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La parata dei diritti

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La parata dei diritti
COOPER AZIONE E SVIL UPPO IN T U T T O IL M O N D O
116
Aprile
2009
www.cesvi.org
ZIMBABWE,
È COLERA
Oltre 4 mila morti e 91 mila persone contagiate in pochi mesi. Un
tragico bilancio. Eppure sarebbe bastato poco per evitarlo: acqua potabile e flebo reidratanti. Il responsabile ha un nome tristemente noto:
colera. Un nome che ricordiamo
ancora con paura, tramandato dai
racconti dei padri o dei nonni, che
ci riportano ad un tempo in cui le
condizioni igieniche delle nostre
abitazioni erano ancora precarie, i
bagni comuni, in cortile o sul ballatoio.
Il colera uccide per la
tragica combinazione
tra la mancanza
d’acqua potabile
e la denutrizione.
Ma in Zimbabwe l’epidemia è tremendamente attuale e ormai fuori
controllo, diffusa in tutto il Paese;
la crisi economica in atto da mesi
ormai ha reso i pochi ospedali presenti incapaci di fare fronte alla
coda di pazienti che bussa alla porta. Tutti con gli stessi violentissimi
sintomi: vomito e una incessante
diarrea che, se non trattata, in poche ore porta alla disidratazione e
alla morte. Tanto “banale” quanto
letale. E curabilissima. Basta infatti
un adeguato trattamento con flebo
di soluzione reidratante (a base di
zuccheri e sali), che hanno la funzione di restituire al corpo del ma-
lato i liquidi che perde a causa della
diarrea. Ma questa semplice terapia
non è alla portata della popolazione
dello Zimbabwe, come ci racconta
Lorena D’Ayala Valva, responsabile dei progetti di emergenza Cesvi,
appena rientrata in Italia da un sopralluogo sul campo: «Le cliniche
non hanno posti letto sufficienti a
soddisfare tutte le richieste di cura,
quindi a ridosso dei centri sanitari
sono sorti dei campi improvvisati
di tende in cui vengono “ospitati”
i malati di colera. Qui, sdraiati su
letti di fortuna, riescono almeno ad
essere sottoposti ad un trattamento con flebo reidratanti che, nella
maggior parte dei casi, salvano loro
la vita». Ma anche nelle cliniche
la situazione è sull’orlo del tracollo
a causa di diversi fattori: l’inflazione si è attestata da mesi su tassi a
tre cifre e ha ridotto i salari statali
a livelli ridicoli. Ora lo stipendio
mensile di un medico o di un’infermiera non basta neppure per coprire il costo del tragitto in autobus.
Per questo motivo la maggior parte
del personale medico-sanitario ha
abbandonato il proprio posto di
lavoro; i pochi che restano - spesso
solo grazie al sostegno di Ong come
Cesvi - fanno il possibile per mantenere le strutture in condizioni decorose, ma si scontrano con la cronica mancanza d’acqua potabile, di
disinfettanti e con la carenza di sali
e liquidi reidratanti. L’acqua viene
approvvigionata in modi improvvisati, con mezzi di fortuna come carriole o secchi oppure grazie all’arrivo periodico di cisterne, ma non è
sufficiente e a volte neanche sicura
dal punto di vista sanitario. «Per
questo motivo - spiega ancora Lore-
na D’Ayala Valva – Cesvi ha deciso
di intervenire a supporto delle cliniche locali nei distretti di Bindura
e di Masowe, con la distribuzione
di tavolette per la purificazione
dell’acqua e la costruzione di pozzi
che permettano l’accesso costante
all’acqua, rompendo la continua
dipendenza dall’esterno».
La situazione è più grave nelle aree
urbane e nei villaggi, ma il colera
si è diffuso anche nelle zone rurali
poco abitate come quella del Gran
Limpopo, fiume al confine tra Zimbabwe e Sudafrica. Il fiume è un
punto di passaggio tra i due Paesi e
segue a pag. 2
Harare (Zimbabwe). Charles
fa il bagno nel fiume Mukuwisi
che viene usato anche come
fogna. Potrebbe lavarsi presso
la vicina stazione dei treni, ma
non sempre c’è l’acqua.
L’abitudine di lavarsi in acque
inquinate favorisce la diffusione
del colera.
La parata
dei diritti
di Maria Rosa Lorini
«Le majorettes sfilano normalmente
su un terreno erboso, come quello dei campi da gioco. Non certo
sull’asfalto, né tanto meno per i
vicoli delle baraccopoli». Così ha
accolto la nostra richiesta il Preside della scuola elementare di Gu-
gulethu. Ma noi del Cesvi, insieme
ai ragazzi di Sizakuyenza, nostro
partner locale, abbiamo insistito:
«Stiamo organizzando un evento di
sensibilizzazione per la giornata dei
diritti umani. Se iniziassimo con una
sfilata nel quartiere, la gente si incuriosirebbe e verrebbe a vedere di che
si tratta. E nessuno, Signor Preside,
tra le nostre baracche, ha mai visto delle majorettes!». Mentre cerchiamo di convincerlo dell’impatto
positivo che una parata potrebbe
avere, uno di noi nota sulla parete
la foto di una persona conosciuta: la
nostra “Housemother”! Colei che
ora si occupa della gestione della
segue a pag. 2
Poste Italiane S.p.A. – Sped. Abb. Post. – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB Milano.
In caso di mancato recapito, si prega inviare al CPM Milano Roserio per la restituzione al mittente che si impegna a pagare il diritto fisso dovuto.
di Elena Acerbi
foto Giovanni Diffidenti
Città di Beithbridge
(Zimbabwe). Coda per
prendere l’acqua distribuita
dal Ministero dell’Acqua e
delle Foreste del Sudafrica.
L’attesa comincia alle 5 del
mattino. Nell’area non esistono
condutture né rubinetti.
Sotto, scuola primaria del
villaggio di Samu. Il pozzo
d’acqua più vicino dista circa
un chilometro.
segue dalla prima
Zimbabwe, è colera
viene utilizzato per tutte le necessità alimentari e igieniche.
Un punto particolarmente cruciale per la prevenzione del contagio
sono le scuole e i villaggi, dove la
concentrazione di persone che
utilizzano gli stessi pozzi e latrine
facilita la diffusione delle malattie.
Basta il contagio di una persona per
trasmettere nel giro di pochi giorni la malattia anche a tutti gli altri
membri della comunità. Qui Cesvi
interviene a più livelli: prevenzione da una parte e messa in sicurezza
delle fonti d’acqua dall’altra, per
garantire un approvvigionamento
idrico adeguato.
La prevenzione del contagio è legata alla distribuzione di kit igienicosanitari composti da un secchio,
pastiglie per la purificazione dell’ac-
qua e sapone, abbinati ad interventi di educazione igienico-sanitaria
nei villaggi e nelle scuole. L’accesso
all’acqua viene garantito grazie alla
costruzione di pozzi e alla “messa
in sicurezza” di quelli già esistenti. Spesso, infatti, il pozzo c’è già,
ma è poco profondo (4-5 metri) e
quindi facilmente contaminabile
dalle acque nere che, in mancanza
di fognature, possono filtrare attraverso il terreno. In questi casi il
pozzo, da risorsa vitale, si trasforma
in un pericolo per l’intera comunità
che lo utilizza. Un problema simile è legato anche ai pozzi scoperti,
presenti in numerosi villaggi; questi
nella stagione delle piogge vengono contaminati dall’acqua piovana
che, inondando le strade sterrate e
le latrine comuni a cielo aperto, si
riversa dentro il pozzo con tutto il
suo carico di terra e liquami.
Cesvi interviene con
attività di prevenzione
e messa in sicurezza
delle fonti d’acqua.
L’intervento sui pozzi, oltre ad affrontare l’emergenza immediata,
serve anche ad evitare che il colera esploda nuovamente. Senza un
cambiamento delle condizioni igieniche e l’accesso all’acqua potabile,
infatti, i focolai sono destinati a
ripetersi. Anche perché la malattia
Città del Capo
(Sudafrica). Baraccopoli
di Philippi. Le baracche
sono costruite in legno e
lamiera.
segue dalla prima
La parata DEI DIRITTI
Casa del Sorriso, destinata ad accogliere le donne vittime di abusi e i
loro bambini, un tempo, al tempo in
cui una donna nera non aveva certo
molti diritti, era la Preside di questa
scuola. Anni in cui le donne, ovunque nel mondo, protestavano per
il riconoscimento dei propri diritti.
Anni in cui la popolazione nera in
Sudafrica viveva ancora sotto il regime dell’apartheid. Anni in cui il
diritto all’istruzione era solo uno slo-
2
gan. Una donna così merita la sua
foto e il rispetto di tutta la scuola. Il
Preside, dal canto suo, quasi si commuove nel sapere che i giovani che
ora gli chiedono di sostenere un’iniziativa sociale collaborano con l’organizzazione per la quale opera con
passione questa donna. L’abbiamo
convinto!
Con majorettes e banda, l’impatto sonoro e visivo è garantito. È
la giornata sudafricana dei diritti
può essere contratta anche diverse volte in un breve periodo. Ad
Amadika è successo già due volte
nel corso di pochi mesi: è stata una
delle prime vittime dell’esplosione
dell’epidemia nella zona di Bindura, nel novembre dell’anno scorso.
Dopo essere stata curata in una clinica rurale, ha fatto ritorno al suo
villaggio dove ha ritrovato l’acqua
contaminata e le condizioni igieniche che l’avevano fatta ammalare.
Ora ha nuovamente contratto il
colera e deve essere curata per la seconda volta. Lo racconta Giovanni
Diffidenti, fotoreporter in missione
nello Zimbabwe proprio per documentare lo situazione del colera per
conto di Cesvi, con il quale collabora da anni. «Ciò che uccide è la
combinazione tra la mancanza d’acqua potabile e la denutrizione, che
indebolisce il sistema immunitario
delle persone». Il circolo vizioso tra
la malattia e la fame è ben noto:
chi è malato non può lavorare per
procurarsi di che vivere. Alla base
di tutto c’è l’accesso ad una fonte
d’acqua non contaminata, premessa per un futuro senza colera.
umani. Durante l’evento è il Preside
stesso, che alla fine partecipa anche
alla parata, a ricordarne la ragione
nella preghiera iniziale. Il 21 marzo
1960 sessantanove persone venivano uccise durante le proteste contro
le ingiuste leggi del regime dell’apartheid. Per commemorare tale data,
l’Assemblea Generale delle Nazioni
Unite ha proclamato il 21 marzo
Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Discriminazione
Razziale. A più di quarant’anni di
distanza, si lotta ancora per i diritti
sociali, civili, politici, economici e
culturali.
Molte cose sono in realtà cambiate, ma non sempre tutti conoscono
i propri diritti, soprattutto quando
si parla di temi che evolvono continuamente, come l’Hiv/Aids. Da
questa riflessione è nato lo slogan
scelto dai ragazzi delle baraccopoli:
“Conoscere il tuo status è conoscere i
tuoi diritti”.
Fino a qualche anno fa, il Governo
non sosteneva le persone sieropositive, mentre oggi in Sudafrica i poveri possono avere non solo i farmaci anti-retrovirali gratuitamente, ma
anche i sussidi statali per coprire le
spese di trasporto per recarsi alle cliniche piuttosto che cibo sufficiente
e nutriente.
Queste, però, non sono le uniche
novità di cui i nostri ragazzi vogliono parlare durante i loro sketch di
teatro, le performance di hip hop, la
recitazione di poesie e i momenti di
danza. Il vero cambiamento è l’approccio alle problematiche sociali.
L’Hiv/Aids non può essere affrontato solamente attraverso l’ABC (Abstain - astieniti, Be faithful - sii fedele, Condomise - usa il preservativo).
Serve un approccio globale alle cause e agli effetti di questa pandemia: il
Per affrontare il
problema dell’Aids
serve un approccio
globale, basato sul
diritto all’educazione.
sovraffollamento nelle baraccopoli,
l’esposizione al sesso per mancanza
di spazi, la disoccupazione, l’alcolismo e la droga, la violenza, la carenza di servizi igienici.
I giovani, durante le numerose rappresentazioni, vogliono che la sensibilizzazione tocchi anche altri temi
connessi con il degrado sociale,
quali i diritti dell’infanzia e soprattutto l’educazione. Il diritto alla formazione non serve solo per evitare
l’analfabetismo e avere meno ragazzi
per le strade: l’istruzione deve essere
vista come porta d’accesso al proprio
futuro. Serve un ABC diverso: Alphabetise - poter studiare, anche fino
all’università, Believe - credere nei
sogni, Construct - porre le basi perché ciò sia possibile. E questo non è
solo compito dei giovani. È compito
anche dei grandi, un sogno che si
può realizzare lottando come fecero
i padri nel 1960, cooperando come
fanno le donne della comunità per
sostenere i più vulnerabili, supportando le iniziative dei giovani che
cercano di comunicare anche attraverso una parata di majorettes o
la musica hip hop, vivendo insieme
agli altri, come fa la nostra Housemother, che tanto ha lottato e ancora lotta perché le donne della Casa
del Sorriso possano diventare non
solo Presidi, ma anche Presidenti!
FOTO MARCO BOTTELLI
focus
cooperanti
Vita da
cooperanti
L
uciano Scalettari, inviato di
Famiglia Cristiana, di cooperanti come quelli che scrivono in queste pagine (Fabio, Federica, Gabriele, Loris e Roberto) ne
ha frequentati molti nel suo peregrinare fra i poveri del mondo. Da
un osservatore competente e indipendente come lui, ci aspettavamo
apprezzamenti, ma anche critiche.
Ci ha invece sorpreso con questo
suo commento così lusinghiero.
Nel nostro operare perseguiamo
gli obiettivi prefissati dal progetto,
gestendo le risorse con il massimo
rigore, applicando procedure anche
nelle situazioni più difficili, badando
alla nostra sicurezza come pretende
il Cesvi. In una parola cerchiamo
di essere professionisti. Al punto
da sentirci cinici nei confronti del
mare di bisogni e di dolore in cui
spesso ci troviamo immersi. Non
ci sentiamo eroi, ma parte di una
grande comunità di volontari e donatori che dall’Italia rende possibile il nostro lavoro sul campo, con
tanti piccoli gesti gratuiti e quotidiani. Una comunità della quale
noi siamo i più fortunati. Perché
il mondo noi lo possiamo vedere
da vicino; stipendiati per svolgere un lavoro difficile, ma pieno di
gratificazioni. Certo, per cooperare
servono modestia e curiosità per gli
Mali
altri, fraternità e voglia di “contaminarsi”. Nel nostro lavoro non c’è
posto per gli “scontri di civiltà”. Su
questo Luciano ha ragione e accettiamo con gioia la definizione di
“operatori di pace”. Nel mondo che
tutti insieme vorremmo più giusto,
noi cooperanti stiamo nella trincea
più avanzata, dove le culture si devono confrontare e incontrare per
costruire il futuro. Non siamo eroi,
ma operai della pace.
di Luciano Scalettari
Mi viene in mente Claudio, appena arrivato a Nairobi, stremato e ancora
agitato dai fatti drammatici che aveva
appena vissuto, da poco tirato fuori fra
mille difficoltà e rischi dalla nuova guerra
che scoppiava in Repubblica Democratica del Congo. Oppure Giacomo, che
senza un attimo di titubanza decideva
di starmi accanto quando i due agenti
dei servizi di sicurezza ruandesi avevano deciso di portarmi via e interrogarmi
chissà dove, perché sospettavano che
fossi una spia. O il medico (non ne ho
mai saputo il nome) che correva affannato da una parte all’altra dell’ospedale
da campo di Goma dove continuavano
a segnalargli persone che si accasciavano, agonizzavano o chiedevano aiuto,
in quelle settimane da girone infernale
che hanno segnato l’arrivo dei rifugiati
ruandesi dopo il genocidio del 1994. O
ancora, Gavin, più di recente, in mezzo
al marasma dell’ultima crisi del Kivu, che
con un telefono da una parte e la sigaretta nell’altra si accalorava a spiegare
che no, non si può fare la valigia e andarsene, lasciando in balia della violenza
quelle stesse persone che fino a ieri si
cercava di aiutare, solo perché ora il pericolo non è più un’ipotesi accademica
ma una realtà palpabile.
Quanti volti, storie, conoscenze (che
spesso sono diventate amicizie) con i
cosiddetti “cooperanti”: ossia le donne e
gli uomini delle Organizzazioni Non Governative che partono per lavorare uno,
due, cinque, talvolta dieci e più anni nei
Paesi del Sud del mondo. Eroi? Squinternati? Fuggiaschi? Operatori di pace?
In quanti modi sono stati definiti, questi
moderni e strani vagabondi del volontariato internazionale. Non ne voglio fare
un’agiografia: buoni e meno buoni, bravi
e meno bravi ci sono in ogni categoria.
Ma questi strani soldati di ventura che
invece delle armi portano farmaci, zappe e banchi di scuola, hanno qualcosa
a che fare con l’eroismo. Ma con quello
senza retorica e senza bandiera, un eroismo dimesso e schivo, il più delle volte,
che sopporta a fatica di parlare di sé e
dei propri progetti, tanto più con un giornalista, come me, che sta qualche settimana e poi riparte.
Esagerato parlare di eroismo? Basterebbe
guardare alla triste lista dei caduti occidentali nelle guerre dei Sud del mondo per
convincersi del contrario: la grande maggioranza di queste vittime (spesso sconosciute tanto quanto quelle delle popolazioni che erano andate a sostenere) sono i
missionari e, appunto, i cooperanti. Quindi
- anche se in faccia non saprei dirglielo penso a loro come a “operatori di pace”,
per restare agli attributi di cui sopra.
E a “costruttori di giustizia”. Di quella
giustizia di cui un mondo tremendamente diseguale ha tanto bisogno.
Arrivederci Gao
F
abio Ammar ha lavorato per il Cesvi dal 2006 al 2009 in un
programma di sviluppo rurale nella regione di Gao, nel nord
del Mali. In quest’area lungo il fiume Niger, dove l’avanzata del
deserto minaccia sempre di più la sopravvivenza delle comunità locali,
la popolazione trova nella pastorizia transumante la principale fonte di
sussistenza. La condivisione a livello comunitario e transfrontaliero, con
Niger e Burkina Faso, delle fonti d’acqua e dei pascoli, indispensabili a
questa attività, diviene spesso motivo di tensioni e conflitti. Il Cesvi ha
operato con il partner Tassaght, con le autorità locali e con la diretta
partecipazione dei beneficiari per il miglioramento della gestione di
queste risorse, al fine di garantire una maggiore sicurezza alimentare e
di costruire un clima di collaborazione tra le comunità.
di Fabio Ammar
Il primo giorno a Roma è un delirio di ricordi e incespicare su un ritmo frenetico
cui non appartengo più. Ho lasciato il Mali,
Gao per la precisione, avamposto accarezzato dall’Harmattan, lambito dalle dune del
deserto. Tre anni nel Mali, nel bel mezzo di
quel crocicchio di culture che ti lascia con
un sorriso ebete a mezza bocca, come in
attesa di qualcosa; in attesa per esempio
di saper dire buongiorno e buona sera, grazie e per favore… c’è che devi impararlo in
sonrai, in tamacheq, in arabo e in mauro, in
peul e in bozo e sperare che basti.
Il Mali è un crocicchio
di etnie e culture che
convivono pacificamente.
Chissà se rendo l’idea di quale ancestrale armonia permetta a così tante etnie di
convivere pacificamente in questa nazione, ma anche all’interno di ogni regione,
in ogni città, in ogni comune, e persino
in quei piccoli villaggi dove ancora si ode
l’eco di tanti idiomi, villaggi che sembrano
non esistere perché smaterializzati da un
ciclico esodo chiamato transumanza.
Sono ricordi di cieli gravidi che non piovono mai, e terre aride così ingenerose talvolta, di mani levate in preghiera ad implorare
la pioggia. Ricordi di steppa e savana e di
muggiti lontani e calpestio di zoccoli per
chilometri e chilometri, a cercare pascoli e
oasi, o semplicemente chimere.
Tessit è verde solo ad agosto, sembra la
Svizzera, e quei sorrisi transumanti si scuciono perlopiù dopo le piogge, come a ringraziare il giro di ruota che ancora una volta ha risparmiato le comunità dalla fame,
gli orgogli dall’umiliazione, le mandrie dalla
decimazione.
Quando cade la pioggia a volte è violenta, da distruggere i muri di bankò o i tetti,
o quelle dighette alte due o tre metri che
permettono di fare le risaie. La pioggia è
tuttavia gradita, acqua che fa male ma
scongiura il peggio. Le oasi si riempiono,
talune vanno a pescare l’acqua del fiume,
cinquanta chilometri più a oriente, permettendo la risalita dei pesci fino ai piedi del
villaggio, dove si pescano perfino persici
di 10 chili.
A settembre cessano le piogge, i pastori
sono via con le mandrie a sfruttare aree
segue a pag. 4
cooperando 116 - APRILE 2009
3
focus cooperanti
segue dalla terza
arriVeDerci Gao
lontane per proteggere i territori vicini ai
siti di fissazione e preservare il pascolo da
utilizzare nella stagione ostica. Il panorama
si ingiallisce già all’inizio di ottobre, e prima di vivere temperature umane torna un
gran caldo, ma va tutto bene, ormai ci sono
specchi d’acqua ovunque, e i torrenti stagionali, gli oued, hanno lasciato solchi umidi che fanno bene agli alberi; e poi, dopo i
raccolti, tutto diventa marrone e brullo, e
inizia il freddo. Per la gente del posto era
freddo, ma per me era un autunno carezzevole e sopra la mia testa nelle notti all’aperto, in quella brousse senza tempo, passavano costellazioni sconosciute, le stelle
che guidavano i pastori erano luci nuove e
sorrisi, e sogni sospiranti inviati lassù dalle
anime erranti. La mattina all’alba mi lacrimavano gli occhi e mi gocciolava il nasone, ormai ero disabituato alle temperature
rigide, e gioivo in silenzio quando stormi di
migratori passavano trenta metri sopra il
mio sguardo rivolto al cielo, mentre ancora
avvoltolato nella coperta sognavo un caffè
nero fumante e arrivava latte di cammella e
carne di montone.
La soudure è quella stagione calda e secca
che va da marzo a giugno, stagione inclemente in cui si abbassano i livelli delle falde
freatiche, si riducono i perimetri di quei laghi pluviali che sono un po’ la vita. E rimane così poco da mangiare per le bestie, e
così poco da bere: è la stagione dei 45 o 50
gradi all’ombra che ti sfiancano, la stagione del sole che bastona dalla mattina alla
sera, degli scorpioni bianchi e danzanti tra
le fessure del bankò, a trovare ombra e ad
offrire minaccia, la stagione dei cobra che,
se vieni morso, forse ci vuole ben altro che
la pietra nera e le preghiere per salvarti. La
stagione in cui guardi di meno il cielo, che è
diventato giallino e opaco, dei venti del deserto che sollevano la sabbia, che seccano
la gola e gli occhi protetti dal kohl.
Il primo giorno a Roma è una sorta di limbo
già vissuto altre volte, una velocità per me
ormai desueta, quella della famiglia, quella
dei passanti, quella dei mezzi di trasporto
e di comunicazione; persino i colleghi che
amo a Bergamo non si sono fermati un attimo, anche loro troppo attenti ciascuno alla
sua mansione. Hanno perso la lentezza, e
con essa tutto il bello che c’è.
Tran e i suoi nipoti
testo e foto di loris palentini
è
un caldo pomeriggio in Vietnam quando ci muoviamo dall’ufficio di Hai
Phong verso il cuore del distretto di Kien
Thuy. È in questo distretto periferico, popolato da pescatori, che si sviluppa il nuovo
progetto Cesvi. Ancora una volta parliamo
di Aids, ma questa volta in un Paese dalla
prevalenza talmente bassa da doversi porre il dubbio circa l’eticità della spesa impegnata. È appunto da questo dubbio che
è nata l’analisi che ci ha portati a riflettere
sulla situazione reale del Vietnam di oggi
rispetto alla pandemia globale dell’Aids. La
prevalenza dell’infezione da Hiv nella popolazione generale è stimata intorno allo
0.5% e allora ci chiediamo: “Vale l’investimento”? Poi verifichiamo i dati, e a catturare la nostra attenzione sono le cosiddette
“categorie a rischio”, in cui la prevalenza
sale fino al 66%. Ma quali sono queste categorie? Purtroppo quelle di sempre: prostitute, tossicodipendenti e omosessuali, e
con loro i rispettivi figli. Con l’aggravante
che in Vietnam queste categorie sono pubblicamente etichettate come Social Evils,
ossia i “mali” della società.
In Vietnam operiamo con
gruppi a rischio di Hiv/Aids
attraverso l’approccio
del mutuo aiuto.
Quanto questa definizione sia reale, e non
solo un modo di dire, lo dimostra l’esistenza di un vero e proprio ministero per i Social
Evils. E quanto più queste categorie sono
emarginate tanto più si dimostra difficile
Tiro, la mia casa
D
di roberto rivalta
iro è una piccola città del sud del Libano. A volte mi sembra strano dire
“torno a casa” e dirigere l’auto verso sud,
verso Tiro, eppure questa è la mia vita ora,
tra alti e bassi.
Il Libano è un Paese strano, pieno di contraddizioni: poche leggi e poco applicate, da un lato le famiglie con cameriere
tuttofare provenienti dall’Africa o dal Sud
Est Asiatico, non sempre trattate bene, e
dall’altra i paesini dell’interno poveri e molto legati alle tradizioni. Il Libano è una scintilla sempre accesa, basta un alito di vento
e il fuoco divampa, come a Nahr el Bared
t
4
COOPERANDO 116 - APRILE 2009
nel 2007 o nel maggio 2008, quando sono
rimasto bloccato nell’esilio dorato di Tiro. In
quei giorni, da Beirut allo Chouf, da Sidone
alla Bekaa, il Libano bruciava. A Tiro invece
tutto tranquillo, in un’atmosfera irreale e carica di tensione. I bimbi imitavano gli adulti,
i cassonetti della spazzatura erano in fiamme, le bandire sventolavano, e la battaglia di
sassi continuava, con il capitano-bambino
che mi diceva, chinandosi e prendendo una
pietra in mano, “Non andare là, là tirano le
pietre”… in realtà non ricordo in che lingua
l’abbia detto, in un Paese dove si parlano
almeno tre lingue. Ed ora quattro, se ci ag-
FOTO REUTERS - NIKOLA SOLIC
al 2007 Roberto Rivalta è cooperante in Libano, dove
Cesvi opera in partnership con il South BIC e con l’Unione
delle Municipalità di Tiro. Il progetto intende affrontare il
problema della disoccupazione, specialmente giovanile, attraverso il
rafforzamento del centro per l’impiego creato dal Cesvi nel 2007 e lo
svolgimento di corsi di formazione professionale. Un focus particolare
è dedicato alle ragazze dei villaggi intorno a Tiro.
lavorare a programmi di coinvolgimento e
integrazione nella società.
Il progetto Cesvi nasce proprio dalla necessità di raggiungere le categorie più vulnerabili della popolazione con interventi in
grado di creare un rapporto di fiducia, permettendo loro l’accesso ai servizi sociali
e sanitari. Lavoriamo nelle comunità con
gruppi spontanei di ex prostitute e tossicodipendenti per rafforzare la consapevolezza di gruppo e fornire supporto tecnicologistico affinché ogni membro del gruppo
diventi un esempio e un aiuto per gli altri
che ancora non hanno trovato il coraggio
di affrontare la propria condizione di sieropositivi. Formiamo questi volontari perché
possano incontrare altre persone sieropositive e dare un supporto sia da un punto di
vista psicologico sia pratico, indirizzandole
verso le strutture sanitarie più adatte.
È da qui che riprende la storia del mio viaggio. Durante un incontro con alcuni desti-
liBaNO
focus cooperanti
Caracas,
bambine
a rischio
ViETNaM
natari del distretto di Kien Thuy, mi siedo
su una stuoia a casa di una dolce nonna
dall’indefinibile età, Tran, a sorseggiare un
tè ascoltando la storia della sua vita. La
bassa voce di Tran mi paralizza in un trance
di stupore misto a curiosità e sofferenza,
interrotto solo a tratti dalla voce dell’interprete che traduce il racconto. Il figlio di Tran
è morto di Hiv circa un anno fa, lasciandole
i due figli di 2 e 5 anni. La madre dei bambini è scappata per rifarsi una vita ed ora
è Tran a prendersi cura di loro. Il lavoro è
scarso in questa remota parte del distretto
e quello che la donna aveva da parte è finito in fretta.
L’orticello che riesce a coltivare nel cortile
di fronte a casa non le basta per coprire il
fabbisogno domestico e così è costretta a
piccoli lavori per arrotondare. L’economia
dell’area è prevalentemente legata alla pesca, e Tran lavora su commissione per cucire e riparare le reti dei pescatori, in cambio di pochi dong e qualche pesce. L’unica
proprietà rimastale è la casa, che Tran sta
pensando di vendere per mandare i nipoti
a scuola. I suoi occhi sono stanchi, e intravedo l’amarezza per una vita che sembra
andare a rotoli, ma anche un grande orgoglio. Non chiede nulla per sé, ma è felice di
potermi raccontare la sua storia. La storia
di una disperazione quotidiana, di un figlio
sieropositivo che ha lasciato su di lei la responsabilità di due nipoti.
Torno indietro confuso, quasi affranto.
Mi sento orgoglioso del lavoro che Cesvi
svolge in questa remota parte del mondo,
ma non riesco a togliermi dagli occhi il
volto di Tran segnato dal tempo, dal sole
e dalle sofferenze. Vorrei poter fare di più
per lei e per i suoi nipoti, ma al contempo
so che il mondo è pieno di “Tran”, nonne
e nonni vittime indirette dell’Hiv, di figli e
nipoti che senza colpa né responsabilità
sono colpiti da una pandemia che affligge
tutti i continenti.
Non potrò fare di più per Tran, ma da questa visita torno con la consapevolezza che
il mio lavoro non è vano: c’è ancora spazio
per andare avanti, per credere e per realizzare, anche in un Paese con un tasso
di sieropositività apparentemente limitato,
progetti nuovi ed efficaci.
giungiamo l’italiano. Un Paese a cui stiamo
dando tanto, noi Italiani, con tutti i nostri limiti, un Paese dove siamo amati. Un Paese
in cui il dolore si mescola ai caroselli, in cui
la sofferenza di uno è la gioia dell’altro, un
Paese che rappresenta il mondo, il mondo
che verrà, forse.
Il Libano è una scintilla
sempre accesa:
basta un alito di vento
e il conflitto divampa.
Sono ancora vive le sensazioni di quel
maggio difficile, quando tutto pareva ricominciare da capo come 30 anni fa. La
storia sembrava ripetersi e inseguire se
stessa. No, non era giusto che Vicky, nata
nella guerra, con la guerra, per la guerra, ci
tornasse in mezzo; non era giusto che Aline, la piccola armena che vuole scappare a
Dubai e si ricorda la Beirut del primo giorno
di guerra, ripiombasse all’inferno, che il pa-
di Gabriele bertani
H
dre la andasse a prendere a scuola, ancora
una volta, per toglierla dalle bombe.
Tutto è passato ora e la vita è tornata a
scorrere normalmente, i SUV sono di nuovo sulle strade e l’ordinata confusione regna
incontrastata. Appena arrivato mi è piaciuto,
questo Libano senza regole, in cui si guida
contro mano, si saltano le rotatorie e si passa
con il rosso. Poi però ho iniziato a sentire la
mancanza di un po’ di ordine, tutti in coda ai
90 all’ora, a volte è meglio così.
Quanta Italia c’è in Libano? Tanta, e anche
di più. Ma c’è anche tanta America, con la
voglia di vivere al di sopra e oltre le proprie
possibilità.
Tutto è calmo all’orizzonte, tutto è tranquillo, aspettando giugno e l’estate che verrà.
FOTO REUTERS - ALI HASHISHO
Mi sento orgoglioso di ciò
che Cesvi sta facendo
in questa remota parte
del mondo. So che il mio
lavoro non è vano.
FOTO ALFREDO MACHI
VENEZUEla
Dopo un’esperienza in Cambogia
tra il 2006 e il 2007, Loris Palentini
è oggi impegnato con Cesvi in
Vietnam. Obiettivo: svolgere attività di
prevenzione e cura dell’Hiv/Aids, con
particolare attenzione ai gruppi più
vulnerabili.
o iniziato a collaborare con il Cesvi in Sri Lanka nel 2005 a seguito
dell’emergenza tsunami, poi presso la
sede centrale di Bergamo e dallo scorso
anno a Caracas per seguire le attività di un
progetto a favore di bambine in condizione di sfruttamento sessuale.
L’intervento, finanziato dal Ministero degli
Affari Esteri italiano, si prefigge in tre anni
l’obiettivo di aiutare quasi 5.000 ragazze
in condizione di violenza e sfruttamento
sessuale a rifarsi una vita. Le attività sono
molteplici e spaziano da interventi psicoterapeutici a percorsi rieducativi e professionali, passando per costanti controlli
medici e azioni a livello familiare e comunitario.
Il Cesvi è una delle pochissime Ong internazionali presenti in Venezuela, e forse
l’unica che cerca di rispondere ad una necessità “nascosta”, ma dalle dimensioni di
vera e propria emergenza umanitaria.
Quando parlo con le persone a Caracas,
siano esse venezuelane o rappresentanti di governi stranieri o di Organizzazioni
Internazionali, constato quasi sempre con
amarezza che nemmeno qui a Caracas la
gente sa quanto diffuso sia il fenomeno
dello sfruttamento sessuale minorile. Non
ci sono dati ufficiali, né tantomeno ricerche aggiornate. È un problema dimenticato, ma devastante. I numeri che oggi sono
a nostra disposizione parlano di 40-50.000
casi all’anno di minori in condizione di
sfruttamento sessuale. E la tipologia del
fenomeno è del tutto particolare in questo
Paese, in quanto la prima violenza inizia
in più dell’80% dei casi all’interno del nucleo familiare. Ed è poi lo stesso nucleo
familiare che “costringe” il bambino ad
essere abusato anche fuori dalla famiglia.
Una dinamica che comporta conseguenze
gravissime nel minore sia a livello psicologico che sociale. Secondo dati Unicef, il
totale delle denuncie per violenza sessuale evidenzia che le vittime del fenomeno,
nell’89,9% dei casi, sono bambine o ragazze. Oltre ai casi di violenza domestica,
molte sono indotte alla prostituzione da
false “promesse”, come quella di ottenere
un lavoro o un matrimonio vantaggioso.
Le quindici persone che compongono il
team del Cesvi in Venezuela sono professionisti (psicologi, assistenti sociali, medici, economisti, avvocati, educatori) che
hanno deciso di raccogliere la sfida di un
progetto delicato e ambizioso. Una decisione non facile anzitutto per la tipologia
dei problemi che affrontiamo ogni giorno,
ma anche per gli aspetti culturali di questo
Paese, che vedono le persone sempre più
rinchiuse nei propri interessi; questo spiega anche perché pochissimi in Venezuela
siano a conoscenza di tale fenomeno.
Ogni anno, si parla
di 40-50 mila casi di minori
a rischio di sfruttamento
sessuale in Venezuela.
Sono però convinto che un progetto che
ha la pretesa di fare “cooperazione allo sviluppo” debba sempre comporsi di almeno
tre aspetti decisivi: azioni che rispondano
a necessità reali, competenza professionale degli attori coinvolti e capacità di stimolare la responsabilità personale dei vari
professionisti. In Venezuela cerchiamo di
lavorare così: con alti e bassi, defezioni e
nuovi arrivi. Convinti sia di aiutare queste
bambine affinché possano “ri-trovare” la
loro vita con il suo senso, sia di stimolare
una responsabilità sociale nata da una decisione personale.
Il Cesvi, presente nel Paese da più di 10
anni, sta cercando di canalizzare aiuti internazionali perché il problema dei bambini in Venezuela possa trovare attori interessati da coinvolgere, rispondendo ad un
bisogno tanto grave quanto diffuso.
COOPERANDO 116 - APRILE 2009
5
focus cooperanti
Un Paese
dai mille volti
di Federica badocco
I
mmagina vie ciottolate e scivolose,
strilloni per strada, un persistente
profumo di caffè e di cevapi e l’incessante battere dei ferraioli che popolano
il centro storico di una città. Se ti stai
chiedendo di che parte del mondo parlo, scoprirai che si tratta di un Paese vicino all’Italia, davvero vicino. Ora sposta l’attenzione su prati brillanti, vallate
rigogliose, fiumi che scorrono lenti: è la
Bosnia-Erzegovina. Un Paese dai mille
volti, ancora segnato da un passato doloroso ma proiettato verso la riconquista della propria identità culturale. Un
Paese rinato dalle macerie, risvegliatosi
dal torpore che l’ha avvolto per anni e
che ora cede il passo a fermenti socioculturali, politici ed economici. Un Paese che modella e aggrega stimoli esterni, rilanciandosi sulla scena mondiale e
preparandosi all’ingresso nell’Unione
Europea, che i suoi cittadini attendono
con ansia.
La Bosnia-Erzegovina è interessante
per chi scopre che qui l’est e l’ovest si
incontrano in una prospettiva attuale
di costante, anche se difficile, dialogo.
Affascina ad esempio il rito del caffè,
momento di raccoglimento e di conversazione durante il quale si discute animatamente della situazione politica del
Paese, ancora diviso in due entità e un
distretto, in Cantoni e Municipalità, che
appesantiscono l’apparato burocratico
e ostacolano gli slanci della società civile. Il rito del caffè è uno dei pilastri del
cittadino bosniaco-erzegovese, un elemento culturale che simboleggia il lento
incedere di un territorio, scandito tuttora dalle espressioni “prima della guerra” e “dopo la guerra”, a testimonianza
di quello che è stato e di quello che, a
causa del conflitto, è andato perso e si
sta cercando di recuperare.
La Bosnia Erzegovina è
oggi proiettata verso la
riconquista della propria
identità culturale.
È interessante vedere con i propri occhi
non solo lo stato di avanzamento del
Paese, ma anche e soprattutto la vita
nei villaggi, lontana dalla frenesia cittadina, che cerca di puntare su attività
Breza, agosto 2008. Insieme alla
Ong Re.Te., Cesvi partecipa alla
manifestazione “Bazenijada”
con uno stand informativo
per promuovere il Centro di
Orientamento al Lavoro e un
concerto gratuito.
A destra, Roma. Visita formativa
per il coordinatore Cesvi e due
Viceministri della Salute della
Repubblica Srpska. Lo staff del
Dipartimento di Salute Mentale ASL
Roma C, partner del Cesvi a Banja
Luka, mostra loro un centro diurno
in cui il reinserimento sociale dei
malati mentali passa attraverso il
lavoro, ad esempio negli orti.
6
COOPERANDO 116 - APRILE 2009
che vadano oltre la pura sussistenza.
I casi di povertà sono alle porte della
capitale e delle cittadine maggiormente
popolate; si tratta di zone con un elevato tasso di disoccupazione, sul quale le
ripercussioni della crisi mondiale non si
faranno sentire particolarmente, se non
ai danni dei più vulnerabili.
La scelta giusta è
puntare su progetti di
micro-imprenditorialità,
soprattutto in campo
agricolo.
Il Paese si poggia infatti anche e soprattutto sulle rimesse dall’estero di coloro
che, durante la guerra, si sono rifugiati
in altre nazioni e sostengono le famiglie di parenti e amici rimasti qui. Per
cercare di arginare il rischio della crisi
e concorrere alla ripresa economica, la
comunità internazionale si è mobilitata
con collaborazioni che favoriscono la
micro-imprenditorialità, soprattutto in
campo agricolo: una via alternativa ai
grandi investimenti che probabilmente
risulterebbero fallimentari. In parallelo,
la stessa comunità internazionale collabora con le istituzioni per rivedere la
pesante struttura politico-amministrativa messa in piedi con gli accordi di
Dayton. La divisione politico-ammini-
Federica Badocco, autrice
dell’articolo e cooperante Cesvi
a Breza, vive e lavora in Bosnia
Erzegovina da due anni.
BOSNia
ERZEGOViNa
strativa acuisce le differenze tra le due
entità che compongono il Paese, la Republika Srpska e la Federazione della
Bosnia-Erzegovina, e pone gli operatori
internazionali in una situazione di stallo.
Per questo è importante collaborare su
più livelli, cercando di agire per il reale
miglioramento di vita della popolazione.
Gli altri attori del cambiamento, con i
quali si collabora tenacemente, sono le
associazioni di cittadini, dai giovani alle
donne agli agricoltori.
È in questo contesto che il Cesvi opera ormai da più di dieci anni. I primi
progetti, rivolti all’emergenza, hanno
lasciato spazio a collaborazioni di una
certa complessità, volte alla pacificazione e allo sviluppo del Paese. Si tratta
di attività multisettoriali sparse su tutto
il territorio, alcune delle quali di ampio
respiro, altre localizzate in aree sensibili
del Paese e per le quali si tende a privilegiare il rafforzamento del tessuto sociale esistente, stimolando la creazione
di cooperative di gruppi vulnerabili che
non hanno accesso al mondo del lavoro. Nello specifico, nella Federazione
della Bosnia-Erzegovina, Cesvi segue
un progetto integrato, del quale Re.Te.
è l’Ong capofila, co-finanziato dal Ministero Affari Esteri Italiano.
Gli interventi di
ricostruzione del Cesvi
hanno ormai lasciato
spazio a programmi
complessi e di lungo
periodo.
Il progetto promuove le capacità occupazionali della Municipalità di Breza. Si
intende rivitalizzare il settore agricolo
con l’installazione di serre, la costruzione di un Centro di confezionamento
dei prodotti agricoli e la relativa vendita di prodotti con marchio d’area e
standard dell’Unione Europea; il settore del micro-credito con l’ampliamento di fondi rotativi per le donne e
gli invalidi e il settore giovanile con la
creazione del primo Centro di Orientamento al Lavoro; il sostegno alle donne attraverso la produzione di capi di
abbigliamento con motivi tradizionali; il
settore educativo con la costruzione di
un laboratorio scientifico e di un parco
giochi pubblico; i settori dell’acqua e
dei rifiuti con la riabilitazione dei centri
di analisi dell’acqua e attività di sensibilizzazione.
In Republika Srpska l’intervento del Cesvi, con il contributo del Ministero Affari
Esteri, vuole rafforzare le competenze
del personale medico e paramedico nel
campo della salute mentale ed equipaggiare i Centri di Salute Mentale sparsi
su tutto il territorio. Un terzo progetto,
avviato da poco, mira a consolidare le
capacità istituzionali nella città di Srebrenica attraverso interventi nel settore
agro-alimentare.
FOTO SILVIA MORARA
Lima (Perù). Nelle periferie
degradate il rischio di
sfruttamento sessuale ai
danni di bambine e ragazze è
altissimo.
Sotto, il team della Casa del
Sorriso: Monica, Luis, Norma
e Diana.
Una vita degna
L
a Casa del Sorriso “Anna
Scuri” si trova nel distretto
di San Juan de Miraflores nel
Cono Sud di Lima, in una delle
aree metropolitane più povere e disagiate. Una recente inchiesta della polizia documenta che in questo
territorio opera il maggior numero
di bande giovanili, con il tasso più
elevato di violenze e omicidi.
All’imbrunire le
strade di Lima si
popolano di prostitute
giovanissime con lo
sguardo perso nel
vuoto.
È sufficiente un giro notturno con
gli operatori della Casa del Sorriso
per rendersi conto del clima: sembra di vivere in un perenne stato di
coprifuoco e incertezza. All’imbrunire le strade si popolano di gruppi
di prostitute anche giovanissime,
adolescenti con lo sguardo spento
e perso nel vuoto che sniffano terokal, una sostanza altamente tossica che serve per incollare la suola
delle scarpe.
Luis, psicologo del Cesvi, scen-
de dalla macchina e si avvicina a
un gruppo di ragazze che sono in
contatto con la Casa. Elisabeth mi
raggiunge sul sedile posteriore. Mi
abbraccia. Ci siamo conosciute al
paseo, la gita sociale dei beneficiari della Casa, una giornata serena,
uno stacco salutare dai problemi
quotidiani. Mi racconta con semplicità la sua vita: «Ho 24 anni
e vivo in questo distretto a Pamplona Alta, una zona poverissima.
Nella nostra baracca, oltre a me e
a mia figlia Angela, ci sono dodici
parenti. Resto in strada dalle 19
alle 21, il minimo indispensabile,
poi torno da mia figlia. Questo lavoro non mi piace, la maggioranza
dei clienti sono taxisti, c’è anche
qualche straniero. Ho paura della
polizia che spesso fa dei raid con
i cani e ci porta in commissariato.
Sono in contatto con la Casa del
Sorriso da tre anni: gli operatori
mi stanno aiutando molto con il
sostegno psicologico, quando ho
bisogno di certificati e per crescere
meglio mia figlia.
Sto cercando di cambiare vita, vorrei fare un altro lavoro, per esempio in una panetteria o in un centro estetico. Mi ero iscritta ai corsi
di formazione, ma non ho potuto
finire per via della bambina picco-
di Daniela Invernizzi
la. La ragazza appoggiata al muro
è mia sorella Paola, sta vendendo
cibo, ha cinque figli, siamo sole e
dobbiamo pensare a tutto».
La Casa del Sorriso è nata nel 2005
proprio per accogliere adolescenti,
bambini e bambine che vivono in
condizioni di sfruttamento sessuale
e si trovano in strada o in situazioni
di rischio per l’ambiente familiare
economicamente e culturalmente
degradato. A tal fine vengono organizzate diverse attività: contatti
in strada, visite a domicilio, incontri ricreativi, sostegno scolastico,
orientamento sociale, psicologico,
educativo, corsi di formazione per
l’inserimento lavorativo.
È fondamentale
interrompere la
“catena” della
prostituzione tra
madre e figlia.
Il Cesvi sta inoltre promuovendo
imprese sociali per offrire un’alternativa di vita alle ragazze e ai ragazzi in situazioni di sfruttamento
sessuale e a rischio. Ma per il progetto della Casa del Sorriso è indispensabile e urgente trovare nuovi
finanziamenti al fine di continuare
e potenziare le attività.
Attualmente ci lavorano quattro
operatori, Monica, Luis, Norma e
Diana, che cercano di garantire i
servizi nel miglior modo possibile
e mantenere i contatti con i destinatari e le istituzioni del territorio. L’esperienza di Lorenza è una
testimonianza preziosa per capire
l’importanza di dare continuità nel
tempo alle attività della Casa del
Sorriso.
«Vivo in questo distretto con mia
madre e mia figlia, che si chiama
Cielo e ha sette anni. Quando sono
rimasta incinta sono entrata in una
casa di accoglienza gestita da suore,
dove ho vissuto per tre anni. Eravamo venticinque mamme adolescenti. Il padre di Cielo ha quarantaquattro anni, vive in Argentina e
non si occupa di noi. Sono entrata
in contatto con la Casa del Sorriso, ho ripreso gli studi e frequentato corsi professionali per diventare estetista e parrucchiera. Ma,
A cura
dell’équipe della
Casa del Sorriso
quando ho partecipato alle attività di formazione per educatori di
strada, ho capito che quella era la
mia scelta di vita. Sono diventata
educatrice della Casa del Sorriso.
Giravamo in coppia per il distretto
di giorno e di notte, contattando
le ragazze e visitando le famiglie.
Le mie precedenti esperienze di
vita mi hanno permesso di capire meglio le persone che incontravo e di trovare il modo giusto
per comunicare con loro. Adesso
sto frequentano il quarto anno di
università per diventare assistente
sociale. L’anno prossimo prenderò
la laurea. Mi mantengo agli studi
tenendo l’amministrazione di un
centro estetico. Devo pensare al
futuro di mia figlia e sono tornata a vivere con mia madre che mi
aiuta. Bisogna interrompere la catena della prostituzione tra madre
e figlia. È difficile, talvolta mi sono
sentita impotente, ma credo nella
possibilità di cambiamento, di riabilitazione, di costruzione di una
vita degna di essere vissuta».
Una caratteristica comune a molte ragazze che frequentano la Casa
del Sorriso di Lima è quella di essere giovani madri con la responsabilità di una famiglia sulle spalle.
Spesso la vita in strada è iniziata
per mantenere se stesse e i propri
figli: infanzie e adolescenze spezzate, da ricostruire. Gli uomini: i
grandi assenti.
La giornata
dell’integrazione
Ore 9
Partiamo tutti insieme per la
giornata di integrazione familiare
che si svolgerà presso il Centro
ricreativo Kan-Kun, situato al Km
9 della Panamericana Sud. I 90
partecipanti, inclusa l’équipe della
Casa del Sorriso, sono pieni di
entusiasmo.
Ore 10
Arriviamo al centro Kan-Kun.
Ci sono 10 piscine e altri giochi
d’acqua. Passeremo tutto il
giorno qui con le famiglie che
partecipano ai programmi della
Casa del Sorriso.
Ore 11
È l’ora dei tuffi e del divertimento!
Ore 13
A pranzo mangiamo le specialità
che le famiglie hanno preparato
per l’occasione.
Ore 15
Si riparte per Lima, dopo aver
condiviso tanti momenti e aver
partecipato insieme a diverse attività.
Ore 16
Eccoci di ritorno alla Casa del
Sorriso, stanchi ma felici per la
giornata appena trascorsa.
7
PERSONE E FATTI IN BREVE - PERSONE E FATTI IN BREVE - PERSONE E FATTI IN BREVE - PERSONE E FAT
16 aprile Roma. Secondo seminario nazionale sul lavoro
minorile, promosso dalle Associazioni del Coordinamento PIDIDA - Per i diritti dell’Infanzia e
dell’Adolescenza. È allestita la
mostra Cesvi “Workers. Storie
di infanzia negata”, con foto di
Cristina Francesconi, realizzata nell’ambito della campagna internazionale “Stop Child
Labour”.
e la disponibilità.
11-19 marzo e 31 marzo-2
aprile Praga e Bonn. La mostra “Workers. Storie di infanzia
negata” con foto di Cristina
Francesconi, viene ospitata dal One World Film Festival
di Praga per poi spostarsi alla
Conferenza Unesco sull’Educazione allo Sviluppo Sostenibile di Bonn.
4 aprile Bergamo. Grazie al
sostegno del Rotary Bergamo Nord e alla sensibilità degli
organizzatori, il torneo di Pallavolo Maschile Interscolastico è
dedicato al Cesvi. I contributi
raccolti sono destinati ai progetti sanitari in Congo.
25 marzo Milano. Presso SDA
Bocconi, convegno “Mission
to mission” per presentare i
risultati della ricerca sullo staff
involvement commissionata a
Tomorrow SWG dalle associazioni dell’Omnibus della Solidarietà (iniziativa di Vita Consulting). Myrta Canzonieri illustra
la collaborazione tra Cesvi e
MediaMarket che ha portato
alla creazione della Casa del
Sorriso di Cape Town.
14-25 marzo Sesto Calende
(VA). Mostra fotografica “Bambini” di Emanuela Colombo
presso il negozio “Moine e Versetti”. Alcune immagini documentano i progetti Cesvi in diversi Paesi, dal Brasile al Sudafrica,
dall’Uganda ad Haiti. La vendita
delle foto contribuisce al sostegno delle Case del Sorriso.
21 marzo Como. La Compagnia degli Equilibristi mette in
scena “Baby”, opera vincitrice
del concorso teatrale promosso da Cesvi nell’ambito della
campagna “Virus Free Generation”, presso il liceo Matilde di
Canossa. Segue un intervento
di Simona Ghezzi sull’impegno
del Cesvi per la lotta all’Aids in
Africa e per la sensibilizzazione
in Italia, in Europa e in tutto il
mondo.
15-22 marzo Sesta edizione
de La Fabbrica del Sorriso,
iniziativa di solidarietà promossa da Mediafriends (Onlus formata da Mediaset, Mondadori
e Medusa) e dedicata alla salute dei bambini. Parte dei fondi sono destinati alla Casa del
Sorriso che Cesvi sta creando
a Nairobi, in Kenya. Grazie a
tutti i volontari per l’entusiasmo
12 marzo Roma. Presso la Provincia di Roma, incontro promosso dalla rete di Ong italiane
Link 2007 sul tema della fame
globale. Nell’occasione Arturo
Alberti e Stefano Piziali presentano l’edizione italiana dell’“Indice Globale della fame 2008”.
13 marzo Roma. Conferenza stampa promossa da AGIRE (Agenzia Italiana Risposta
Emergenze di cui Cesvi fa parte) e dal Segretariato Sociale
Rai sulle crisi umanitarie e sulla
loro “rappresentazione” mediatica. Viene firmato il protocollo
d’intesa fra Rai e AGIRE sulle
modalità di collaborazione in
caso di appelli di raccolta fondi
su gravi emergenze umanitarie.
5 marzo Bergamo. Don Lush
Gjergji, responsabile della Diocesi di Pristina, fa visita al Cesvi. Il fondatore dell’Associazione Madre Teresa di Calcutta
è stato il primo partner del Cesvi in Kosovo. Con lui il missionario Valentino Savoldi con il
fratello Giancarlo della Fondazione Shalom.
possibile interagire anche con
altre figure interne all’organizzazione tramite diversi servizi.
L’obiettivo è dare nuovi strumenti di informazione e intensificare la consultazione della
Comunità dei sostenitori per
rendere più efficace e permanente la partecipazione dei
volontari e dei donatori alle
scelte del Cesvi.
Questo mese ricorre un anniversario importante per noi:
10 anni fa, mentre viaggiavamo in auto, ascoltammo per
radio Ezio Greggio che parlava
della Corea del Nord e di cosa
stava facendo il Cesvi. Venimmo così a conoscenza di una
grande tragedia in un Paese
dimenticato da tutti i media...
ma non da voi. L’immagine del
bimbo denutrito che per qualche tempo ha rappresentato
la campagna “SOS Corea del
7-8 febbraio Kampala (Uganda). Al National Theatre, in mostra una selezione di foto realizzate dai ragazzi del villaggio di
Kalongo in collaborazione con
Fotografi Senza Frontiere.
L’iniziativa fa parte del progetto
“Fondazioni 4 Africa” in Nord
Uganda, promosso da Compagnia di San Paolo, Fondazione Cariparma, Cariplo e
Monte dei Paschi di Siena in
collaborazione con alcune Ong
italiane tra cui Cesvi, Amref e
Coopi.
28 febbraio-8 marzo Bergamo.
Il torneo internazionale di tennis organizzato da Olme Sport
sostiene il Cesvi contribuendo
ai progetti sanitari in Congo. Un
ringraziamento speciale agli organizzatori, a Giuseppe Chiesa e a tutto il Rotary Bergamo
dieci
anni fa
Cooperando n° 52, Maggio ’99. C’è la
guerra in Kosovo e lo staff Cesvi si è
trasferito in Macedonia per assistere
16.000 dei 50.00 profughi nella megatendopoli di Cegrane. Anche lo staff in
Albania è impegnato nell’accoglienza
di oltre 14.000 kosovari. Cooperando
ne dà un resoconto dettagliato e in
ultima pagina ospita un appello di
Ezio Greggio: “Ho scelto di aiutare
chi ha la capacità di aiutare”. Forte
dell’esperienza realizzata durante le
guerre balcaniche e nella carestia
epocale in Corea del Nord, Cesvi
comincia a intervenire nelle emergenze
di tutto il mondo. Anche in quelle
che da noi passano inosservate.
Proprio il n° 52 racconta lo sforzo per
ricostruire due villaggi del Nicaragua
e dell’Honduras distrutti tra il 29 e il
30 ottobre 1998 dal micidiale urgano
Mitch. 10.378 morti per una delle
più potenti tempeste mai avvenute
nell’Atlantico. Venti a 320 chilometri orari e due metri
d’acqua piovuti dal cielo in due soli giorni abbattono
case, fabbriche, scuole e ospedali, distruggono
strade e ponti e portano via il 70% dei terreni fertili
dell’Honduras. Cesvi, dopo aver distribuito generi
di prima necessità a 4.400 bambini e 3.000 adulti
senzatetto di Wiwili (Nicaragua), si impegna nella
ricostruzione di case e latrine a Wiwili e Olanchito
(Honduras). Il programma prevede la fornitura
gratuita di materiali edili e di cibo, mentre l’opera di
ricostruzione è a carico degli stessi senzatetto. Un
modo per ricominciare a vivere dopo lo shock della
morte e della distruzione.
LETTERE E MESSAGGI - LETTERE E MESSAGGI - LETTERE E MESSAGGI - LETTERE E M
Ho letto sul numero 115 di
Cooperando che è in via di
costituzione la Comunità dei
sostenitori Cesvi. Sarei lieto
di poterne far parte.
Pierluigi Bellutti
Grazie a Pierluigi per l’attenzione e la vicinanza. Ne
prendiamo nota volentieri.
Nei prossimi mesi Pierluigi riceverà una precisa proposta
insieme a tutti i volontari e i
donatori che hanno le caratteristiche indicate su Cooperando 115. Si tratta di una comunità sparpagliata su tutto
il territorio nazionale e anche
fuori Italia, che dialogherà
perciò “a distanza” attraverso
caselle postali, telefoniche e
soprattutto via internet con
servizi di accesso riservato. Verrà per esempio creato
un contatto diretto con la presidenza tramite un blog riservato e, periodicamente, sarà
Nord per aver saputo coniugare sport e solidarietà.
Nord” è di quelle che non dimenticheremo mai.
In questi anni vi abbiamo
seguito in altre campagne
(Uganda, Romania, Angeli
contro la malaria), ma “SOS
Corea del Nord” rimane la
“nostra” campagna e da allora
cerchiamo sempre notizie di
quello sfortunato Paese. Grazie per quello che fate. Grazie
per farci sentire al vostro fianco, grazie per farci sentire un
po’ meno egoisti.
Renato e Luisella
Grazie a Renato e Luisella per
averci sostenuto quando l’Italia era “distratta”. Purtroppo
la carestia è ancora incombente, ma si parla di Corea
del Nord solo per le malefatte
del suo dittatore. Cesvi vorrebbe e potrebbe rientrare
in Corea del Nord perché c’è
ancora bisogno di noi e le autorità hanno dato il benestare.
Ma il nostro sistema-Paese
latita: quando abbiamo chiesto ai governi (sia di centrodestra che di centrosinistra)
un sostegno economico, non
abbiamo ricevuto risposta.
Da soli non possiamo arrivare ovunque: come accadde
per la Corea del Nord, anche
su altre emergenze i riflettori
si sono spenti da tempo, ad
esempio quella che affligge
il Nord Uganda. Eppure anche là l’emergenza umanitaria
continua. Per questo Cesvi
c’è con una serie di interventi
volti a garantire alle popolazioni colpite cibo e strumenti,
materiali e non, per riscattarsi
dalla situazione di miseria in
cui si trovano. La tempestività
e sostenibilità dell’opera del
Cesvi è possibile anche grazie al sostegno di persone attente e sensibili come Renato
e Luisella.
cooperando
bimestrale
cesvi
Direttore responsabile: Giangi Milesi
Redazione: Nicoletta ianniello
Cesvi Via Broseta 68/a - 24128 Bergamo
tel. 035 2058058 fax 035 260958
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Cooperando 115 è stato spedito a 68.978 donatori Cesvi.
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Comitato esecutivo: Giangi Milesi, Paolo Cattini,
Myrta Canzonieri, Piersilvio Fagiano, Stefano Piziali
Cesvi è il membro italiano della rete europea
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