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Dispensa Corso - ODCEC Ferrara
Progettazione e organizzazione di attività formative in partnership con l’Ordine di Ferrara ACCERTAMENTI E RESPONSABILITÀ FISCALI IN CAPO ALLE SOCIETÀ ESTINTE DOPO IL D.LGS. N. 175/2014 18 NOVEMBRE 2015 APPROFONDIMENTO: PROFILI DI RESPONSABILITÀ CIVILE E PANALE DEL COMMERCIALISTA L’ORDINE DI FERRARA PROFILI DI RESPONSABILITÀ CIVILE E PENALE DEL COMMERCIALISTA A cura di Duilio Liburdi Società cessate ed ultime novità normative, interpretative e giurisprudenziali Con il decreto legislativo n. 175 del 2014, contenente le c.d. semplificazioni fiscali, è stato previsto che ai soli fini della validità degli atti di accertamento, riscossione, liquidazione e contenzioso, gli effetti previsti dall’art. 2495 c.c. si verificano, per i tributi e i contributi, decorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione della società dal Registro delle imprese. Nel contempo, è stata inasprita la responsabilità di liquidatori e soci di soggetti IRES, disciplinata dall’art. 36 del DPR 602/73. Gli effetti della cancellazione delle società di capitali dal Registro delle imprese è un tema che, specie negli ultimi anni, è stato oggetto di diversi interventi della giurisprudenza e della dottrina, sia in ambito civile che tributario. A seguito della riforma del diritto societario del DLgs. 6/2003, ove, tra l’altro, è stato modificato l’art. 2495 c.c., è chiaro che la cancellazione delle società di capitali dal Registro delle imprese è condizione sia necessaria sia sufficiente per l’estinzione dell’ente, e ciò, in assenza di disposizioni contrarie, non può che valere pure ai fini fiscali. Pertanto, dal momento che la società viene cancellata, eventuali atti impositivi intestati ancora all’ente sono inesistenti, in quanto rivolti nei confronti di un soggetto non più in vita. I soci, ai sensi dell’art. 2495 c.c., rispondono dei debiti, inclusi quelli di natura fiscale, nei limiti di quanto riscosso sulla base del bilancio finale di liquidazione. Tanto premesso, in ambito fiscale esiste una forma di responsabilità dei liquidatori, soci e amministratori di soggetti IRES, disciplinata dall’art. 36 del DPR 602/73, che, sotto certi versi, prescinde dalla cancellazione della società dal Registro delle imprese. Il decreto “Semplificazioni fiscali” modifica l’art. 36 del DPR 602/73 e, nel contempo, introduce un periodo quinquennale in cui, ai fini tributari e contributivi, la cancellazione della società rimane irrilevante. Si afferma espressamente che dall’entrata in vigore delle nuove disposizioni “non discendono obblighi di dichiarazione nuovi o diversi rispetto a quelli vigenti”. Va segnalato come nella legge delega per la riforma fiscale, la L. 23/2014, non si rinvengono norme che possano autorizzare i decreti delegati ad introdurre un regime particolare in merito agli effetti della cancellazione della società, né una modifica dell’art. 36 del DPR 602/734. Per questa ragione, è possibile che l’art. 28 del decreto “Semplificazioni fiscali”, se sollevata la questione, venga dichiarato incostituzionale per violazione dell’art. 76 Cost., sotto il profilo dell’eccesso di delega. – 2 – APPROFONDIMENTO: PROFILI DI RESPONSABILITÀ CIVILE E PANALE DEL COMMERCIALISTA L’ORDINE DI FERRARA L’art. 28 del decreto “Semplificazioni fiscali” prevede: “ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’art. 2495 del codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione dal Registro imprese”. Trattasi di una norma che ha l’intento principale di evitare che gli atti impositivi e contributivi perdano di efficacia in quanto intestati ad un soggetto non più esistente. Sussiste quindi uno spazio temporale di cinque anni entro cui, nei confronti degli enti impositori, degli enti di previdenza e di assistenza e dei contribuenti sono validi gli atti di liquidazione, di accertamento, di riscossione e di contenzioso formati nei confronti del soggetto estinto o da questo proposti. L’ampia formulazione normativa, che si riferisce ai tributi e ai contributi, induce ad affermare che quanto esposto vale per tutte le entrate aventi natura fiscale, a prescindere dalla tipologia di ente impositore. Quindi, si può trattare di imposte sui redditi, IVA, imposte d’atto, tributi locali (IMU, TASI, TARI), dazi doganali, IVA all’importazione, contributi consortili. Considerato che l’art. 28 del decreto “Semplificazioni fiscali” fa espresso riferimento all’art. 2495 c.c., l’innovazione dovrebbe riguardare anche le società cooperative, ma non le società di persone, posto che la disciplina dell’estinzione è contenuta nell’art. 2312 c.c. Il citato art. 28 si limita a postergare di cinque anni l’effetto estintivo, per cui i numerosi problemi che sono sorti in relazione all’accertamento e, soprattutto, al contenzioso sono destinati a riproporsi decorsi i cinque anni. L’art. 2495 c.c. stabilisce che, una volta estinta la società di capitali, i soci rispondono nei confronti dei creditori se e nella misura in cui hanno ricevuto somme sulla base del bilancio finale di liquidazione. Di fatto, l’art. 28 del decreto “Semplificazioni fiscali” introduce un lasso temporale entro cui, nei confronti degli enti impositori, l’art. 2495 c.c., quindi l’effetto estintivo dell’ente dovuto alla cancellazione dal Registro delle imprese, non produce effetto. Da ciò dovrebbe conseguire che, nei cinque anni, nessun atto impositivo e, più in generale, nessuna pretesa può essere rivolta nei confronti dei soci, a prescindere dal fatto che essi siano fiscalmente responsabili. Il dato normativo, che si riferisce espressamente alla sola validità degli atti di accertamento, liquidazione, riscossione e contenzioso potrebbe però indurre gli uffici ad adottare una diversa interpretazione, consistente nel ritenere cumulabile la “responsabilità” della società estinta con quella dei soci, sempre che questi abbiano ricevuto somme sulla base del bilancio finale di liquidazione. – 3 – APPROFONDIMENTO: PROFILI DI RESPONSABILITÀ CIVILE E PANALE DEL COMMERCIALISTA L’ORDINE DI FERRARA Se così fosse, è palese come al socio non possa essere negato il diritto di difesa. In altri termini, egli deve sapere con certezza se risponde subito, quindi dal momento in cui la società viene cancellata dal Registro delle imprese, o decorsi i cinque anni entro cui l’ente impositore può azionare la pretesa nei confronti della società. Tanto più se si considera che, per costante giurisprudenza, in caso di estinzione a processo instaurato, la riscossione di somme sulla base del bilancio finale di liquidazione rappresenta il presupposto che consente l’applicabilità di tutta la normativa sull’interruzione del processo, ivi inclusa la valutazione circa l’opportunità della riassunzione. Prima del decreto “Semplificazioni fiscali”, la cancellazione della società dal Registro delle imprese ne causava l’estinzione, per cui l’accertamento o altro atto impositivo notificato e intestato alla società era da considerarsi inesistente, in quanto privo del soggetto nei cui confronti avanzare la pretesa. Infatti, era consolidato il principio secondo cui sarebbe stato nullo l’accertamento intestato ad una società cancellata dal Registro delle imprese (Cass. 3.11.2011 n. 22863, Cass. 5.9.2012 n. 14880 e Cass. 17.12.2013 n. 28187). Ora, invece, nel lasso temporale dei cinque anni, gli atti impositivi intestati al soggetto estinto in quanto cancellato dal Registro delle imprese devono ritenersi validi. Sulla base delle considerazioni effettuate, la giurisprudenza aveva dichiarato nulla la cartella di pagamento formata in base ad un ruolo intestato alla società che, prima dell’iscrizione a ruolo stessa, risultava cancellata dal Registro delle imprese (C.T. Prov. Torino 15.1.2010 n. 19/1/10). Ora, invece, nel lasso temporale dei cinque anni, gli atti impositivi intestati al soggetto estinto in quanto cancellato dal Registro delle imprese devono ritenersi validi, così come le iscrizioni a ruolo o gli atti esattivi sugli stessi formati. Potrebbe accadere che la società venga cancellata dal Registro delle imprese nelle more del processo, vale a dire dopo la notifica del ricorso: in tal caso, per la Corte di Cassazione, nel rapporto processuale succede il socio, entro i limiti dell’art. 2495 c.c., quindi se e nella misura in cui ha ricevuto somme dal bilancio di liquidazione (Cass. 6.11.2013 n. 24955, Cass. 3.7.2013 n. 16694 e Cass. 5.9.2012 n. 14880). Del pari, nelle ipotesi in cui, tra un grado e l’altro del processo, la società si estingua, l’impugnazione va notificata da/nei confronti della c.d. “giusta parte” (Cass. SS.UU. 12.3.2013 n. 6071). A causa della normativa sopravvenuta, il processo, nonostante la società si estingua, dovrebbe proseguire nei suoi confronti, e gli appelli eventualmente notificati erroneamente da/nei confronti della stessa anziché dei soci fiscalmente responsabili sono ammissibili. La possibilità di notificare atti impositivi all’ente estinto per i cinque anni successivi alla richiesta di cancellazione della società causa seri problemi relativi al luogo della notifica. – 4 – APPROFONDIMENTO: PROFILI DI RESPONSABILITÀ CIVILE E PANALE DEL COMMERCIALISTA L’ORDINE DI FERRARA All’art. 28 del decreto “Semplificazioni fiscali” si sarebbe dovuta aggiungere una norma ad hoc per le notifiche, cosa che non è avvenuta. L’unica disposizione presente nel sistema che, in un certo senso, disciplina la questione, è l’art. 2495 co. 2 secondo periodo c.c., a detta del quale la domanda dei creditori, se proposta entro un anno dalla cancellazione, può essere notificata presso l’ultima sede della società. Nelle situazioni ordinarie, in base al rinvio degli artt. 60 del DPR 600/73 e 26 del DPR 602/7315 alle disposizioni processualcivilistiche, opera l’art. 145 c.p.c., per cui la notifica può avvenire, alternativamente, o presso la sede legale della società o presso il domicilio del legale rappresentante. Il problema emerge quando, dopo la cancellazione della società dal Registro delle imprese, materialmente non vi sia più una sede legale e nemmeno più un ufficio. A ben vedere, la medesima questione potrebbe emergere in caso di notifica presso il domicilio dell’ultimo legale rappresentante, posto che questi, sotto il profilo civile, non ha più poteri di rappresentanza, per cui ben potrebbe, per assurdo, disinteressarsi di ogni atto notificato dall’ente impositore nei confronti del soggetto ormai estinto. Volendo considerare ogni ipotesi, nel frattempo potrebbe sopravvenire il decesso dell’ultimo legale rappresentante, e di certo non possono considerarsi legittimati alla ricezione dell’atto gli eredi di quest’ultimo. Il rischio è che, in situazioni del genere, si finisca con l’ammettere, con una certa facilità, la procedura contemplata per i c.d. “irreperibili assoluti” dall’art. 60 co. 1 lett. e) del DPR 600/73, circoscritta alle ipotesi in cui l’agente notificatore non rinviene il luogo dove notificare gli atti e, dalle informazioni reperite in loco, il notificatario risulta trasferitosi in posto sconosciuto. Per le ragioni menzionate, è bene che il liquidatore, soggetto che, ex lege, ha l’ultima legale rappresentanza della società, cerchi di sapere se sono stati notificati atti intestati al soggetto estinto, richiedendo informazioni al Comune o all’Agenzia delle Entrate. Comunque, dovrebbe essere pacifico che il termine per la notifica del ricorso debba decorrere da quando, materialmente, l’atto è pervenuto alla conoscenza del destinatario, e non da quando la notifica, per effetto di mere presunzioni, si ritiene perfezionata dal punto di vista strettamente legale16. Si verte infatti in una particolarissima fattispecie non disciplinata da nessuna norma, per cui tornano applicabili i principi fissati da Cass. 4.2.2011 n. 2728, secondo cui l’atto impositivo affetto da un vizio di nullità della notifica comporta l’inoperatività della presunzione secondo cui la data di perfezionamento della notifica e la data di conoscenza dell’atto coincidono. – 5 – APPROFONDIMENTO: PROFILI DI RESPONSABILITÀ CIVILE E PANALE DEL COMMERCIALISTA L’ORDINE DI FERRARA È a nostro avviso da escludere che la notifica possa avvenire nel luogo di residenza dei soci, a prescindere dal fatto che questi abbiano ricevuto somme in base al bilancio finale di liquidazione. Trattasi di soggetti che, secondo l’interpretazione da noi accolta, non possono essere ritenuti responsabili nel lasso di tempo quinquennale, in cui, “agli occhi” dell’ente impositore, la richiesta di cancellazione non ha effetto. Nell’art. 28 del decreto “Semplificazioni fiscali” non è prevista una norma di decorrenza relativa all’irrilevanza, nel periodo quinquennale, degli effetti della cancellazione della società dal Registro delle imprese. Stante la formulazione normativa, allo stato attuale sembra possibile sia sostenere che essa abbia effetto retroattivo sia l’ipotesi opposta. Sul punto, peraltro, l’agenzia delle entrate ha affermato come la norma abbia effetto retroattivo. Il discorso appare alquanto complicato, siccome trattasi di una norma che, se applicata in maniera retroattiva, come si dirà non comporta necessariamente effetti pregiudizievoli per i contribuenti. A favore della tesi della retroattività, si potrebbe affermare il carattere procedimentale della norma, tanto più se si considera che essa, di fatto, è strumentale a mantenere l’efficacia e la validità degli atti di accertamento, liquidazione e riscossione di tributi e contributi. Lo stesso dicasi per gli atti del contenzioso. La tesi opposta potrebbe fondarsi sull’art. 3 della L. 212/2000, secondo cui, a meno che non sia diversamente disposto, le leggi tributarie non hanno effetto retroattivo, circostanza pure coerente con l’art. 11 delle preleggi. Qualora si sostenesse che la modifica ha effetto retroattivo, l’irrilevanza fiscale e contributiva della cancellazione andrebbe a intaccare tutti i rapporti sostanziali e processuali pregressi, nella misura in cui la richiesta di cancellazione della società dal Registro delle imprese sia avvenuta nei cinque anni antecedenti all’entrata in vigore del decreto “Semplificazioni”, con un importante riflesso sulla validità degli accertamenti, delle comunicazioni bonarie, delle iscrizioni a ruolo, dei ricorsi, degli appelli e così via. Ove, invece, la modifica valesse solo per il futuro, l’irrilevanza fiscale e contributiva della richiesta di cancellazione per il periodo dei cinque anni avrebbe effetto dalle richieste di cancellazione eseguite a decorrere dall’entrata in vigore del decreto “Semplificazioni”. In attesa di interventi ufficiali sul punto, è bene rammentare che non sempre la tesi della retroattività andrebbe a danno del contribuente. È palese che, se l’art. 28 del decreto “Semplificazioni fiscali” viene interpretato retroattivamente, un accertamento notificato, ad esempio, nel 2013 intestato ad una società di capitali estinta nel – 6 – APPROFONDIMENTO: PROFILI DI RESPONSABILITÀ CIVILE E PANALE DEL COMMERCIALISTA L’ORDINE DI FERRARA 2012 mantiene la sua validità, così come un atto di riscossione o una comunicazione di irregolarità scaturente dalla liquidazione automatica17. Sul versante processuale, ipotizziamo che la società, dopo l’ottenimento di una sentenza completamente sfavorevole di primo grado, si sia cancellata dal Registro delle imprese. Qualora, erroneamente, l’appello fosse stato proposto in nome del soggetto estinto, verrebbe meno l’inammissibilità del medesimo, e di ciò ne dovrebbero tenere debita considerazione la Commissione tributaria regionale o la Cassazione, che dovrebbero a questo punto applicare la norma sopravvenuta e ritenere ammissibile l’appello. Va detto che la norma non può intaccare i rapporti “coperti” dal giudicato, per le ragioni che seguono. Ove un accertamento dell’Agenzia delle Entrate sia stato annullato con sentenza definitiva anche in quanto intestato al soggetto estinto, secondo un orientamento della Corte di Cassazione abbastanza consolidato, la sentenza viene a sostituirsi all’atto in origine impugnato (vedasi, da ultimo, Cass. 12.11.2014 n. 24092), quindi la situazione non rientrerebbe nemmeno nell’art. 28 del decreto “Semplificazioni fiscali”, riguardante la validità degli atti del contenzioso. È chiaro che se si intende la norma come retroattiva, da un lato, le pretese “coperte” dal giudicato rimangono tali, dall’altro, nulla vieta che gli uffici notifichino accertamenti sulla stessa annualità ma con riferimento ad una diversa imposta, o su altre annualità. Le considerazioni effettuate devono però essere vagliate alla luce del principio del legittimo affidamento, che, nel caso in oggetto, va considerato unitamente al diritto di difesa, sia per l’ente impositore che per il contribuente. Ipotizziamo che la società sia stata cancellata tra un grado e l’altro del processo, e che nessun socio abbia riscosso somme in base al bilancio finale di liquidazione. Nella menzionata fattispecie, l’appello non avrebbe potuto essere proposto, per mancanza, a seconda delle ipotesi, della parte appellante o della parte appellata. È palese che, in una tale situazione, se si ammette che la formazione del giudicato sfavorevole al contribuente legittimi l’emissione di atti esattivi nei confronti del soggetto estinto in virtù del sopravvenuto art. 28 del decreto “Semplificazioni fiscali”, si verrebbe a creare un palese contrasto con la Costituzione, posto che il legale rappresentante del soggetto estinto, ove avesse saputo di una futura “irrilevanza quinquennale” dell’estinzione in ambito fiscale, di certo avrebbe appellato. Coerentemente con quanto detto per l’ipotesi dell’accertamento divenuto definitivo, non è possibile negare la pienezza del diritto di difesa contro l’atto esattivo. Tutto quanto sopra esposto fa emergere come la tesi della retroattività comporti innumerevoli problemi specie sul versante processuale, che mal si conciliano con un decreto legislativo attuativo – 7 – APPROFONDIMENTO: PROFILI DI RESPONSABILITÀ CIVILE E PANALE DEL COMMERCIALISTA L’ORDINE DI FERRARA di una legge delega strumentale alla semplificazione del sistema, tanto più se si considera che, in tale legge, difettano criteri direttivi relativi ai risvolti fiscali della cancellazione della società. L’art. 28 del decreto “Semplificazioni fiscali” non si limita a disciplinare gli effetti fiscali e contributivi dell’estinzione delle società, ma modifica pure l’art. 36 del DPR 602/73 in senso favorevole all’Amministrazione finanziaria. I due interventi normativi vanno analizzati congiuntamente, nonostante, dal punto di vista strettamente tecnico, non siano legati, tant’è che la responsabilità ex art. 36 del DPR 602/73 prescinde dal dato formale della cancellazione. Da un lato, l’ente impositore può notificare l’accertamento o altro atto impositivo nei confronti del soggetto estinto dopo la cancellazione, dall’altro, presumibilmente sulla base di quello stesso accertamento, il liquidatore, il socio e l’amministratore potranno essere chiamati a rispondere ai sensi dell’art. 36 del DPR 602/73. Nel modello antecedente, se la società veniva cancellata dal Registro delle imprese e i soci non avevano riscosso alcunché dal bilancio finale di liquidazione, nessun accertamento avrebbe potuto essere emanato, né in capo alla società né ai soggetti indicati dal richiamato art. 36, siccome la giurisprudenza, come si vedrà, ha pure di recente ritenuto imprescindibile, per azionare tale responsabilità, l’avvenuta emanazione dell’accertamento nei confronti della società. È quindi palese che, se così sarà interpretata la riforma del decreto “Semplificazioni fiscali”, la responsabilità dei soggetti ex art. 36 del DPR 602/73, specie se liquidatori, sia destinata ad acquistare maggior rilievo. L’art. 19 del DLgs. 46/99, nella versione ante decreto “Semplificazioni fiscali”, specificava che l’art. 36 del DPR 602/73 era applicabile alle sole imposte sui redditi dovute dalle società di capitali (Cass. 11.5.2012 n. 7327), senza possibilità di estensione analogica né ad altri comparti impositivi né ai liquidatori delle società di persone. Per questo motivo, tale responsabilità non poteva riguardare né l’IVA né l’IRAP (C.T. Prov. Milano 26.10.2011 n. 327/05/2011 e C.T. Prov. Treviso 12.9.2013 n. 75/4/13) né, a maggior ragione, altre imposte come quelle indirette diverse dall’IVA. Per effetto dell’art. 28 del decreto “Semplificazioni fiscali”, nell’art. 19 del DLgs. 46/99 viene eliminato il riferimento all’art. 36 del DPR 602/73, per cui, ferma restando la necessità che si tratti di liquidatori di soggetti IRES, la responsabilità è estesa a tutte le imposte. Sembra, tanto nel “nuovo” quanto nel “vecchio” sistema, potersi escludere che al liquidatore possano essere richieste somme derivanti da sanzioni irrogate al soggetto estinto: l’art. 36 del DPR 602/73 riguarda, infatti, le sole imposte (C.T. Prov. Treviso 12.9.2013 n. 75/4/13 e C.T. Prov. Savona 13.5.2011 n. 102/2/11). – 8 – APPROFONDIMENTO: PROFILI DI RESPONSABILITÀ CIVILE E PANALE DEL COMMERCIALISTA L’ORDINE DI FERRARA L’art. 36 del DPR 602/73 è espressione di una responsabilità che ha riflesso sulla modalità di eliminazione del passivo, posto che introduce una sorta di privilegio indiretto in capo all’Amministrazione finanziaria. Detta norma disciplina una particolare forma di responsabilità del liquidatore dei soggetti IRES, per cui, posto che tra società e liquidatore non vi è alcun vincolo di coobbligazione solidale, non può sostenersi che “estinta la contribuente società di capitali, il processo tributario prosegua nei confronti dell’ex liquidatore” (Cass. 11.5.2012 n. 7327 e C.T. Prov. Palermo 18.9.2013 n. 341/5/13). L’entità della responsabilità è parametrata all’importo del debito fiscale che avrebbe trovato capienza in sede di graduazione dei crediti. Per come è formulata la norma, ora l’ente impositore può rivolgersi al liquidatore con accertamento dimostrando l’inadempimento circa il pagamento del debito tributario con le attività della liquidazione, facendo riferimento all’entità della responsabilità, che coincide con l’importo del debito che avrebbe trovato capienza in sede di graduazione dei crediti. A questo punto, spetta al liquidatore dimostrare di aver gestito la fase di liquidazione secondo legge, quindi di non aver né assegnato beni ai soci né soddisfatto crediti di rango inferiore rispetto a quelli tributari prima di aver onorato questi ultimi. Si tratta di una tipologia di inversione dell’onere della prova che, per come è strutturata, appare al limite della costituzionalità. Per quanto ci consta, è la prima volta che si introduce, nel sistema tributario, una vera e propria presunzione di colpevolezza: nel caso dell’art. 36 del DPR 602/73, il liquidatore è presunto colpevole di aver gestito la fase di liquidazione in danno all’Erario, senza che, per far scattare il meccanismo presuntivo, l’ente impositore debba dimostrare un benché minimo indizio sintomatico di mala gestio. Come si può evincere dalla tabella di confronto che si riporta, il decreto “Semplificazioni fiscali” non incide sull’aspetto “contenutistico” della responsabilità, ma agevola l’operato degli uffici tributari non di poco, invertendo come detto l’onere della prova relativo ai presupposti della medesima. Testo previgente Testo attuale I liquidatori dei soggetti all’imposta sul reddito I liquidatori dei soggetti all’imposta sul reddito delle persone giuridiche che non adempiono delle persone giuridiche che non adempiono all’obbligo di pagare, con le attività della all’obbligo di pagare, con le attività della liqui- liquidazione, le imposte dovute per il periodo dazione, le imposte dovute per il periodo della della liquidazione medesima e per quelli liquidazione medesima e per quelli anteriori ri- anteriori rispondono in proprio del pagamento spondono in proprio del pagamento delle impo- delle imposte se soddisfano crediti di ordine ste se non provano di aver soddisfatto i crediti inferiore a quelli tributari o assegnano beni ai tributari anteriormente all’assegnazione di beni soci o associati senza aver prima soddisfatto i ai soci o associati, ovvero di avere soddisfatto crediti tributari. crediti di ordine superiore a quelli tributari. – 9 – APPROFONDIMENTO: PROFILI DI RESPONSABILITÀ CIVILE E PANALE DEL COMMERCIALISTA L’ORDINE DI FERRARA È fondamentale verificare che cosa si intende per “imposte dovute per il periodo della liquidazione medesima e per quelli anteriori”. In dottrina è stato affermato che la responsabilità scatta non solo per gli accertamenti già notificati alla società successivamente posta in liquidazione, ma anche per le annualità non ancora accertate, sicché il liquidatore può essere chiamato a rispondere “non solo dell’inadempimento dell’obbligo di pagare con le attività della liquidazione le imposte dovute, ma anche dell’inadempimento dell’obbligo di accantonare le somme occorrenti per pagare le future e prevedibili passività fiscali, scaturenti da successivi avvisi di accertamento”23. La giurisprudenza, anche dopo la riforma del diritto societario, ha stabilito che l’art. 36 del DPR 602/73 può essere invocato qualora i ruoli in cui sono stati iscritti i tributi dovuti dalla società possano essere riscossi e sia acquisita la legale certezza che i medesimi non siano stati soddisfatti con le attività della liquidazione (Cass. 15.10.2001 n. 12546 e Cass. 11.5.2012 n. 7327). Altre sentenze si sono spinte ad affermare l’imprescindibilità di un accertamento emesso nei confronti della società prima della cancellazione (C.T. Prov. Milano 12.3.2013 n. 141/41/13 e C.T. Prov. Reggio Emilia 22.2.2014 n. 111/3/14). Va detto però che, il fatto che “i ruoli in cui siano iscritti i tributi della società possano essere posti in riscossione” è un presupposto che poteva essere coerente con la giurisprudenza che si era formata prima della riforma dell’art. 2495 c.c., quindi ante DLgs. 6/2003, ove la società si considerava esistente sino alla soddisfazione dell’ultimo creditore, a prescindere dal dato formale della cancellazione (poteva avere quindi senso sostenere che le somme dovessero già essere iscritte a ruolo). Ora, tale affermazione potrebbe però riacquistare rilevanza, in quanto, nei confronti degli enti impositori, la cancellazione non ha effetto per cinque anni, per cui gli accertamenti notificati nei confronti dell’ente sono validi. La giurisprudenza aveva pure affermato che, vista la natura civilistica e non tributaria della responsabilità, “pur dipendendo l’attualità della stessa dalla conseguita certezza e definitività del debito tributario, l’obbligato è del tutto estraneo al procedimento diretto all’accertamento del medesimo …, conseguentemente, eventuali ragioni di invalidità di tale procedimento non possono essere opposte dal liquidatore ed amministratore-liquidatore di fatto e rilevate dal giudice” (Cass. 15.10.2001 n. 12546), e che essa non è fondata sul dolo o sulla colpa, quindi è da qualificarsi come oggettiva (Cass. 14.9.95 n. 9688, Cass. SS.UU. 4.5.89 n. 2079 e Cass. 11.5.2012 n. 7327). L’art. 36 del DPR 602/73 precisa che la responsabilità sussiste se i liquidatori abbiano soddisfatto crediti di ordine inferiore a quelli tributari o abbiano assegnato beni ai soci prima di pagare i debiti fiscali, e che “è commisurata all’importo dei crediti d’imposta che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione dei crediti”. – 10 – APPROFONDIMENTO: PROFILI DI RESPONSABILITÀ CIVILE E PANALE DEL COMMERCIALISTA L’ORDINE DI FERRARA Il dato normativo è ambiguo in quanto, nella fase di liquidazione, non vi è un ordine prestabilito nella soddisfazione dei crediti. Sembra possibile affermare, in linea di principio, che l’art. 36 del DPR 602/73, facendo riferimento a crediti di ordine inferiore a quelli tributari, contenga un implicito rinvio alle disposizioni del codice civile sui privilegi (artt. 2777 ss. c.c.). Di conseguenza, la responsabilità dei liquidatori non scatterebbe in ogni caso, ma solo se e nella misura in cui essi, nel procedere ai pagamenti, soddisfino crediti considerati di ordine inferiore dalla legge. Le affermazioni che precedono devono essere puntualizzate, specie per ciò che riguarda le pretese derivanti da potenziali avvisi di accertamento. Il liquidatore, durante la fase di liquidazione della società, può essere a conoscenza dei carichi fiscali che sono attualmente pendenti, oppure può supporre che, avendo magari già ricevuto un questionario o un altro atto di verifica, potranno essere notificati accertamenti tributari. Detto ciò, anche il liquidatore più diligente non può prevedere se, in merito agli anni anteriori alla liquidazione, in futuro saranno notificati accertamenti, per cui si dovrebbe giungere alla paradossale conclusione che, durante le operazioni di liquidazione, il liquidatore debba sempre osservare i privilegi del codice civile ed evitare di chiudere la liquidazione. Sembra invece che la responsabilità sussista solo quando la futura notifica di accertamenti sia un evento probabile. Si pensi al caso in cui il liquidatore abbia appurato un’erronea contabilizzazione degli ammortamenti, cosa che potrebbe comportare riprese fiscali anche relative ad anni anteriori alla messa in liquidazione, o alla fattispecie in cui egli venga reso edotto della deduzione, in anni anteriori alla liquidazione, di costi non inerenti, o di dichiarazioni dei periodi d’imposta anteriori omesse, il che genera il rischio di accertamenti induttivi. In ipotesi simili, specie in caso di verifiche fiscali iniziate, è opportuno che il liquidatore eviti di pagare soggetti non privilegiati rispetto all’Agenzia delle Entrate. Una soluzione, che dovrebbe essere attuata a livello normativo, potrebbe consistere nella possibilità, per il liquidatore, di ottenere un certificato dei carichi fiscali pendenti che abbia una sorta di effetto liberatorio, sulla falsariga di ciò che avviene nella cessione di azienda (art. 14 co. 3 del DLgs. 472/97). Nel sistema attuale, il liquidatore, in sostanza, deve procedere al pagamento dei creditori come se stesse gestendo una procedura concorsuale o un procedimento esecutivo, senza però nessuna – 11 – APPROFONDIMENTO: PROFILI DI RESPONSABILITÀ CIVILE E PANALE DEL COMMERCIALISTA L’ORDINE DI FERRARA “copertura” giudiziale, decidendo, alla luce del codice civile, quale può essere il corretto ordine dei privilegi. Poi, se c’è il sospetto di un futuro accertamento fiscale, per evitare il rischio di una sua responsabilità, non potrebbe né assegnare beni ai soci né pagare creditori, come i normali fornitori, di grado inferiore a quelli fiscali; secondo un risalente orientamento giurisprudenziale, il liquidatore il quale, valutata la situazione patrimoniale della società, ritenga di non poter soddisfare il debito tributario, addirittura “se vuole evitare la sua personale responsabilità verso il fisco, non ha altra scelta che accantonare le disponibilità e chiedere il fallimento della Società” (Cass. SS.UU. 6.5.85 n. 2822). L’art. 28 del decreto “Semplificazioni fiscali” non contiene alcuna norma relativa alla decorrenza delle modifiche apportate all’art. 36 del DPR 602/73. Optando per il carattere procedimentale della stessa, si potrebbe sostenere la tesi della sua efficacia retroattiva. A nostro avviso, non si può trattare di innovazione procedimentale, siccome, incidendo sull’onere della prova, finisce con l’attribuire una maggiore responsabilità al liquidatore, il che è un elemento sostanziale, e non solo procedimentale. Inoltre, la tesi della retroattività contrasterebbe con il principio del legittimo affidamento, in quanto la difesa, nei ricorsi contro gli atti emessi ai sensi dell’art. 36 del DPR 602/73, magari ha fondato l’impugnazione sul solo difetto di motivazione dell’atto. È chiaro che, se si sostiene la retroattività, è indubbio che, nei processi pendenti, il liquidatore possa integrare gli eventuali motivi di ricorso e produrre nuovi documenti. La sopravvenuta inversione dell’onere della prova, infatti, incide come detto sulla difesa: da un lato, rimarrebbe valido l’atto emesso senza indicare i presupposti per la responsabilità, dall’altro, il liquidatore, che a questo punto deve dimostrare di non essere responsabile, può avere necessità di introdurre non solo nuove argomentazioni a sostegno dei motivi già sollevati, ma pure di integrare i medesimi, e di depositare documenti che dimostrino la ragione per cui la responsabilità non può sussistere. L’unica maniera per salvaguardare la tenuta costituzionale del sistema consiste quindi nel “derogare” agli artt. 24 e 32 del DLgs. 546/92, mediante un’interpretazione estensiva della rimessione in termini. Non può, invece, applicarsi retroattivamente la modifica all’art. 19 del DLgs. 46/99, in quanto ha valenza sostanziale. L’art. 36 del DPR 602/73 non contiene una forma di responsabilità circoscritta al liquidatore, ma riguarda anche i soci: infatti, sono ritenuti altresì responsabili i soci o associati che hanno ricevuto nel corso degli ultimi due periodi d’imposta precedenti alla messa in liquidazione denaro o altri beni sociali in assegnazione dagli amministratori o hanno avuto in assegnazione beni sociali dai liquidatori durante il tempo della liquidazione. – 12 – APPROFONDIMENTO: PROFILI DI RESPONSABILITÀ CIVILE E PANALE DEL COMMERCIALISTA L’ORDINE DI FERRARA Nella menzionata fattispecie, anche dopo il decreto “Semplificazioni fiscali”, l’onere della prova circa i presupposti per la responsabilità spetta all’ente impositore. La responsabilità è circoscritta al pagamento delle imposte dovute dai liquidatori nei limiti del valore dei beni stessi, salvo le maggiori responsabilità contemplate dal codice civile. Dopo le modifiche dell’art. 28 del decreto “Semplificazioni fiscali”, “il valore del denaro e dei beni sociali ricevuti in assegnazione si presume proporzionalmente equivalente alla quota di capitale detenuta dal socio o associato, salva la prova contraria”. Detto ciò, analizzando la norma si evince che per poter ritenere responsabili i soci è necessario, in via alternativa, che: • siano stati distribuiti beni sociali o denaro nei due anni antecedenti alla liquidazione; • siano stati assegnati beni sociali durante la fase di liquidazione. In dottrina è stato sostenuto che anche la distribuzione di denaro ha rilievo se avvenuta durante la fase liquidatoria. Trattasi di un presupposto applicativo della responsabilità assai ampio, in quanto è sufficiente la distribuzione di utili. La responsabilità delineata dall’art. 36 del DPR 602/73 per soci e liquidatori è estesa agli amministratori che hanno compiuto nel corso degli ultimi due periodi d’imposta precedenti alla messa in liquidazione operazioni di liquidazione ovvero hanno occultato attività sociali anche mediante omissioni nelle scritture contabili. Nella menzionata fattispecie, anche dopo il decreto “Semplificazioni fiscali”, l’onere della prova circa i presupposti per la responsabilità spetta all’ente impositore. – 13 – APPROFONDIMENTO: UN CASO REALE – LA RESPONSABILITÀ DEI SOCI E DEI LIQUIDATORI L’ORDINE DI FERRARA UN CASO REALE: LA RESPONSABILITÀ DEI SOCI E DEI LIQUIDATORI ON.LE COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI PRATO A cura di Duilio Liburdi Udienza del 2 Ottobre 2014 MEMORIA ILLUSTRATIVA (art. 32 del D.Lgs. 546 /1992 e artt. 152 e 153 c.p.c.) La ... con il presente atto produce memoria illustrativa, ai sensi e per gli effetti del combinato disposto degli articoli 32 e 61 del D.Lgs. n. 546 del 1992 a fronte delle controdeduzioni presentate dall’Ufficio in data 10 giugno 2014. ***** 1. RAPPORTO SOCIETÀ SOCI E LIQUIDATORE Nell’ambito delle controdeduzioni presentate dall’Ufficio, l’Amministrazione finanziaria (ri)afferma come la sua attività sia stata improntata al rispetto sia delle disposizioni di natura civilistica di cui all’articolo 2495 del Codice civile che di quelle di cui all’articolo 36 del DPR n. 602 del 1973. Più in particolare, attraverso questa affermazione, l’Agenzia delle Entrate appare voler sostenere la piena applicabilità del concetto successorio esistente tra società e soci nel caso in cui, come nella fattispecie in esame, un atto di accertamento sia stato redatto in relazione a debiti tributari preesistenti ma solo ad avvenuta estinzione della società. Di fatto, l’Agenzia delle Entrate pare fondarsi su quella teoria giurisprudenziale in virtù della quale, si manifesterebbe tra società e soci un rapporto di natura successoria a fronte del quale quello che sarebbe il debito della società viene trasfuso automaticamente sui soci. Trasfuso, peraltro, in atti carenti di motivazione come si analizzerà nel prosieguo a fronte di quanto affermato dall’Ufficio sul punto. In sintesi il concetto che si vuole ribadire a fronte di quanto prospettato dall’Ufficio nelle pagine 15 e seguenti è questo: - nessun atto può essere notificato ad una società estinta successivamente alla sua estinzione; - nessuna successione nell’ambito di ipotetici debiti fiscali può verificarsi a carico dei soci e/o del liquidatore; – 14 – APPROFONDIMENTO: UN CASO REALE – LA RESPONSABILITÀ DEI SOCI E DEI LIQUIDATORI L’ORDINE DI FERRARA - il mero richiamo negli atti in questione delle disposizioni di cui agli articoli 2495 del codice civile e/o dell’articolo 36 del DPR n. 602 del 1973 sono sufficienti; - in ogni caso, a prescindere da ogni altro tipo di valutazione gli atti finalizzati alla contestazione di somme dovute in capo alla società e, per successione, in capo ai soci, sono carenti da un punto di vista della motivazione e della prova offerta in relazione al loro contenuto Più in generale, è priva di qualunque fondamento l’affermazione contenta a pagina 16 delle controdeduzioni nel passaggio in cui si afferma che “il fisco che voglia azionare la propria pretesa nei confronti di una società di capitali cancellata dal registro delle imprese, deve rivolgersi direttamente ai soci nei limiti di quanto indicato nell’articolo 2495 c.c. e notificare loro l’atto impositivo”. Non è cosi, nei termini descritti dall’Amministrazione finanziaria : la semplice notifica di un atto non è certo sufficiente a supportare il contenuto di una pretesa non sussistente ed indebita semplicemente in virtù di una citazione delle norme di riferimento, sia civilistiche che tributarie. a) Il principio di successione tra società e soci Come detto, nel comportamento seguito dall’Agenzia delle Entrate sembra scorgersi la volontà di aderire alla tesi della Corte di Cassazione, delineatasi nelle sentenze del 2013 in virtù della quale, a fronte della estinzione della società, vi sarebbe un subentro sostanzialmente “automatico” nei debiti della stessa in capo ai soci ed al liquidatore. Tale principio, pur assumendo per un attimo l’ipotesi della successione deve essere coordinato con le menzionate disposizioni di natura civilistica e tributaria tenendo conto, nel contempo, di ben nove orientamenti della giurisprudenza di merito successivi alle pronunce della Corte di Cassazione che, lo si ribadisce, non intendono comunque sancire il principio di trasferibilità dei debiti tout court. In primo luogo, va osservato come il secondo comma dell’articolo 2495 del codice civile afferma che “Dopo la cancellazione della società i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi”. Nella sostanza, ci si deve chiedere che bisogno avrebbe avuto il legislatore di formulare una siffatta disposizione nromativa se, in virtù di un fenomeno successorio, i soci ovvero il liquidatore, subentrassero in via automatica nei debiti sociali. In secondo luogo, analogamente, ci si deve domandare che senso avrebbe il disposto di cui all’articolo 36 del DPR n. 602 del 1973, in merito alla responsabilità “tributaria” se i soci ed il liquidatore fossero ex se diretti successori della società. – 15 – APPROFONDIMENTO: UN CASO REALE – LA RESPONSABILITÀ DEI SOCI E DEI LIQUIDATORI L’ORDINE DI FERRARA E’ dunque evidente come sia il legislatore civilistico che quello tributario abbiano voluto delineare un sistema di responsabilità proprio che viene ad evidenziarsi soltanto a determinate condizioni e non semplicemente, come nel caso di specie, quando l’agenzia delle entrate pur rispettando le regole procedurali in merito ad una notifica di atto, determina in capo ad una società estinta un presunto debito con modalità invero del tutto discutibili come si vedrà oltre provvedendo nel contempo a “traslare” detto debito in capo ai soci. In ogni caso, sempre volendo immaginare un fenomeno successorio, è altresì evidente come per poter pretendere l’imposta dai soci secondo quanto previsto dall’articolo 36 del DPR n. 602 del 1973, è necessaria che si renda definitiva l’eventuale pretesa a carico della società con conseguente consolidamento dell’obbligazione tributaria di specie. Quindi, nel caso in cui la società si sia estinta prima del consolidamento in questione, non potrà operare il meccanismo successorio e nemmeno, ovviamente, lo stesso articolo 36 del DPR n. 602 del 1973. Più in generale, la responsabilità dei debiti sociali traslata in capo al liquidatore ed ai soci necessita di un acclaramento di responsabilità proprie che potrà condurre, al massimo, ad una azione in sede civilistica ma non certo ad un accertamento tributario nel caso in cui la società sia estinta. Nel contempo, l’Ufficio non tiene in alcun conto l’evoluzione della giurisprudenza di merito in materia che, contemperando i principi delle sentenze della Corte di Cassazione, fissa comunque alcune regole invalicabili: - Viene sempre riconosciuta la giuridica inesistenza o la radicale inefficacia degli atti impositivi e di riscossione posti in essere in capo alle società cancellate od estinte; - In tutte le decisioni si esclude l’operatività di un principio successorio automatico configurandosi, correttamente, la problematica in termini di responsabilità; - In alcune delle predette decisioni viene altresì correttamente esaminata la problematica della presunzione di distribuzione di utili in capo a società a ristretta base. Appare dunque opportuno riepilogare sinteticamente i principi espressi dalle predette sentenze: • Sentenza n. 86 del 12 novembre 2013 della Commissione tributaria regionale del Veneto. In questa fattispecie l’Agenzia delle Entrate aveva presunto, come nel caso di specie, l’esistenza di debito tributario in capo ai soci in forza dell’esistenza del principio della “ristretta base azionaria” con atti notificati successivamente alla cancellazione dal registro delle imprese della società. I giudici regionali affermano come appaia evidente che, in primo luogo, la presunzione di distribuzione ai soci del maggior reddito accertato in capo alla società, presupponga logicamente un valido accertamento a carico della società di ricavi non contabilizzati. Nel caso di specie questo si considera non avvenuto in quanto gli avvisi di accertamento erano stati notificati un anno dopo l’avvenuta estinzione della società mancando dunque il presupposto assoluto nei confronti dei soci. L’atto, quindi, era da ritenersi insanabilmente nullo; – 16 – APPROFONDIMENTO: UN CASO REALE – LA RESPONSABILITÀ DEI SOCI E DEI LIQUIDATORI L’ORDINE DI FERRARA • Sentenza n. 277 del 2 settembre 2013 della Commissione tributaria Provinciale di Ferrara. Nel caso di specie, i giudici riaffermano il principio in base al quale non vi sia nessuna successione nei debiti sociali essendo l’amministrazione finanziaria, qualora voglia agire nei confronti dei soci, tenuta alla dimostrazione della specifica responsabilità come delineata nell’ambito delle norme civilistiche e fiscali; • Sentenza n. 123 del 26 giugno 2013 della Commissione tributaria provinciale di Rimini. In tale pronuncia i giudici, richiamando il dettato della Corte di Cassazione (sezioni unite n. 4060 del 22 febbraio 2010) affermano come il soggetto giuridico società di capitali, per effetto della cessazione non esiste più. A maggior precisazione di tale concetto la società, cessata circa un anno prima della notifica dell’avviso di accertamento, non poteva essere destinataria di alcun accertamento atteso che, alla stregua di un soggetto estinto, non poteva impugnare l’atto, non poteva pagare il debito fiscale, non poteva compiere alcun atto né tenere alcun comportamento connesso agli effetti prodotti da quell’atto. Ne la notificazione ai singoli soci dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società cessata può costituire uno stratagemma per produrre effetti a carico della società estinta od a carico dei soci che nelle società di capitali non sono soggetti al principio di trasparenza. I singoli soci ed il liquidatore della società potrebbero in astratto rispondere, affermano i giudici, a titolo eprsonale ai sensi di quanto previsto dall’articolo 2495 del codice civile qualora avessero tenuto un comportamento negligente in pregiudizio delle ragioni creditorie. In questo caso, però, i soggetti indicati avrebbero dovuto essere destinatari di un avviso di accertamento specifico nel quale si evidenziasse la motivazione espressa e specifica della loro responsabilità. Come nella fattispecie oggetto del presente contenzioso, gli avvisi di accertamento notificati alle persone fisiche sia come soci che nel caso del sig. Bianchini in qualità di liquidatore sono meramente riproduttivi di un ipotetico debito societario senza che sia specificatamente applicata la disciplina civilistica e fiscale in tema di responsabilità con l’aggravante che la quantificazione dell’ipotetico debito è stata effettuata dall’Amministrazione finanziaria con criteri del tutto empirici; • Sentenza della Commissione tributaria provinciale di Pisa n. 148 del 28 maggio 2013. In questa pronuncia si afferma, condivisibilmente, che l’azionamento delle disposizioni di cui all’articolo 36 del DPR n. 602 del 1973 presuppone l’individuazione, da parte dell’Amministrazione finanziaria, dei presupposti prescritti dalla legge per l’individuazione di una specifica responsabilità; • Sentenza della Commissione tributaria provinciale di Macerata n. 83 del 10 aprile 2013. • Sentenza della Commissione tributaria provinciale di Palermo n. 341 del 18 settembre 2013; • Sentenza della Commssione tributaria provinciale di Reggio Emilia n. 117 del 15 maggio 2013; • Sentenza della Commissione tributaria regionale della Liguria n. 22 del 8 maggio 2013. Peraltro, il tema in questione è stato oggetto di valutazione, anche nel 2014, da parte della giurisprudenza di merito per effetto, ad esempio, di quanto statuito dai giudici della Commissione tributaria provinciale di Enna con sentenza n. 113/1/14 del 24 gennaio 2014. Tale pronuncia è di particolare interesse perché, segnatamente, non si pone minimamente in contrasto con l’orientamento – 17 – APPROFONDIMENTO: UN CASO REALE – LA RESPONSABILITÀ DEI SOCI E DEI LIQUIDATORI L’ORDINE DI FERRARA espresso dalla Corte di Cassazione a sezioni Unite nel corso del 2013 ma, in dettaglio, esplicita il rapporto tra le disposizioni di specie. In ogni caso, indipendentemente dalla qualificazione del rapporto società estinta/soci, la pronuncia individua il limite e le modalità operative mediante le quali l’Amministrazione finanziaria, creditore privilegiato, può attivarsi per il soddisfacimento del proprio diritto di credito rimasto insoddisfatto una volta conclusa la fase di liquidazione della società. E’ ovvio, come in precedenza sottolineato che l’agenzia delle entrate potrà attivarsi: - in generale, in sede civilistica, ex art. 2495 c.c., a carico dei soci qualora sussista prova concreta di un riparto, in favore di questi, a chiusura del bilancio finale di liquidazione e nei limiti di questo; - in sede tributaria, per il recupero delle sole imposte dirette ex art. 36, terzo comma, del D.P.R. n. 602/1973, qualora sussista prova che i soci abbiano ricevuto dal liquidatore denaro o beni durante il tempo della liquidazione o nei due esercizi precedenti la messa in liquidazione della società. I giudici, in perfetta sintonia con quanto statuito dalla Corte di Cassazione, escludono ogni automatismo dalla possibilità di attivarsi nei confronti dei soci, essendo, invece, subordinata, tale azione, alle limitazioni imposte dalle norme sopra richiamate. E l’entità della somma di denaro distribuita al socio a chiusura del bilancio finale di liquidazione (art. 2495 c.c.) e/o nei due esercizi precedenti la messa in liquidazione della società (art. 36, terzo comma, del D.P.R. n. 602/1973), andrà a rappresentare il perimetro entro il quale l’Amministrazione finanziaria potrà azionare il proprio diritto di credito nei suoi confronti. Di queste condizioni imprenscidibili dovrà darsi conto nella motivazione dell’atto impositivo emesso a carico del socio e dovrà essere offerta prova idonea in sede giudiziale. Peraltro, nel caso di specie, l’amministrazione finanziaria in via di mera presunzione, ha sostenuto una distribuzione di utili extra bilancio dalla ristretta base familiare della s.r.l. debitrice (che non aveva esercitato l’opzione della tassazione per trasparenza), ma estinta. Il giudice, pur genericamente riconoscendo, in aderenza all’orientamento consolidato di legittimità, la possibile applicazione, d’ufficio, del regime della tassazione per trasparenza alle società di capitali a ristretta base familiare che non abbiano optato per lo speciale regime, ha ritenuto, tuttavia, che in concreto, trattandosi di società estinta, tale possibilità vada raccordata con la disciplina prescritta dal combinato disposto degli artt. 2495 c.c. e 36 del D.P.R. n. 602/1973. Se, infatti, in presenza di società di capitali a ristretta base familiare è ormai consolidata la legittimità della presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili accertati in capo alla società, non potendo, essere ignorata la loro realizzazione e, verosimilmente, avendo, i soci, partecipato alla loro distribuzione, l’applicabilità della presunzione non potrà, tuttavia, operare automaticamente nell’ipotesi in cui estinta la società, l’Amministrazione finanziaria intenda attivarsi nei confronti dei soci per il recupero delle imposte maturate in capo al soggetto sociale morto. – 18 – APPROFONDIMENTO: UN CASO REALE – LA RESPONSABILITÀ DEI SOCI E DEI LIQUIDATORI L’ORDINE DI FERRARA In tale ipotesi, infatti, costituendo, per espressa previsione normativa, l’effettiva distribuzione di attivo tra i soci (art. 2495 c.c.) e/o l’acquisizione di denaro o beni durante il periodo della liquidazione e/o nei due esercizi antecedenti la messa in liquidazione della società (art. 36 del D.P.R. n. 602/1973), il presupposto indispensabile perché possa configurarsi la responsabilità in capo al socio medesimo per il debito tributario maturato in capo alla persona giuridica non più esistente, la mera presunzione di distribuzione degli utili extra bilancio, non potrà operare, dovendo, invece tale circostanza, essere provata. Di particolare rilievo è l’ulteriore indicazione in merito alla facilità con cui l’Amministrazione finanziaria, dotata dei più ampi poteri di indagine, ben avrebbe potuto, nel caso esaminato, compiere la concreta verifica dell’esistenza di utili extra bilancio, illegittimamente ripartiti tra i soci in luogo del soddisfacimento del debito erariale della società. Non solo. La Commissione tributaria provinciale ennese va oltre, ponendo a carico dell’Amministrazione finanziaria anche l’onere di provare che effettivamente la distribuzione di tali utili sia avvenuta tra i soci, ben potendo essere attivata una specifica indagine sulla condizione personale di ciascuno di essi. Mancando, nel caso di specie, tale imprescindibile condizione, alcun meccanismo successorio e/o di responsabilità poteva legittimamente innescarsi a carico del socio ed è per questo che l’atto impositivo, asseritamente emesso ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. n. 602/1973, è stato giustamente annullato. Con specifico riferimento alla posizione del liquidatore, i giudici affermano come “(al)le presunte irregolarità del liquidatore nella gestione della liquidazione stessa, ... sono tutt’al più riconducibili ad una ipotesi di responsabilità propria del liquidatore, avente natura civilistica e non tributaria. ... Vale a dire che i liquidatori di una società estinta per cancellazione dal registro delle imprese ... ben possono essere destinatari di una autonoma azione risarcitoria, ma non anche, in assenza dei descritti requisiti, della pretesa attinente al debito sociale”. Nella sostanza, in capo al liquidatore, trattandosi di responsabilità aquiliana, esso (liquidatore) non risponderebbe direttamente per il debito societario ma per un debito distinto, nascente da un comportamento colposo ex art. 2495 c.c. Quindi, anche nei confronti del liquidatore, sia in relazione alla disciplina civilistica che per quella tributaria, è necessaria la sussistenza del comportamento colposo a fronte del quale il liquidatore potrebbe essere chiamato in causa non per un debito societario ma per un debito proprio. – 19 – APPROFONDIMENTO: UN CASO REALE – LA RESPONSABILITÀ DEI SOCI E DEI LIQUIDATORI L’ORDINE DI FERRARA Quindi: - in ambito civilistico, ex art. 2495 c.c., la responsabilità del liquidatore potrà essere azionata ove si riscontri: 1. il comportamento “colposo” che ha impedito il soddisfacimento del credito; 2. l’esistenza di una massa attiva che, se non illecitamente distratta, sarebbe stata sufficiente a soddisfare le ragioni del creditore procedente; - in ambito tributario, ex art. 36 del D.P.R. n. 602/1973, la responsabilità del liquidatore sarà configurabile con la ricorrenza di due condizioni necessarie: 1. debito d’imposta maturato e definitivamente accertato in capo alla società; 2. comportamento illecito del liquidatore che, tenuto a soddisfare i creditori con l’attivo societario, lo distragga, invece, per finalità diverse e/o per il soddisfacimento di crediti di grado inferiore rispetto a quelli tributari. Appare dunque doverosa la declaratoria di nullità degli avvisi di accertamento in questione in quanto: - Gli avvisi in questione riguardano una società estinta; - Gli stessi, in termini di motivazione, non soddisfano in alcun modo i requisiti di carattere civilistico e fiscale al fine di richiedere il soddisfacimento di un debito tributario in capo al liquidatore e/o ai soci. Documento Consiglio Nazionale Forense 11.3.2015 Oggetto: Gli effetti della cancellazione delle società dal Registro delle Imprese, tra norma generale e “norma in deroga”, alla luce dell’art. 28, comma 4, DLgs. n. 175 del 21 novembre 2014 (pubblicato in G.U. n. 277 del 28 novembre 2014 serie generale). 1.- È oramai pacifico, alla luce della interpretazione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. S.U. n. 6070 del 12/03/2013; Cass. S.U. n. 4060 del 22/02/2010; Cass. S.U. n. 4061 del 22/02/2010) che, con l’art. 2495 c.c., introdotto dal DLgs. n. 6/2003, ed entrato in vigore il 01 gennaio 2004, il Legislatore abbia inteso modificare, con valenza innovativa rispetto alla formulazione del precedente di cui all’art. 2456 c.c., gli effetti della cancellazione delle società dal Registro delle imprese. 1.1.- In particolare, secondo la giurisprudenza (Cass., L, n. 1468 del 27/01/2004; Cass. L, n. 16551 del 04/11/2003; Cass. L, n. 12078 del 18/08/2003; Cass. 5^, n. 11112 del 16/07/2003; Cass. 2^, n. 11021 del 04/10/1999), la cancellazione della società, nel vigore della vecchia formulazione dell’art. 2456 c.c., aveva una funzione meramente dichiarativa di pubblicità, non sortendo l’effetto di estinguere l’ente, qualora tutti i rapporti giuridici allo stesso facenti capo non si fossero completamente esauriti.La società cessata continuava, quindi, a mantenere la sua soggettività e capacità processuale limitatamente a questi ultimi. Il creditore non soddisfatto poteva, di conseguenza, esperire azione autonoma e diretta contro la società cessata, allo scopo di far valere nei confronti della medesima il proprio credito rimasto insoddisfatto, oltre alla possibilità di agire in via sussidiaria ed altrettanto – 20 – APPROFONDIMENTO: UN CASO REALE – LA RESPONSABILITÀ DEI SOCI E DEI LIQUIDATORI L’ORDINE DI FERRARA autonoma nei confronti dei liquidatori, e dei soci fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione. 1.2.- La formulazione introdotta dal DLgs. n. 6/2003 è efficace, con riferimento alla data di cancellazione della società, se successiva al 01 gennaio 2004, o a partire da quest’ultima data, se si tratta di società già cancellate in un momento precedente. La Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha chiarito che la cancellazione, così come disciplinata dal nuovo art. 2495 c.c., produce l’estinzione della società, con il conseguente venir meno della sua capacità e soggettività (Cass. S.U. n. 6070 del 12/03/2013; Cass. S.U. n. 4060 del 22/02/2010; Cass. S.U. n. 4061 del 22/02/2010).Le conseguenze processuali correlate all’estinzione della società sono state, poi, enucleate nei seguenti principi di diritto: “Qualora all’estinzione della società, conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) le obbligazioni si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, essi fossero o meno illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) si trasferiscono del pari ai soci, in regime di contitolarità o di comunione indivisa, i diritti ed i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, ma non anche le mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, ne’ i diritti di credito ancora incerti o illiquidi la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale) il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato”. “La cancellazione volontaria dal registro delle imprese di una società, a partire dal momento in cui si verifica l’estinzione della società medesima, impedisce che essa possa ammissibilmente agire o essere convenuta in giudizio. Se l’estinzione della società cancellata dal registro intervenga in pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo del processo, disciplinato dall’art. 299 c.p.c. e segg., con possibile successiva eventuale prosecuzione o riassunzione del medesimo giudizio da parte o nei confronti dei soci. Ove invece l’evento estintivo non sia stato fatto constare nei modi previsti dagli articoli appena citati o si sia verificato quando il farlo constare in quei modi non sarebbe più stato possibile, l’impugnazione della sentenza pronunciata nei riguardi della società deve provenire o essere indirizzata, a pena d’inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci succeduti alla società estinta.” (cfr. Cass. S.U. n. 6070/2013). 1.3.- In ambito tributario si sono frattanto accavallati orientamenti, in parte difformi dall’impostazione interpretativa acquisita e giustificati dalle peculiarità della materia. La giurisprudenza tributaria ha, difatti, affermato che il socio di una società di capitali, estinta per cancellazione dal registro delle imprese, succede a questa nel processo a norma dell’art. 110 cod. proc. civ. - che prefigura un successore universale ogni qualvolta viene meno una parte - solo se abbia riscosso somme in base al bilancio finale di liquidazione, secondo quanto dispone l’art. 2495, secondo comma, cod. civ. (in tal senso, Cass. V, n. 7676 del 16/05/2012). Di diverso avviso ancora, un altro orientamento della Cassazione tributaria, volto a sottolineare, che il processo tributario non può comunque proseguire, ad opera o nei confronti degli ex-soci, poiché essi rispondono nei limiti delle precipue responsabilità, il cui accertamento comporterebbe un non consentito ampliamento del “thema – 21 – APPROFONDIMENTO: UN CASO REALE – LA RESPONSABILITÀ DEI SOCI E DEI LIQUIDATORI L’ORDINE DI FERRARA decidendum” e del “thema probandum” (Cass. n. 11968 del 13/07/2012). Vi è stata, dunque, in più di un’occasione, la tendenza della Suprema Corte ad escludere, con riferimento a giudizi aventi ad oggetto tributi, la successione automatica degli ex soci nel giudizio riguardante la cessata società. 2.- In questo quadro normativo ed interpretativo si inserisce l’art. 28, comma 4, DLgs. n. 175 del 21 novembre 2014, (pubblicato in G.U. n. 277 del 28 novembre 2014 Serie Generale), entrato in vigore il 13 dicembre 2014, con cui il Legislatore ha stabilito che “ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’articolo 2495 del codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione dal Registro delle imprese”; disposizione non ancora recepita dalla Suprema Corte, in una delle ultime sentenze, pubblicata in data successiva all’entrata in vigore della norma, ma decisa in data di poco antecedente (Cass. n. 1568, decisa il 09 dicembre 2014 e depositata il 28/01/2015).In specie, il Legislatore ha previsto che la società, cancellata dal Registro delle Imprese e, quindi, estinta alla stregua della nuova formulazione di cui all’art. 2495 c.c., comunque permanga in vita per cinque anni dalla domanda di cancellazione con riferimento limitato agli “atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi”. La norma de qua rappresenta, quindi, una deroga al regime generale, favor fisci, volta a sottrarre gli Enti impositori, dalla regula iuris valida per i creditori comuni. In particolare, esclusivamente per i creditori di tributi e contributi, ed in relazione agli atti menzionati dalla norma, la società cancellata dal registro delle imprese non perde fiscalmente la soggettività e la capacità processuale per cinque anni dalla richiesta di cancellazione. Non vi è alcun cenno espresso normativo, invece, alla sorte della società estinta, con riferimento ai crediti dalla stessa già vantati nei confronti dell’Ente impositore ed opposti in giudizio, prima della cancellazione dal registro delle imprese. Dottrina e Giurisprudenza si troveranno, perciò, ad interpretare l’applicabilità della normativa derogatoria con riferimento agli atti del contenzioso, aventi ad oggetto i dinieghi di rimborso. La norma, quindi, con le limitazioni soggettive ed oggettive nella stessa previste, riporta gli effetti della cancellazione allo stato ante novella, di cui al DLgs. n. 6/2003, impermeabilizzando gli “atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi” dall’effetto estintivo conseguente alla cancellazione, voluto dal nuovo art. 2495 c.c.. Si crea, quindi, una parentesi temporale di cinque anni, a decorrere dalla domanda di cancellazione, nella quale la Società, estinta per tutti, pur tuttavia continua ad esistere in relazione ai soggetti ed agli atti indicati dalla norma tributaria. Per quanto la norma si presti astrattamente a dubbi di costituzionalità, con riferimento al parametro della razionalità, ex art. 3 Cost., occorre osservare, che il Legislatore, anche in altri contesti normativi, ha previsto la persistenza della capacità processuale della società estinta, come ad esempio nel caso disciplinato dall’art. 10 della L. F. (in tal senso, Cass. I n. 24968/2013; Cass. I n. 21026/2013).Nella sfera temporale de qua, l’Ente impositore non soddisfatto può, quindi, stando alla lettera della legge, esperire azione autonoma e diretta contro la società cessata, allo scopo di far valere nei confronti della medesima il proprio credito rimasto insoddisfatto. Il processo dovrà, quindi, continuare a svolgersi nei confronti della società cessata per tutto l’arco temporale descritto dalla norma. Con – 22 – APPROFONDIMENTO: UN CASO REALE – LA RESPONSABILITÀ DEI SOCI E DEI LIQUIDATORI L’ORDINE DI FERRARA circolare n. 31/E del 30 dicembre 2014, l’Agenzia delle Entrate prende atto della norma in deroga al regime delle società cancellate, ex art. 2495 c.c., ritenendo che “trattandosi di norma procedurale, si ritiene che la stessa trova applicazione anche per attività di controllo fiscale riferite a società che hanno già chiesto la cancellazione dal registro delle imprese o già cancellate dallo stesso registro prima della data di entrata in vigore del decreto in commento”. 2.1.- Come anche rilevato da tale ultima circolare, affianco alla “fictio iuris” della permanenza in vita della società cancellata per cinque anni dalla relativa domanda, il Legislatore, con lo stesso art. 28, comma 5, DLgs. n. 175 del 21 novembre 2014, ha inteso rafforzare la tutela del credito tributario, nei confronti del liquidatore e dei soci. Lo stesso ha modificato il regime dell’onere della prova, in tema di responsabilità dei liquidatori, invertendolo a carico di quest’ultimo; nonché ha introdotto, a favore dell’Ente impositore, la presunzione, salvo prova contraria, di proporzionalità del valore del denaro e dei beni sociali ricevuti in assegnazione alla quota di capitale detenuta dal socio od associato.L’ultima importante modifica recata dall’art. 28 concerne l’art. 19 del DLgs. 26.2.1999 n. 46, nel cui testo è soppresso il richiamo dell’art. 36 del DPR 602/73, norma applicabile nella sua versione originaria alle sole imposte dirette. Con la modifica introdotta la responsabilità dei liquidatori viene estesa a tutte le entrate riscosse a mezzo ruolo, compresi ovviamente i tributi veicolati dagli accertamenti esecutivi ai sensi dell’art. 29 d.l. n. 78/10.2.2. - L’interpretazione delle nuove disposizioni, segnatamente della portata dell’art. 28 DLgs. 175/14, è stata affidata dall’Agenzia a due Circolari: la n. 31/14 e la n. 6/15 del 19 febbraio 2015.Nel primo intervento l’Agenzia si è affrettata ad affermare che trattasi di norma procedurale, che troverebbe applicazione “anche per attività di controllo fiscale riferite a società che hanno già chiesto la cancellazione dal registro delle imprese o già cancellate dallo stesso registro prima della data di entrata in vigore del decreto”.Nel secondo intervento, derivante dalle risposte ai quesiti rese in occasione di Telefisco 2014, l’Agenzia ha affinato la propria posizione, nel senso che ha effettuato le seguenti ulteriori precisazioni:i) La salvezza dei termini di prescrizione e decadenza. Per l’Agenzia non è dubitabile che l’ultrattività non possa spingersi sino a violare i termini di decadenza dell’azione intervenuta nelle more. Quindi, se anteriormente all’entrata in vigore della legge 175/14 fosse già decorso il quinquennio, ogni attività di controllo e contenziosa sarebbe preclusa.(ii) La notifica degli avvisi alle società cancellate secondo le nuove regole. L’Agenzia ha precisato che, a seguito dell’entrata in vigore della norma, d’ora in avanti gli avvisi saranno notificati secondo le nuove regole. In realtà, le regole sono conseguenti alla fictio della sopravvivenza delle società estinte e la loro creazione è la naturale declinazione “dell’esistenza in vita” per cinque anni dell’organismo societario. Non di nuove regole dovrebbe, quindi, parlarsi ma di adattamento delle regole attuali, sia sotto l’aspetto sostanziale che processuale, ad una figura giuridica tenuta in vita normativamente.Il primo impatto riguarderà l’individuazione del soggetto destinatario della notifica degli atti di accertamento e riscossione, costituito non già dai soci (eredi universali ante novella) ma dalla stessa società estinta, la quale sarà legittimata ad impugnare gli atti notificati.Quanto al luogo della notifica, l’avvenuta cancellazione dopo la liquidazione dovrebbe aver comportato anche la chiusura della sede; conseguentemente, da parte dello scrivente si ritiene che l’eventuale notifica degli atti alla – 23 – APPROFONDIMENTO: UN CASO REALE – LA RESPONSABILITÀ DEI SOCI E DEI LIQUIDATORI L’ORDINE DI FERRARA residenza del legale rappresentante in carica a quel momento, se il suo nominativo risulterà dagli atti, ai sensi dell’art. 145 c.p.c. dovrà ritenersi valida e non opponibile.(iii) l’estensione del regime della retroattività agli atti di accertamento, di liquidazione e della riscossione oggetto di contenzioso e notificati prima dell’entrata in vigore del decreto sulle semplificazioni e relativi a società cancellate prima dell’entrata in vigore della norma.Per l’Agenzia il regime di retroattività si estenderebbe anche a quegli atti oggetto di contenzioso, per essere stati impugnati prima del 13 dicembre 2014.La prima immediata conseguenza dell’ultrattività sui giudizi in corso è costituita dalla preclusione della dichiarazione di interruzione- ove non già disposta - e della pronuncia di cessazione della materia del contendere nei giudizi pendenti in cui è parte una società estinta. In questi casi, se la società avesse impugnato l’avviso deducendo l’intervenuta estinzione secondo la disciplina ante novella, il processo non dovrebbe interrompersi ma continuare nei confronti della società e degli organi rappresentativi costituiti in giudizio.La seconda conseguenza concerne la sorte dei giudizi interrotti (ex art. 299 c.p.c.) che andrebbero a questo punto riassunti - dopo l’interruzione - non più dai soci (nei cui confronti avrebbe operato, secondo l’interpretazione fornita nella vigenza del precedente testo normativo, una successione universale sui generis con derivata applicazione sul versante processuale della successione nel processo ex art. 110 c.p.c.), ma dalla società.2.3. - L’opzione ermeneutica contenuta nel documento di prassi non convince completamente.L’affermazione circa il carattere procedimentale e retroattivo della norma perché volta a salvaguardare le azioni di recupero della pretesa erariale - criticata anche in dottrina (L. Bianchi, La disciplina transitoria dell’art. 28 DLgs. n. 175/14, in Dir. Prat. Trib. N. 1/15, Cedam), in quanto contrastante con il principio di irretroattività contenuto nello Statuto del contribuente - prova troppo.Si potrebbe sostenere, a contrario, che la norma abbia carattere costitutivo perché salvaguarda il principio dell’affidamento, molto apprezzato soprattutto in ambito comunitario e tutelato dalla nostra giurisprudenza di legittimità, sicchè essa si applicherebbe soltanto alle società estinte dopo la sua entrata in vigore.Il carattere procedimentale o sostanziale della norma giuridica, in realtà non ha un assetto codificato, mentre lo ha il principio della irretroattività, a cominciare dall’art. 11 delle preleggi (“La legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”).Il discrimen tra norma sostanziale e norma processuale non è cristallizzato e non può autodefinirsi: esistono norme che regolano effetti processuali di atti sostanziali (effetti probatori, esecutivi) accanto a norme che regolano effetti sostanziali di atti processuali (l’atto di citazione che interrompe la prescrizione).Dunque, l’affermazione che la norma abbia contenuto procedimentale va coordinata con l’esame e la dimostrazione delle sue ricadute sul piano sostanziale o procedimentale.Allo stato, anche alla luce dell’interpretazione del diritto vivente innanzi riportato, la proclamazione della natura procedimentale, di immediata applicazione dell’art. 28 decreto semplificazioni appare non giuridicamente protetta,e suscettiva di generare un enorme contenzioso che probabilmente non era nelle intenzioni del legislatore.La retroattività va anche riguardata sotto il profilo della compatibilità con i principi generali contenuti rispettivamente negli artt. 3 e 10 dello Statuto del contribuente.A mente dell’art. 3, le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo.L’art. 10 - in rubrica ispirato alla tutela dell’affidamento e della buona fede - prevede che i – 24 – APPROFONDIMENTO: UN CASO REALE – LA RESPONSABILITÀ DEI SOCI E DEI LIQUIDATORI L’ORDINE DI FERRARA rapporti tra contribuente e Fisco siano improntati al principio della collaborazione e buona fede.Si potrebbe opporre la natura non tributaria della disposizione racchiusa nell’art. 28, che interviene sulla norma codicistica (art. 2495 c.c.) prevedendo effetti che non incidono sul tributo, non lo disciplinano.In realtà, la censura non coglierebbe nel segno, in quanto la modifica legislativa attiene proprio all’attività impositiva (tale essendo quella legata all’accertamento ed alla riscossione), disciplinandola ed estendendola sul piano della soggettività (non soggetta a referendum).La novella legislativa non appare neanche in asse con le norme costituzionali (art. 77 Cost.) per eccesso (carenza) di delega.Il preambolo del DLgs. 175/14 richiama, infatti, gli artt. 1 (a mente del quale i decreti legislativi sono adottati nel rispetto dei principi costituzionali racchiusi negli artt. 3 e 53, del diritto dell’Unione e dello Statuto del contribuente) e 7 (secondo cui i decreti legislativi devono essere orientati alla revisione degli adempimenti superflui e che diano vita a duplicazioni ovvero che risultino di scarsa utilità per l’Amministrazione) della legge delega n. 23/14.Le disposizioni di queste norme non appaiono contenere indicazioni al legislatore delegato conformi alle finalità dell’art. 28 DLgs. 175/14, nel senso che la nuova disciplina dell’ultrattività delle società estinte si dimostra quanto meno distonica rispetto alle due norme della legge delega.Così come formulato, l’art. 28 sembra affetto, più che da un eccesso di delega, da una carenza di delega.Il regime dell’ultrattività delle società estinte, infatti, non è ontologicamente riconducibile ai principi della revisione sistematica e del riordino dei regimi fiscali (lett. a), né a quelli della revisione degli adempimenti (lett. b) né tanto meno a quelli della revisione delle funzioni dei sostituti d’imposta (lett. c) contenuti nell’art. 7 della legge delega.3. - L’ulteriore modifica contenuta nell’art. 28 del decreto legislativo n. 175/14 è relativa all’art. 36 del DPR 602/73, nel quale viene sovvertito l’onere probatorio, che passa dal Fisco in capo al liquidatore. È quest’ultimo a dover provare di aver soddisfatto i crediti tributari anteriormente all’assegnazione dei beni ai soci oppure di aver soddisfatto crediti di ordine superiore a quelli tributari. La soluzione prescelta, nella prospettiva di agevolare la posizione dell’Agenzia, non appare funzionale agli interessi erariali, in quanto suscettiva di dar vita a contenziosi talvolta anche inutili, specie se affrancati dal contraddittorio procedimentale.Questo momento affetta, in particolare, ai principi di collaborazione tra le parti, in quanto destinato ad evitare la notifica di avvisi di accertamento laddove risulti provata la chiusura delle operazioni di liquidazione nel rispetto della graduazione dei crediti.La prova che i liquidatori potranno assolvere, vincolante per gli Uffici, sarà costituita dal bilancio di liquidazione, dal quale dovranno necessariamente risultare i pagamenti effettuati ed i beneficiari.Per questa ragione l’istruttoria preventiva (richiesta di documenti, invii di questionari o accessi mirati) sarà il criterio più trasparente ed efficace perché il contraddittorio possa dirsi effettivamente funzionale a fare chiarezza nel rapporto impositivo.4. - L’ultimo intervento operato dall’art. 28 sull’impianto dell’art. 36 del DPR n. 602/73 concerne l’aggiunta nel comma terzo del seguente periodo: “Il valore del danaro e dei beni sociali ricevuti in assegnazione si presume proporzionalmente equivalente alla quota di capitale detenuta dal socio od associato, salva la prova contraria”.La disposizione riecheggia il principio di fonte giurisprudenziale, applicato alle società a ristretta base azionaria, secondo il quale gli utili extrabilancio si presumono distribuiti ai soci in misura corrispondente alle partecipazioni, – 25 – APPROFONDIMENTO: UN CASO REALE – LA RESPONSABILITÀ DEI SOCI E DEI LIQUIDATORI L’ORDINE DI FERRARA salva la prova contraria che essi siano stati reinvestiti o accantonati.Qui la situazione appare ancor più complicata.Nella logica dell’impianto dell’art. 36 l’assegnazione dei beni o del danaro ai soci non genera dalla presunzione, ma dalla dimostrazione che i liquidatori abbiano distribuito quei valori ai soci. Il primo comma dell’art. 36 DPR 602/73, infatti, sanziona la responsabilità dei liquidatori ove risulti accertato il soddisfacimento di crediti inferiori a quelli tributari.Se dal bilancio devono risultare i singoli pagamenti effettuati dai liquidatori ai singoli creditori, l’introduzione della presunzione impatta con la logica di sistema, residuandone l’applicazione al caso - raro - che nel bilancio i liquidatori abbiano indicato in modo generico nella voce “pagamento soci” o “crediti soci” un unico importo complessivo.5.- Alla luce del complesso quadro normativo, occorrerà ora attendere i necessari chiarimenti della Suprema Corte di Cassazione e della Dottrina sul rapporto tra norma generale e norma speciale tributaria “in deroga”; e, quindi, in merito a quest’ultima, sulla natura della stessa al fine di stabilirne il limite iniziale di applicazione, nonché sul rapporto tra la permanenza in vita della società cessata nei limiti suddetti ed il potenziale ed incerto coinvolgimento diretto degli ex soci nei rapporti tributari sostanziali e processuali della cessata società, decorso il quinquennio. A cura della Commissione per le problematiche tributarie Circolare n. 6 del 2014 Agenzia delle Entrate AMBITO DI APPLICAZIONE DELLA RETROATTIVITÀ DELLA NORMA SULLE SOCIETÀ ESTINTE Domanda La retroattività della norma sulle società estinte opera solo sugli atti notificati e non ancora impugnati in primo grado oppure in via generalizzata su tutti gli atti non definitivi? Risposta L’articolo 28 del DLgs. n. 175 del 2014 stabilisce che, ai soli fini della liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’articolo 2495 del codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione dal Registro delle imprese. Come precisato nella Circolare n. 31/E del 2014, trattandosi di una norma procedurale che disciplina le fasi di attuazione del tributo, a partire dal 13 dicembre 2014 (data di entrata in vigore del DLgs. n. 175 del 2014), la stessa, per sua natura, trova applicazione anche per le attività di controllo riferite a società che hanno già chiesto la cancellazione dal Registro delle imprese o già cancellate dallo stesso registro prima della predetta data, nonché per attività di controllo riguardanti periodi precedenti a tale data (ovviamente nel rispetto dei termini di prescrizione e decadenza previsti dalla legge). Di conseguenza, a seguito dell’entrata in vigore della norma in esame tutti gli avvisi di accertamento saranno notificati alle società cancellate secondo le nuove regole. – 26 – APPROFONDIMENTO: UN CASO REALE – LA RESPONSABILITÀ DEI SOCI E DEI LIQUIDATORI L’ORDINE DI FERRARA Resta inteso che l’articolo 28 trova applicazione anche con riguardo agli atti di accertamento, di liquidazione e della riscossione, ancorché interessati da contenzioso, notificati prima dell’ entrata in vigore del decreto Semplificazioni e relativi a società cancellate prima dell’entrata in vigore della norma in esame. CANCELLAZIONE DAL REGISTRO DELLE IMPRESE Domanda Nell’articolo 28 del DLgs. n. 175/2014 non è prevista alcuna decorrenza relativamente all’irrilevanza degli effetti della cancellazione della società dal registro delle imprese, nel periodo quinquennale. Di conseguenza, la detta disciplina deve ritenersi di natura “non procedimentale”, nel rispetto del “principio del legittimo affidamento” e in assenza di un supporto legislativo che affermi il contrario, con la conseguente applicazione alle sole società cancellate dalla data di entrata in vigore del provvedimento (13/12/2014), senza alcun effetto retroattivo? Risposta L’articolo 28 del DLgs. n. 175 del 2014 ha stabilito che, ai soli fini della liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’articolo 2495 del codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione dal Registro delle imprese. Come precisato nella Circolare n. 31/E del 2014, trattandosi di norma procedurale, in quanto tesa proprio a salvaguardare le azioni di recupero della pretesa erariale, la stessa si applica anche per attività di controllo riferite a società che hanno già chiesto la cancellazione dal Registro delle imprese o già cancellate dallo stesso registro prima del 13/12/2014, data di entrata in vigore del DLgs. n. 175/2014, nonché per attività di controllo riguardanti periodi precedenti a tale data, ovviamente nel rispetto dei termini di prescrizione e decadenza previsti dalla legge. LIQUIDAZIONE E DISTRIBUZIONE DI DENARO AI SOCI Domanda Con riferimento alla responsabilità dei soci di soggetti IRES, l’applicazione delle nuove disposizioni, di cui all’articolo 28, del DLgs. n. 175/2014, resta subordinata al fatto che “siano distribuiti beni sociali o denaro nei due anni precedenti la liquidazione” (tenendo conto della data di messa in liquidazione) o “siano stati assegnati beni” del soggetto collettivo “durante la fase liquidativa”. Dal tenore letterale delle disposizioni vigenti, pertanto, è da escludere dalla disciplina l’ipotesi di distribuzione di denaro nel corso della fase di liquidazione. E’ corretto? Risposta L’articolo 36 del DPR n. 602/1973, come recentemente modificato dal DLgs. n. 175/2014, disciplina le responsabilità e gli obblighi degli amministratori, dei liquidatori e dei soci e, al comma 3, in particolare, prevede che i soci rispondono per il pagamento delle imposte se, “nel corso degli – 27 – APPROFONDIMENTO: UN CASO REALE – LA RESPONSABILITÀ DEI SOCI E DEI LIQUIDATORI L’ORDINE DI FERRARA ultimi due periodi d’imposta precedenti alla messa in liquidazione” hanno ricevuto “danaro o altri beni sociali in assegnazione” dagli amministratori o hanno avuto in assegnazione “beni sociali” dai liquidatori “durante il tempo della liquidazione”. Si tratta di una norma che interviene a tutelare in modo specifico i crediti erariali nel caso della liquidazione di società, in aggiunta alla disposizione civilistica di carattere generale di cui all’articolo 2495 del c.c., e che, rispetto a quest’ultima, amplia il periodo temporale di riferimento per valutare la responsabilità dei soci, individua alcune ipotesi specifiche in cui si configura la responsabilità del liquidatore e introduce la figura dell’amministratore quale ulteriore soggetto responsabile. Tenuto conto della finalità della norma tesa ad ampliare la garanzia per i crediti erariali, oltre che del tenore letterale della norma, si ritiene che tra i “beni sociali” avuti in assegnazione dai liquidatori durante il tempo della liquidazione siano da ricomprendere necessariamente anche le eventuali distribuzioni di denaro, che la stessa disposizione fa rientrare tra i “beni sociali”. NOTIFICA DELL’ACCERTAMENTO Domanda Il decreto Semplificazioni (DLgs. n. 175/2014) ha previsto che le società cancellate dal Registro imprese siano responsabili dei debiti fiscali e contributivi per cinque anni dopo la loro estinzione. La Circolare 31/E/2014 ha introdotto un’applicazione retroattiva di tale norma. A questo punto, a chi verrà materialmente notificato l’accertamento con cui si rettificano a una società estinta ricavi non dichiarati o costi non deducibili? L’atto potrà essere impugnato dall’ex liquidatore della società estinta e/o dal socio che non ha ricevuto nulla dalla liquidazione? Risposta L’articolo 28 del decreto Semplificazioni (DLgs. n. 175/2014) ha stabilito che, ai soli fini della liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’articolo 2495 del codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione dal Registro delle imprese. A partire dal 13 dicembre 2014, data di entrata in vigore del citato decreto, l’avviso di accertamento contenente la rettifica della dichiarazione della società cancellata dal Registro delle imprese sarà emesso nei confronti della società “cancellata” e notificato alla stessa presso la sede dell’ultimo domicilio fiscale in quanto, a tal fine, l’effetto dell’estinzione si produrrà solo dopo cinque anni dalla data della cancellazione. Al riguardo, si rammenta che la società, precedentemente alla cancellazione, potrà avvalersi, comunque, della facoltà di eleggere domicilio presso una persona o un ufficio nel comune del proprio domicilio fiscale per la notificazione degli atti o degli avvisi che lo riguardano ai sensi dell’articolo 60, comma 1 lett. d) del DPR n. 600 del 1973. Si ritiene che il suddetto atto sia impugnabile dai soggetti responsabili ai sensi degli articoli 2495 del c. c. e/o 36 del DPR n. 602 del 1973. – 28 – APPROFONDIMENTO: UN CASO REALE – LA RESPONSABILITÀ DEI SOCI E DEI LIQUIDATORI L’ORDINE DI FERRARA RESPONSABILITÀ DEI LIQUIDATORI Domanda L’articolo 36, del DPR n. 602/1973 dispone che la responsabilità sussiste se i liquidatori hanno soddisfatto crediti di ordine inferiore a quelli di natura tributaria o abbiano assegnato beni ai soci prima di onorare i debiti fiscali. Stante il fatto che, nell’ambito della fase liquidativa, non si deve tenere conto di alcuna graduazione nel pagamento dei debiti, è corretto, per rispettare le nuove disposizioni, tenere conto delle disposizioni indicate dall’art. 2777 c.c. ? Risposta L’articolo 36 del DPR n. 602/1973, come modificato dal decreto Semplificazioni (DLgs. n. 175/2014), prevede che i liquidatori rispondono in proprio delle imposte della società se non provano di aver soddisfatto i crediti tributari anteriormente all’assegnazione di beni ai soci o di aver soddisfatto crediti di ordine superiore a quelli tributari. In assenza di specifici richiami nella norma, si ritiene che si possa far riferimento alle disposizioni civilistiche in materia. SOCIETÀ DI PERSONE Domanda Per effetto dell’espresso riferimento all’articolo 2495 c.c., è corretto ritenere che le nuove disposizioni non producano alcun effetto nei confronti delle società di persone, la cui estinzione è disciplinata dall’articolo 2312 c.c. ? Risposta L’articolo 2495 c.c. dispone in materia di cancellazione delle società di capitali: Per le società di persone la cancellazione viene disciplinata dall’articolo 2312 c.c. Di recente, si è consolidato un orientamento giurisprudenziale che, a proposito dell’articolo 2495 del c.c., sostiene la natura costitutiva della cancellazione delle società dal Registro delle imprese con l’effetto conseguente dell’estinzione della società. Si tratta, tra le altre, delle sentenze della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 4060, 4061 e 4062 del 22/02/2010 e n. 6070, 6071 e 672 del 12/03/2013. Con le medesime sentenze, i giudici di legittimità hanno ritenuto il principio dell’estinzione della società di capitali a seguito della cancellazione applicabile anche alle società di persone, seppure con le dovute differenze in ordine alla natura dichiarativa anziché costitutiva della cancellazione e alla diversa misura delle responsabilità dei soci. Tanto premesso, per motivi di ordine sistematico, si ritiene che le nuove disposizioni introdotte dall’articolo 28, comma 4 del decreto Semplificazioni (DLgs. n. 175/2014) possano applicarsi anche alla cancellazione di società di persone, ferma restando la diversa disciplina delle responsabilità dei soci collegata alla differente forma societaria. – 29 – APPROFONDIMENTO: UN CASO REALE – LA RESPONSABILITÀ DEI SOCI E DEI LIQUIDATORI L’ORDINE DI FERRARA TITOLARITÀ DEL DIRITTO AL RIMBORSO Domanda Come potrà provare il socio della società estinta di non aver incassato le somme contestate, nell’ipotesi in cui queste siano riferite a presunti incassi “in nero”? La retroattività della norma sulle società estinte vale anche per i crediti tributari? In tal caso chi è il soggetto legittimato a chiedere il rimborso? Risposta L’accertamento effettuato nei confronti di una società cancellata non differisce dall’ordinaria attività di accertamento; di conseguenza, nel caso di un avviso di accertamento alla società cancellata nel quale vengano contestate somme riferite a presunti ricavi non contabilizzati, i soci potranno provare di non aver percepito le somme contestate con ogni mezzo di prova a disposizione, secondo le ordinarie regole previste dall’ordinamento tributario. Come risulta dalla relazione illustrativa, la finalità dell’articolo 28 del decreto Semplificazioni (DLgs. n. 175/2014) è quella di salvaguardare la pretesa erariale; di conseguenza la citata norma riguarda esclusivamente le attività poste in essere dall’Amministrazione finanziaria. Pertanto, nel caso di crediti tributari che dovessero emergere successivamente alla cancellazione della società dal Registro delle imprese, comunque in presenza di presupposti maturati precedentemente alla cancellazione, come precisato nella risoluzione n. 77 del 2011, ancora attuale anche a seguito della modifica normativa intervenuta, la titolarità del diritto al rimborso può essere riconosciuta, pro quota, direttamente ai soci, che sono legittimati a richiederlo. Circa il soggetto cui materialmente eseguire i rimborsi, tenuto conto della compagine sociale delle società di capitali, spesso costituita da un numero considerevole di soci, nella citata risoluzione si evidenzia l’opportunità del conferimento di una delega alla riscossione ad uno dei soci o a un terzo, al fine di evitare l’erogazione del rimborso a ciascun socio in proporzione alle quote sociali. Tale delega all’incasso può essere effettuata, da parte dei soci titolari del diritto al rimborso, anche allo stesso ex liquidatore, previa comunicazione della predetta delega al competente ufficio dell’Agenzia delle Entrate. – 30 – APPROFONDIMENTO: UN CASO REALE – LA RESPONSABILITÀ DEI SOCI E DEI LIQUIDATORI L’ORDINE DI FERRARA Circolare n. 31 del 2014 ESTINZIONE DELLA SOCIETÀ E RESPONSABILITÀ DEI LIQUIDATORI Sempre nell’ambito della semplificazione fiscale, il comma 4 dell’art. 28 del decreto stabilisce che - ai soli fini della liquidazione, accertamento e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi l’estinzione della società, disciplinata dall’art. 2495 del codice civile, produce effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione dal Registro delle imprese.Trattandosi di norma procedurale, si ritiene che la stessa trova applicazione anche per attività di controllo fiscale riferite a società che hanno già chiesto la cancellazione dal registro delle imprese o già cancellate dallo stesso registro prima della data di entrata in vigore del decreto in commento.Il comma 5 modifica l’art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973 - relativo alla responsabilità ed obblighi degli amministratori, liquidatori e soci - al fine di una più compiuta tutela del credito erariale.In particolare, la disposizione in esame prevede una diretta responsabilità dei liquidatori delle società che hanno distribuito utili ai soci - in violazione dell’obbligo di rispettare il grado di privilegio dei crediti - relativi all’anno di liquidazione oppure ad anni precedenti, salvo prova contraria.In sostanza, laddove i liquidatori non riescano a dimostrare di aver assolto tutti gli oneri tributari, comprese le ritenute dei lavoratori dipendenti, prima dell’assegnazione dei beni ai soci, ovvero di non aver estinto con precedenza crediti di rango inferiore in danno di quelli tributari, gli stessi rispondono in proprio del versamento dei tributi dovuti dalla società estinta, nei limiti dei crediti di imposta che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione dei crediti. Quindi, rispetto alla precedente formulazione, l’onere probatorio è traslato sul liquidatore (inversione dell’onere della prova).La responsabilità dei soci ed amministratori, invece - già prevista nei limiti delle somme e/o dei beni ricevuti nel corso della liquidazione o nel corso degli ultimi due periodi di imposta anteriori alla messa in liquidazione, fatte salve ulteriori responsabilità - è parametrata al valore dei beni sociali ricevuti, che si presume, salva prova contraria, proporzionalmente equivalente alla quota di capitale detenuta dal socio o associato.Il comma 6 dell’art. 28 del decreto dispone, poi, che dalle disposizioni contenute nei precedenti commi 4 e 5 non discendono, per i contribuenti, obblighi dichiarativi nuovi o diversi rispetto a quelli vigenti.Da ultimo, il comma 7 modifica l’art. 19, comma 1, del DLgs. n. 46 del 1999, che individua le disposizioni del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 - recante la disciplina in materia di riscossione - che si applicano alle sole imposte sui redditi. In particolare, viene eliminato il riferimento, ivi previsto, all’art. 36 del citato d.P.R. n. 602 del 1973, avente ad oggetto la responsabilità e gli obblighi degli amministratori, dei liquidatori e dei soci dei soggetti IRES per le imposte dovute per il periodo della liquidazione e per quelli anteriori, con la conseguenza che il regime di responsabilità avrà ad oggetto tutte le imposte e non più solo le imposte dirette. – 31 – APPROFONDIMENTO: UN CASO REALE – LA RESPONSABILITÀ DEI SOCI E DEI LIQUIDATORI L’ORDINE DI FERRARA 2. RAPPORTO SOCIETÀ SOCI E LIQUIDATORE Il giudizio di appello Sulla motivazione della sentenza della CTP e la questione della cessazione della società L’Agenzia solleva una eccezione in ordine all’art.2495 c.c. sostenendo che la responsabilità dei soci a seguito della cancellazione della società non sia limitabile a quanto transitato nel bilancio finale di liquidazione in quanto le fattispecie tributarie di accertamento di maggior reddito o minor deducibilità di costi siano “automaticamente” considerabili come somme distribuite. A supporto di tale affermazione cita una sentenza della Commissione di Prato. La medesima Agenzia opera poi considerazioni di carattere generale sulla, a suo dire, distorta portata normativa dell’art.2495 da cui consegue l’impossibilità dell’Amministrazione Finanziaria di recupero a seguito della cancellazione della società. Controdeduzione L’argomento è notoriamente complesso e l’Agenzia nelle sue eccezioni denota ancora una disarmante superficialità nel trattarlo. Secondo l’appellante la norma, l’art. 2495, costituirebbe una sorta di facile salvacondotto fiscale per il contribuente che si intende sottrarre alla pretesa fiscale con l’espediente di cancellare la società dal Registro Imprese: indubbiamente una visione “fisco-centrica” della realtà e del diritto societario! Il nostro ordinamento, recentemente novellato con la riforma del diritto societario del 2004, ha introdotto un principio del tutto sano e in linea con la ratio economico commerciale che necessariamente regola i rapporti tra soggetti terzi e società. In tal senso ha stabilito che la “società”, e quindi un soggetto dotato di propria autonomia giuridica, una volta cancellato e quindi estinto cessi di fornire la propria garanzia patrimoniale e che i soci “a responsabilità limitata” continuino invece a garantire nei limiti delle somme loro distribuite in sede di bilancio finale di liquidazione. Tale disposizione consegue alle norme dettate in materia di liquidazione societaria e quindi introduce nello stesso art. 2495 la responsabilità del liquidatore laddove il mancato pagamento derivi da sua colpa. Su tale combinato civilistico il legislatore fiscale ha impiantato l’art.36 del DPR 602/73 che ha previsto, specificatamente per i debiti fiscali, la responsabilità solidale dei soci nei limiti delle somme percepite nei due anni precedenti. Concedendo quindi un maggior raggio di azione all’erario. Orbene, l’Agenzia con le sue affermazioni pretenderebbe una disapplicazione de facto della norma laddove sostiene che la dimostrazione della percezione di somme da parte dei soci nel caso dei tributi non sia necessaria. In buona sostanza pretendendo di considerare un fatto noto e provato come tale la presunta evasione accertata alla società. Ecco quindi la doppia presunzione: l’Agenzia ipotizza una fattispecie evasiva alla società e contestualmente ne ipotizza la percezione da parte dei soci. – 32 – APPROFONDIMENTO: UN CASO REALE – LA RESPONSABILITÀ DEI SOCI E DEI LIQUIDATORI L’ORDINE DI FERRARA E l’Agenzia incorre in una affermazione errata quando sostiene che la CTP ha colpevolmente ignorato che nel caso specifico non si potesse limitare la responsabilità, in quanto la stessa commissione laddove afferma: “il fisco che vuole agire nei confronti del socio, è tenuto a dimostrare il presupposto della responsabilità di quest’ultimo, e ciò in concetto che vi sia stata la distribuzione dell’attivo e che una quota di tale attivo si stata riscossa ovvero che vi siano state le assegnazioni sanzionate dalla normativa fiscale” intende enunciare il concetto che le circostanze devono essere supportate da prove. Prove da reperire al di fuori del bilancio finale e la cui produzione è a carico della Agenzia stessa. Non intendeva certo la CTP, come vorrebbe far credere l’Agenzia, che tali prove dovessero essere riscontrate nel bilancio, bensì attraverso i mezzi a disposizione dell’Amministrazione Finanziaria per la verifica delle situazioni personali dei contribuenti. E cioè i controlli finanziari e quelli sul tenore di vita e gli elementi che lo connotano. Del resto, se si inverte il ragionamento dell’Agenzia che intravede nella circostanza il pericolo “che si legittimi un e si consideri normale un comportamento il più delle volte strumentale consistente nel far cessare una società di proposito, per sfruttare le conseguenze in termini di estinzione dekka medesima dall’ordinamento giuridico e lasciare insoddisfatti i creditori sociali, tra cui anche l’Amministrazione Finanziaria” si giungerebbe a un sistema dove sarebbe sufficiente per l’A.F. ipotizzare una evasione compiuta da una società estinta per pretendere in automatico dai soci il relativo importo, dal momento che per la stessa Amministrazione sarebbe consentito, a differenza di tutti gli altri creditori, sostenere che gli importi in questione sono stati inequivocabilmente riscossi senza la necessità di alcuna prova. Cos’altro sarebbe questa se non una giuridicamente inconcepibile doppia presunzione? L’agenzia al riguardo cita una sentenza che però a ben vedere poco si attaglia alla fattispecie in questione come decisa nella sentenza rispetto alla quale l’Agenzia delle Entrate formula appello. Nello stralcio della decisione riportato a pagina 12 dell’atto di appello si esprimono dei principi che da un punto di vista giuridico non sono in discussione: - Cioè non vi è certo contraddizione tra le disposizioni dell’articolo 2495 del codice civile e la quantificazione delle somme percepite da un socio nella fase liquidatoria; - Richiamandosi evidentemente al merito della controversia, dunque, nella sentenza riportata in stralcio, si afferma come sia stato provato il carattere illecito delle deduzioni e, dunque, la ricchezza percepita dai soci sia da assoggettare a tassazione. Il punto è che rispetto alla controversia oggetto di appello da parte dell’Agenzia delle Entrate, manca il seppur minimo grado di paragone rispetto al contenuto della sentenza riportata per stralcio. Infatti: - Non è stato provato in alcun modo attraverso gli avvisi di accertamento che vi siano state indebite deduzioni ovvero indebiti arricchimenti in capo alla società poi cancellata dal registro delle imprese; – 33 – APPROFONDIMENTO: UN CASO REALE – LA RESPONSABILITÀ DEI SOCI E DEI LIQUIDATORI L’ORDINE DI FERRARA - Conseguentemente non è stata provata in nessuna maniera l’inattendibiklità del bilancio finale di liquidazione rispetto alle somme che sono in esso transitate. In ogni caso, in quanto a giurisprudenza conforme alle tesi esposte dal contribuente, si rimanda al dettagliato elenco ampiamento illustrato nel ricorso di primo grado. Va rimarcato e ribadito, anche in questo secondo grado di giudizio, come la questione centrale sia legata ad una logica che, in sede di accertamento è completamente mancata. In quanto: - il fatto che le disposizioni civilistiche richiamino la responsabilità di soci e liquidatori ovviamente è insito nella tutela che l’ordinamento pone per i creditori di una società pur se la stessa si estingue; - tale tutele può essere concretamente esercitata solo laddove, e questo sia in relazione alla normativa civilistica che in virtù della disposizione di cui all’articolo 36 del DPR n. 602 del 1973 applicabile al momento dell’avviso di accertamento, che sia preliminarmente provato il comportamento dei soggetti sopra richiamati finalizzato all’occultamento di base imponibile e, conseguentemente, alla distribuzione di utili non transitati in bilancio; - in ogni caso, in relazione alle imposte che possono essere richieste dall’Amministrazione finanziaria, nella fattispecie in esame l’IVA non è ricompresa ma introdotta soltanto per effetto di quanto affermato nel decreto legislativo n. 175 del 2014. Norma che, peraltro, come statuito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 6743 del 2 aprile 2015, non assume portata retroattiva. Manca dunque, come ben rilevato dai giudici di prime cure, qualunque elemento probatorio a supporto dell’accertamento che avrebbe consentito di azionare ai fini del recupero di eventuale imposta evasa, la disposizione civilistica di cui all’articolo 2495 del codice civile nonché quanto previsto dall’articolo 36 del DPR n. 602 del 1973. – 34 – APPROFONDIMENTO: SENTENZA N° 6743-2015 L’ORDINE DI FERRARA SENTENZA N° 6743-2015 Civile Sent. Sez. 5 Num. 6743 Anno 2015 Presidente: PICCININNI CARLO A cura di Duilio Liburdi Relatore: BIELLI STEFANO Data pubblicazione: 02/04/2015 Civile Sent. Sez. 5 Num. 6743 Anno 2015 Presidente: PICCININNI CARLO Relatore: BIELLI STEFANO Corte di Cassazione Corte di Cassazione - copia non- ufficiale copia non ufficiale Data pubblicazione: 02/04/2015 – 35 – APPROFONDIMENTO: SENTENZA N° 6743-2015 Corte di Cassazione - copia non ufficiale L’ORDINE DI FERRARA – 36 – APPROFONDIMENTO: SENTENZA N° 6743-2015 Corte di Cassazione - copia non ufficiale L’ORDINE DI FERRARA – 37 – APPROFONDIMENTO: SENTENZA N° 6743-2015 Corte di Cassazione - copia non ufficiale L’ORDINE DI FERRARA – 38 – APPROFONDIMENTO: SENTENZA N° 6743-2015 Corte di Cassazione - copia non ufficiale L’ORDINE DI FERRARA – 39 – APPROFONDIMENTO: SENTENZA N° 6743-2015 Corte di Cassazione - copia non ufficiale L’ORDINE DI FERRARA – 40 – APPROFONDIMENTO: SENTENZA N° 6743-2015 Corte di Cassazione - copia non ufficiale L’ORDINE DI FERRARA – 41 – APPROFONDIMENTO: SENTENZA N° 6743-2015 Corte di Cassazione - copia non ufficiale L’ORDINE DI FERRARA – 42 – APPROFONDIMENTO: SENTENZA N° 6743-2015 Corte di Cassazione - copia non ufficiale L’ORDINE DI FERRARA – 43 – APPROFONDIMENTO: SENTENZA N° 6743-2015 Corte di Cassazione - copia non ufficiale L’ORDINE DI FERRARA – 44 – APPROFONDIMENTO: SENTENZA PRATO L’ORDINE DI FERRARA SENTENZA PRATO A cura di Duilio Liburdi – 45 – APPROFONDIMENTO: SENTENZA PRATO L’ORDINE DI FERRARA – 46 – APPROFONDIMENTO: SENTENZA PRATO L’ORDINE DI FERRARA – 47 – APPROFONDIMENTO: SENTENZA PRATO L’ORDINE DI FERRARA – 48 – APPROFONDIMENTO: SENTENZA PRATO L’ORDINE DI FERRARA – 49 – APPROFONDIMENTO: SENTENZA PRATO L’ORDINE DI FERRARA – 50 – Segreteria Organizzativa e Servizio Clienti Telefono 045 2080808 Fax 045 2080806-7 [email protected] DIDACTICA PROFESSIONISTI SPA Viale Andrea Palladio, 22 - 37138 Verona (VR) Tel. 045 2080808 e Fax 045 2080806-7 www.didacticaprofessionisti.it