel piano normale alla direzione del moto della risultante delle forze aerodinamiche agenti
sul veicolo. La resistenza è invece la componente nella direzione del moto. Esse di solito sono espresse
in termini di coefficienti di portanza e resistenza che, per un veicolo di forma assegnata, possono essere
considerati funzione solo dell’angolo d’attacco e del numero di Mach di volo. Per i razzi vengono in
e
(riferiti all’area della sezione trasversale massima del veicolo ;
generale riportati grafici di
questa convenzione viene mantenuta anche per gli stadi superiori) in funzione del Mach di volo
con
J
@
H
I
Figura 15.7: Forze agenti su un missile in moto nell’atmosfera.
Università di Roma “La Sapienza”
Corso di Propulsione Aerospaziale
Prestazioni degli endoreattori
mentre si potrebbe dimostrare che la componente in direzione orogonale alla velocità produce come
effetto una deviazione della traiettoria
. La (15.15) può essere riscritta nella forma
conseguenti maggiori perdite. Dalla (15.19) si vede comunque che le perdite gravitazionali sono anche proporzionali a , per cui si può tentare di ridurre le perdite in questione adottando brevi tempi di
combustione. Questi comunque implicano non solo accelerazioni elevate, che impongono sforzi troppo
intensi alle strutture e alla strumentazione, ma anche portate di propellenti elevate. A tal proposito va ricordato che le dimensioni, ed ancor più i pesi, delle macchine capaci di trattare tali portate costituiscono
un vincolo importante. Infine elevate accelerazioni negli strati densi dell’atmosfera provocano elevate
perdite aerodinamiche. Tipici valori per per gli endoreattori a spinta elevata fin ad oggi realizzati
sono compresi tra 30 e 200 secondi. Per il vettore Ariane 3, le perdite gravitazionali per inserzione in
un’orbita di altezza 200 km ammontavano a circa 830 m/s, ma già per un’orbita di altezza 800 km erano
più di tre volte tanto (questa circostanza indica l’utilità della manovra di trasferimento alla Hohmann).
Complessivamente, le perdite propulsive per il vettore Ariane 3 per inserzione in un’orbita di 200 km
m/s. Nel caso più generale le perdite da
di altezza ammontavano a
considerare in un lancio in orbita bassa sono dell’ordine di
anche se possono essere
distribuiti in modo diverso tra perdite gravitazionali, aerodinamiche e di manovra, a seconda del tipo di
traiettoria. In particollae le perdite gravitazionali potranno assumere valori compresi tra
e
(circa).
"
Q
!T
I
I
!T
"
Q
3
:p
3
3
no
?
3
3
n
Q
3
3
?
r3
Corso di Propulsione Aerospaziale
Q
3
r3
3
3
n
p
(
3
q3
(
XY
Y
*
\
)
^ (
"
_ *
)
I
!T
"Q
I
Università di Roma “La Sapienza”
m l
*
]
^
\
)
a !T
"Q
I
è stato indicato un valor medio rappresentativo per prodotto
; ovviamente tradove con
iettorie di iniezione in orbite più alte comportano angolo (rispetto alla orizzontale locale) più alti, con
L’equazione di Tsiolkowski ha dunque un campo di validità ben più ampio di quello che apparirebbe
dalle condizioni restrittive che sono state ipotizzate per ricavarla. La prima di queste condizioni restrittive è quella sulla spinta, in quanto si era supposto che questa fosse l’unica forza agente sul veicolo. In
realtà è stato visto che introducendo le perdite aerodinamiche e gravitazionali si può ancora usare in ogni
caso la (15.9), purché si consideri
in luogo del
strettamente necessario per la manovra
considerata. Bisogna anche notare che per alcune manovre comuni non è neppure necessario considerare
(invece di quello ideale) in quanto la risultante delle forze diverse dalla spinta può essere
correttamente trascurata. Si tratta delle manovre dette impulsive e cioè caratterizzate da molto piccoli
(p.es.
), oppure di manovre nel vuoto ed in cui l’impulso è dato contemporaneamente
nella direzione del vettore velocità e in direzione perpendicolare alla forza gravitazionale. Queste ultime
manovre sono chiaramente possibili soltanto nel caso in cui la manovra viene effettuata in un punto in
cui forza gravitazionale e vettore velocità sono perpendicolari (p.es. in qualunque punto di un’orbita
circolare, nei punti di perigeo e apogeo di un’orbita ellittica, . . . , vedi 15.4.1).
Anche la condizione sulla singola accensione può essere facilmente rimossa purché si ridefiniscano
relativo ad una certa manovra che non consuma
opportunamente le masse in gioco. Se si considera il
tutto il propellente a bordo,
è la massa totale all’inizio della manovra e
quella a fine manovra.
La differenza
è il propellente consumato per la manovra. Il propellente che rimane a bordo ed è
necessario per manovre successive può essere incluso nel carico utile o nelle strutture, a seconda dei
casi.
necessari per le singole manovre si possono valutare in questo modo anche le masse
Sommando i
necessarie a svolgere un’intera missione che prevede molte accensioni, e non solo quelle necessarie ad
una singola manovra. Allo stesso modo si vedrà che la stessa equazione potrà essere usata per l’analisi
di missili a più stadi. Basterà considerare che ogni stadio è il carico utile del precedente (vedi 15.5).
In conclusione si può affermare che:
*
XY *
)
Y
\
_ *
)
XY *
)
*
Z
\
X]^
\
(15.19)
15.3.1 Importanza e impiego dell’equazione di Tsiolkowski
Y
*
)
Z
)
X[ YZ
V *
W
X
V *
W
X
X[ YZ
)
Y
)
*
Y
\
^ )
*
\ _
nel caso ideale
nel caso reale
(15.18)
Riassumendo, è evidente che nel caso reale, per realizzare la missione assegnata, il motore dovrà
risulta maggiore.
consumare una maggiore massa di propellente rispetto al caso ideale, poiché il
Per quanto riguarda l’entità dei vari termini di perdita che compaiono nella (15.17), occorre innanzitutto
osservare che il
sarebbe effettivamente molto piccolo nel caso finora considerato di ‘Terra
ferma’, essendo limitato alle piccole deviazioni del vettore spinta dall’asse del razzo che sono necessarie durante la fase di salita per guidarlo lungo la traiettoria desiderata. Se però si considera la rotazione
della Terra, la velocità assoluta del razzo risulterà essere la somma di una velocità relativa rispetto alla
Terra, ed una velocità di trascinamento dovuta al moto di rotazione di quest’ultima. In prima approssimazione, si può considerare che l’atmosfera ruoti solidalmente con la Terra; quindi, sarà opportuno
orientare l’asse del razzo secondo la direzione della velocità relativa, per minimizzare l’angolo di incidenza aerodinamica e quindi le relative perdite per resistenza (e sollecitazioni laterali, mal sopportate da
una struttura allungata come un razzo). Questo comporta però il sussistere di un angolo tra la direzione
della velocità assoluta e l’asse del razzo (e quindi la direzione della spinta), con conseguenti perdite di
manovra. Questo angolo è particolarmente importante nella prima fase del lancio, quando la velocità
relativa è bassa; in seguito diminuisce rapidamente, e può essere ridotto a zero una volta che il razzo è
sostanzialmente uscito dall’atmosfera. A titolo di esempio, per il vettore Ariane 3 le perdite di questo
tipo ammontavano a circa 800 m/s.
Le perdite aerodinamiche sono legate alla sezione frontale del razzo, quindi sistemi propulsivi che adottano propellenti a bassa densità (come l’idrogeno liquido, che richiede serbatoi voluminosi) daranno
luogo a perdite più importanti. Inoltre, il lancio di satelliti in orbite basse comporta un arco di traiettoria
entro l’atmosfera più lungo rispetto ad un lancio verso un’orbita alta, con conseguenti maggiori perdite
aerodinamiche. Per il vettore Ariane 3, tali perdite ammontavano a circa 120 m/s.
Al contrario, le perdite gravitazionali risultano più alte per lanci in orbite alte, ed anzi crescono molto
rapidamente con l’altezza dell’orbita. Questo può anche essere desunto osservando che
\
e
f
.ijj h g
cd
b
) k
Nel caso reale quindi, per conseguire la variazione di velocità desiderata, il rapporto di massa può essere
da considerare in tale equazione deve comprendere le perdite
ancora calcolato con la (15.9), ma il
dovute alle forze gravitazionali, aerodinamiche e di manovra:
s
7
*
]
\
^
a )
^
_ *
a\ `
)
\
X]^
(15.17)
)
!T
"Q
I
E
D A
U
R ?
@
OPQ
*
\
Z
X
X[ YZ
6)
V *
W
“perdite” dovute alla presenza di altre forze:
^ S
*
)
)
Integrando (15.16) lungo la traiettoria, si arriva per la variazione di velocità effettiva ad un’espressione
del tipo
I
(15.16)
11
Lezione 15
(
10
L’equazione di Tsiolkowski permette di conoscere quali devono essere i rapporti di massa
Università di Roma “La Sapienza”
Corso di Propulsione Aerospaziale
Prestazioni degli endoreattori
e una
13
una traiettoria di rientro, secondo le modalità desiderate. In genere sono richieste a questo scopo
modeste decelerazioni, tuttavia si tratta di
superiori a quelli richiesti per il controllo orbitale
e il mantenimento dell’assetto.
15.4 Manovre nello spazio
I più frequenti tipi di manovre che è necessario svolgere nello spazio possono essere classificati come
segue:
"
t
Lancio
Per lancio si intende l’accelerazione di un veicolo propulso da endoreattori a partire dalla superficie di un corpo celeste (che, se non specificato altrimenti, s’intende essere la Terra). L’obiettivo
della manovra di lancio è di porre il carico utile in una traiettoria balistica, un’orbita o una traiettoria di fuga dalla Terra. Questa manovra presenta alcune specificità ben definite. Ad esempio,
sicuramente non si potranno trascurare perdite aerodinamiche e gravitazionali, in quanto il volo
avviene in parte attraverso l’atmosfera (almeno nella prima fase) e l’energia potenziale gravitazionale aumenterà dovendo il vettore muoversi verso quote più elevate. Inoltre, il propulsore dovrà
perché il
essere in grado di fornire spinte elevate, infatti bisognerà che al decollo sia
veicolo posso sollevarsi dal suolo. Se ne deduce che il lancio può essere più o meno impegnativo
a seconda del pianeta, o satellite, da cui viene effettuato. Ad esempio, un lancio dalla superficie lunare è molto meno impegnativo rispetto ad uno dalla Terra, grazie alla ridotta attrazione
gravitazionale e all’assenza di perdite aerodinamiche.
Come si intuisce da questa breve descrizione, per poter quantificare i requisiti propulsivi delle manovre,
è necessario richiamare alcune nozioni di meccanica orbitale.
15.4.1 Nozioni essenziali di meccanica orbitale
Il moto di un satellite, o più in generale di un’astronave, è governato dalle stesse leggi che governano il
moto dei pianeti, tranne che per le (generalmente) brevi fasi in cui il sistema propulsivo del veicolo è in
funzione, producendo quindi una. Il moto di un’astronave (in un’orbita chiusa) in assenza di spinta, e al
di fuori dell’atmosfera terrestre, è dunque governato dalle leggi di Keplero, cosı̀ enunciate per i pianeti:
1. Le orbite dei pianeti sono ellissi, di cui il Sole occupa uno dei fuochi.
2. Il segmento che congiunge il sole e il pianeta spazza aree uguali in tempi uguali.
3. I quadrati dei tempi impiegati dai pianeti a descrivere le loro orbite (periodi orbitali) sono proporzionali ai cubi dei semiassi maggiori delle orbite stesse.
Queste leggi, ricavate empiricamente da Keplero tra il 1609 e il 1619, non sono altro che conseguenze
della legge di gravitazione universale introdotta successivamente da Newton nel 1687, che ha la forma
Università di Roma “La Sapienza”
Corso di Propulsione Aerospaziale
zy
S
w"
zy
S
w{
S
zy
u
S
x
x
S
a
w
x
w{
w
z
z y
w"
(
S
|
w{
v
S
S
w
v
w
dove è la costante di gravitazione universale (6.67 10 N m /kg ),
è la costante gravitazionale del corpo di attrazione, detta costante di potenziale di sorgente (p. es. la Terra per una satellite
l’accelerazione di gravità locale generata
terrestre o per la Luna, il Sole per i pianeti, . . . ),
dal corpo di attrazione, e è il versore del vettore , con direzione considerata positiva dalla massa
verso la massa
.
La dimostrazione delle leggi di Keplero può essere ricavata attraverso manipolazioni matematiche
della (15.20), ed esula dagli scopi di questo corso. Qui è importante ricordare che le conseguenze per
il moto di un’astronave possono essere enunciate in un senso meno restrittivo di quello delle leggi di
Keplero, che si interessavano solo al moto dei pianeti. Infatti, nel caso in cui il corpo è soggetto alla
sola forza di gravità e per il quale vale la (15.20), essendo la massa dell’astronave trascurabile rispetto a
quella del corpo di attrazione, si può scrivere:
J
Università di Roma “La Sapienza”
z y
{
x
x
S
S
z y
{
J
Rientro nell’atmosfera
Nel caso di veicoli, dopo un certo numero di orbite, devono rientrare a Terra per recuperare il
carico utile o per riutilizzati, è necessaria una decelerazione che permetta di passare dall’orbita ad
(15.20)
S
Correzione dell’inclinazione del piano dell’orbita
Se il lancio viene effettuato da una base non situata lungo l’equatore, sussiste un vincolo sull’inclinazione, relativa al piano equatoriale terrestre, dell’orbita che può essere ottenuta. Ne segue
che, per conseguire orbite equatoriali (come nel caso dei satelliti geostazionari), sarà necessario
dapprima lanciare il satellite in un’orbita di parcheggio inclinata, e poi bisognerà effettuare una
manovra per correggere l’inclinazione del piano dell’orbita. Si tratta di manovre che possono essere piuttosto costose, di qui l’interesse ad adottare una base di lancio quanto più vicina possibile
all’equatore.
w
J
Correzione orbitale
Spesso l’inserimento in orbita di un satellite viene effettuato in più fasi: si raggiunge dapprima
un’orbita intermedia (di parcheggio), e poi si effettua un trasferimento orbitale per raggiungere
quella finale. Le correzioni orbitali nella maggior parte dei casi vengono effettuati con manovre di breve durata in condizioni in cui il vettore
è perpendicolare alla forza gravitazionale
(per cui, almeno nell’approssimazione di manovra di durata tendente a zero, o come si usa dire,
‘impulsiva’, non si hanno perdite gravitazionali). Inoltre, poiché la manovra viene effettuata al
difuori dell’atmosfera, non si hanno perdite aerodinamiche. Pertanto, l’equazione di Tsiolkowski
associato a tali
permette di stimare abbastanza accuratamente i rapporti di massa necessari. Il
manovre, seppure inferiore a quella del lancio, è strettamente legato alla particolare correzione
richiesta.
Correzioni orbitali e controllo dell’assetto
Per effetto della pur debole resistenza indotta dall’atmosfera terrestre (per orbite di altezza limitata
ad alcune centinaia di chilometri), e per la presenza di perturbazioni gravitazionali dovute a cause
diverse (non sfericità e non omogeneità della Terra, attrazione dovuta alla Luna ed al Sole), è
necessario effettuare manovre correttive per compensare tali perturbazioni, e poter restare quindi
sull’orbita desiderata. Inoltre, è necessario avere la possibilità di controllare l’assetto del veicolo
(p. es. per mantenere l’antenna rivolta verso la Terra, e permettere cosi le comunicazioni). Tali
manovre sono effettuate con piccoli motori caratterizzati da piccole spinte, che però devono essere
applicate ripetutatamente durante la vita del satellite (anche migliaia di volte).
v
#
Y
^ )
necessari per compiere una missione assegnata, una volta noto il valore del
volta selezionata la soluzione propulsiva (quindi, il valore di ).
*
Lezione 15
\
12
Corso di Propulsione Aerospaziale
(15.21)
Lezione 15
Prestazioni degli endoreattori
15
‰
S
{
3
3
?
?
?
S
z
~
{
J
}
costante
L’esistenza di questa costante del moto (che poi è il momento angolare per unità di massa) implica
che il moto è piano.
x
x
x
(15.24)
quindi
I7
con
(15.25)
?
}
„
€
x
+
=
…†‡
z
J
e
+
€
\
x
*
)
*
+
€
x
)
+
Poiché
sono perpendicolari in questi punti si ha che:
…†‡
3.
come volevasi dimostrare.
Per calcolare il valore della costante , si può ricorrere alla prima conseguenza della (15.21) (
), supponendo che l’orbita sia ellittica (
). In tal caso si possono definire due punti dell’orbita,
il pericentro e l’apocentro cioè il punto più vicino e quello più lontano dal centro gravitazionale, in cui
la distanza dal centro gravitazionale può essere espressa in funzione del semiasse e dell’eccentricità
dell’orbita come:
(15.26)
„
I
+
+
ƒ
€
x
x
+
OPQ
3
Questa espressione per implica che la traiettoria è una conica, la cui forma definita tramite due
parametri, di cui il primo può essere, per un’ellisse, il suo semiasse maggiore ovvero, per una
parabola od un’iperbole, il semilato retto (distanza tra il fuoco della curva e la curva stessa,
misurata in direzione normale all’asse della conica); il secondo parametro è l’eccentricità . La
conica è un’ellisse, una parabola o un’iperbole (Fig. 15.9) a seconda che sia minore, uguale o
maggiore di uno. La posizione dell’astronave lungo l’orbita ad un dato istante è definita dal valore
di , che è l’angolo che forma il raggio vettore con il raggio vettore al pericentro (punto della
traiettoria di minima distanza dal centro gravitazionale; detto anche perigeo nel caso di orbite
terrestri, o più in generale periabside per orbite planetarie, e perielio per orbite solari).
„
6
‚
(
+
*
€
)
x
2.
S
{
„
S
1.
3
{
x
ˆ
‰
ˆ
‰
S
‰
S
ˆ
di conseguenza la precedente relazione diventa:
Dalla (15.21) si vede subito che il moto è indipendente dalla massa dell’astronave, ed inoltre si può
dimostrare (vedi p.es. [1]) che ne consegue che:
ˆ
14
L’energia meccanica totale per un’unità di massa, pari alla somma di energia cinetica e potenziale,
è costante.
a
a
b
A
r
F2
O
P
F1
c
ra
rp
circolare (e=o)
ellittica (e=0.75)
parabolica (e=1)
iperbolica (e=2)
w Š
Š
), pericentro
x
\ \
x
’
(15.27)
{
S
S
J
(
{
la (15.21) e ricor-
J
Si ricava qui solo l’ultima di queste tre relazioni. Moltiplicando scalarmente per
:
dando che
 Ž


Œ
Figura 15.9: Esempio dell’orbita circolare, di un’orbita ellittica, dell’orbita parabolica
e di un’orbita iperbolica passanti per uno stesso punto del campo gravitazionale.
), centro gravitazionale (
S
‹w Š
Figura 15.10: Orbita ellittica, fuochi (
(P) e apocentro (A).
\
€
+
€
Università di Roma “La Sapienza”
+
‰
si
+
ˆ
€
e quindi
— –
˜
” •
” “
{
{
\ ‰
ed
+
x
z
x
\ z
?
?
|
*
| J
)
J
ˆ
S
Corso di Propulsione Aerospaziale
(15.23)
+
z
|
x
<
|
<
x
J
|
Università di Roma “La Sapienza”
ed analogamente
in funzione di ,
Sostituendo le (15.26) in (15.27) si può ricavare ad esempio
ottiene:
— –
˜
” •
” “
{
3
|
|
si osserva allora che:
J
x
?\
{
z
J
J
3
J
J
{
z
J
x
?
‘
„
z
(15.22)
Corso di Propulsione Aerospaziale
(15.28)
16
Lezione 15
Prestazioni degli endoreattori
per passare da un’orbita bassa ad un’orbita alta (quindi caratterizzata da un semiasse maggiore più
grande) è necessario conferire energia. Infatti se viene fornito un
impulsivo (cioè in un intervallo
di tempo molto breve rispetto al periodo dell’orbita) nel punto di manovra, si consegue un’energia
meccanica
e quindi un semiasse maggiore
. Si può quindi determinare il
minimo
necessario per portare il veicolo su un’orbita di trasferimento che raggiunga (almeno in un punto) l’orbita
alta. In particolare tale orbita di trasferimento di minima energia dovrà essere un’orbita ellittica tangente
necessario per passare dall’orbita di
alle due orbite circolari di partenza e di arrivo. Per calcolare il
partenza all’orbita di trasferimento e quindi dall’orbita di trasferimento all’orbita finale, si ricorda che
la velocità orbitale per orbite circolari ed ellittiche è data da:
t›

{
orbita circolare
‰
(15.31)
orbita ellittica (di trasferimento)
€
x
?
ˆ
x
‘ 

  
 
velocità orbitale
—˜–
” •
” “
{
 

 
 œ
 Œ
=
3
t„
3
„
+
+t
3
„
Questi risultati possono essere estesi anche al caso di traiettorie paraboliche e iperboliche, per le quali
l’eccentricità assume rispettivamente il valore
, oppure valori
. Per le ellissi sarà
,
per traiettorie paraboliche;
mentre il semiasse maggiore per le parabola risulta infinito, il che dà
per le iperboli il semiasse maggiore risulta negativo, con la conseguenza che
per traiettorie
iperboliche. Incidentalmente, il fatto che per traiettorie paraboliche il semiasse maggiore risulti infinito,
e negativo per le iperboli, fa preferire l’uso del semilato retto precedentemente definito come parametro
per identificarne la forma.
€
€
„
„
+
{€
’
€?
„
t›
*
(15.29)
S
)
™
{
e quindi sostituendo le (15.26) e (15.28) in (15.27) si ottiene per le costanti dell’orbita in questione:
17
>
r Ÿ
?
ž
o
La valutazione del
necessario alla manovra di cambio di orbita attraverso un trasferimento alla
Hohmann viene descritta con un esempio: quello del trasferimento da un’orbita bassa (LEO=Low Earth
di quota all’orbita geostazionaria (GEO=Geosynchronous Earth Orbit ). L’orbita
Orbit ) a
Figura 15.11: Inclinazione del piano orbitale.
∆V=1466 m/s
z=35786 km (GEO)
Terra
š
Tra i diversi parametri che definiscono un’orbita, ne va ricordato uno che può avere un peso molto
. Si tratta dell’inclinazione del piano orbitale, misurata rispetto
importante nella determinazione del
ad un piano di riferimento (Fig. 15.11). Nel caso di orbita terrestre (detta anche geocentrica) il piano
di riferimento è quello equatoriale, mentre nel caso di orbite attorno al Sole (eliocentriche) il piano di
riferimento è quello dell’eclittica (piano dell’orbita terrestre). L’importanza di tale parametro è dovuta
al fatto che tra le orbite più interessanti e più utilizzate nel campo delle telecomunicazioni ci sono le
orbite dette geostazionarie, che, per essere tali, devono essere equatoriali.
x
„
€?
?
(energia cinetica + energia potenziale)
„
{
{
S
Ellisse di Hohmann
Corso di Propulsione Aerospaziale
(15.30)
¥
£¤ ¢
q¡
: geostazionaria è un’orbita circolare equatoriale di periodo orbitale pari a quello della rotazione della
ed ha la proprietà che il satellite in tale orbita rimane sempre nella
Terra attorno al suo asse3
stessa posizione rispetto alla superficie terrestre. La quota dell’orbita geostazionaria si può calcolare da
?o
Come primo esempio di manovra spaziale si considera un trasferimento da orbita bassa ad orbita alta,
tramite una manovra detta ‘alla Hohmann’ che comprende due manovre, la prima per passare dall’orbita
di partenza ad un’orbita di trasferimento (verso l’orbita finale), e la seconda da quest’ultima verso quella
finale. In particolare, si considererà il caso del trasferimento di un satellite in orbita terrestre da un’orbita
circolare a bassa quota ad un’orbita circolare a quota più elevata. Poiché l’energia lungo ciascuna orbita
è costante:
z=322 km (LEO)
Figura 15.12: Esempio di trasferimento orbitale alla Hohmann.
15.4.2 Trasferimento alla Hohmann
Università di Roma “La Sapienza”
∆V=2420 m/s
3
La quota della GEO è quella tale che il periodo orbitale è uguale ad un giorno sidereo, cioè al periodo di rotazione della
Terra; esso differisce dal giorno solare perché nel corso di 24 ore la Terra si muove anche nella sua orbita attorno al Sole,
compiendo quindi 1+1/365.25 rotazioni.
Università di Roma “La Sapienza”
Corso di Propulsione Aerospaziale
Lezione 15
Prestazioni degli endoreattori
arrivo è, come nel paragrafo precedente
, si ottiene che per la prima manovra impulsiva
è necessario
e per la seconda
,
totale ideale per raggiungere l’orbita bassa è quindi
İl
per un totale quindi
all’incirca pari alla sua velocità orbitale. Passando dal caso ideale a quello reale, occorre modificare
la traiettoria rispetto a quella ideale appena discussa, per evitare velocità troppo elevate negli strati
relativo alle perdite, che
più densi dell’atmosfera (vedi sotto). Bisogna quindi aggiungere il
nel paragrafo 15.3 era stato quantificato per il lanciatore Ariane 3 in circa 1750 m/s (ovviamente
può variare un poco da lanciatore a lanciatore, mantenendosi comunque nell’intorno di questo valore),
. Si nota che la reale traiettoria di lancio sarà costituita da un primo
raggiungendo quindi circa
tratto verticale che riduce al minimo la parte all’interno degli strati più densi dell’atmosfera, seguita da
una deviazione della traiettoria che porta fino all’inserimento nell’ellisse di trasferimento indicata nella
manovra di lancio ideale. Si sottolinea inoltre che le caratteristiche di buona parte della traiettoria devono
anche essere ottimizzate rispetto alle caratteristiche del lanciatore stesso, in quanto la manovra reale è
tutt’altro che impulsiva, non solo perché non conviene conseguire velocità troppo alte nell’atmosfera (per
la conseguente resistenza aerodinamica), ma anche perché i limiti strutturali del veicolo, degli strumenti
alloggiati nel carico utile, e di un eventuale equipaggio umano impongono restrizioni sulle accelerazioni
massime conseguibili.
Nella manovra di lancio ideale descritta sopra, non sono state considerate correzioni dell’inclinazione del piano orbitale. L’inclinazione dell’orbita finale sarà dunque pari a quella dell’orbita ellittica di
trasferimento, e quest’ultima avrà un’inclinazione determinata dal piano individuato dai vettori e
alla fine del lancio “impulsivo”. Il primo vettore ( ) è la congiungente il centro della Terra con la base
di lancio, mentre il secondo ( ) potrà essere scelto arbitrariamente (almeno in teoria), tenendo presente
che a seconda della direzione scelta si potrà sfruttare più o meno vantaggiosamente l’effetto della rotazione terrestre. Seguendo il sistema di riferimento indicato in Fig. 15.13, si osserva che in generale si
p
Q
r
(
*
)
q
r
Q
oq
o
p
(
S
r
Q
>
p
p
q
p
Q
o
p
(
o
:p
rp
q
:
3
?
¤
3
Q
r
?
r Ÿ
¤
?¤
o
*
q
r Ÿ
¤
?
¤
3
3
?
«
(
Q
q3
r>
\ (
Q
o
Q
o
3
r3
r
(
x
?
(
?
¤
q
(
Q
r3
3
z
J
r
Q
n
n
o
Bª x
qp
)
*
«
«
ªx
¬
x
(
>
?
>
r Ÿ
o
ž
r Ÿ
(
:p
3
¬ ªx
«
Bª x
?
€
\ Q
rq
q
sull’orbita ellittica al perigeo (dove
)
e
. Di conseguenza
al perigeo e una manovra impulsiva con
.
¤
8
p
q
o
¨x
p
r Ÿ
q
o
o>
:
o
)
ª
«
p
p
o
r
Q
«
¬ ­
(
ž
o
p
¨x
r Ÿ
r Ÿ
p
>o
:
ž
o
¤
q
r Ÿ
?
J
z
15.4.3 Immissione di un satellite in orbita bassa
>
r Ÿ
Superficie Terrestre
?
o
Asse Terrestre
r
Base di Lancio
ž
ž
Per valutare il
necessario all’immissione di un satellite in orbita, cioè ad effettuare il ‘lancio’ di
un satellite, si opera una semplificazione della manovra per determinare il
ideale. Si suppone
innanzitutto che l’effetto della resistenza atmosferica sia trascurabile, e quindi si possa disegnare la
traiettoria di lancio in maniera ideale. La presenza dell’atmosfera fa si che le reali traiettorie di lancio
siano in effetti molto diverse. Si considera dunque un lancio per mezzo di due manovre, intervallate
da una fase non propulsa: una prima manovra impulsiva nei pressi della base di lancio, che porti il
veicolo su un’orbita di trasferimento ellittica (che passa quindi per la base di lancio) e che sia tangente
); questa è seguita da una fase
all’orbita circolare che si vuole raggiungere (di altezza ancora
non propulsa fino al raggiungimento dell’apogeo dell’orbita di trasferimento; infine si ha una seconda
manovra impulsiva all’apogeo dell’orbita di trasferimento, necessaria a portare il veicolo alla velocità
orbitale richiesta dall’orbita di altezza citata.
Si considera il caso in cui non vi siano vincoli sull’inclinazione dell’orbita finale. In tal caso si può
richiesto per l’immissione in orbita facendo riferimento ad un trasferimento orbitale
calcolare il
alla Hohmann. L’unica differenza sarà che la velocità iniziale non sarà quella relativa ad un satellite
in orbita circolare ad una distanza dal centro gravitazionale pari al raggio terrestre, ma la velocità che
il vettore ha in quanto solidale alla superficie terrestre (moto di rotazione della Terra intorno al suo
asse). Supponendo anche di essere all’equatore, dove questa velocità è massima si ha che
.
L’ellisse di trasferimento sarà quindi caratterizzata da
e
. Si
calcola quindi facilmente che
e quindi dalla (15.31) che
e
. Considerando la velocità iniziale e che la velocità orbitale dell’orbita circolare di
k
L
i
(
j
Q
:
r Ÿ
3
3
qp
?
?
o
p
n
q
o
x
(
\
q
Q
r?
3
3
n
oq
>
r Ÿ
:
*
\ x
x
893:
può scrivere:
Università di Roma “La Sapienza”
Ç y
Æ y
Z
Ç y
!T
x
Q
È
à y
OPQ
x
z
~
z
š
, anziché
J
}
, e che quindi questo è diretto
dove è la latitudine della base di lancio. Ricordando che
come la normale al piano orbitale, e che l’inclinazione dell’orbita non è altro che l’angolo formato da
È
Corso di Propulsione Aerospaziale
¾½
¹¸
¶
º
¿´
ÀÁ
¯
²
¾½
¶·
» ¹º¸
¼
² ±
(15.34)
´ ³
¯µ
°
¯®
¾½
¸
¶
º
´¯
²
È
4
III legge di keplero il quadrato del periodo orbitale è proporzionale al cubo del semiasse maggiore.
5
Il valore della accelerazione di gravità si può ottenere come
.
6
La quota è più correttamente riferita al raggio equatoriale terrestre,
essendo
al raggio medio
.
ÄÅ Ã y
rp
Q
q
p
\ (
€
)
x
o
p
n
r Ÿ
rq
¤
Figura 15.13: Sistema di riferimento per l’indiduazione del piano orbitale.
J k
¤
Bª
Di qui e da (15.31) si possono calcolare le velocità
e all’apogeo
(dove
). Si ottiene
è necessaria una manovra impulsiva con
all’apogeo per un totale
¤
(15.33)
x
S
Q <
(
3w
r ©
n
>
| q
¨
{
o
v
ricordando che la costante gravitazionale terrestre5 è
si ottiene
e quindi
essendo
il raggio medio della Terra.6 Conoscendo il
raggio medio della Terra (
), la quota dell’orbita bassa (
) di partenza (LEO)
) di arrivo (GEO) si ottengono le relative velocità orbitali:
e quella dell’orbita alta (
e
. L’orbita di trasferimento tangente alle due orbite circolari
LEO e GEO è un’orbita ellittica con semiasse maggiore:
XY
Y
n
‰
ˆ
¦?
{
(15.32)
*
\ _
)
w *
S
§
—˜–
” –
” “
o
p
x
19
(
dove è il periodo orbitale e quindi ottenendo: 4
)
x
¦?
(15.31) imponendo che
18
Università di Roma “La Sapienza”
Corso di Propulsione Aerospaziale
Prestazioni degli endoreattori
V1
(15.35)
|
OPQ
š
’
con l’asse terrestre, si ha
Ç y
Lezione 15
}
}
20
V
È
OPQ
Ä Î
Ë
Í
(15.36)
*
È
OPQ
Figura 15.14:
per una manovra di correzione dell’inclinazione del piano orbitale.
equatoriale. Si vede allora subito da Fig. 15.14 che essendo la velocità orbitale in modulo la stessa, il
necessario è dato da:
valore del
?
q
q
¤
Q
r>
q3
\ (
(
?
Q
r?
Q
rn
p
\ (
Latitudine
45.6 N
5.2 N
28.5 N
2.9 S
30.2 N
Q
r
(
n
Q
>
?
r3
¤
:
q
q
¤
G
?:
?
p
?
>
Base
Baikonur (Tyuratam, Kazakistan, base russa)
Kourou (Guiana, Francia)
Kennedy Space Center (KSC, Cape Canaveral, USA)
San Marco (Kenya, base italiana)
Tanegashima (Giappone)
:
¤
(
G
richiesto per la
E’ interessante notare la proporzionalità tra il valore della velocità orbitale e il
modifica del piano orbitale. Ciò significa che conviene fare tali manovre a quote elevate. Si nota ad
esempio che per rendere equatoriale un’orbita inclinata di 28.5 (latitudine della base di Cape Canaveral,
USA) alla quota dell’orbita geostazionaria è necessaria una manovra di
. Si tratta
quindi di una manovra aggiuntiva non trascurabile in quanto è dello stesso ordine di grandezza della
totale pari a
manovra di apogeo che è stata vista nell’esempio del trasferimento orbitale, per un
. La dipendenza dalla velocità orbitale del
necessario al cambio di
orbita fa si che la manovra può essere svolta in modo più efficiente cambiando prima il piano dell’orbita
ellittica (con una manovra da svolgersi all’apogeo quando la è minima) e solo successivamente passare
all’orbita circolare. In tal caso nell’esempio precedente (orbita di trasferimento inizialmente inclinata
di 28.5 ) il costo di cambio di piano e circolarizzazione è, essendo
,
, valore inferiore di ben
. Un’ulteriore riduzione del
necessario si
può ottenere svolgendo contemporaneamente le due manovre (accelerazione per inserimento in orbita
e cambio di piano, vedi Fig. 15.15). Infatti in tal caso il vettore
da fornire ha ovviamente modulo
G
3
š
z
J
z
?
Q
(15.38)
!T
š
J
š
È
К
OPQ
OPQ
Ϛ
È
(15.37)
%$
È
!T
Q
Z
S
)
V
nell’ultima espressione ricavata è evidentemente minore di uno per cui:
se è perpendicolare al piano meridiano della base di lancio, o se comunque la
e in particolare
componente nel piano meridiano è parallela a .
Quanto ricavato indica chiaramente che non è possibile lanciare un satellite in un’orbita di inclinazione inferiore alla latitudine della base di lancio, e ciò è vero tanto nel caso ideale che in quello reale.
Infatti (a meno che non si considerino razzi con superfici alari portanti) anche le forze gravitazionali e
aerodinamiche agiscono sempre nel piano (la prima è diretta come e la seconda come ). Di conseguenza, se l’obiettivo è avere un’orbita finale di inclinazione inferiore alla latitudine (come è p. es.
) bisognerà
nel caso si intenda raggiungere un’orbita geostazionaria, che deve essere equatoriale,
effettuare una successiva manovra per correggre l’inclinazione del piano orbitale.
Il carico utile di solito viene immesso dal lanciatore in un’orbita di trasferimento. Il passaggio
dall’orbita di trasferimento a quella finale viene in genere effettuato dal propulsore del satellite stesso,
detto motore d’apogeo, perché è appunto all’apogeo dell’orbita di trasferimento che dovrà assolvere al
suo compito più impegnativo, quello di circolarizzare l’orbita.
È
∆V
i/2
i
V2
S
’
Ä Ì
Ê
Ë
É
È
OPQ
x
Ä OPQ
È
’
…†‡
š
|
z
~
J
Ç y
quindi sostituendo a quest’ultima le (15.34):
Il termine che moltiplica
21
∆V
Va
i
VGEO
ž
š
Università di Roma “La Sapienza”
Corso di Propulsione Aerospaziale
15.4.5
Q
?
rn
Q
no
r3
¤
con un risparmio ulteriore di
(
(
inferiore e nell’esempio precedente si ha
ÒÑ
Poiché la maggior parte delle basi di lancio non si trova sull’equatore (vedi Tab. 15.1), dovendo inserire
satelliti in orbita equatoriale si rende necessaria la manovra di correzione dell’inclinazione del piano
necessario, per quanto molto semplificata. Ancora una
orbitale. Verrà qui effettuata una stima del
volta si considera una manovra impulsiva, che dovrà necessariamente avvenire in un punto dello spazio
in cui l’orbita iniziale e quella finale si intersecano. Si assume per semplicità che l’orbita iniziale sia
circolare di quota e inclinazione , e che si voglia passare ad un’orbita circolare alla stessa quota
ma di inclinazione nulla. I punti di intersezione delle due orbite sono necessariamente localizzati sulla
linea dei nodi dell’orbita inclinata, essendo la linea dei nodi l’intersezione del piano orbitale con quello
per una manovra di modifica del piano orbitale e circolarizzazione
.
ideali e reali per le più comuni missioni spaziali
La breve descrizione delle manovre studiate fornisce un ordine di grandezza delle prestazioni richieste
al sistema propulsivo per ciascuna di esse. I valori riportati in Tab. 15.2 indicano invece l’ordine di grantotale richiesto per svolgere le principali missioni spaziali. Come si può notare, le perdite
dezza del
hanno un ruolo determinante e modificano significativamente i requisiti propulsivi della missione.
15.4.4 Correzione dell’inclinazione del piano orbitale
Figura 15.15:
dell’orbita.
%$
Tabella 15.1: Principali basi di lancio, e loro latitudine.
Università di Roma “La Sapienza”
Corso di Propulsione Aerospaziale
*
23
7.9
11.7
11.2
17.5
Y
\
)
^ _ *
Missione
Orbita terrestre bassa (LEO)
Orbita terrestre alta (GEO)
Uscita dal campo grav. terrestre
Viaggio a/r Terra-Marte
Prestazioni degli endoreattori
)
Lezione 15
22
9.2
13.0
12.5
20.0
%$
Tabella 15.2: Prestazioni richieste al sistema propulsivo per le principali missioni
).
spaziali (in termini di
15.5 Stadiazione
(
3
Q
3
r3
Ó¤
3
Q3
¤
?
>
Ø
Ö
*
(15.39)
8
8
8
Ø ?
Ø
Ø š
9
š
)×
#
!
"
*
con
conseguito dal veicolo multistadio è
Figura 15.16: Diverse configurazioni di veicoli multistadio (da [5]).
"
#
!
Ö
*
(15.40)
Ü
w
)
Ú Ù
Û
Di conseguenza, il
)
Ö
#
?
Ð
Ô
Õ
#
3
r Ÿ
Q
(
I rapporti di massa ricavati dall’equazione di Tsiolkowski, con le variazioni di velocità stimate sopra
per raggiungere un’orbita, indicano a prima vista che tale manovra risulta problematica con le attuali
con un propellente ad elevato
tecnologie. Infatti, supponendo di voler ottenere un
impulso specifico (per il quale si possa considerare
, cioè
) si ottiene che
deve essere
, il che equivale a dire
. Resta quindi soltanto l’8% della massa
iniziale disponibile per carico utile e strutture, e con le tecnologie attuali non è possibile realizzare un
tale vettore, pur assumendo carico utile nullo (tanto più che il coefficiente strutturale risulta più elevato
più elevato).
per i propellenti che hanno
Per superare questo limite tecnologico sono stati introdotti i lanciatori multistadio. Il concetto alla
base di questo sistema di lancio è quello di liberarsi delle strutture necessarie ad immagazzinare il
propellente man mano che questo è consumato, evitando cosi di dover accelerare le relative masse,
ormai diventate inutili. Il primo stadio accelera quindi il suo carico utile, costituito dagli stadi successivi
(secondo, terzo,. . . ) più il payload vero e proprio, fino ad una certa velocità, quindi si distacca dal
veicolo. A questo punto entra in funzione il propulsore del secondo stadio che accelera il suo carico
utile (terzo stadio, etc., e payload) fino ad un valore di velocità e quindi si distacca. Il processo si ripete
fino al carico utile dell’ultimo stadio, che è il vero carico utile della missione. La stadiazione descritta
si definisce in serie (od in tandem) ed è quella indicata nel primo dei 4 esempi di Fig. 15.16.
Il seguente semplice esempio quantifica i vantaggi della stadiazione. Si suppone di essere in grado
di costruire unità propulsive complete simili tra loro, e caratterizzate ciascuna dallo stesso impulso
specifico e dallo stesso rapporto di massa. Quindi ciascuno degli stadi fornisce un
:
:
Ö
?:
o
Ù
Università di Roma “La Sapienza”
Corso di Propulsione Aerospaziale
Ö
3
n
Õ
Supponendo di poter costruire uno stadio completo con
, quindi
, indipendentemente
che è
dalle dimensioni dello stadio stesso, con il sistema della stadiazione si riesce ad ottenere un
volte quello del singolo stadio. Ciò equivale a dire che con questo sistema si riescono (teoricamente) a
realizzare rapporti di massa pari a
, quindi per esempio se
, con
per il singolo stadio,
si può ottenere l’equivalente di
per il veicolo completo! Ovviamente nella realtà le cose
vanno un pò diversamente; tra l’altro, la configurazioni può essere ottimizzata per ciascuna missione,
con caratteristiche dei diversi stadi che possono essere diverse. Sono state inoltre proposte e realizzate
diverse configurazioni (Fig. 15.16), come quella della stadiazione in parallelo (vedi p. es. Space Shuttle)
e miste (è il caso p. es. della famiglia Ariane). Per il futuro si pensa a veicoli di lancio totalmente (o
parzialmente) riutilizzabili, in cui il singolo stadio possa tornare interamente alla base di partenza (vedi
esempio più a destra in Fig. 15.16).
Università di Roma “La Sapienza”
Corso di Propulsione Aerospaziale
Lezione 15
Prestazioni degli endoreattori
Domande di verifica
25
3
(
Q
Ý
8 p
>
r Ÿ
G
¤
:
G
G
3
o
G
n
?
:
3
3
Þ Ÿ
3
Y
X
ß
q#
8
X
n ß
3
3
8 3
*
)
ß Y
*
(
)
Y
ß X
Y
!
*
(
ß X
X
!
ß #
X
Y
)
8
|
q
ß Y
!
*
(
)
!
ß #
Y
Y
nel caso ideale, in cui
Y
#
e di
(
SOLUZIONE
L’esercizio si risolve applicando l’equazione di Tsiolkowski.
15.10 Quali sono le principali manovre che vengono svolte nello spazio?
Y
X 15.9 Descrivere il trasferimento alla Hohmann.
15.11 Si esprima la frazione di massa di propellente in funzione del
vale l’equazione di Tsiolkowski.
Y
ß #
Y
3
Þ Ÿ
3
3
3
3
ß Y
15.8 In quali condizioni si possono considerare trascurabili le perdite gravitazionali?
8 o
15.1 Si calcoli il rapporto tra le variazioni di velocità ottenute su due veicoli: il primo propulso da
endoreattore a propellente liquido e il secondo da endoreattore a propellente solido. Entrambi i
e carico utile
. La manovra
veicoli hanno massa iniziale pari a
avviene in assenza di forze diverse dalla spinta. L’endoreattore a propellente liquido ha impulso
specifico superiore del 60% a quello dell’endoreattore a propellente solido (
),
). E’ inoltre noto il coefficiente
mentre la massa inerte è del 30% superiore (
strutturale dell’endoreattore a propellente solido:
.
:
3
15.7 Se l’obiettivo di una missione spaziale è quello di ottenere una determinata variazione della velocità del veicolo, si è visto che il propulsore deve essere in grado di fornire un
(inteso come
quello che realizzerebbe lo stesso propulsore in condizioni ideali) maggiore. Perché?
Esercizi svolti
per un endoreattore avente coefficiente strutturale pari a
Õ
15.6 Qual’è il valore massimo ottenibile di
?
15.5 Quale parametro limita la massima variazione di velocità ottenibile da un endoreattore? (Si
consideri che la massima variazione di velocità si ottiene per rapporto di carico utile nullo)
,
15.22 Si supponga di voler selezionare l’orbita di una stazione spaziale internazionale che dovrà essere
raggiunta con costi simili dalle basi di lancio di Europa, USA, Giappone e Russia. Sapendo che la
latitudine di queste basi è, rispettivamente, di ,
,
e
, che caratteristica dovrebbe avere
l’orbita?
15.4 Si considerino due endoreattori aventi lo stesso propellente (e quindi lo stesso impulso specifico).
, è vero che producono la stessa
Supponendo che essi abbiano lo stesso rapporto di carico utile
variazione di velocità
?
>
r Ÿ
Q
15.3 La massa complessiva di un veicolo propulso ad endoreazione viene di solito ripartita in tre
contributi. Quali sono questi contributi?
(
3
3¤
3
3
r Ÿ
15.21 Per raggiungere l’orbita terrestre bassa (LEO=low earth orbit,
) è necessario un
“reale” di almeno
. Considerando che idealmente è necessario un
pari a
“reale” e perché esso è superiore a quello ideale.
spiegare cosa si intende per
15.20 Per quale ragione si considerano razzi multistadio?
Ý o
15.2 Ottenere l’equazione di Tsiolkowski a partire dall’espressione della spinta e dall’equazione del
moto.
Ý
Ý o
15.1 Sotto quali ipotesi è valida l’equazione di Tsiolkowski?
3
3
3
r Ÿ
15.19 Si consideri di voler cambiare l’inclinazione rispetto al piano equatoriale dell’orbita circolare percorsa da un satellite artificiale. A parità di angolo di inclinazione, tale manovra è più costosa se
) o se l’orbita è alta (p.es.
)?
l’orbita è bassa (
3
3
r Ÿ
24
Dalla conoscenza del coefficiente strutturale si può calcolare la massa strutturale dell’endoreattore
a propellente solido:
3
n
Y
Þ Ÿ
3
3
3
3
Y
3
3
¤
Þ Ÿ
Y
3
3
3
3
X
ß
3
X
ß
Y
3
Þ Ÿ
Y
ß
:
¤
Y
:
3
àÞ Ÿ
3
3
q?
ß Y
3
3
Þ Ÿ
3
?
:
X
ß
Y
8 o
X
ß
Y
ß
i diversi tipi di
ß X
Y
Y
X
ß
dai dati:
8
e dell’eccentricità
+
€
15.15 Indicare come distinguere dai valori del semiasse maggiore
orbita possibili.
3
:
X
dove:
15.14 Le traiettorie che possono essere percorse da un corpo soggetto alla sola forza di gravità sono
piane. Quali sono le curve che possono essere disegnate da tali traiettorie?
ß
X
ß
Y
X Y
3
15.13 Una delle costanti del moto di un astronave in un campo gravitazionale è l’energia meccanica.
Qual’è il valore di questa costante?
8 3
9
X
ß
Y
15.12 Si esprima l’energia meccanica in funzione della velocità e della posizione di un astronave in moto
in un campo gravitazionale.
X
Y
15.16 Cosa si intende per velocità di fuga?
Università di Roma “La Sapienza”
Corso di Propulsione Aerospaziale
p
q
o
¨x
r Ÿ
S
Q <
(
Università di Roma “La Sapienza”
¾½
¹¸
¶
, mentre il raggio equatoriale è di
º
Nota che il raggio medio della Terra è di 6371
¾½
7
.
Corso di Propulsione Aerospaziale
¨{
3
3
r Ÿ
r©
3w
| q
ž
n
>
8
15.18 Per quale ragione è preferibile lanciare un satellite geostazionario da una base di lancio equatoriale?
¤
15.2 Si calcoli il periodo dell’orbita della stazione spaziale internazionale (orbita circolare alla quota
). Per effettuare il calcolo si ricorda che la costante gravitazionale terrestre è
e il raggio medio terrestre
.7
o
15.17 Qual’è il valore dell’energia meccanica di un’orbita parabolica?
Prestazioni degli endoreattori
e la massa di propellente dell’
.
Õ
La massa totale viene quindi ridotta dell’
*
ž
¨x
x
¦?
r Ÿ
Q
?:
¥
£¡ ¢
?
>
Q:
?
jä
8 3
ã
aâ .-
+
jä
€
"
Ð
3
), inoltre al momento del lancio la forza risultante
quindi perché il veicolo si sollevi, cioè
p
8 3¤
?
Nella fase finale del lancio l’accelerazione sarà pari ad
ancora lungo la verticale è:
"
, che nel caso in cui il veicolo si muove
q
3
Þ Ÿ
*
"
Þ Ÿ
p
n
"
=
"
) si ha:
g
ã
jä
?
"
8 >
*
ç
"
?
"
8 3
9
"
Þ Ÿ
n:¤
S
Þ Ÿ
Esercizi proposti
Þ Ÿ
3
3
Þ Ÿ
3
Þ Ÿ
?
:
w
?
Þ Ÿ
:
?
.
w
o
3
p
ß
w
ß
ß
w
o
p
Þ Ÿ
*
RISULTATI
Þ Ÿ
:
ß
w
ß w
w
ß
)
ß
w
o
p
3
?
r Ÿ
Q
(
?
p
¤
?
#
w
ß
Þ qŸ
(
ß w
Qn
q
S
ß
ß w
S
ß
S
15.5 La risultante delle forze applicate ad una nave spaziale in moto al di fuori dell’atmosfera sia pari
alla propria spinta. Il sistema propulsivo è costituito da un endoreattore a propellenti immagazzi. Calcolare la massa
nabili (Monometilidrazina e tetrossido di azoto) che nel vuoto ha
di propellente necessaria a realizzare una variazione di velocità pari a
con una manovra
.
impulsiva, se la massa del veicolo (strutture e carico utile) a fine manovra è pari a
q>
Þ Ÿ
ß
ß
S
n:
*
ß
ß S
S
ß
)
ß
S
n:¤
o
ß S
ß
S
ß
w
ß S
(
€
"
Ð
S
?
3
3
3
Þ Ÿ
>
8 :3
9
L’accelerazione impartita al carico utile nella parte finale della fase propulsa è quindi troppo elevata perché possa essere sopportata da uomini o apparecchiature sofisticate.
Nel caso in cui alla fine della manovra la traiettoria sia orizzontale l’accelerazione è ancora maggiore:
+
ß S
ß w
ß
"
S
ß
!
S
S
"
ß #
ß
S
ß w
ß w
"
S
#
si ha:
ß #
e
,
.aâ /
f
S
?
"
#
!
ß #
w
w
ma essendo
ß #
w
!
"
€
Ð
)
‰
"
Ý
(in realtà
ˆ
BISTADIO
"
supponendo che
:¤
€
)
>
q3
p
Þ Ÿ
å
3
3
Þ Ÿ
3
?
, essendo
p
Þ Ÿ
>
3
n
(
€
"
æ
"
€
å
Ð
g
/f
ã
aâ .,
+
La spinta è costante (
sul veicolo è
deve essere
.
#
SOLUZIONE
MONOSTADIO
n
3
8 3
(
Q
r3
3
3
8 3
¤
:
Q
3
#
?
3
3
3
Þ Ÿ
:
(
15.3 Si confronti la massa di propellente necessaria per ottenere lo stesso
(pari a
) con
. Si considerino stadi simili tra loro (stesso
uno o due stadi, per lo stesso carico utile di
, e
) e al monostadio, con:
e
.
/f
SOLUZIONE
g
:¤
:
, cioè
alla velocità , quindi:
Per compiere un’orbita dovrà percorrere la distanza
¦?
)
8 >
9
ž
¨x
(
?
3
3
r
Q
p
oqp
(
Q3
8 3
¤
¨{
15.4 Si supponga di poter realizzare un lanciatore monostadio con le seguenti caratteristiche:
,
e
costante durante tutto il lancio. Considerando che il
reale per raggiungere l’orbita bassa (LEO) è pari a
, si calcoli il rapporto di carico utile che è possibile
ottenere. Perché un tale lanciatore escluderebbe la presenza di uomini o apparecchiature sofisticate a bordo?
#
:
á
ž
SOLUZIONE
La stazione, essendo su un’orbita circolare alla quota , si muove a velocità
27
Õ
Lezione 15
8 on
26
Università di Roma “La Sapienza”
q
¨x
o
p
n
r Ÿ
S
Q <
(
3w
r ©
n
| q
>
o
8
¨{
n
n¤
Þ Ÿ
S
ß
ß
w
¤
ß
15.6 Si calcoli la quota e la velocità orbitale dell’orbita geostazionaria (la costante gravitazionale terrestre è
, il raggio equatoriale terrestre
e il periodo di
Corso di Propulsione Aerospaziale
Università di Roma “La Sapienza”
Corso di Propulsione Aerospaziale
¤
¥
£¢
3
q¡
).
:p
3
8
r Ÿ
Q
;
o
p
n
:
ž
o
r qŸ
RISULTATI
(
¨
rotazione della Terra attorno al suo asse di
: Lezione 15
?o
28
.
(
Q
8 ¤¤
>
r Ÿ
;
ž
3o
p
r qŸ
RISULTATI
x
S
Q <
(
r <
3w
>
?
¡£ ¢
p
o ¤
?
r Ÿ
3
3
o¤
8
|
{
¤
15.7 Si calcoli la quota e la velocità orbitale dell’orbita stazionaria rispetto alla superficie del pianeta
Marte (la costante gravitazionale di Marte è Ä
, il raggio di Marte è Ä
e il periodo di rotazione del pianeta è Ä
).
.
3
3
Þ Ÿ
r qŸ
3
n
:
3
8 3
9
¤
:
Q
3
#
[2] M. Di Giacinto. Dispense del corso di Endoreattori. Università di Roma “La Sapienza”, Roma.
r Ÿ
n
q
¨x
o
p
S
Q <
(
r©
3w
n
| q
>
o
8
¨{
Þ qŸ
p
¤
n
RISULTATI
[1] R. R. Bate, D. D. Mueller, and J. E. White. Fundamentals of Astrodynamics. Dover Publications,
New York, USA, 1971.
ž
o
p
3
r Ÿ
ž
?:
:
15.8 Calcolare la massa di propellente necessaria ad innalzare un satellite di
da un’orbita circo) all’orbita geostazionaria (
) mediante manovre
lare equatoriale bassa (
impulsive di un endoreattore a idrogeno e ossigeno liquidi, caratterizzato da
e
(la costante gravitazionale terrestre è
e il raggio terrestre
).
Bibliografia
.
[4] R. W. Humble, G. N. Henry, and W. J. Larson. Space Propulsion Analysis and Design. The McGrawHill Companies, Inc., New York, NY, USA, 1995.
Università di Roma “La Sapienza”
*
q
q¤
Q
n
S
X :
8 >¤
Q
S
e
*
o
Qp
3
:
X w
q)
:¤
w
8 Q
RISULTATI
)
"
o
15.9 Supponendo che la massima accelerazione cui può resistere la strumentazione del satellite dell’esercizio 8 sia pari a 3 volte l’accelerazione gravitazionale a livello del mare (
), si confronti
il tempo necessario a compiere le manovre (considerate impulsive nell’esercizio 8) con i periodi
orbitali dell’orbita di partenza (per la prima manovra) e di arrivo (per la seconda).
[3] P. G. Hill and C. R. Peterson. Mechanics and Thermodynamics of Propulsion. Addison-Wesley
Publishing Company, Inc., Reading, MA, USA, second edition, 1992.
Corso di Propulsione Aerospaziale
[5] G. P. Sutton. Rocket Propulsion Elements. John Wiley & Sons, Inc., New York, NY, USA, sixth
edition, 1992.
Fly UP