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La parata dei diritti
COOPER AZIONE E SVIL UPPO IN T U T T O IL M O N D O 116 Aprile 2009 www.cesvi.org ZIMBABWE, È COLERA Oltre 4 mila morti e 91 mila persone contagiate in pochi mesi. Un tragico bilancio. Eppure sarebbe bastato poco per evitarlo: acqua potabile e flebo reidratanti. Il responsabile ha un nome tristemente noto: colera. Un nome che ricordiamo ancora con paura, tramandato dai racconti dei padri o dei nonni, che ci riportano ad un tempo in cui le condizioni igieniche delle nostre abitazioni erano ancora precarie, i bagni comuni, in cortile o sul ballatoio. Il colera uccide per la tragica combinazione tra la mancanza d’acqua potabile e la denutrizione. Ma in Zimbabwe l’epidemia è tremendamente attuale e ormai fuori controllo, diffusa in tutto il Paese; la crisi economica in atto da mesi ormai ha reso i pochi ospedali presenti incapaci di fare fronte alla coda di pazienti che bussa alla porta. Tutti con gli stessi violentissimi sintomi: vomito e una incessante diarrea che, se non trattata, in poche ore porta alla disidratazione e alla morte. Tanto “banale” quanto letale. E curabilissima. Basta infatti un adeguato trattamento con flebo di soluzione reidratante (a base di zuccheri e sali), che hanno la funzione di restituire al corpo del ma- lato i liquidi che perde a causa della diarrea. Ma questa semplice terapia non è alla portata della popolazione dello Zimbabwe, come ci racconta Lorena D’Ayala Valva, responsabile dei progetti di emergenza Cesvi, appena rientrata in Italia da un sopralluogo sul campo: «Le cliniche non hanno posti letto sufficienti a soddisfare tutte le richieste di cura, quindi a ridosso dei centri sanitari sono sorti dei campi improvvisati di tende in cui vengono “ospitati” i malati di colera. Qui, sdraiati su letti di fortuna, riescono almeno ad essere sottoposti ad un trattamento con flebo reidratanti che, nella maggior parte dei casi, salvano loro la vita». Ma anche nelle cliniche la situazione è sull’orlo del tracollo a causa di diversi fattori: l’inflazione si è attestata da mesi su tassi a tre cifre e ha ridotto i salari statali a livelli ridicoli. Ora lo stipendio mensile di un medico o di un’infermiera non basta neppure per coprire il costo del tragitto in autobus. Per questo motivo la maggior parte del personale medico-sanitario ha abbandonato il proprio posto di lavoro; i pochi che restano - spesso solo grazie al sostegno di Ong come Cesvi - fanno il possibile per mantenere le strutture in condizioni decorose, ma si scontrano con la cronica mancanza d’acqua potabile, di disinfettanti e con la carenza di sali e liquidi reidratanti. L’acqua viene approvvigionata in modi improvvisati, con mezzi di fortuna come carriole o secchi oppure grazie all’arrivo periodico di cisterne, ma non è sufficiente e a volte neanche sicura dal punto di vista sanitario. «Per questo motivo - spiega ancora Lore- na D’Ayala Valva – Cesvi ha deciso di intervenire a supporto delle cliniche locali nei distretti di Bindura e di Masowe, con la distribuzione di tavolette per la purificazione dell’acqua e la costruzione di pozzi che permettano l’accesso costante all’acqua, rompendo la continua dipendenza dall’esterno». La situazione è più grave nelle aree urbane e nei villaggi, ma il colera si è diffuso anche nelle zone rurali poco abitate come quella del Gran Limpopo, fiume al confine tra Zimbabwe e Sudafrica. Il fiume è un punto di passaggio tra i due Paesi e segue a pag. 2 Harare (Zimbabwe). Charles fa il bagno nel fiume Mukuwisi che viene usato anche come fogna. Potrebbe lavarsi presso la vicina stazione dei treni, ma non sempre c’è l’acqua. L’abitudine di lavarsi in acque inquinate favorisce la diffusione del colera. La parata dei diritti di Maria Rosa Lorini «Le majorettes sfilano normalmente su un terreno erboso, come quello dei campi da gioco. Non certo sull’asfalto, né tanto meno per i vicoli delle baraccopoli». Così ha accolto la nostra richiesta il Preside della scuola elementare di Gu- gulethu. Ma noi del Cesvi, insieme ai ragazzi di Sizakuyenza, nostro partner locale, abbiamo insistito: «Stiamo organizzando un evento di sensibilizzazione per la giornata dei diritti umani. Se iniziassimo con una sfilata nel quartiere, la gente si incuriosirebbe e verrebbe a vedere di che si tratta. E nessuno, Signor Preside, tra le nostre baracche, ha mai visto delle majorettes!». Mentre cerchiamo di convincerlo dell’impatto positivo che una parata potrebbe avere, uno di noi nota sulla parete la foto di una persona conosciuta: la nostra “Housemother”! Colei che ora si occupa della gestione della segue a pag. 2 Poste Italiane S.p.A. – Sped. Abb. Post. – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB Milano. In caso di mancato recapito, si prega inviare al CPM Milano Roserio per la restituzione al mittente che si impegna a pagare il diritto fisso dovuto. di Elena Acerbi foto Giovanni Diffidenti Città di Beithbridge (Zimbabwe). Coda per prendere l’acqua distribuita dal Ministero dell’Acqua e delle Foreste del Sudafrica. L’attesa comincia alle 5 del mattino. Nell’area non esistono condutture né rubinetti. Sotto, scuola primaria del villaggio di Samu. Il pozzo d’acqua più vicino dista circa un chilometro. segue dalla prima Zimbabwe, è colera viene utilizzato per tutte le necessità alimentari e igieniche. Un punto particolarmente cruciale per la prevenzione del contagio sono le scuole e i villaggi, dove la concentrazione di persone che utilizzano gli stessi pozzi e latrine facilita la diffusione delle malattie. Basta il contagio di una persona per trasmettere nel giro di pochi giorni la malattia anche a tutti gli altri membri della comunità. Qui Cesvi interviene a più livelli: prevenzione da una parte e messa in sicurezza delle fonti d’acqua dall’altra, per garantire un approvvigionamento idrico adeguato. La prevenzione del contagio è legata alla distribuzione di kit igienicosanitari composti da un secchio, pastiglie per la purificazione dell’ac- qua e sapone, abbinati ad interventi di educazione igienico-sanitaria nei villaggi e nelle scuole. L’accesso all’acqua viene garantito grazie alla costruzione di pozzi e alla “messa in sicurezza” di quelli già esistenti. Spesso, infatti, il pozzo c’è già, ma è poco profondo (4-5 metri) e quindi facilmente contaminabile dalle acque nere che, in mancanza di fognature, possono filtrare attraverso il terreno. In questi casi il pozzo, da risorsa vitale, si trasforma in un pericolo per l’intera comunità che lo utilizza. Un problema simile è legato anche ai pozzi scoperti, presenti in numerosi villaggi; questi nella stagione delle piogge vengono contaminati dall’acqua piovana che, inondando le strade sterrate e le latrine comuni a cielo aperto, si riversa dentro il pozzo con tutto il suo carico di terra e liquami. Cesvi interviene con attività di prevenzione e messa in sicurezza delle fonti d’acqua. L’intervento sui pozzi, oltre ad affrontare l’emergenza immediata, serve anche ad evitare che il colera esploda nuovamente. Senza un cambiamento delle condizioni igieniche e l’accesso all’acqua potabile, infatti, i focolai sono destinati a ripetersi. Anche perché la malattia Città del Capo (Sudafrica). Baraccopoli di Philippi. Le baracche sono costruite in legno e lamiera. segue dalla prima La parata DEI DIRITTI Casa del Sorriso, destinata ad accogliere le donne vittime di abusi e i loro bambini, un tempo, al tempo in cui una donna nera non aveva certo molti diritti, era la Preside di questa scuola. Anni in cui le donne, ovunque nel mondo, protestavano per il riconoscimento dei propri diritti. Anni in cui la popolazione nera in Sudafrica viveva ancora sotto il regime dell’apartheid. Anni in cui il diritto all’istruzione era solo uno slo- 2 gan. Una donna così merita la sua foto e il rispetto di tutta la scuola. Il Preside, dal canto suo, quasi si commuove nel sapere che i giovani che ora gli chiedono di sostenere un’iniziativa sociale collaborano con l’organizzazione per la quale opera con passione questa donna. L’abbiamo convinto! Con majorettes e banda, l’impatto sonoro e visivo è garantito. È la giornata sudafricana dei diritti può essere contratta anche diverse volte in un breve periodo. Ad Amadika è successo già due volte nel corso di pochi mesi: è stata una delle prime vittime dell’esplosione dell’epidemia nella zona di Bindura, nel novembre dell’anno scorso. Dopo essere stata curata in una clinica rurale, ha fatto ritorno al suo villaggio dove ha ritrovato l’acqua contaminata e le condizioni igieniche che l’avevano fatta ammalare. Ora ha nuovamente contratto il colera e deve essere curata per la seconda volta. Lo racconta Giovanni Diffidenti, fotoreporter in missione nello Zimbabwe proprio per documentare lo situazione del colera per conto di Cesvi, con il quale collabora da anni. «Ciò che uccide è la combinazione tra la mancanza d’acqua potabile e la denutrizione, che indebolisce il sistema immunitario delle persone». Il circolo vizioso tra la malattia e la fame è ben noto: chi è malato non può lavorare per procurarsi di che vivere. Alla base di tutto c’è l’accesso ad una fonte d’acqua non contaminata, premessa per un futuro senza colera. umani. Durante l’evento è il Preside stesso, che alla fine partecipa anche alla parata, a ricordarne la ragione nella preghiera iniziale. Il 21 marzo 1960 sessantanove persone venivano uccise durante le proteste contro le ingiuste leggi del regime dell’apartheid. Per commemorare tale data, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha proclamato il 21 marzo Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Discriminazione Razziale. A più di quarant’anni di distanza, si lotta ancora per i diritti sociali, civili, politici, economici e culturali. Molte cose sono in realtà cambiate, ma non sempre tutti conoscono i propri diritti, soprattutto quando si parla di temi che evolvono continuamente, come l’Hiv/Aids. Da questa riflessione è nato lo slogan scelto dai ragazzi delle baraccopoli: “Conoscere il tuo status è conoscere i tuoi diritti”. Fino a qualche anno fa, il Governo non sosteneva le persone sieropositive, mentre oggi in Sudafrica i poveri possono avere non solo i farmaci anti-retrovirali gratuitamente, ma anche i sussidi statali per coprire le spese di trasporto per recarsi alle cliniche piuttosto che cibo sufficiente e nutriente. Queste, però, non sono le uniche novità di cui i nostri ragazzi vogliono parlare durante i loro sketch di teatro, le performance di hip hop, la recitazione di poesie e i momenti di danza. Il vero cambiamento è l’approccio alle problematiche sociali. L’Hiv/Aids non può essere affrontato solamente attraverso l’ABC (Abstain - astieniti, Be faithful - sii fedele, Condomise - usa il preservativo). Serve un approccio globale alle cause e agli effetti di questa pandemia: il Per affrontare il problema dell’Aids serve un approccio globale, basato sul diritto all’educazione. sovraffollamento nelle baraccopoli, l’esposizione al sesso per mancanza di spazi, la disoccupazione, l’alcolismo e la droga, la violenza, la carenza di servizi igienici. I giovani, durante le numerose rappresentazioni, vogliono che la sensibilizzazione tocchi anche altri temi connessi con il degrado sociale, quali i diritti dell’infanzia e soprattutto l’educazione. Il diritto alla formazione non serve solo per evitare l’analfabetismo e avere meno ragazzi per le strade: l’istruzione deve essere vista come porta d’accesso al proprio futuro. Serve un ABC diverso: Alphabetise - poter studiare, anche fino all’università, Believe - credere nei sogni, Construct - porre le basi perché ciò sia possibile. E questo non è solo compito dei giovani. È compito anche dei grandi, un sogno che si può realizzare lottando come fecero i padri nel 1960, cooperando come fanno le donne della comunità per sostenere i più vulnerabili, supportando le iniziative dei giovani che cercano di comunicare anche attraverso una parata di majorettes o la musica hip hop, vivendo insieme agli altri, come fa la nostra Housemother, che tanto ha lottato e ancora lotta perché le donne della Casa del Sorriso possano diventare non solo Presidi, ma anche Presidenti! FOTO MARCO BOTTELLI focus cooperanti Vita da cooperanti L uciano Scalettari, inviato di Famiglia Cristiana, di cooperanti come quelli che scrivono in queste pagine (Fabio, Federica, Gabriele, Loris e Roberto) ne ha frequentati molti nel suo peregrinare fra i poveri del mondo. Da un osservatore competente e indipendente come lui, ci aspettavamo apprezzamenti, ma anche critiche. Ci ha invece sorpreso con questo suo commento così lusinghiero. Nel nostro operare perseguiamo gli obiettivi prefissati dal progetto, gestendo le risorse con il massimo rigore, applicando procedure anche nelle situazioni più difficili, badando alla nostra sicurezza come pretende il Cesvi. In una parola cerchiamo di essere professionisti. Al punto da sentirci cinici nei confronti del mare di bisogni e di dolore in cui spesso ci troviamo immersi. Non ci sentiamo eroi, ma parte di una grande comunità di volontari e donatori che dall’Italia rende possibile il nostro lavoro sul campo, con tanti piccoli gesti gratuiti e quotidiani. Una comunità della quale noi siamo i più fortunati. Perché il mondo noi lo possiamo vedere da vicino; stipendiati per svolgere un lavoro difficile, ma pieno di gratificazioni. Certo, per cooperare servono modestia e curiosità per gli Mali altri, fraternità e voglia di “contaminarsi”. Nel nostro lavoro non c’è posto per gli “scontri di civiltà”. Su questo Luciano ha ragione e accettiamo con gioia la definizione di “operatori di pace”. Nel mondo che tutti insieme vorremmo più giusto, noi cooperanti stiamo nella trincea più avanzata, dove le culture si devono confrontare e incontrare per costruire il futuro. Non siamo eroi, ma operai della pace. di Luciano Scalettari Mi viene in mente Claudio, appena arrivato a Nairobi, stremato e ancora agitato dai fatti drammatici che aveva appena vissuto, da poco tirato fuori fra mille difficoltà e rischi dalla nuova guerra che scoppiava in Repubblica Democratica del Congo. Oppure Giacomo, che senza un attimo di titubanza decideva di starmi accanto quando i due agenti dei servizi di sicurezza ruandesi avevano deciso di portarmi via e interrogarmi chissà dove, perché sospettavano che fossi una spia. O il medico (non ne ho mai saputo il nome) che correva affannato da una parte all’altra dell’ospedale da campo di Goma dove continuavano a segnalargli persone che si accasciavano, agonizzavano o chiedevano aiuto, in quelle settimane da girone infernale che hanno segnato l’arrivo dei rifugiati ruandesi dopo il genocidio del 1994. O ancora, Gavin, più di recente, in mezzo al marasma dell’ultima crisi del Kivu, che con un telefono da una parte e la sigaretta nell’altra si accalorava a spiegare che no, non si può fare la valigia e andarsene, lasciando in balia della violenza quelle stesse persone che fino a ieri si cercava di aiutare, solo perché ora il pericolo non è più un’ipotesi accademica ma una realtà palpabile. Quanti volti, storie, conoscenze (che spesso sono diventate amicizie) con i cosiddetti “cooperanti”: ossia le donne e gli uomini delle Organizzazioni Non Governative che partono per lavorare uno, due, cinque, talvolta dieci e più anni nei Paesi del Sud del mondo. Eroi? Squinternati? Fuggiaschi? Operatori di pace? In quanti modi sono stati definiti, questi moderni e strani vagabondi del volontariato internazionale. Non ne voglio fare un’agiografia: buoni e meno buoni, bravi e meno bravi ci sono in ogni categoria. Ma questi strani soldati di ventura che invece delle armi portano farmaci, zappe e banchi di scuola, hanno qualcosa a che fare con l’eroismo. Ma con quello senza retorica e senza bandiera, un eroismo dimesso e schivo, il più delle volte, che sopporta a fatica di parlare di sé e dei propri progetti, tanto più con un giornalista, come me, che sta qualche settimana e poi riparte. Esagerato parlare di eroismo? Basterebbe guardare alla triste lista dei caduti occidentali nelle guerre dei Sud del mondo per convincersi del contrario: la grande maggioranza di queste vittime (spesso sconosciute tanto quanto quelle delle popolazioni che erano andate a sostenere) sono i missionari e, appunto, i cooperanti. Quindi - anche se in faccia non saprei dirglielo penso a loro come a “operatori di pace”, per restare agli attributi di cui sopra. E a “costruttori di giustizia”. Di quella giustizia di cui un mondo tremendamente diseguale ha tanto bisogno. Arrivederci Gao F abio Ammar ha lavorato per il Cesvi dal 2006 al 2009 in un programma di sviluppo rurale nella regione di Gao, nel nord del Mali. In quest’area lungo il fiume Niger, dove l’avanzata del deserto minaccia sempre di più la sopravvivenza delle comunità locali, la popolazione trova nella pastorizia transumante la principale fonte di sussistenza. La condivisione a livello comunitario e transfrontaliero, con Niger e Burkina Faso, delle fonti d’acqua e dei pascoli, indispensabili a questa attività, diviene spesso motivo di tensioni e conflitti. Il Cesvi ha operato con il partner Tassaght, con le autorità locali e con la diretta partecipazione dei beneficiari per il miglioramento della gestione di queste risorse, al fine di garantire una maggiore sicurezza alimentare e di costruire un clima di collaborazione tra le comunità. di Fabio Ammar Il primo giorno a Roma è un delirio di ricordi e incespicare su un ritmo frenetico cui non appartengo più. Ho lasciato il Mali, Gao per la precisione, avamposto accarezzato dall’Harmattan, lambito dalle dune del deserto. Tre anni nel Mali, nel bel mezzo di quel crocicchio di culture che ti lascia con un sorriso ebete a mezza bocca, come in attesa di qualcosa; in attesa per esempio di saper dire buongiorno e buona sera, grazie e per favore… c’è che devi impararlo in sonrai, in tamacheq, in arabo e in mauro, in peul e in bozo e sperare che basti. Il Mali è un crocicchio di etnie e culture che convivono pacificamente. Chissà se rendo l’idea di quale ancestrale armonia permetta a così tante etnie di convivere pacificamente in questa nazione, ma anche all’interno di ogni regione, in ogni città, in ogni comune, e persino in quei piccoli villaggi dove ancora si ode l’eco di tanti idiomi, villaggi che sembrano non esistere perché smaterializzati da un ciclico esodo chiamato transumanza. Sono ricordi di cieli gravidi che non piovono mai, e terre aride così ingenerose talvolta, di mani levate in preghiera ad implorare la pioggia. Ricordi di steppa e savana e di muggiti lontani e calpestio di zoccoli per chilometri e chilometri, a cercare pascoli e oasi, o semplicemente chimere. Tessit è verde solo ad agosto, sembra la Svizzera, e quei sorrisi transumanti si scuciono perlopiù dopo le piogge, come a ringraziare il giro di ruota che ancora una volta ha risparmiato le comunità dalla fame, gli orgogli dall’umiliazione, le mandrie dalla decimazione. Quando cade la pioggia a volte è violenta, da distruggere i muri di bankò o i tetti, o quelle dighette alte due o tre metri che permettono di fare le risaie. La pioggia è tuttavia gradita, acqua che fa male ma scongiura il peggio. Le oasi si riempiono, talune vanno a pescare l’acqua del fiume, cinquanta chilometri più a oriente, permettendo la risalita dei pesci fino ai piedi del villaggio, dove si pescano perfino persici di 10 chili. A settembre cessano le piogge, i pastori sono via con le mandrie a sfruttare aree segue a pag. 4 cooperando 116 - APRILE 2009 3 focus cooperanti segue dalla terza arriVeDerci Gao lontane per proteggere i territori vicini ai siti di fissazione e preservare il pascolo da utilizzare nella stagione ostica. Il panorama si ingiallisce già all’inizio di ottobre, e prima di vivere temperature umane torna un gran caldo, ma va tutto bene, ormai ci sono specchi d’acqua ovunque, e i torrenti stagionali, gli oued, hanno lasciato solchi umidi che fanno bene agli alberi; e poi, dopo i raccolti, tutto diventa marrone e brullo, e inizia il freddo. Per la gente del posto era freddo, ma per me era un autunno carezzevole e sopra la mia testa nelle notti all’aperto, in quella brousse senza tempo, passavano costellazioni sconosciute, le stelle che guidavano i pastori erano luci nuove e sorrisi, e sogni sospiranti inviati lassù dalle anime erranti. La mattina all’alba mi lacrimavano gli occhi e mi gocciolava il nasone, ormai ero disabituato alle temperature rigide, e gioivo in silenzio quando stormi di migratori passavano trenta metri sopra il mio sguardo rivolto al cielo, mentre ancora avvoltolato nella coperta sognavo un caffè nero fumante e arrivava latte di cammella e carne di montone. La soudure è quella stagione calda e secca che va da marzo a giugno, stagione inclemente in cui si abbassano i livelli delle falde freatiche, si riducono i perimetri di quei laghi pluviali che sono un po’ la vita. E rimane così poco da mangiare per le bestie, e così poco da bere: è la stagione dei 45 o 50 gradi all’ombra che ti sfiancano, la stagione del sole che bastona dalla mattina alla sera, degli scorpioni bianchi e danzanti tra le fessure del bankò, a trovare ombra e ad offrire minaccia, la stagione dei cobra che, se vieni morso, forse ci vuole ben altro che la pietra nera e le preghiere per salvarti. La stagione in cui guardi di meno il cielo, che è diventato giallino e opaco, dei venti del deserto che sollevano la sabbia, che seccano la gola e gli occhi protetti dal kohl. Il primo giorno a Roma è una sorta di limbo già vissuto altre volte, una velocità per me ormai desueta, quella della famiglia, quella dei passanti, quella dei mezzi di trasporto e di comunicazione; persino i colleghi che amo a Bergamo non si sono fermati un attimo, anche loro troppo attenti ciascuno alla sua mansione. Hanno perso la lentezza, e con essa tutto il bello che c’è. Tran e i suoi nipoti testo e foto di loris palentini è un caldo pomeriggio in Vietnam quando ci muoviamo dall’ufficio di Hai Phong verso il cuore del distretto di Kien Thuy. È in questo distretto periferico, popolato da pescatori, che si sviluppa il nuovo progetto Cesvi. Ancora una volta parliamo di Aids, ma questa volta in un Paese dalla prevalenza talmente bassa da doversi porre il dubbio circa l’eticità della spesa impegnata. È appunto da questo dubbio che è nata l’analisi che ci ha portati a riflettere sulla situazione reale del Vietnam di oggi rispetto alla pandemia globale dell’Aids. La prevalenza dell’infezione da Hiv nella popolazione generale è stimata intorno allo 0.5% e allora ci chiediamo: “Vale l’investimento”? Poi verifichiamo i dati, e a catturare la nostra attenzione sono le cosiddette “categorie a rischio”, in cui la prevalenza sale fino al 66%. Ma quali sono queste categorie? Purtroppo quelle di sempre: prostitute, tossicodipendenti e omosessuali, e con loro i rispettivi figli. Con l’aggravante che in Vietnam queste categorie sono pubblicamente etichettate come Social Evils, ossia i “mali” della società. In Vietnam operiamo con gruppi a rischio di Hiv/Aids attraverso l’approccio del mutuo aiuto. Quanto questa definizione sia reale, e non solo un modo di dire, lo dimostra l’esistenza di un vero e proprio ministero per i Social Evils. E quanto più queste categorie sono emarginate tanto più si dimostra difficile Tiro, la mia casa D di roberto rivalta iro è una piccola città del sud del Libano. A volte mi sembra strano dire “torno a casa” e dirigere l’auto verso sud, verso Tiro, eppure questa è la mia vita ora, tra alti e bassi. Il Libano è un Paese strano, pieno di contraddizioni: poche leggi e poco applicate, da un lato le famiglie con cameriere tuttofare provenienti dall’Africa o dal Sud Est Asiatico, non sempre trattate bene, e dall’altra i paesini dell’interno poveri e molto legati alle tradizioni. Il Libano è una scintilla sempre accesa, basta un alito di vento e il fuoco divampa, come a Nahr el Bared t 4 COOPERANDO 116 - APRILE 2009 nel 2007 o nel maggio 2008, quando sono rimasto bloccato nell’esilio dorato di Tiro. In quei giorni, da Beirut allo Chouf, da Sidone alla Bekaa, il Libano bruciava. A Tiro invece tutto tranquillo, in un’atmosfera irreale e carica di tensione. I bimbi imitavano gli adulti, i cassonetti della spazzatura erano in fiamme, le bandire sventolavano, e la battaglia di sassi continuava, con il capitano-bambino che mi diceva, chinandosi e prendendo una pietra in mano, “Non andare là, là tirano le pietre”… in realtà non ricordo in che lingua l’abbia detto, in un Paese dove si parlano almeno tre lingue. Ed ora quattro, se ci ag- FOTO REUTERS - NIKOLA SOLIC al 2007 Roberto Rivalta è cooperante in Libano, dove Cesvi opera in partnership con il South BIC e con l’Unione delle Municipalità di Tiro. Il progetto intende affrontare il problema della disoccupazione, specialmente giovanile, attraverso il rafforzamento del centro per l’impiego creato dal Cesvi nel 2007 e lo svolgimento di corsi di formazione professionale. Un focus particolare è dedicato alle ragazze dei villaggi intorno a Tiro. lavorare a programmi di coinvolgimento e integrazione nella società. Il progetto Cesvi nasce proprio dalla necessità di raggiungere le categorie più vulnerabili della popolazione con interventi in grado di creare un rapporto di fiducia, permettendo loro l’accesso ai servizi sociali e sanitari. Lavoriamo nelle comunità con gruppi spontanei di ex prostitute e tossicodipendenti per rafforzare la consapevolezza di gruppo e fornire supporto tecnicologistico affinché ogni membro del gruppo diventi un esempio e un aiuto per gli altri che ancora non hanno trovato il coraggio di affrontare la propria condizione di sieropositivi. Formiamo questi volontari perché possano incontrare altre persone sieropositive e dare un supporto sia da un punto di vista psicologico sia pratico, indirizzandole verso le strutture sanitarie più adatte. È da qui che riprende la storia del mio viaggio. Durante un incontro con alcuni desti- liBaNO focus cooperanti Caracas, bambine a rischio ViETNaM natari del distretto di Kien Thuy, mi siedo su una stuoia a casa di una dolce nonna dall’indefinibile età, Tran, a sorseggiare un tè ascoltando la storia della sua vita. La bassa voce di Tran mi paralizza in un trance di stupore misto a curiosità e sofferenza, interrotto solo a tratti dalla voce dell’interprete che traduce il racconto. Il figlio di Tran è morto di Hiv circa un anno fa, lasciandole i due figli di 2 e 5 anni. La madre dei bambini è scappata per rifarsi una vita ed ora è Tran a prendersi cura di loro. Il lavoro è scarso in questa remota parte del distretto e quello che la donna aveva da parte è finito in fretta. L’orticello che riesce a coltivare nel cortile di fronte a casa non le basta per coprire il fabbisogno domestico e così è costretta a piccoli lavori per arrotondare. L’economia dell’area è prevalentemente legata alla pesca, e Tran lavora su commissione per cucire e riparare le reti dei pescatori, in cambio di pochi dong e qualche pesce. L’unica proprietà rimastale è la casa, che Tran sta pensando di vendere per mandare i nipoti a scuola. I suoi occhi sono stanchi, e intravedo l’amarezza per una vita che sembra andare a rotoli, ma anche un grande orgoglio. Non chiede nulla per sé, ma è felice di potermi raccontare la sua storia. La storia di una disperazione quotidiana, di un figlio sieropositivo che ha lasciato su di lei la responsabilità di due nipoti. Torno indietro confuso, quasi affranto. Mi sento orgoglioso del lavoro che Cesvi svolge in questa remota parte del mondo, ma non riesco a togliermi dagli occhi il volto di Tran segnato dal tempo, dal sole e dalle sofferenze. Vorrei poter fare di più per lei e per i suoi nipoti, ma al contempo so che il mondo è pieno di “Tran”, nonne e nonni vittime indirette dell’Hiv, di figli e nipoti che senza colpa né responsabilità sono colpiti da una pandemia che affligge tutti i continenti. Non potrò fare di più per Tran, ma da questa visita torno con la consapevolezza che il mio lavoro non è vano: c’è ancora spazio per andare avanti, per credere e per realizzare, anche in un Paese con un tasso di sieropositività apparentemente limitato, progetti nuovi ed efficaci. giungiamo l’italiano. Un Paese a cui stiamo dando tanto, noi Italiani, con tutti i nostri limiti, un Paese dove siamo amati. Un Paese in cui il dolore si mescola ai caroselli, in cui la sofferenza di uno è la gioia dell’altro, un Paese che rappresenta il mondo, il mondo che verrà, forse. Il Libano è una scintilla sempre accesa: basta un alito di vento e il conflitto divampa. Sono ancora vive le sensazioni di quel maggio difficile, quando tutto pareva ricominciare da capo come 30 anni fa. La storia sembrava ripetersi e inseguire se stessa. No, non era giusto che Vicky, nata nella guerra, con la guerra, per la guerra, ci tornasse in mezzo; non era giusto che Aline, la piccola armena che vuole scappare a Dubai e si ricorda la Beirut del primo giorno di guerra, ripiombasse all’inferno, che il pa- di Gabriele bertani H dre la andasse a prendere a scuola, ancora una volta, per toglierla dalle bombe. Tutto è passato ora e la vita è tornata a scorrere normalmente, i SUV sono di nuovo sulle strade e l’ordinata confusione regna incontrastata. Appena arrivato mi è piaciuto, questo Libano senza regole, in cui si guida contro mano, si saltano le rotatorie e si passa con il rosso. Poi però ho iniziato a sentire la mancanza di un po’ di ordine, tutti in coda ai 90 all’ora, a volte è meglio così. Quanta Italia c’è in Libano? Tanta, e anche di più. Ma c’è anche tanta America, con la voglia di vivere al di sopra e oltre le proprie possibilità. Tutto è calmo all’orizzonte, tutto è tranquillo, aspettando giugno e l’estate che verrà. FOTO REUTERS - ALI HASHISHO Mi sento orgoglioso di ciò che Cesvi sta facendo in questa remota parte del mondo. So che il mio lavoro non è vano. FOTO ALFREDO MACHI VENEZUEla Dopo un’esperienza in Cambogia tra il 2006 e il 2007, Loris Palentini è oggi impegnato con Cesvi in Vietnam. Obiettivo: svolgere attività di prevenzione e cura dell’Hiv/Aids, con particolare attenzione ai gruppi più vulnerabili. o iniziato a collaborare con il Cesvi in Sri Lanka nel 2005 a seguito dell’emergenza tsunami, poi presso la sede centrale di Bergamo e dallo scorso anno a Caracas per seguire le attività di un progetto a favore di bambine in condizione di sfruttamento sessuale. L’intervento, finanziato dal Ministero degli Affari Esteri italiano, si prefigge in tre anni l’obiettivo di aiutare quasi 5.000 ragazze in condizione di violenza e sfruttamento sessuale a rifarsi una vita. Le attività sono molteplici e spaziano da interventi psicoterapeutici a percorsi rieducativi e professionali, passando per costanti controlli medici e azioni a livello familiare e comunitario. Il Cesvi è una delle pochissime Ong internazionali presenti in Venezuela, e forse l’unica che cerca di rispondere ad una necessità “nascosta”, ma dalle dimensioni di vera e propria emergenza umanitaria. Quando parlo con le persone a Caracas, siano esse venezuelane o rappresentanti di governi stranieri o di Organizzazioni Internazionali, constato quasi sempre con amarezza che nemmeno qui a Caracas la gente sa quanto diffuso sia il fenomeno dello sfruttamento sessuale minorile. Non ci sono dati ufficiali, né tantomeno ricerche aggiornate. È un problema dimenticato, ma devastante. I numeri che oggi sono a nostra disposizione parlano di 40-50.000 casi all’anno di minori in condizione di sfruttamento sessuale. E la tipologia del fenomeno è del tutto particolare in questo Paese, in quanto la prima violenza inizia in più dell’80% dei casi all’interno del nucleo familiare. Ed è poi lo stesso nucleo familiare che “costringe” il bambino ad essere abusato anche fuori dalla famiglia. Una dinamica che comporta conseguenze gravissime nel minore sia a livello psicologico che sociale. Secondo dati Unicef, il totale delle denuncie per violenza sessuale evidenzia che le vittime del fenomeno, nell’89,9% dei casi, sono bambine o ragazze. Oltre ai casi di violenza domestica, molte sono indotte alla prostituzione da false “promesse”, come quella di ottenere un lavoro o un matrimonio vantaggioso. Le quindici persone che compongono il team del Cesvi in Venezuela sono professionisti (psicologi, assistenti sociali, medici, economisti, avvocati, educatori) che hanno deciso di raccogliere la sfida di un progetto delicato e ambizioso. Una decisione non facile anzitutto per la tipologia dei problemi che affrontiamo ogni giorno, ma anche per gli aspetti culturali di questo Paese, che vedono le persone sempre più rinchiuse nei propri interessi; questo spiega anche perché pochissimi in Venezuela siano a conoscenza di tale fenomeno. Ogni anno, si parla di 40-50 mila casi di minori a rischio di sfruttamento sessuale in Venezuela. Sono però convinto che un progetto che ha la pretesa di fare “cooperazione allo sviluppo” debba sempre comporsi di almeno tre aspetti decisivi: azioni che rispondano a necessità reali, competenza professionale degli attori coinvolti e capacità di stimolare la responsabilità personale dei vari professionisti. In Venezuela cerchiamo di lavorare così: con alti e bassi, defezioni e nuovi arrivi. Convinti sia di aiutare queste bambine affinché possano “ri-trovare” la loro vita con il suo senso, sia di stimolare una responsabilità sociale nata da una decisione personale. Il Cesvi, presente nel Paese da più di 10 anni, sta cercando di canalizzare aiuti internazionali perché il problema dei bambini in Venezuela possa trovare attori interessati da coinvolgere, rispondendo ad un bisogno tanto grave quanto diffuso. COOPERANDO 116 - APRILE 2009 5 focus cooperanti Un Paese dai mille volti di Federica badocco I mmagina vie ciottolate e scivolose, strilloni per strada, un persistente profumo di caffè e di cevapi e l’incessante battere dei ferraioli che popolano il centro storico di una città. Se ti stai chiedendo di che parte del mondo parlo, scoprirai che si tratta di un Paese vicino all’Italia, davvero vicino. Ora sposta l’attenzione su prati brillanti, vallate rigogliose, fiumi che scorrono lenti: è la Bosnia-Erzegovina. Un Paese dai mille volti, ancora segnato da un passato doloroso ma proiettato verso la riconquista della propria identità culturale. Un Paese rinato dalle macerie, risvegliatosi dal torpore che l’ha avvolto per anni e che ora cede il passo a fermenti socioculturali, politici ed economici. Un Paese che modella e aggrega stimoli esterni, rilanciandosi sulla scena mondiale e preparandosi all’ingresso nell’Unione Europea, che i suoi cittadini attendono con ansia. La Bosnia-Erzegovina è interessante per chi scopre che qui l’est e l’ovest si incontrano in una prospettiva attuale di costante, anche se difficile, dialogo. Affascina ad esempio il rito del caffè, momento di raccoglimento e di conversazione durante il quale si discute animatamente della situazione politica del Paese, ancora diviso in due entità e un distretto, in Cantoni e Municipalità, che appesantiscono l’apparato burocratico e ostacolano gli slanci della società civile. Il rito del caffè è uno dei pilastri del cittadino bosniaco-erzegovese, un elemento culturale che simboleggia il lento incedere di un territorio, scandito tuttora dalle espressioni “prima della guerra” e “dopo la guerra”, a testimonianza di quello che è stato e di quello che, a causa del conflitto, è andato perso e si sta cercando di recuperare. La Bosnia Erzegovina è oggi proiettata verso la riconquista della propria identità culturale. È interessante vedere con i propri occhi non solo lo stato di avanzamento del Paese, ma anche e soprattutto la vita nei villaggi, lontana dalla frenesia cittadina, che cerca di puntare su attività Breza, agosto 2008. Insieme alla Ong Re.Te., Cesvi partecipa alla manifestazione “Bazenijada” con uno stand informativo per promuovere il Centro di Orientamento al Lavoro e un concerto gratuito. A destra, Roma. Visita formativa per il coordinatore Cesvi e due Viceministri della Salute della Repubblica Srpska. Lo staff del Dipartimento di Salute Mentale ASL Roma C, partner del Cesvi a Banja Luka, mostra loro un centro diurno in cui il reinserimento sociale dei malati mentali passa attraverso il lavoro, ad esempio negli orti. 6 COOPERANDO 116 - APRILE 2009 che vadano oltre la pura sussistenza. I casi di povertà sono alle porte della capitale e delle cittadine maggiormente popolate; si tratta di zone con un elevato tasso di disoccupazione, sul quale le ripercussioni della crisi mondiale non si faranno sentire particolarmente, se non ai danni dei più vulnerabili. La scelta giusta è puntare su progetti di micro-imprenditorialità, soprattutto in campo agricolo. Il Paese si poggia infatti anche e soprattutto sulle rimesse dall’estero di coloro che, durante la guerra, si sono rifugiati in altre nazioni e sostengono le famiglie di parenti e amici rimasti qui. Per cercare di arginare il rischio della crisi e concorrere alla ripresa economica, la comunità internazionale si è mobilitata con collaborazioni che favoriscono la micro-imprenditorialità, soprattutto in campo agricolo: una via alternativa ai grandi investimenti che probabilmente risulterebbero fallimentari. In parallelo, la stessa comunità internazionale collabora con le istituzioni per rivedere la pesante struttura politico-amministrativa messa in piedi con gli accordi di Dayton. La divisione politico-ammini- Federica Badocco, autrice dell’articolo e cooperante Cesvi a Breza, vive e lavora in Bosnia Erzegovina da due anni. BOSNia ERZEGOViNa strativa acuisce le differenze tra le due entità che compongono il Paese, la Republika Srpska e la Federazione della Bosnia-Erzegovina, e pone gli operatori internazionali in una situazione di stallo. Per questo è importante collaborare su più livelli, cercando di agire per il reale miglioramento di vita della popolazione. Gli altri attori del cambiamento, con i quali si collabora tenacemente, sono le associazioni di cittadini, dai giovani alle donne agli agricoltori. È in questo contesto che il Cesvi opera ormai da più di dieci anni. I primi progetti, rivolti all’emergenza, hanno lasciato spazio a collaborazioni di una certa complessità, volte alla pacificazione e allo sviluppo del Paese. Si tratta di attività multisettoriali sparse su tutto il territorio, alcune delle quali di ampio respiro, altre localizzate in aree sensibili del Paese e per le quali si tende a privilegiare il rafforzamento del tessuto sociale esistente, stimolando la creazione di cooperative di gruppi vulnerabili che non hanno accesso al mondo del lavoro. Nello specifico, nella Federazione della Bosnia-Erzegovina, Cesvi segue un progetto integrato, del quale Re.Te. è l’Ong capofila, co-finanziato dal Ministero Affari Esteri Italiano. Gli interventi di ricostruzione del Cesvi hanno ormai lasciato spazio a programmi complessi e di lungo periodo. Il progetto promuove le capacità occupazionali della Municipalità di Breza. Si intende rivitalizzare il settore agricolo con l’installazione di serre, la costruzione di un Centro di confezionamento dei prodotti agricoli e la relativa vendita di prodotti con marchio d’area e standard dell’Unione Europea; il settore del micro-credito con l’ampliamento di fondi rotativi per le donne e gli invalidi e il settore giovanile con la creazione del primo Centro di Orientamento al Lavoro; il sostegno alle donne attraverso la produzione di capi di abbigliamento con motivi tradizionali; il settore educativo con la costruzione di un laboratorio scientifico e di un parco giochi pubblico; i settori dell’acqua e dei rifiuti con la riabilitazione dei centri di analisi dell’acqua e attività di sensibilizzazione. In Republika Srpska l’intervento del Cesvi, con il contributo del Ministero Affari Esteri, vuole rafforzare le competenze del personale medico e paramedico nel campo della salute mentale ed equipaggiare i Centri di Salute Mentale sparsi su tutto il territorio. Un terzo progetto, avviato da poco, mira a consolidare le capacità istituzionali nella città di Srebrenica attraverso interventi nel settore agro-alimentare. FOTO SILVIA MORARA Lima (Perù). Nelle periferie degradate il rischio di sfruttamento sessuale ai danni di bambine e ragazze è altissimo. Sotto, il team della Casa del Sorriso: Monica, Luis, Norma e Diana. Una vita degna L a Casa del Sorriso “Anna Scuri” si trova nel distretto di San Juan de Miraflores nel Cono Sud di Lima, in una delle aree metropolitane più povere e disagiate. Una recente inchiesta della polizia documenta che in questo territorio opera il maggior numero di bande giovanili, con il tasso più elevato di violenze e omicidi. All’imbrunire le strade di Lima si popolano di prostitute giovanissime con lo sguardo perso nel vuoto. È sufficiente un giro notturno con gli operatori della Casa del Sorriso per rendersi conto del clima: sembra di vivere in un perenne stato di coprifuoco e incertezza. All’imbrunire le strade si popolano di gruppi di prostitute anche giovanissime, adolescenti con lo sguardo spento e perso nel vuoto che sniffano terokal, una sostanza altamente tossica che serve per incollare la suola delle scarpe. Luis, psicologo del Cesvi, scen- de dalla macchina e si avvicina a un gruppo di ragazze che sono in contatto con la Casa. Elisabeth mi raggiunge sul sedile posteriore. Mi abbraccia. Ci siamo conosciute al paseo, la gita sociale dei beneficiari della Casa, una giornata serena, uno stacco salutare dai problemi quotidiani. Mi racconta con semplicità la sua vita: «Ho 24 anni e vivo in questo distretto a Pamplona Alta, una zona poverissima. Nella nostra baracca, oltre a me e a mia figlia Angela, ci sono dodici parenti. Resto in strada dalle 19 alle 21, il minimo indispensabile, poi torno da mia figlia. Questo lavoro non mi piace, la maggioranza dei clienti sono taxisti, c’è anche qualche straniero. Ho paura della polizia che spesso fa dei raid con i cani e ci porta in commissariato. Sono in contatto con la Casa del Sorriso da tre anni: gli operatori mi stanno aiutando molto con il sostegno psicologico, quando ho bisogno di certificati e per crescere meglio mia figlia. Sto cercando di cambiare vita, vorrei fare un altro lavoro, per esempio in una panetteria o in un centro estetico. Mi ero iscritta ai corsi di formazione, ma non ho potuto finire per via della bambina picco- di Daniela Invernizzi la. La ragazza appoggiata al muro è mia sorella Paola, sta vendendo cibo, ha cinque figli, siamo sole e dobbiamo pensare a tutto». La Casa del Sorriso è nata nel 2005 proprio per accogliere adolescenti, bambini e bambine che vivono in condizioni di sfruttamento sessuale e si trovano in strada o in situazioni di rischio per l’ambiente familiare economicamente e culturalmente degradato. A tal fine vengono organizzate diverse attività: contatti in strada, visite a domicilio, incontri ricreativi, sostegno scolastico, orientamento sociale, psicologico, educativo, corsi di formazione per l’inserimento lavorativo. È fondamentale interrompere la “catena” della prostituzione tra madre e figlia. Il Cesvi sta inoltre promuovendo imprese sociali per offrire un’alternativa di vita alle ragazze e ai ragazzi in situazioni di sfruttamento sessuale e a rischio. Ma per il progetto della Casa del Sorriso è indispensabile e urgente trovare nuovi finanziamenti al fine di continuare e potenziare le attività. Attualmente ci lavorano quattro operatori, Monica, Luis, Norma e Diana, che cercano di garantire i servizi nel miglior modo possibile e mantenere i contatti con i destinatari e le istituzioni del territorio. L’esperienza di Lorenza è una testimonianza preziosa per capire l’importanza di dare continuità nel tempo alle attività della Casa del Sorriso. «Vivo in questo distretto con mia madre e mia figlia, che si chiama Cielo e ha sette anni. Quando sono rimasta incinta sono entrata in una casa di accoglienza gestita da suore, dove ho vissuto per tre anni. Eravamo venticinque mamme adolescenti. Il padre di Cielo ha quarantaquattro anni, vive in Argentina e non si occupa di noi. Sono entrata in contatto con la Casa del Sorriso, ho ripreso gli studi e frequentato corsi professionali per diventare estetista e parrucchiera. Ma, A cura dell’équipe della Casa del Sorriso quando ho partecipato alle attività di formazione per educatori di strada, ho capito che quella era la mia scelta di vita. Sono diventata educatrice della Casa del Sorriso. Giravamo in coppia per il distretto di giorno e di notte, contattando le ragazze e visitando le famiglie. Le mie precedenti esperienze di vita mi hanno permesso di capire meglio le persone che incontravo e di trovare il modo giusto per comunicare con loro. Adesso sto frequentano il quarto anno di università per diventare assistente sociale. L’anno prossimo prenderò la laurea. Mi mantengo agli studi tenendo l’amministrazione di un centro estetico. Devo pensare al futuro di mia figlia e sono tornata a vivere con mia madre che mi aiuta. Bisogna interrompere la catena della prostituzione tra madre e figlia. È difficile, talvolta mi sono sentita impotente, ma credo nella possibilità di cambiamento, di riabilitazione, di costruzione di una vita degna di essere vissuta». Una caratteristica comune a molte ragazze che frequentano la Casa del Sorriso di Lima è quella di essere giovani madri con la responsabilità di una famiglia sulle spalle. Spesso la vita in strada è iniziata per mantenere se stesse e i propri figli: infanzie e adolescenze spezzate, da ricostruire. Gli uomini: i grandi assenti. La giornata dell’integrazione Ore 9 Partiamo tutti insieme per la giornata di integrazione familiare che si svolgerà presso il Centro ricreativo Kan-Kun, situato al Km 9 della Panamericana Sud. I 90 partecipanti, inclusa l’équipe della Casa del Sorriso, sono pieni di entusiasmo. Ore 10 Arriviamo al centro Kan-Kun. Ci sono 10 piscine e altri giochi d’acqua. Passeremo tutto il giorno qui con le famiglie che partecipano ai programmi della Casa del Sorriso. Ore 11 È l’ora dei tuffi e del divertimento! Ore 13 A pranzo mangiamo le specialità che le famiglie hanno preparato per l’occasione. Ore 15 Si riparte per Lima, dopo aver condiviso tanti momenti e aver partecipato insieme a diverse attività. Ore 16 Eccoci di ritorno alla Casa del Sorriso, stanchi ma felici per la giornata appena trascorsa. 7 PERSONE E FATTI IN BREVE - PERSONE E FATTI IN BREVE - PERSONE E FATTI IN BREVE - PERSONE E FAT 16 aprile Roma. Secondo seminario nazionale sul lavoro minorile, promosso dalle Associazioni del Coordinamento PIDIDA - Per i diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza. È allestita la mostra Cesvi “Workers. Storie di infanzia negata”, con foto di Cristina Francesconi, realizzata nell’ambito della campagna internazionale “Stop Child Labour”. e la disponibilità. 11-19 marzo e 31 marzo-2 aprile Praga e Bonn. La mostra “Workers. Storie di infanzia negata” con foto di Cristina Francesconi, viene ospitata dal One World Film Festival di Praga per poi spostarsi alla Conferenza Unesco sull’Educazione allo Sviluppo Sostenibile di Bonn. 4 aprile Bergamo. Grazie al sostegno del Rotary Bergamo Nord e alla sensibilità degli organizzatori, il torneo di Pallavolo Maschile Interscolastico è dedicato al Cesvi. I contributi raccolti sono destinati ai progetti sanitari in Congo. 25 marzo Milano. Presso SDA Bocconi, convegno “Mission to mission” per presentare i risultati della ricerca sullo staff involvement commissionata a Tomorrow SWG dalle associazioni dell’Omnibus della Solidarietà (iniziativa di Vita Consulting). Myrta Canzonieri illustra la collaborazione tra Cesvi e MediaMarket che ha portato alla creazione della Casa del Sorriso di Cape Town. 14-25 marzo Sesto Calende (VA). Mostra fotografica “Bambini” di Emanuela Colombo presso il negozio “Moine e Versetti”. Alcune immagini documentano i progetti Cesvi in diversi Paesi, dal Brasile al Sudafrica, dall’Uganda ad Haiti. La vendita delle foto contribuisce al sostegno delle Case del Sorriso. 21 marzo Como. La Compagnia degli Equilibristi mette in scena “Baby”, opera vincitrice del concorso teatrale promosso da Cesvi nell’ambito della campagna “Virus Free Generation”, presso il liceo Matilde di Canossa. Segue un intervento di Simona Ghezzi sull’impegno del Cesvi per la lotta all’Aids in Africa e per la sensibilizzazione in Italia, in Europa e in tutto il mondo. 15-22 marzo Sesta edizione de La Fabbrica del Sorriso, iniziativa di solidarietà promossa da Mediafriends (Onlus formata da Mediaset, Mondadori e Medusa) e dedicata alla salute dei bambini. Parte dei fondi sono destinati alla Casa del Sorriso che Cesvi sta creando a Nairobi, in Kenya. Grazie a tutti i volontari per l’entusiasmo 12 marzo Roma. Presso la Provincia di Roma, incontro promosso dalla rete di Ong italiane Link 2007 sul tema della fame globale. Nell’occasione Arturo Alberti e Stefano Piziali presentano l’edizione italiana dell’“Indice Globale della fame 2008”. 13 marzo Roma. Conferenza stampa promossa da AGIRE (Agenzia Italiana Risposta Emergenze di cui Cesvi fa parte) e dal Segretariato Sociale Rai sulle crisi umanitarie e sulla loro “rappresentazione” mediatica. Viene firmato il protocollo d’intesa fra Rai e AGIRE sulle modalità di collaborazione in caso di appelli di raccolta fondi su gravi emergenze umanitarie. 5 marzo Bergamo. Don Lush Gjergji, responsabile della Diocesi di Pristina, fa visita al Cesvi. Il fondatore dell’Associazione Madre Teresa di Calcutta è stato il primo partner del Cesvi in Kosovo. Con lui il missionario Valentino Savoldi con il fratello Giancarlo della Fondazione Shalom. possibile interagire anche con altre figure interne all’organizzazione tramite diversi servizi. L’obiettivo è dare nuovi strumenti di informazione e intensificare la consultazione della Comunità dei sostenitori per rendere più efficace e permanente la partecipazione dei volontari e dei donatori alle scelte del Cesvi. Questo mese ricorre un anniversario importante per noi: 10 anni fa, mentre viaggiavamo in auto, ascoltammo per radio Ezio Greggio che parlava della Corea del Nord e di cosa stava facendo il Cesvi. Venimmo così a conoscenza di una grande tragedia in un Paese dimenticato da tutti i media... ma non da voi. L’immagine del bimbo denutrito che per qualche tempo ha rappresentato la campagna “SOS Corea del 7-8 febbraio Kampala (Uganda). Al National Theatre, in mostra una selezione di foto realizzate dai ragazzi del villaggio di Kalongo in collaborazione con Fotografi Senza Frontiere. L’iniziativa fa parte del progetto “Fondazioni 4 Africa” in Nord Uganda, promosso da Compagnia di San Paolo, Fondazione Cariparma, Cariplo e Monte dei Paschi di Siena in collaborazione con alcune Ong italiane tra cui Cesvi, Amref e Coopi. 28 febbraio-8 marzo Bergamo. Il torneo internazionale di tennis organizzato da Olme Sport sostiene il Cesvi contribuendo ai progetti sanitari in Congo. Un ringraziamento speciale agli organizzatori, a Giuseppe Chiesa e a tutto il Rotary Bergamo dieci anni fa Cooperando n° 52, Maggio ’99. C’è la guerra in Kosovo e lo staff Cesvi si è trasferito in Macedonia per assistere 16.000 dei 50.00 profughi nella megatendopoli di Cegrane. Anche lo staff in Albania è impegnato nell’accoglienza di oltre 14.000 kosovari. Cooperando ne dà un resoconto dettagliato e in ultima pagina ospita un appello di Ezio Greggio: “Ho scelto di aiutare chi ha la capacità di aiutare”. Forte dell’esperienza realizzata durante le guerre balcaniche e nella carestia epocale in Corea del Nord, Cesvi comincia a intervenire nelle emergenze di tutto il mondo. Anche in quelle che da noi passano inosservate. Proprio il n° 52 racconta lo sforzo per ricostruire due villaggi del Nicaragua e dell’Honduras distrutti tra il 29 e il 30 ottobre 1998 dal micidiale urgano Mitch. 10.378 morti per una delle più potenti tempeste mai avvenute nell’Atlantico. Venti a 320 chilometri orari e due metri d’acqua piovuti dal cielo in due soli giorni abbattono case, fabbriche, scuole e ospedali, distruggono strade e ponti e portano via il 70% dei terreni fertili dell’Honduras. Cesvi, dopo aver distribuito generi di prima necessità a 4.400 bambini e 3.000 adulti senzatetto di Wiwili (Nicaragua), si impegna nella ricostruzione di case e latrine a Wiwili e Olanchito (Honduras). Il programma prevede la fornitura gratuita di materiali edili e di cibo, mentre l’opera di ricostruzione è a carico degli stessi senzatetto. Un modo per ricominciare a vivere dopo lo shock della morte e della distruzione. LETTERE E MESSAGGI - LETTERE E MESSAGGI - LETTERE E MESSAGGI - LETTERE E M Ho letto sul numero 115 di Cooperando che è in via di costituzione la Comunità dei sostenitori Cesvi. Sarei lieto di poterne far parte. Pierluigi Bellutti Grazie a Pierluigi per l’attenzione e la vicinanza. Ne prendiamo nota volentieri. Nei prossimi mesi Pierluigi riceverà una precisa proposta insieme a tutti i volontari e i donatori che hanno le caratteristiche indicate su Cooperando 115. Si tratta di una comunità sparpagliata su tutto il territorio nazionale e anche fuori Italia, che dialogherà perciò “a distanza” attraverso caselle postali, telefoniche e soprattutto via internet con servizi di accesso riservato. Verrà per esempio creato un contatto diretto con la presidenza tramite un blog riservato e, periodicamente, sarà Nord per aver saputo coniugare sport e solidarietà. Nord” è di quelle che non dimenticheremo mai. In questi anni vi abbiamo seguito in altre campagne (Uganda, Romania, Angeli contro la malaria), ma “SOS Corea del Nord” rimane la “nostra” campagna e da allora cerchiamo sempre notizie di quello sfortunato Paese. Grazie per quello che fate. Grazie per farci sentire al vostro fianco, grazie per farci sentire un po’ meno egoisti. Renato e Luisella Grazie a Renato e Luisella per averci sostenuto quando l’Italia era “distratta”. Purtroppo la carestia è ancora incombente, ma si parla di Corea del Nord solo per le malefatte del suo dittatore. Cesvi vorrebbe e potrebbe rientrare in Corea del Nord perché c’è ancora bisogno di noi e le autorità hanno dato il benestare. Ma il nostro sistema-Paese latita: quando abbiamo chiesto ai governi (sia di centrodestra che di centrosinistra) un sostegno economico, non abbiamo ricevuto risposta. Da soli non possiamo arrivare ovunque: come accadde per la Corea del Nord, anche su altre emergenze i riflettori si sono spenti da tempo, ad esempio quella che affligge il Nord Uganda. Eppure anche là l’emergenza umanitaria continua. Per questo Cesvi c’è con una serie di interventi volti a garantire alle popolazioni colpite cibo e strumenti, materiali e non, per riscattarsi dalla situazione di miseria in cui si trovano. La tempestività e sostenibilità dell’opera del Cesvi è possibile anche grazie al sostegno di persone attente e sensibili come Renato e Luisella. cooperando bimestrale cesvi Direttore responsabile: Giangi Milesi Redazione: Nicoletta ianniello Cesvi Via Broseta 68/a - 24128 Bergamo tel. 035 2058058 fax 035 260958 [email protected] Cooperando 115 è stato spedito a 68.978 donatori Cesvi. Abbonamento annuo: 15,00 €, gratuito per i sostenitori Grafica: In.Studio, Bergamo Stampa: More System Srl, Ponte S. Pietro (BG) Su carta riciclata Autorizzazione: Trib. di Bergamo n. 21 del 15.4.1986 Iscrizione ROC n. 3457 Cesvi protegge i tuoi dati. Per saperne di più: www.privacy.cesvi.org Editore: Cesvi fondazione onlus ONG costituita il 15/1/85 riconosciuta il 14/9/88 Ente Morale n. 1 Reg. persone giuridiche Pref. BG Consiglio d’Amministrazione: Giangi Milesi (pres.), Nando Pagnoncelli (vice-pres.), Gianluca Belotti, Pierluigi Bernasconi, Massimo Gualzetti Collegio dei Garanti: Stefano Mazzocchi (pres.), Riccardo Bonacina, lella Costa Collegio dei Revisori: Francesca Maconi (pres.), alberto Finazzi, Dino Fumagalli Presidente onorario: Maurizio Carrara Consigliere per le relazioni internazionali: Paolo Magri Collegio dei fondatori ad honorem: Pierluigi Bernasconi, Cristina Parodi, Carlo Pesenti, Gigi Riva, Giulio Terzi di Sant’agata, Emilio Zanetti Comitato esecutivo: Giangi Milesi, Paolo Cattini, Myrta Canzonieri, Piersilvio Fagiano, Stefano Piziali Cesvi è il membro italiano della rete europea