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Dicembre 2015 Rassegna Responsabilità Professionale 3 Dicembre Quotidiano Sanità Responsabilità professionale/2. Ecco cosa potrebbe succederebbe se venisse approvato il ddl Gelli Il ddl Gelli rischia di essere l’ennesima legge flop della sanità. Sembra essere idealmente suddiviso in due parti con una prima parte a “favore” del cittadino e una seconda parte a “favore” dell’esercente la professione sanitaria. Quest’ultima è assolutamente preponderante facendo venire meno una serie di tutele oggi esistenti a favore della “vittima” del reato. Per contro i rimedi a favore della tutela del paziente sono assolutamente risibili e inconsistenti Dopo le premesse contenute nella prima parte, passiamo ora alla seconda parte della mia analisi sul disegno di legge. Sulla responsabilità civile L’articolo 7 del ddl Gelli riforma la responsabilità civile delineando la responsabilità extra-contrattuale nei confronti del professionista. Il tentativo di riforma era stato già operato dalla legge Balduzzi con meno chiarezza – anzi con una disposizione normativa decisamente oscura e variamente interpretabile – di quanto faccia il ddl in questione. Vengono quindi superate le elaborazioni dottrinarie e giurisprudenziale sulla responsabilità da “contatto” e sul “contratto di spedalità”. Il regime della prova, nei confronti del professionista, torna a essere quello tipico della responsabilità extracontrattuale abbandonando la formula del “più probabile che non”. Il sistema ha una sua ragione di essere ma proprio per questo non si comprende l’estensione della responsabilità extracontrattuale alla libera professione intramuraria: questa ha la sua ragione d’essere proprio nella libera scelta del medico ed è difficile sostenere il contrario. Nella libera scelta del medico non ha ragione di essere un regime di prescrivibilità inferiore e un diverso regime probatorio per il solo fatto che venga svolto fuori o dentro la struttura. Il paziente danneggiato si troverebbe in una condizione di svantaggio nella scelta di affidarsi alle cure di un medico nella libera professione extramuraria e il medico stesso avrebbe una penalizzazione non bene comprensibile. Sull’azione di rivalsa e sull’obbligo di assicurazione L’articolo 9 e l’articolo 10 meritano di essere esaminati congiuntamente. Alcuni punti sono stati già giudicati contraddittori da altri proprio in queste pagine. A me preme sottolineare il totale silenzio sulle assicurazioni e sui prodotti assicurativi anomali che sono presenti sul mercato e che vengono offerti agli esercenti le professioni sanitarie. Ricordiamo che, in questo momento, l’obbligo assicurativo non è previsto, nella sostanza, neanche per i liberi professionisti nonostante la previsione legislativa. Il terzo comma dell’articolo 10 sancisce l’obbligo di assicurazione a carico di “ciascun esercente la professione sanitaria operante a qualunque titolo in presidi sanitari pubblici o nelle aziende del servizio sanitario nazionale o in strutture private” con oneri a carico del professionista. Per l’obbligo di stipula si utilizza, come da tradizione, la troppo vaga formula della “adeguata polizza di assicurazione”. Il tutto al dichiarato fine di “garantire efficacia all’azione di rivalsa”. Assicurazione obbligatoria per tutti i professionisti dipendenti dunque ma senza una disposizione di “obbligo a contrarre” da parte delle imprese assicurative simile a quella presente nel settore RC auto laddove è specificato che le “imprese di assicurazione sono tenute ad accettare…”. Non solo. Il ddl sulla responsabilità professionale poteva (e può ancora) diventare il luogo dove si riportano le clausole assicurative ai livelli di qualunque polizza in linea con il codice civile. Si tratta di mettere mano all’inaccettabile clausola Claims made che, ricordiamo, copre solo i comportamenti colposi posti in essere nel corso di validità del contratto obbligando il professionista a ulteriormente tutelarsi con i periodi di retroattività e di postuma rischiando, in caso contrario, di non trovare tutela assicurativa, in una serie di casi, pur avendo sempre avuto una polizza di assicurazione. Non è pensabile, non è corretto, non è giusto costringere il professionista sanitario a districarsi tra una serie di clausole contrattuali che ha il diritto non conoscere e che non sono normalmente presenti in altre polizze. Non può sapere e conoscere il dibattito intorno alla “atipicità” del contratto assicurativo sulla responsabilità professionale: ha solo bisogno di comprare una polizza che consenta a lui certezza e sicurezza del periodo di copertura assicurativa. Così non è oggi e così rischia di non essere all’indomani dell’approvazione del ddl Gelli. L’inadempienza all’obbligo assicurativo non è sanzionata in alcun modo facendo venire meno, quindi, l’effettività dell’obbligo stesso e lo stesso dichiarato fine di garanzia dell’efficacia dell’azione di rivalsa. In sanità riscontriamo l’esempio della mancata sanzionabilità degli obblighi ECM che hanno reso il sistema solo formalmente obbligatorio, ma di fatto assolutamente facoltativo. Conclusioni Il ddl Gelli rischia di essere l’ennesima legge flop della sanità. Abbiamo già espresso i rischi dei dubbi di costituzionalità per l’esenzione dalla responsabilità penale che, tra l’altro, le associazioni di tutela del malato hanno già denunciato. Il ddl sembra essere idealmente suddiviso in due parti con una prima parte a “favore” del cittadino-utentepaziente e una seconda parte a “favore” dell’esercente la professione sanitaria. Quest’ultima è assolutamente Dicembre 2015 Rassegna Responsabilità Professionale preponderante (depenalizzazione e incardinamento nella responsabilità extra-contrattuale) facendo venire meno una serie di tutele oggi esistenti a favore della “vittima” del reato. Per contro i rimedi a favore della tutela del paziente sono assolutamente risibili e inconsistenti quando non anacronistici (la riesumazione del difensore civico). Vi sono poi alcuni passaggi che rischiano di danneggiare egualmente paziente e medico: mi riferisco all’eccessiva cristallizzazione e formalizzazione delle linee guida (parastatali) che diventano strumenti cogenti e sostanzialmente inderogabili. Inaccettabile, tra l’altro, il totale silenzio sulle assicurazioni. Nell’approfondimento abbiamo visto che rimangono una serie di aporie che non si sono volute risolvere. Devono essere ripensati e riscritti alcuni articoli se si vuole una reale riforma equilibrata della responsabilità professionale che abbia un effetto duraturo nel tempo. Quello che talvolta (spesso) il legislatore non capisce e che una volta approvato il testo legislativo vive di vita propria spesso andando oltre le intenzioni, più o meno dichiarate, del legislatore stesso (vedi, ad esempio, la recente sentenza della Corte di cassazione sull’applicabilità dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori al pubblico impiego sempre negato nelle aule parlamentari da esponenti governativi). Luca Benci – Giurista 4 Dicembre Doctor33 Responsabilità professionale, sempre più probabile emendamento in Stabilità Maggiori trasparenze e più garanzie per il diritto al risarcimento dei pazienti vittime di errori medici o malasanità, aumento delle tutele dei camici bianchi, obbligo di assicurazione per i medici e un Fondo garanzia dei soggetti danneggiati che, co-finanziato da una piccola percentuale dei premi assicurativi incassati dalle Compagine, viene in aiuto della struttura se l'Assicurazione è insolvente o in liquidazione, o se il valore del danno da risarcire supera il massimale coperto. È quanto inserito nel Ddl sulla responsabilità professionale del personale sanitario, approvato dalla Commissione Affari sociali della Camera e calendarizzato alla Camera il prossimo 16 dicembre. Stando alle indiscrezioni, una parte del testo dovrebbe invece essere inserita dal Governo, sotto forma di emendamento, nella imminente Legge di stabilità. «C'era una grossa necessità - spiega Massimo Cozza, segretario nazionale della Fp Cgil - di agire in questo ambito con una legge. Le nuove regole sulla responsabilità professionale faranno in modo di dare certezza di un giusto risarcimento a chi ha subito un danno. Il cittadino deve avere giustizia quando il medico o l'operatore sanitario commettono errori che compromettono la salute. Mentre, chi lavora in scienza e coscienza deve poterlo fare in modo sereno, in particolare nel Ssn per garantire il diritto alla salute. Questo costituisce l'asse portante del nostro ragionamento». E sebbene per Cozza il testo vada nella giusta direzione, «c'è la necessità comunque di approfondire e rivedere alcuni aspetti». Ma il vero pericolo, per l'esponente sindacale, sembra essere proprio il frazionamento del testo che potrebbe essere esaminato in due momenti diversi rispetto alla parte penalistica e civilistica. Il testo, che porta il nome del responsabile sanità del Pd, Federico Gelli, punta ad aumentare i diritti e le tutele sia per i pazienti che per i medici, cercando un equilibrio tra i diritti dei professionisti che operano nel Ssn e le garanzie al diritto al risarcimento per i pazienti danneggiati. Nel merito il testo prevede che i professionisti che non si atterranno alle linee guida emanate dalle società scientifiche, iscritte in un apposito elenco del ministero della Salute, risponderanno penalmente solo in caso di colpa grave e dolo. Cambia anche la responsabilità civile: il cittadino che si ritiene danneggiato manterrà intatto il suo diritto al risarcimento verso la struttura sanitaria, mentre per le azioni avanzate nei confronti degli operatori sanitari cambiano i termini di prescrizione che scendono a 5 anni, inoltre verrà spostato sul paziente l'onere della prova. I risparmi previsti in tema di medicina difensiva, a detta del ministro della Salute, saranno notevoli. Si parla, infatti, di una previsione di risparmio che potrebbe aggirarsi intorno ai 10 miliardi di euro da reinvestire sempre in sanità. Rossella Gemma 7 Dicembre StudioCataldi.it L'ente ospedaliero anche se ha tutte le attrezzature e le infrastrutture a norma di legge regionale e nazionale, deve risarcire la morte del paziente per ritardi e mancate cautele del personale Dott. Antonino Miceli La Corte Suprema di Cassazione Civile, sezione terza, con la sentenza n. 21090 del 19/10/2015 rigetta il ricorso proposto dall'ASP di Messina, per la cassazione della sentenza della Corte D'appello. Tale sentenza addiveniva alla condanna della ricorrente al risarcimento del danno per la morte di un paziente nei locali del Pronto Soccorso di un ospedale. La Corte di legittimità stante i motivi di ricorso presentati, ritiene che per quanto le attrezzature del nosocomio sono conformi alle normative nazionali e regionali in vigore, l'ente ospedaliero è indefettibilmente onerato di tutelare e garantire la salute del paziente per l'impegno che assume Dicembre 2015 Rassegna Responsabilità Professionale con il contratto di spedalità. Infatti, nel caso de quo, gli esami del sangue fatti in ritardo e la manipolazione d'urgenza di parti vitali dell'organismo del paziente commesse dal personale sanitario e parasanitario al momento del ricovero nel Pronto Soccorso fanno si che l'ente sia responsabile della morte del paziente dovuta a tali ritardi e complicanze. Per questo, solo il giudice di merito, per suo dovere istituzionale, può delibare, nel rispetto del libero convincimento, in concreto tutti gli elementi probatori forniti dalle parti, poiché alla Corte Suprema non spetta un “apprezzamento dei fatti e delle prove in modo difforme da quanto preteso dalla parte”. (Cass. N. 6288 del 18/03/2011, Cass. N. 27197 del 16/12/2011, Cass. N. 7394 del 26/03/2010). Inoltre, l’onere della prova, poiché la responsabilità da contratto di spedalità è di fonte contrattuale, incombe al danneggiante, il quale deve dimostrare in toto non solo che non c’è inadempimento ma anche che qualora vi è inesatto adempimento non è così grave da cagionare il danno (rectius la morte del paziente). Le condizioni cliniche del paziente, seppur precarie fin dall’inizio del ricovero, non scagionano l’ente per i giudici “atteso il non breve lasso di tempo intercorso tra l’arrivo al nosocomio e il decesso e viste le specifiche negligenze comportamentali verificatesi durante quell’intervallo”. L’Asp ricorrente, in un ottica di giudizio prognostico avrebbe dovuto, nel merito, effettuare ulteriori e diverse indagini sanitarie o fornendo mezzi di prova tali da far addivenire alla conclusione per cui la morte del paziente era hic et nunc un fatto inevitabile. L’inevitabilità è data perché la morte sarebbe sopraggiunta anche in presenza di numerose ore di attesa del paziente al Pronto Soccorso. Per i motivi esposti, la Corte rigetta il ricorso dell’ASP di Messina e condanna alla refusione delle spese legali e processuali sostenute da controparte pari a 10.200Euro, oltre 200,00 Euro di esborsi e spese generali. Quotidiano sanità Responsabilità professionale. Come la vedo, qui dagli Usa Gentile Direttore, continuo a leggere con interesse gli interventi sulle responsabilità dei medici ma soprattutto dei chirurghi. Tema affrontato dal Dr. Lavalle, ma soprattutto dal Dott.ssa Cocconcelli. Quest'ultima in particolare suggerisce una serie di punti con allegati numeri del codice penale e civile degni di un avvocato di grande esperienza. Però in nessuno di questi suggerimenti si affronta il vero problema per il quale mentre negli USA (dove faccio il chirurgo da tanti anni) le scuole di specialità nelle branche chirurgiche vanno riempite ogni anno, nel nostro paese si fa fatica a trovare una nuova generazione di medici disposta ad iniziare il training. Ora i nostri giovani non sono proprio rimbambiti: sono esposti facilmente a realtà di paesi civili molto di più rispetto a quando io studiavo medicina negli anni 80. Perché mai un giovane medico dovrebbe passare 5-7 anni nel periodo più stimolante della propria vita ad essere umiliato da medici spesso incompetenti che nella maggior parte dei casi non hanno nessun interesse a insegnare loro un bel nulla. Gli stessi programmi ministeriali se non ricordo male prevedono circa 160 interventi da primo operatore nel corso di sei anni. In media un intervento ogni 2 settimane! La cosa drammatica che questi numeri sono ancora un'utopia nella stragrande maggioranza dei casi. Un neo specialista che esce dalla scuola senza sapere fare il suo lavoro, tra l'altro pagato male, perché dovrebbe assumersi rischi se consapevole di non essere preparato. Io durante la mia specialità a Roma ho eseguito 8 interventi alla safena ed un amputazione di gamba, con questa casistica fui abilitato alla "professione" di chirurgo. Già dai primi anni della scuola capii come andavano le cose, studiai per la FMGEMS (ora si chiama USMLE) e rifeci tutto dall'inizio. Negli stessi 5 anni 2.000 interventi, 1.600 da primo operatore (inclusi esofago, fegato, pancreas etc) e 400 da aiuto (principalmente cardio e neurochirurgia). Poi visto che venivo dalla "fame" italica aggiunsi due anni di fellowship in trapianti di fegato ed intestino. Ora è ovvio che con un training adeguato possa affrontare "serenamente" casi complessi ad alto rischio di complicazioni. La preparazione tecnica però non basta: una cosa che mi hanno insegnato sin dall'inizio è di essere umile e sempre disponibile con il paziente ed i suoi parenti prima che le complicazioni avvengano, non dopo. Complicazioni che purtroppo fanno parte della vita di un chirurgo. Se un medico dà l'impressione di trattare il proprio malato come fosse un parente stretto, è disposto a spiegare bene il trattamento ed è sempre disponibile alle richieste di un colloquio anche da più di un parente è estremamente raro che venga denunciato anche in caso di una complicanza anche mortale. 48 ore alla settimana però non bastano ad imparare a fare il chirurgo o a trattare umanamente e senza fretta malati complessi. Ritengo perciò inutile questa ricerca affannosa di lavorare al massimo 48 ore a settimana, soprattutto per i giovani colleghi come avevo spiegato in un intervento precedente. Quello che è veramente scandaloso nel nostro paese è che gli stipendi dei medici siano appiattiti da regole sindacali e non basati sulle difficoltà tecnico/cognitiva delle prestazioni eseguite. Ancor più scandaloso è che queste ore in eccesso non vengano retribuite adeguatamente. Non è assolutamente accettabile che un medico lasci l'ospedale per andare a lavorare in una clinica privata a fare le stesse cose con importi esagerati. E' chiaro che molte riforme andrebbero fatte, ma spesso sono gli stessi medici che non vogliono cambiare nulla, perché a questo punto si sarebbero messi ad insegnare qualcosa durante la specialità. Io ho ormai 50 anni e dopo aver fatto ogni genere di operazione traggo grande soddisfazione ad insegnare a chirurghi neanche trentenni uno dei più affascinanti lavori del mondo. Lavoro praticamente tutti i giorni Dicembre 2015 Rassegna Responsabilità Professionale (compresi sabati e domeniche), faccio 10 reperibilità come in Italia, i miei risultati vengono scrupolosamente controllati dal mio ospedale e dal governo, vengo giudicato dai pazienti online. Ho un tasso di complicanze fortunatamente molto basso nonostante il peso degli interventi. Posso essere licenziato in ogni momento (ma posso anche andarmene se dovessi offrire proposte allettanti). Pagando fino all'ultimo centesimo di tasse non mi vergogno di guadagnare circa 400.000 dollari lordi l'anno (non sono tanti come potrebbe sembrare: una pizza costa 20 dollari ed il college per un figlio 40.000/anno). Di burn out neanche l'ombra. Aloha da Honolulu - Gregorio Maldini Medico chirurgo, Honolulu (Usa) 8 Dicembre La Repubblica Salute L’ospedale alla sbarra MICHELE BOCCI L’INTENTO È QUELLO di ridurre il cosiddetto contenzioso, cioè le cause penali contro i medici. Nella stragrande maggioranza dei casi, queste si traducono in un niente di fatto per i pazienti, cioè in assoluzione, e tengono i professionisti in tensione per anni spingendoli verso la medicina difensiva che fa prescrivere esami e trattamenti inutili per paura di sbagliare. Da tempo si parla di una riforma del codice penale che riduca il numero delle cause, forse adesso ci siamo. Il deputato e responsabile della sanità del Pd, Federico Gelli, ha scritto un nuovo testo che è stato approvato in commissione Affari Sociali e il 15 dicembre arriverà in aula. Per la nuova norma, il medico che sbaglia non potrà essere riconosciuto colpevole, neanche per colpa grave, se avrà seguito tutte le linee guida della sua specialità, «salve le rilevanti specificità del caso concreto». Le società scientifiche saranno coinvolte nella riscrittura delle linee guida. Ci sono poi articoli dedicati alla responsabilità civile. A spiegare la norma in questo campo è lo stesso Gelli. «Oggi la responsabilità dell’ospedale e del professionista nei confronti del danneggiato è di natura contrattuale. Devono dimostrare di non essere responsabili di ciò che è avvenuto. Noi cambiamo, anche seguendo la giurisprudenza in materia. Il rapporto di natura contrattuale con la struttura rimane. Nei confronti del professionista, che nel regime pubblico non è stato scelto dal cittadino, il rapporto diventa di tipo extracontrattuale. Quindi se il paziente vuole rivalersi anche nei suoi confronti, l’onere della prova diventa a carico suo e il periodo di prescrizione è di 5 anni ». Su questo punto, anche se resta la possibilità di chiedere i danni all’ospedale, ci sono state polemiche da parte di alcune associazioni di consumatori. La norma cerca anche di promuovere la conciliazione e forme di risarcimento tramite accordo extragiudiziario; e successivamente tramite azione diretta nei confronti dell’assicurazione. Inoltre è costituito un fondo di garanzia per i cittadini che anche se hanno avuto ragione in giudizio non ricevono i soldi per problemi delle compagnie assicurative o delle Regioni che fanno l’autoassicurazione. «Con questa legge riportiamo la responsabilità professionale in linea con altri Paesi europei - dice Gelli Garantiamo il professionista al meglio nello svolgimento attività, senza togliere diritti a cittadini che anzi hanno numerosi strumenti innovativi per avere ristoro ai danni subiti». Si ritiene che la norma potrebbe fare risparmiare molto perché ridurrà la medicina difensiva. Per questo si sta valutando se inserire queste minori spese nella legge di Stabilità e utilizzare i soldi per la campagna di assunzioni che si è resa necessaria con l’avvio del nuovo orario di lavoro dei sanitari. Secondo l’associazione Osservatorio Sanità, che tutela i cittadini danneggiati che vogliono risarcimenti e medici accusati anche assistendoli dal punto di vista legale, «il testo del nuovo disegno di legge fornirebbe giustamente al personale sanitario maggiori garanzie. Anche l’introduzione del tentativo obbligatorio di conciliazione con la presenza anch’essa obbligatoria di tutte le parti, assicurazioni comprese, rappresenta un notevole passo avanti rispetto al passato». Si ritiene però preoccupante la previsione della cosiddetta “autoassicurazione”. «Non fornisce nella realtà al cittadino alcuna tutela. Infatti, salvo limitatissimi casi, legati a regioni virtuose come Toscana ed Emilia Romagna, la legittimazione di una simile prassi, introdotta qualche anno fa, continuerà ad avere effetti devastanti a danno dei cittadini, poiché consentire ad una struttura sanitaria di una regione in disavanzo finanziario (Lazio in testa) di risarcire il cittadino con fondi autonomi, corrisponde, nella pratica, a legittimarne l’insolvenza ». Il sistema dell’autoassicurazione si basa, dove funziona bene, sulla chiusura dei casi in via stragiudiziale, senza cioè coinvolgere i giudici e gli avvocati, oppure questi ultimi ma solo in minima parte. In genere permette di risarcire in tempi piuttosto brevi. Quotidiano Sanità Responsabilità professionale. L’audit deve restare fuori dei procedimenti giudiziari I percorsi di audit sono efficaci solo ed esclusivamente se chi vi partecipa è certo della impermeabilità dell'audit rispetto ai procedimenti giudiziari. Ogni possibile contaminazione tra l'indagine interna e l'indagine giudiziaria è destinata a frustrare la collaborazione del personale sanitario alla segnalazione ed al riconoscimento dell'errore e, conseguentemente, alla messa in sicurezza dei percorsi sanitari Dicembre 2015 Rassegna Responsabilità Professionale L’applicazione dei vincoli sull’orario di lavoro derivanti dalla direttiva europea sta ponendo problemi rilevantissimi alla erogazione di molte prestazioni e mette in pericolo la stessa tenuta dei Lea. Le attività maggiormente a rischio sono quelle prestate in urgenza, per l’espletamento delle quali sono necessari turni di guardia e di reperibilità. E’ evidente che, per recuperare le risorse necessarie ad evitare le pesanti sanzioni che scaturiscono dai vincoli normativi imposti dall’UE, si stanno restringendo le aree di intervento non urgenti oggi, ma che lo diventeranno domani, non essendo state gestite appropriatamente e tempestivamente. Tutto il contrario di ciò che il recente rapporto Oasi 2015 raccomanda con la “trasformazione della geografia dei servizi”, per assicurare ai diversi gruppi di pazienti il setting assistenziale adeguato, nel momento in cui serve, evitando qualunque sovrapposizione che si trasformi in overtreatment, undertreatment ovvero che non sia tempestiva. Come dire che, alla fine, dopo un lungo periodo nel quale il personale sanitario di questo Paese ha spesso stretto i denti per assicurare continuità di cure, chi pagherà sarà, ancora una volta, il paziente, stretto da una normativa imposta dall’Unione Europea. Il Ministro Lorenzin ha promesso l’entrata nel Ssn di 4 mila medici, per tamponare le situazioni più urgenti, da finanziare con i futuri risparmi derivanti dall’applicazione della legge sulla responsabilità professionale e sul rischio clinico. Personalmente crediamo sia difficile incamerare subito questi risparmi, ma certamente la legge sulla responsabilità professionale assume, anche sotto questo punto di vista, una importanza fondamentale. Al di là della tutela del paziente, che non può che essere prioritaria, anche come certezza del risarcimento quando subisce un danno, non possiamo mai dimenticare che ogni euro impiegato in costi assicurativi o risarcitori o in prestazioni inappropriate a scopo difensivo è un euro sottratto all’impiego di risorse per le cure. Per questo motivo, l’aspetto più rilevante della gestione del rischio è quello preventivo, fondato su un costante e sistemico meccanismo di controllo, verifica, check list, nel quale l’audit assume il rilievo di uno degli strumenti cardine della gestione. Attraverso l’audit il sistema sanitario si verifica, auto apprende, si mette in discussione. L’audit diventa mezzo di analisi dei percorsi, momento di consapevolezza per il sanitario e per chi gestisce l’intero processo da esaminare, il ponte gettato tra quello che talora e’ irrimediabilmente sbagliato e il processo da rettificare, affinché non si sbagli mai più o, comunque, con minore probabilità: in altre parole, l’esito dell’audit costituisce la base per una immediata azione correttiva, ove ve ne sia bisogno, e necessita della massima collaborazione di chi abbia eventualmente commesso un errore. L'art. 2 del d.d.l., recante "Disposizioni in materia di responsabilità professionale del personale sanitario", appare certamente apprezzabile sotto il profilo teleologico, giacché - inserito in un contesto normativo dichiaratamente orientato ad una più efficace e concreta tutela del diritto alla salute - mira in particolare a valorizzare il fronte della prevenzione: implementando lo studio dell'errore, si va alla ricerca di rimedi volti a scongiurare il ripetersi di episodi analoghi. Ben vengano, dunque, i «percorsi di audit e le altre metodologie finalizzate allo studio dei processi interni e delle criticità più frequenti, con segnalazione anonima del quasi errore ed analisi delle possibili attività finalizzate alla messa in sicurezza dei percorsi sanitari». Ciò che non convince affatto, invece, è il richiamo - peraltro del tutto inconferente - all'art. 220 disp. att. c.p.p., che il legislatore opera con riguardo ai «verbali ed agli atti conseguenti all'attività di gestione aziendale del rischio clinico». In effetti, i percorsi di audit possono risultare efficaci solo ed esclusivamente nella misura in cui chi vi partecipa - a qualunque titolo - sia del tutto certo della impermeabilità dell'audit rispetto ai procedimenti giudiziari: ogni possibile contaminazione tra l'indagine interna ed un'eventuale indagine giudiziaria è destinata a frustrare - peraltro comprensibilmente - qualsivoglia forma di collaborazione del personale sanitario alla segnalazione ed al riconoscimento dell'errore e, conseguentemente, alla messa in sicurezza dei percorsi sanitari. Per converso, il rimando all'art. 220 disp. att. c.p.p. - oltre a risultare di difficile applicazione pratica, trattandosi di norma introdotta per regolare il contegno di quei soggetti che cumulano su di sé la duplice qualifica di polizia amministrativa e di polizia giudiziaria (almeno quest'ultima certamente non spettante agli organi deputati allo svolgimento dei percorsi di audit) - si presta ad interpretazioni mutevoli, tutte parimenti disarmanti. Ove lo si intendesse come un limite alle attività di audit imponendone la cessazione ogniqualvolta emergano indizi di reato a carico di taluno, ci si troverebbe di fronte ad un inedito obbligo di denuncia che - ovviamente implicherebbe forti e comprensibili resistenze da parte del personale sanitario nel collaborare alla celebrazione dell'audit: chi mai si assumerebbe il rischio di partecipare ad atti di audit capaci di trasformarsi in (auto)denuce di un errore? Al contempo, ove lo si interpretasse come un obbligo di conformare le attività di audit alle garanzie proprie del procedimento penale (ad esempio, presenza del difensore, facoltà di non rispondere, etc.), si attribuirebbero ai responsabili delle funzioni di audit poteri che l'ordinamento riserva all'autorità giudiziaria (anche tenuto conto del grado di professionalità giuridica che essi richiedono e che non si può pretendere da chi celebra l'audit). In ogni caso, guardando al profilo di maggiore interesse - ovvero l'auspicata impermeabilità dell'audit rispetto ad eventuali indagini giudiziarie - un dato appare certo: il richiamo all'art. 220 disp. att. cp.p. non può intendersi quale divieto di utilizzazione degli atti compiuti in occasione dell'attività di gestione aziendale del rischio clinico. E ciò per due ordini di ragioni: innanzitutto, la norma codicistica (art. 220 disp. att. c.p.p.) non contiene alcun divieto esplicito di utilizzazione, che dovrebbe dunque ricavarsi in via meramente interpretativa; Dicembre 2015 Rassegna Responsabilità Professionale in secondo luogo, ove l'obiettivo fosse quello di imporre la inutilizzabilità processuale degli atti dell'audit, tanto varrebbe realizzarlo mediante un'espressa ed inequivoca previsione normativa. In tal senso, dunque, risultava senz'altro meglio congegnato l'emendamento, poi ritirato, volto a prevedere che «tali atti non possono essere acquisiti o utilizzati in procedimenti giudiziari». Ad oggi i procedimenti giudiziari si celebrano senza alcun apporto probatorio da parte degli audit; non è dato comprendere, dunque, perché mai ci si dovrebbe stupire se domani l'autorità giudiziaria continuasse ad attingere agli ordinari canali accertativi, con il divieto di potersi giovare di quanto dovesse emergere in sede di audit. D'altronde, secondo lo stesso d.d.l., gli audit servono a migliore i percorsi sanitari e non a moltiplicare il materiare fruibile nei procedimenti giudiziari. Ovviamente il suddetto divieto deve ritenersi esteso anche alla utilizzabilità di tali atti nell’ambito dei procedimenti disciplinari. Carlo Bonzano Avv. Penalista, Professore dell’Università di Tor Vergata Tiziana Frittelli Vicepresidente Federsanità Anci 13 Dicembre Quotidiano Sanità I medici non chiedono l’impunità ma solo di essere giudicati se (e solo se) sbagliano Gentile direttore, non vorrei sembrare noioso riprendendo per l'ennesima volta il problema della responsabilità professionale, ma non posso esimermi dal replicare al "collega" Carmelo Galipò (il virgolettato è d'obbligo, e si capirà più avanti il perché) quando scrive che "al cittadino non servono medici impunibili, ma di qualità". L'ortopedica Mirka Cocconcelli e il chirurgo Gregorio Maldini, delle cui lettere condivido completamente i contenuti, hanno espresso due diversi tipi di disagio che non sono affatto antitetici come vorrebbe far supporre il Dott. Galipò, ma sono ampiamente vissuti da tutti i medici che praticano la loro attività in camera operatoria. Giustamente, scrive il Dott. Galipò, scrivere di un argomento presuppone conoscerlo bene, altrimenti si rischia di fuorviare e fuorviarsi. Purtroppo devo constatare che il Dott. Galipò, pur essendo medico, non è un "collega", perché è evidente che non riesce a cogliere il punto essenziale della situazione di chi oggi lavora in camera operatoria. Scambiare l'auspicio di poter lavorare con serenità e tranquillità per un desiderio di "impunità" è grottesco, e conferma ai miei occhi quanto i medici legali siano molto meno "medici" e più "legali", ovvero che colgano un aspetto parziale della situazione, da un punto di vista, lo stesso degli avvocati, che forse non è il più adatto a farsi un quadro complessivo della realtà. La cosa che più mi meraviglia è che al Dott. Galipò non dovrebbero essere ignoti i numeri del contenzioso medico-paziente: se solo una minima frazione dei chirurghi colpiti da avviso di garanzia viene poi chiamata in giudizio ed infine condannata, si dovrebbe comprendere facilmente che i chirurghi non chiedono l'impunità: i chirurghi non vogliono sottrarsi al giudizio, ma vogliono essere giudicati se (e solo se) sbagliano. Le complicanze di un atto chirurgico esistono, e spesso si manifestano indipendentemente dall'operato del chirurgo, anzi, si verificano nonostante il chirurgo abbia fatto tutto quello che umanamente si poteva fare per guarire il malato. Io non voglio essere giudicato per le complicanze, ma solo per i miei errori, e questo non significa augurarsi di diventare "impunibile". Purtroppo la biologia e la medicina non funzionano come la fisica: data una palla e un cannone, una volta sparato il colpo è molto facile calcolare esattamente dove finirà, è solo una questione di vettori, velocità, attrito, forza di gravità. In biologia e in medicina invece le variabili si moltiplicano a dismisura, alcune ci sono del tutto ignote, di altre non abbiamo alcun controllo: prevedere come andrà a finire non è più un fatto "certo", diventa una questione di statistica. Se una tecnica chirurgica, anche eseguita allo stato dell'arte, è gravata da una certa percentuale di fallimenti, questo dato è utile al chirurgo per preferire quella tecnica ad un'altra: ma dovrebbe essere utile anche al paziente per capire che il chirurgo non può avere il controllo totale, puntuale, preciso di ogni cosa, e che per quanto si sforzi per il bene del paziente esiste sempre un'alea di incertezza sul risultato. Eppure oggi nel comune sentire quando qualcosa va male c'è sotto per forza un "responsabile", un "colpevole"; e siccome in Italia la responsabilità penale è personale, può venire condannato solo l'ultimo malcapitato che rimane con il cerino acceso in mano, non importa chi ha dato fuoco al cerino, non conta in quanti se lo sono passato senza riuscire a spegnerlo. Quasi mai l'evento avverso è frutto di un singolo macroscopico errore: il più delle volte c'è una serie di concause, una vera e propria "catena di eventi", ciascuno apparentemente innocuo, che conduce alla catastrofe. Ma invariabilmente è solo il chirurgo che, alla fine di questo processo, è chiamato a rispondere, e il medico legale a individuare un semplice (forse semplicistico?) rapporto di causalità tra il supposto operato del chirurgo e l'evidente danno patito dal paziente, che in questa visione "legalese" delle cose deve essere scaturito necessariamente come effetto di una precisa causa antecedente. Se come si sente spesso dire la gran parte degli errori in sanità sono colpa di gravi problemi organizzativi, è giusto o logico chiamare i chirurghi a risponderne? Io credo di no, e non credo che questo coincida con un desiderio di "impunità". Dicembre 2015 Rassegna Responsabilità Professionale Ma non mi sarei atteso una critica diversa dal Presidente di una associazione che fa dello "sviluppo di una maggiore consapevolezza del cittadino danneggiato" la sua mission, e promuove attivamente su un giornale online con consulenze gratuite di medici legali e avvocati il "business" del contenzioso medico-paziente. Mario Campli Specialista in chirurgia d'urgenza e pronto soccorso – Roma 15 Dicembre Quotidiano Sanità Responsabilità professionale e diritto di rivalsa. Più dubbi che certezze nelle nuove norme Non sembra infatti risolutiva la previsione contenuta nel ddl approvato dalla Commissione Affari Sociali della Camera, in base al quale, in caso di esercizio dell'azione presso la Corte dei Conti, diverrebbe improcedibile la domanda di rivalsa della struttura sanitaria verso il professionista dipendente Il ddl sulla responsabilità professionale prevede l’azione di rivalsa della struttura sanitaria nei confronti dell’esercente la professione sanitaria in caso di dolo o colpa grave. Ma siamo proprio sicuri che l’azienda possa effettuare l’azione di rivalsa e che quest'ultima sia compatibile con l'attuale assetto giurisdizionale? Questa domanda è indotta dalle perplessità che, ovviamente in ambito pubblico, scaturiscono dal rapporto tra questo istituto e l'istituto della responsabilità amministrativa (per danno erariale) presidiato, da un lato, dalla esclusività sia della legittimazione ad agire (attribuita alla Procura della Corte dei Conti e non all'ente pubblico danneggiato) che del potere giurisdizionale (appunto della Corte dei Conti e non del giudice ordinario) e, dall'altro, da uno “statuto” sostanziale peculiare rispetto a quello che connota la responsabilità civilistica. L'istituto della responsabilità amministrativa è stato, infatti, nel tempo configurato come un genus distinto ed autonomo, definito sulla base di peculiari caratteristiche dettate dalla legge, diverse ed originali rispetto alle regole della responsabilità civile: personalità, intrasmissibilità agli eredi, limitazione al dolo e alla colpa grave, salvezza delle scelte discrezionali, determinazione del quantum con l’uso del potere riduttivo, ricorrenza anche nei confronti di amministrazioni diverse da quella d’appartenenza (con grave compromissione della pretesa natura contrattuale), tutte caratteristiche sostanziali che, appunto, ben giustificano, da un lato, l’affidamento della materia a un giudice diverso da quello ordinario e, dall'altro, l'esclusività del potere di azione da parte dell'organo terzo costituito dalla Procura presso la stessa Corte dei Conti. In conclusione, il carattere di generalità ormai riconosciuto alla giurisdizione della Corte dei conti e la natura autonoma ed originale della responsabilità gravante per legge sul dipendente per danno arrecato alla pubblica Amministrazione (di questo si tratta infatti quando si parla di ipotesi di rivalsa dell'azienda condannata per risarcimento del danno verso il proprio dipendente, non direttamente chiamato in giudizio dal creditoredanneggiato) sembrerebbero motivi idonei a dirimere in radice la possibilità della “convivenza” (e quindi dei possibili “conflitti”) con la giurisdizione civile, data l’esclusività in materia della giurisdizione della Corte dei conti e, conseguentemente, dell’azione intestata al Procuratore contabile. In caso contrario, si verificherebbe l’assurdo per cui, se l’Amministrazione chiama a rispondere il suo dipendente davanti al giudice ordinario, si applicherebbe un tipo di responsabilità (quella di diritto civile) e se invece è il Procuratore regionale della Corte dei conti a convenirlo davanti alla Magistratura contabile si applicherebbero regole completamente diverse, quanto alla prescrizione, al quantum ecc., le regole, appunto, della responsabilità amministrativa. In tale prospettiva, non sembra risolutiva la previsione contenuta nel ddl sulla responsabilità professionale, in base al quale, in caso di esercizio dell'azione presso la Corte dei Conti, diverrebbe improcedibile la domanda di rivalsa della struttura sanitaria verso il professionista dipendente: l'esclusività dell'azione da parte della Procura presso la Corte dei Conti e della giurisdizione della stessa Corte dei Conti per danno all'erario esclusività, si evidenzia, presidiata dalla Costituzione - sembrerebbe infatti radicalmente ed ab initio impedire la stessa “possibilità” di procedere in via autonoma da parte della struttura sanitaria davanti al giudice ordinario. In realtà, tale meccanismo, che si presenta come un dispositivo di soluzione preventiva di un eventuale conflitto di giurisdizione (e di giudicato), sconta un assunto (quello dell'astratta possibilità di vita autonoma dell'azione di rivalsa davanti al giudice ordinario) che appare in contrasto con il presupposto della esclusività della giurisdizione della Corte dei Conti appena richiamato. Del resto, quale ulteriore elemento di perplessità, si evidenzia che la struttura sanitaria (o, meglio, il rappresentante legale e/o i suoi uffici) è già obbligata per legge a denunciare presso la Procura della Corte dei Conti eventuali notizie di danno erariale come quelle che, in ipotesi, legittimerebbero l'azione di rivalsa di cui si discute. E in tal senso non si comprende come l'azione di rivalsa potrebbe essere efficacemente coltivata senza ineluttabilmente incrociare l'azione della Procura della Corte dei Conti destinataria della suddetta, obbligatoria denuncia da parte della stessa struttura sanitaria. Tiziana Frittelli Vicepresidente di Federsanità Dicembre 2015 Rassegna Responsabilità Professionale 18 Dicembre Sanità24 Dalla responsabilità penale all’azione di rivalsa: le pulci delle commissioni al “risk” Chiarezza e certezza sulle linee guida il cui rispetto mette in salvo il medico sul fronte della responsabilità penale. Disciplina più puntuale dell’obbligo di assicurazione e sull’iter dell’azione di rivalsa. Riformulazione integrale dell’azione diretta da parte del danneggiato. Istituzione di un organismo di garanzia per determinare quando necessario l’ammontare del premio della polizza assicurativa. Requisiti minimi per le stesse polizze, di cui dovrebbe dotarsi la struttura anche per danni non riconducibili alla responsabilità o ad azioni del professionista sanitario. Il testo sulla responsabilità professionale (A.C. 259, relatore Federico Gelli, Pd), passato attraverso le “forche caudine” delle commissioni competenti dopo l’approvazione in commissione Affari sociali della Camera e a cui è stata impressa una corsia preferenziale in vista dell’approvazione definitiva (previo passaggio al Senato) entro l’estate, necessita di una serie di ritocchi di sostanza. Basta leggere i pareri - postivi ma con osservazioni o condizioni - che arrivano dalle commissioni Giustizia, Affari costituzionali e Finanze, che di seguito riportiamo. COMMISSIONE GIUSTIZIA. Parere favorevole con le seguenti condizioni: l’articolo 6 sia sostituito dai seguenti: «ART. 6. – (Buone pratiche clinico-assistenziali e raccomandazioni previste dalle linee guida). – 1. Gli esercenti le professioni sanitarie nell'esecuzione delle prestazioni sanitarie con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche e riabilitative, si attengono, salve le specificità del caso concreto, alle buone pratiche clinico-assistenziali e alle raccomandazioni previste dalle linee guida indicate dalle società scientifiche e dagli istituti di ricerca iscritti in apposito elenco, istituito, con decreto del Ministro della salute, da emanarsi entro un anno dall'entrata in vigore della presente legge. Le linee guida sono pubblicate contestualmente, per i singoli settori di specializzazione, entro due anni dall'entrata in vigore della presente legge, dal Ministro della Salute secondo modalità stabilite nel medesimo decreto, e sono aggiornate ed eventualmente integrate con Pag. 61cadenza annuale. La pubblicazione delle linee guida è attestata con decreto non regolamentare del Ministro della Salute, pubblicato sul sito del Ministero e sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana. L'articolo 3, comma 1, del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito con modificazioni dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, continua ad applicarsi sino alla pubblicazione delle linee guida di cui al comma 1, e per quei settori di specializzazione medico-chirurgica per i quali non esistono linee guida pubblicate ai sensi del medesimo comma 1. Art. 6-bis. (Responsabilità penale dell'esercente la professione sanitaria). – 1. Dopo l'articolo 590-bis del codice penale è inserito il seguente: «ART. 590-ter (Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario). L'esercente la professione sanitaria che, nello svolgimento della propria attività, cagiona a causa di imperizia, la morte o la lesione personale della persona assistita risponde dei reati di cui agli articoli 589 e 590 solo in caso di colpa grave. 2. Agli effetti di quanto previsto dal primo comma, è esclusa la colpa grave quando, salve le rilevanti specificità del caso concreto, sono rispettate le buone pratiche clinico-assistenziali e alle raccomandazioni previste dalle linee guida così come definite e pubblicate ai sensi di legge.»; all'articolo 7 sia soppresso il comma 3; all'articolo 8, comma 1, le parole «un'azione tesa ad ottenere il risarcimento» siano sostituite dalle seguenti: «un'azione relativa a una controversia di risarcimento»; all'articolo 8, il comma 4 sia sostituito dai seguenti: «4. Le compagnie assicuratrici di cui all'articolo 10, ove convenute, hanno l'obbligo di formulare offerta di risarcimento del danno ovvero comunicare i motivi per cui ritengono di non formulare offerta. 5. In caso di sentenza a favore del danneggiato, quando la compagnia assicuratrice non ha formulato l'offerta di risarcimento nell'ambito del procedimento di accertamento tecnico preventivo di cui ai commi precedenti, ovvero la somma offerta sia inferiore della metà di quella liquidata dal giudice, il giudice trasmette copia della sentenza all'IVASS per gli accertamenti relativi all'osservanza del comma 4, e per l'applicazione della sanzione amministrativa di cui all'articolo 315 comma 1 lett. d) d.lgs 7 settembre 2005, n. 209, aumentata fino al doppio»; l’articolo 9 sia sostituito dal seguente: Art. 9. (Azione di rivalsa) 1. L'azione di rivalsa nei confronti dell'esercente la professione sanitaria può essere esercitata solo in caso di dolo o colpa grave. 2. Se il danneggiato, nel giudizio di risarcimento del danno, non ha convenuto anche l'esercente la professione sanitaria, l'azione di rivalsa nei confronti di quest'ultimo può essere esercitata soltanto successivamente al risarcimento avvenuto sulla base di titolo giudiziale o stragiudiziale, ed è esercitata, a pena di decadenza, entro un anno: a) dal passaggio in giudicato del titolo sulla base del quale è avvenuto il pagamento; b) dal pagamento in caso di risarcimento avvenuto sulla base di un titolo stragiudiziale Dicembre 2015 Rassegna Responsabilità Professionale 3. La decisione pronunciata nel giudizio promosso contro la struttura sanitaria o contro la compagnia assicuratrice non fa stato nel giudizio di rivalsa se l'esercente la professione sanitaria non è stato parte del giudizio. 4. In nessun caso la transazione è opponibile all'esercente la professione sanitaria nel giudizio di rivalsa. 5. In caso di accoglimento della domanda proposta dal danneggiato nei confronti della struttura sanitaria pubblica, l'azione di rivalsa nei confronti dell'esercente la professione sanitaria di cui ai commi 1 e 2 dell'articolo 7, deve essere esercitata innanzi al giudice ordinario, e la misura della rivalsa, in caso di colpa grave, non può superare una somma pari al triplo della retribuzione lorda annua. Per i tre anni successivi al passaggio in giudicato della decisione di accoglimento della domanda di rivalsa, il professionista, nell'ambito delle strutture sanitarie pubbliche, non può avere assegnazione di incarichi professionali superiori rispetto a quelli ricoperti, né può partecipare a pubblici concorsi per incarichi superiori. 6. In caso di accoglimento della domanda proposta dal danneggiato nei confronti della struttura sanitaria privata, la misura della rivalsa, in caso di colpa grave, non può superare una somma pari al triplo della retribuzione lorda annua. 7. Nel giudizio di rivalsa il giudice può desumere argomenti di prova dalle prove assunte nel giudizio instaurato dal paziente nei confronti della struttura sanitaria»; 9) all'articolo 11 sia sostituito il comma 1 dal seguente: «1. Fermo quanto previsto dall'articolo 8 della presente legge, il soggetto danneggiato ha diritto di agire direttamente, entro i limiti delle somme per le quali è stata stipulata l'assicurazione, nei confronti dell'impresa di assicurazione delle strutture di cui al comma 1 e dell'esercente la professione sanitaria di cui al comma 2 dell'articolo 10 della presente legge»; 10) all'articolo 11, comma 4, il primo periodo sia sostituito dal seguente: «Nel giudizio promosso contro l'impresa di assicurazione della struttura a norma del comma 1 è litisconsorte necessario anche l'azienda sanitaria, la struttura o l'ente assicurato e, nel giudizio promosso contro l'impresa di assicurazione dell'esercente la professione sanitaria a norma del comma 1, è litisconsorte necessario anche l'esercente la professione sanitaria»; 11) dopo l'articolo 11 sia inserito il seguente: Art 11-quater (Obbligo di comunicazione al professionista del giudizio basato sulla sua responsabilità). – 1. Le strutture sanitarie di cui all'articolo 7 comma 1, e le compagnie di assicurazione di cui all'articolo 10, commi 1 e 2, comunicano all'esercente la professione sanitaria l'instaurazione del giudizio promosso nei loro confronti dal danneggiato, entro dieci giorni dalla ricezione della notifica dell'atto introduttivo, mediante posta elettronica certificata o lettera raccomandata con avviso di ricevimento contenente copia dell'atto introduttivo del giudizio. COMMISSIONE FINANZE parere favorevole con le seguenti condizioni: 1) con riferimento all'articolo 10, il quale stabilisce l'obbligo per le strutture sanitarie di dotarsi di una copertura assicurativa per i danni cagionati dal personale operante presso l'azienda, la struttura o l'ente, provveda la Commissione di merito a prevedere che con decreto del Ministro dello Sviluppo economico, di concerto con il Ministro della salute e il Ministro dell'economia e delle finanze, sentiti l'Ivass, l'Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici (Ania), la Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri, le Federazioni nazionali degli ordini e dei collegi delle professioni sanitarie e le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative delle categorie professionali interessate, nonché le associazioni di tutela dei pazienti, sono determinati i requisiti minimi delle polizze assicurative per le strutture sanitarie; 2) con riferimento all'articolo 11, il quale stabilisce, al comma 1, che il soggetto danneggiato ha il diritto di agire direttamente, entro i limiti delle somme per le quali è stata stipulata l'assicurazione per danni cagionati dal personale operante presso l'azienda, la struttura o l'ente di cui le strutture sanitarie devono obbligatoriamente dotarsi, sia nei confronti dell'impresa di assicurazione delle medesime strutture sanitarie sia nei confronti dell'esercente la professione sanitaria, provveda la Commissione di merito a prevedere che le disposizioni dell'articolo si applicano a decorrere dall'entrata in vigore del decreto con il quale sono determinati requisiti minimi di tali polizze assicurative. COMMISSIONE AFFARI COSTITUZIONALI. Parere favorevole con la seguente condizione - all'articolo 3, comma 1, si preveda l'attribuzione della funzione di Garante per il diritto alla salute all'ufficio del Difensore civico come facoltà e non come obbligo per le Regioni; e con la seguente osservazione: - valuti la Commissione di merito l'opportunità di approfondire i contenuti delle disposizioni di cui all'articolo 8, comma 4, anche tenuto conto del fatto che nell'ordinamento non sembrano rinvenirsi fattispecie di «partecipazione obbligatoria» analoghe. http://www.sanita24.ilsole24ore.com/pdf2010/Editrice/ILSOLE24ORE/QUOTIDIANO_SANITA/Online/_O ggetti_Correlati/Documenti/2015/12/19/RISK_SERVIZIO_STUDI.pdf?uuid=ACBVk0vB Dicembre 2015 Rassegna Responsabilità Professionale 19 Dicembre Italia Oggi Ok al fondo per i danni dei medici Dopo giorni di attesa la Camera ha approvato i pareri della Commissione giustizia e affari costituzionali alla legge sulla responsabilità professionale. Nello specifico la Commissione giustizia si è espressa positivamente sui temi relativi alla sicurezza delle cure, al rischio sanitario, sulle caratteristiche dei procedimenti giudiziari aventi ad oggetto la responsabilità sanitaria, sull’obbligo di assicurazione e sull’istituzione di un fondo di garanzia per i soggetti danneggiati da responsabilità sanitaria. In ogni caso, la medesima commissione, ha evidenziato alcune criticità riguardanti gli esercenti le professioni sanitarie. Questi dovranno attenersi, nell’esecuzione delle prestazioni sanitarie, alle buone pratiche clinico-assistenziali e alle raccomandazioni previste dalle linee guida indicate dalle società scientifiche e dagli istituti di ricerca iscritti in apposito elenco, istituito, con decreto del ministro della salute. Inoltre, sempre l’esercente la professione sanitaria, dovrà essere oggetto a pene più severe nel caso di responsabilità colposa per morte o lesioni personali. In ultimo, la commissione giustizia chiede che le compagnie assicurative e le strutture sanitarie siano obbligate a comunicare all’esercente la professione sanitaria l’instaurazione del giudizio promosso nei loro confronti dal danneggiato. Situazione differente per quanto riguarda i profili di costituzionalità. Infatti, il parere approvato dalla Commissione affari costituzionali, chiede semplicemente che si preveda l’attribuzione della funzione di Garante per il diritto alla salute all’ufficio del Difensore civico come facoltà e non come obbligo in capo alle Regioni. Si attende quindi, solo il parere della Commissione finanze il cui esito, secondo indiscrezioni, non dovrebbe essere ostativo. In questo modo, a gennaio, la legge sulla responsabilità professionale potrà essere approvata dall’Aula della Camera per poi essere trasmessa, per la lettura finale, all’alto ramo del Parlamento . 21 Dicembre Quotidiano Sanità Denunce in sanità. Due ogni mille dimissioni. In 2 casi su 3 è per lesioni personali. Risarcimenti in media di 52 mila euro. Ma fino a quasi 4 anni per chiudere una causa. Il Rapporto Agenas Pubblicato il primo report annuale dell’Osservatorio nazionale sinistri gestito dall’Agenzia per i servizi sanitari regionali. Il fenomeno riguarda nel 33% dei casi gli over 65. In media il risarcimento è il 27% della somma preventivata. Liquidati in un anno il 2,7% dei sinistri. Nel 72% dei casi ci si rivolge all’avvocato. IL RAPPORTO - http://www.quotidianosanita.it/allegati/create_pdf.php?all=9151743.pdf Due denunce di sinistro ogni 1.000 dimissioni ospedaliere. Nel 65,86% dei casi riguardano casi di lesioni personali. In media i risarcimenti sono stati di 52.368 euro con una punta massima di 2,4 mln. In ogni caso i tempi per la giustizia sono lunghi: per aprire una causa, ci vogliono in media 872,53 giorni, e per chiuderla, 542,45 giorni. Insomma quasi 4 anni. Ma questi sono solo alcuni dei numeri del Primo rapporto annuale (2014) sulle denunce dei sinistri in sanità, che analizza i dati della quasi totalità delle Regioni e Province Autonome (non sono disponibili i dati del Friuli Venezia Giulia). Il lavoro è stato realizzato dall’Osservatorio nazionale sinistri gestito da Agenas, attraverso 21 indicatori sulla base dei quali sono stati organizzati ed elaborati i dati forniti dalle strutture sanitarie pubbliche per l’anno 2014. I risultati sono presentati in forma aggregata a livello nazionale e rendono in questo modo una prima fotografia del contesto di riferimento del nostro Paese. (Vedi anche approfondimento su sistemi de gestione dei sinistri). L’Osservatorio nazionale sinistri elabora i dati del Simes-ds, Sistema informativo per il monitoraggio degli errori in sanità del Ministero della Salute, che raccoglie e analizza le informazioni relative alle denunce dei sinistri trasmesse dalle strutture sanitarie pubbliche, tramite le Regioni e le P.A. Obiettivo dell’Osservatorio, istituito con Intesa Stato-Regioni del 2008 e Decreto Ministeriale del 2009 che lo assegnano come specifica funzione istituzionale ad Agenas, è quello di effettuare un monitoraggio costante delle denunce e di produrre per la prima volta dati attendibili a livello nazionale sulla sinistrosità delle strutture pubbliche. “L’elaborazione del rapporto – si legge nel report - ha consentito l’evidenziazione di alcuni aspetti suscettibili di ampio miglioramento, sia in termini di contenuti oggetto di rilevazione, che delle stesse modalità di rilevazione e di rappresentazione. Si riportano, a titolo di esempi degli ambiti di miglioramento individuati, la classificazione delle cause dei sinistri, la classificazione delle tipologie di strutture partecipanti al monitoraggio, l’anno di nascita del presunto danneggiato che non può essere superiore all'anno della data evento. Tutto ciò ha stimolato la ricostituzione, a cura di Agenas, del gruppo di lavoro inter-regionale interno del Comitato Tecnico delle Regioni per la Sicurezza del Paziente, che procederà alla verifica e all’aggiornamento dei contenuti informativi del SIMES. Dalla lettura e dall’analisi dei contenuti del presente rapporto giungono numerosi spunti di riflessione anche in merito ai modelli regionali per la governance del contenzioso in sanità. Le elaborazioni delle informazioni relative alle denunce di sinistri potrebbero apportare notevoli contributi alla discussione, ad oggi ancora aperta, sui metodi e gli strumenti per la valutazione dei modelli adottati dalle Regioni per la gestione del rischio RCT/O”. I numeri del rapporto: Dicembre 2015 Rassegna Responsabilità Professionale INDICE DI SINISTROSITÀ REGIONALE: definisce la frequenza con cui si verificano gli errori in sanità denunciati, ed è pari a 20,94 su 10 mila casi (dimissioni). COSTO MEDIO DEI SINISTRI LIQUIDATI: la cifra è di 52.368 euro SINISTRI PER TIPOLOGIA DI DANNO: Nel 65,86% dei casi si tratta di denunce per lesioni personali, nel 12,88% per decesso e nel 5,67% per danno a cose. SINISTRI PER TIPO DI PRESTAZIONE: Nel 33,55% i sinistri aperti hanno riguardato un intervento, nel 18,49% l’assistenza e nel 17,31% la terapia. COSTO MEDIO SINISTRI LIQUIDATI PER TIPO DI DANNO: Il risarcimento per decesso è di 284.669 euro, seguono quelli per lesione dei diritti giuridicamente rilevanti con una media di 56 mila euro e poi ci sono le lesioni personali con una media di liquidata di 45 mila euro. PERCENTUALE DI SINISTRI LIQUIDATI NELL’ANNO: La cifra è del 2,76% GIORNI MEDI PER L’APERTURA DI UNA PRATICA: 872,53 GIORNI MEDI PER LA CHIUSURA DI UNA PRATICA: 542,45 SINISTRI PER CONTESTO DI RIFERIMENTO: Nel 52,43% l’apertura di un sinistro era in regime di ricovero ordinario, nel 15,48% dei casi si è verificato in accesso al Pronto soccorso e nel 9,34% in ambulatorio. SINISTRI PER TIPO DI PROCEDIMENTO: Il 74,44% dei sinistri aperti ha un procedimento stragiudiziale, la Conciliazione è all’8,98%. SINISTRI PER TIPOLOGIA TRAMITE: Nel 72,34% dei casi le denunce vengono presentate tramite l’avvocato, direttamente invece nel 10,61% dei casi e 3,87% attraverso una agenzia antiinfortunistica. PERCENTUALE SINISTRI CHIUSI IN VIA STRAGIUDIZIALE ENTRO L’ANNO: 7,87% RAPPORTO TRA IMPORTI LIQUIDATI E SOMME PREVENTIVATE: 0,27. In sostanza viene liquidato in media il 27% di quanto preventivato. SINISTRI PER ETA’ (del danneggiato): Nel 33% dei casi riguarda persone over 65, mentre nel 17% dai 45 ai 54 anni e nel 16% la fascia di età tra i 55 e i 64 anni MASSIMO/MINIMO IMPORTO LIQUIDATO PER TIPO DI DANNO. L’importo massimo per lesioni personali liquidato è stati di 2,4 milioni di euro mentre il minimo è stato di 16.150 euro. Per quanto riguarda le lesioni di diritti giuridicamente rilevanti il massimo liquidato è stato di 2 milioni di euro e il minimo di 52,6 euro. Per decesso il massimo liquidato è stato di 1,4 mln. Luciano Fassari Quotidiano Sanità Gestione del rischio. Una regione su 4 è in autoassicurazione. Ma tra polizze e sistemi misti ognuno va per la sua strada Sistema a gestione diretta o attraverso le polizze assicurative o in forma mista. Ma non solo, gestione regionale o aziendale? A mettere ordine tra i sistemi di gestione dei sinistri in sanità ci ha pensato l’Osservatorio Agenas nel suo Rapporto che ha dedicato un’area ad hoc al tema. Ma vediamo com’è lo scenario. Da indagini periodiche effettuate da Agenas risulta difatti che 5 Regioni (Toscana, Emilia Romagna, Sicilia, Liguria, Basilicata) hanno adottato il modello di gestione diretta dei sinistri, internalizzando tutte le fasi della gestione dei sinistri e postando specifici accantonamenti nel Fondo Sanitario Regionale; di queste, Toscana, Basilicata, Liguria e alcune Aziende Sanitarie della Regione Emilia Romagna hanno adottato un sistema di gestione diretta ormai a regime; la Regione Siciliana, con delibera della giunta regionale, ha di recente approvato il passaggio ad un sistema di gestione diretta del rischio con istituzione di un proprio fondo. La Regione Marche ha optato per un sistema di gestione diretta per quanto riguarda l’ASUR (Azienda Sanitaria Unica Regionale) mentre l’Azienda Ospedali Riuniti di Ancona, l’Azienda Ospedale Marche nord e l’INRCA hanno in corso una polizza assicurativa con franchigia. Sono sempre 5 Regioni (Friuli Venezia Giulia, Piemonte e Umbria, Veneto) hanno adottato un sistema di gestione mista. Il modello prevede dunque l’affidamento della gestione dell’evento dannoso alle Aziende sanitarie e il trasferimento della trattazione e della liquidazione dei danni alla compagnia assicurativa per importi eccedenti la soglia stabilita, o comunque per i cosiddetti “danni catastrofali”. La Regione Valle d’Aosta e le Provincie Autonome di Trento e di Bolzano hanno optato per il ricorso alla polizza assicurativa; quella di Bolzano dal 2009 non prevede più alcuna franchigia. L’Azienda Sanitaria Regionale Molise ha stipulato una polizza assicurativa che prevede una franchigia aggregata, mentre Regione Lombardia e Regione Calabria hanno recentemente sottoscritto una polizza regionale. Per quanto riguarda la Regione Lazio, dalle ultime rilevazioni, risulta in prevalenza un modello di gestione mista a livello aziendale con franchigia variabile. Talune Aziende della Regione attuano una gestione dei sinistri attraverso polizze assicurative con franchigie contenute. Altre ancora hanno adottato un modello di gestione diretta. Anche nella Regione Puglia, attualmente, non si evidenzia un indirizzo regionale unitario; l’ASL di Bari e gli IRCCS pubblici, De Bellis e Oncologico di Bari, hanno adottato un sistema di gestione diretta del rischio. Per quanto riguarda le altre Aziende Sanitarie è in vigore una polizza con Self Insured Retention variabile. La medesima assenza di politica unitaria regionale nelle strategie di gestione del rischio RCT/O si rileva nella Regione Sardegna, nella Regione Abruzzo e nella Regione Campania; in quest’ultima sono presenti alcune Dicembre 2015 Rassegna Responsabilità Professionale Aziende Sanitarie che hanno in essere polizze assicurative e altre che hanno adottato un sistema di gestione diretta (ASL Napoli 2) benché la prospettiva sia quella di un maggiore accentramento nel modello di gestione dei sinistri mediante liquidazione diretta da bilancio regionale. http://www.quotidianosanita.it/stampa_articolo.php?approfondimento_id=7092 23 Dicembre La Repubblica “Non esiste il diritto di nascere sani” risarcimento negato alla bambina Down La Cassazione boccia il ricorso di una famiglia In gravidanza la sindrome non era stata diagnosticata CATERINA PASOLINI Non sarà risarcita una bambina lucchese nata con la sindrome di Down. La Corte di Cassazione a sezioni unite ha infatti stabilito che «non esiste un diritto a non nascere se non sani » e questo «mette in scacco il concetto stesso di danno» per chi viene al mondo malato. Ma allo stesso tempo i giudici, invitando a non considerare le persone come semplici oggetti e quindi di minor valore se danneggiati, chiamano indirettamente o in causa lo Stato per invitarlo a garantire assistenza e appoggio alle famiglie che hanno figli disabili. Una sentenza complessa quella della Cassazione, che arriva dopo altri pronunciamenti di senso opposto che in passato hanno riconosciuto il diritto al risarcimento a bambini nati malati, ai genitori e persino ai fratelli. A pochi giorni di distanza da un’altra decisione della Cassazione che ha visto condannato un ginecologo di Mantova proprio per la nascita di una bambina Down a causa di insufficienti esami diagnostici che non hanno messo i genitori in grado di decidere il da farsi. A presentare la richiesta di danno, a nome proprio e della loro figlia, una coppia che ha citato l’Asl di Lucca e i primari dei reparti di ginecologia e del laboratorio di analisi. Nonostante gli esami durante la gravidanza, i medici non avevano riscontrato che la bambina fosse affetta dalla sindrome di Down. «Se lo avessi saputo avrei abortito», ha dichiarato la madre prima di rivolgersi alla magistratura. Per la donna è stato disposto un nuovo approfondimento, in modo da chiarire il danno psicologico: sul risarcimento della bambina il no invece è stato immediato e categorico. Un diniego che arriva dopo lunghe discussioni, che chiamano in causa la legge ma anche l’etica intervenendo su problemi che vedono opinioni opposte e una giurisprudenza divisa, come sottolineato dagli stessi magistrati. Secondo questa sentenza della Cassazione in primo luogo non esiste il diritto al risarcimento del danno per il bambino nato malato. Anche perché, sottolinea, «di esso si farebbero interpreti unilaterali i genitori nell’attribuire alla volontà del nascituro il rifiuto di una vita segnata dalla malattia; come tale, indegna di essere vissuta». La Cassazione a Sezioni unite sottolinea che la giurisprudenza favorevole al risarcimento del medico nei confronti del neonato disabile «finisce con l’assegnare al risarcimento un’impropria funzione vicariale, suppletiva di misure di previdenza e assistenza sociale». Come dire che il risarcimento sarebbe al posto dell’assistenza e della previdenza sociale, cose che in un Paese civile dovrebbero essere garantite, paiono sottolineare i magistrati. Nella sua analisi, la Corte, che cita altri casi simili avvenuti all’estero e mette in guardia contro il «rischio di una reificazione dell’uomo, la cui vita verrebbe ad essere apprezzabile in ragione dell’integrità psico-fisica». In altre parole si tratta di un invito a non giudicare l’uomo come un oggetto che vale meno se danneggiato, che viene considerato solo se perfetto. In Francia in passato venne riconosciuto il diritto ad un figlio disabile di essere risarcito dai genitori per essere stato messo al mondo nonostante l’handicap. Ma dopo quella sentenza la legge fu cambiata in base al fatto che «nessuno può far valere un danno derivante dal solo fatto di esser nato». Tra i vari motivi secondari per i quali la Corte rifiuta l’idea del risarcimento, si cita la «patrimonializzazione dei sentimenti, in una visione panrisarcitoria dalle prospettive inquietanti». Le Sezioni unite hanno comunque annullato la sentenza della Corte d’Appello di Firenze che negava il risarcimento ai genitori. La legge 194 sull’aborto riconosce infatti il diritto di interrompere la gravidanza laddove la nascita determini «un grave pericolo per la salute fisica e psichica della donna» ma per attribuire l’eventuale risarcimento del danno occorre provare che la donna avrebbe effettivamente «esercitato la scelta abortiva ». Anche, spiegano gli ermellini, approfondendo «lo stato psicologico ». Accertamento che i giudici di merito hanno sottovalutato secondo la Cassazione. Dicembre 2015 Rassegna Responsabilità Professionale CASI 7 Dicembre La Repubblica Firenze Clavicola fratturata ma da Careggi esce tetraplegica La vittima è una donna di 42 anni: l’ospedale non vuole risarcire i genitori, a marzo il processo È entrata in ospedale con una frattura della clavicola, è uscita sdraiata su un letto e attaccata ad un respiratore perché tetraplegica, cioè paralizzata dal collo in giù. La storia drammatica di una donna fiorentina di 42 anni, il 18 marzo dell’anno prossimo verrà discussa in tribunale, dove si aprirà il processo per lesioni gravissime contro il chirurgo vascolare che l’ha avuta in cura, ed è da quasi due anni al centro di un braccio di ferro tra i suoi genitori e l’azienda di Careggi. L’ospedale da dove la figlia della coppia è uscita in quelle condizioni non vuole riconoscere il danno secondo il sistema della conciliazione adottato ormai per la maggior parte dei casi di errori in corsia. Sostiene che non è certo il nesso causale tra il trattamento sanitario e la patologia della donna, vuole aspettare l’esito del processo penale. Erano il 23 novembre del 2012 quando quella paziente arrivò a Ponte a Niccheri. Ai medici raccontò di essere caduta nel pomeriggio dal motorino. Non stava particolarmente male, si decise di mandarla a Careggi per un intervento. Tragico il finale. BOCCI A PAGINA V Entra in ospedale con la clavicola rotta esce paralizzata La donna cadde di motorino nel 2012. Operata a Careggi. Processo a marzo. “Almeno risarcite” MICHELE BOCCI E’ entrata in ospedale con una frattura della clavicola, è uscita sdraiata su un letto e attaccata ad un respiratore perché tetraplegica, cioè paralizzata dal collo in giù. La storia drammatica di una donna fiorentina di 42 anni il 18 marzo dell’anno prossimo verrà discussa in tribunale - dove si aprirà il processo per lesioni gravissime contro il chirurgo vascolare che l’ha avuta in cura - ed è da quasi due anni al centro di un braccio di ferro tra i suoi genitori e l’azienda di Careggi. L’ospedale da dove la figlia della coppia è uscita in quelle condizioni non vuole riconoscere il danno con il sistema della conciliazione, adottato ormai per la maggior parte dei casi di errori in corsia. L’aziednda vuole aspettare l’esito del processo penale. Erano le 20.30 del 23 novembre del 2012 quando quella paziente arrivò a Ponte a Niccheri. Ai medici raccontò di essere caduta nel pomeriggio dal motorino. Non stava particolarmente male, tanto che aveva cenato a casa con i genitori. Visto che però sentiva un dolore alla spalla aveva deciso di passare dal pronto soccorso. Qui hanno trovato la frattura alla clavicola e anche una piccola lacerazione dell’arteria succlavia, che ha prodotto un ematoma. Si è così deciso di inviarla a Careggi, dove nella notte la donna è stata sottoposta a un intervento di embolizzazione. Il medico è entrato con una sonda nel sistema circolatorio e ha “sparato” delle microsfere e delle spirali per riparare il danno all’arteria. Questo materiale sarebbe finito anche nelle zone del cervello irrorate dalla carotide e dall’arteria vertebrale destre, provocando un danno celebrale che ha portato alla tetraplegia. I periti che hanno analizzato il caso per i giudici hanno dato la certezza che la tetraplegia è conseguenza dell’intervento. I genitori della donna, assistiti dagli avvocati Neri Pinucci e Bruna Pinucci Scatigna, hanno presentato un esposto e avviato le pratiche per la richiesta del danno a Careggi, che da tempo è in regime di autoassicurazione, cioè usa i suoi fondi per i risarcimenti. La procura ha chiesto l’archiviazione. Dopo l’opposizione degli avvocati, il gip, che ha sentito alcuni periti, ha invece ritenuto che il processo debba essere fatto e ha fissato la data per l’anno prossimo. Intanto l’azienda ospedaliera ha fatto sapere di non voler riconoscere il danno, ipotizzato dalla famiglia in oltre 2 milioni di euro, in via extraprocessuale malgrado non sia in dubbio la connessione tra intervento e patologia. «Al di là della responsabilità del medico - dice l’avvocato Pinucci - ci troviamo nella situazione oggettiva di una giovane donna che viene accolta da una struttura sanitaria per una banale frattura alla spalla e ne esce in quelle condizioni. Per questo non ci spieghiamo il rifiuto di trovare un accordo che aiuterebbe una famiglia in gravissime difficoltà economiche». 15 Dicembre La Repubblica Palermo Chemio letale, risarcimenti record MEDICI E INFERMIERI CONDANNATI PER LA MORTE DI VALERIA LEMBO Medici e infermiere le somministrarono al Policlinico una dose di chemio letale, Valeria Lembo morì a 34 anni nel giro di venti giorni. Ieri si è chiuso con pene severe il primo grado del processo. Dai sette ai quattro anni le condanne per medici e infermieri imputati per omicidio colposo e falso. Il giudice ha anche fissato l’interdizione dalla professione e una maxi provvisionale di un milione per il marito della vittima. MARCECA A PAGINA IX Chemio killer, risarcimenti record condannati medici e infermieri ROMINA MARCECA Dicembre 2015 Rassegna Responsabilità Professionale È rimasta in camera di consiglio per quasi due ore. E in aula, la folla di parenti di Valeria Lembo aveva temuto che per i medici e le infermiere che iniettarono nell’ospedale Policlinico la dose killer di chemioterapia alla donna morta a 34 anni per un errore mai contemplato nella letteratura scientifica, si profilasse la decisione di pene più lievi. Invece, il giudice monocratico Claudia Rosini ha inflitto condanne più severe rispetto alle richieste avanzate dalla pubblica accusa rappresentata dai pm Francesco Grassi e Emanuele Ravaglioli. E nell’aula 24 del tribunale nuovo, che per due anni ha ospitato il processo per malasanità, è stato un susseguirsi di lacrime sommesse e abbracci liberatori. Cinque anni, la pena massima per omicidio colposo, è stata decisa per Laura Di Noto, l’oncologa e specializzanda in patologia clinica, che la mattina del 7 dicembre del 2011 seguì la paziente Valeria Lembo, all’ultima seduta per un tumore di Hodgkin. Al medico sono stati inflitti anche due anni per l’accusa di falso: sarebbe stata lei, insieme allo specializzando Alberto Bongiovanni, a modificare quel 90 milligrammi di vinblastina in 9 nella prescrizione interna. Il giudice ha anche deciso per l’interdizione dalla professione medica per sette anni. Per l’ex primario di Oncologia medica Sergio Palmeri 4 anni e sei mesi per omicidio colposo e altrettanti di interdizione dalla professione. Per lo specializzando Alberto Bongiovanni, che si trovava all’estero il giorno della somministrazione fatale, 4 anni per omicidio colposo, due anni e sei mesi per falso e sei anni e sei mesi di interdizione dalla professione. Le infermiere Clotilde Guarnaccia e Elena D’Emma sono state condannate a 4 anni con interdizione dalla professione infermieristica per altrettanti 4 anni. L’unica assoluzione è stata quella dello studente universitario Gioacchino Mancuso «per non aver commesso il fatto». Una maxi provvisionale da un milione, immediatamente esecutiva, è stata fissata per Tiziano Fiordilino, marito di Valeria e padre del loro bambino rimasto orfano della mamma a sette mesi. Quattrocentomila euro ciascuno per i genitori della donna, anche questi da liquidare immediatamente, come gli ottantamila euro disposti per la zia materna di Valeria Lembo, Annamaria D’Amico. Per la famiglia della vittima in tolale i risarcimenti immediatamente esecutivi toccano la cifra di due milioni. Il giudice ha infine ordinato la trasmissione degli atti alla procura profilando possibili false dichiarazioni da parte degli imputati, oltre a disporre la trasmissione della sentenza al Consiglio dell’ordine di appartenenza degli imputati e la pubblicazione, a spese degli imputati, sul sito internet del ministero della Giustizia. La dose di dieci volte superiore era stata preparata durante una catena di errori grossolani. La stessa Valeria Lembo, quella mattina, aveva segnalato alle infermiere che mai le era stato somministrato l’antitumorale in fiala ma in siringa. Non bastò. E quando il fattaccio era già successo la Di Noto e Bongiovanni cercarono di mettere una pezza cancellando lo zero. Palmeri, invece, nascose per nove giorni la verità ai familiari della Lembo dicendo che i malori erano legati a una «gastroenterite». «Mia figlia ha avuto giustizia – dice Maria Rosa D’Amico, stringe in mano la foto della figlia – e speriamo che questo serva per evitare tragedie simili». Accanto a lei gli avvocati Marco Cammarata e Vincenzo Barreca, e il genero Tiziano Fiordilino che tra le lacrime racconta: «È due anni che racconto a mio figlio che vado dal dentista per giustificare le mie assenze per il processo. Questo capitolo finalmente è chiuso, ma il mio Natale non cambia perché Valeria non c’è». Quotidiano Sanità Palermo. Sbagliano dosi farmaco antitumorale e la paziente muore. Medici e infermieri condannati in primo grado con pene da 4 a 7 anni Tutto nasce da un errore di trascrizione che ha portato a somministrare 90 anziché 9 mg di un antitumorale. Non vi sono stati meccanismi tali da impedire l’errore in tutta la filiera di cura. La paziente aveva 34 anni ed era affetta da linfoma di Hodgkin. Ma la durezza della pena, che è andata ben oltre alle richieste della pubblica accusa, impone una riflessione proprio sull’entità della pena stessa che si assume come “esemplare” Il fatto risale al 2011 ed è accaduto al Policlinico Giaccone di Palermo e ha coinvolto un’intera equipe di cura: medici strutturati, medici specializzandi, infermiere addetti alla preparazione degli antiblastici, infermiere somministrante e, financo, uno studente di medicina. Tutta la vicenda è ruotata intorno a un errore di trascrizione che ha portato a somministrare 90 anziché 9 mg di Vinblastina. Non vi sono stati meccanismi tali da impedire l’errore in tutta la filiera di cura che ha quindi portato a morte una giovane donna affetta da linfoma di Hodgkin. L’organizzazione è risultata totalmente estranea alla vicenda processuale pur rilevando gravissime lacune che hanno contribuito a causare l’evento. Proprio in seguito a questa vicenda il Ministero della Salute ha emanato nel 2012 la Raccomandazione n. 14 denominata “Prevenzione degli errori in terapia con farmaci antineoplastici”. Mi riservo di commentare adeguatamente tutta la vicenda quando usciranno – entro novanta giorni – le motivazioni della sentenza di primo grado emessa ieri a Palermo e informo che essendo stato consulente di uno degli imputati posso osservare la vicenda con un certo conflitto di interessi. In questa sede non posso non rilevare però le “condanne record” che verosimilmente non hanno eguali nella storia della responsabilità professionale sanitaria. Cinque anni ai medici specializzandi (più due anni per falso ideologico per uno di loro), quattro anni e sei mesi al “titolare della struttura semplice” (unico medico strutturato coinvolto) e quattro anni alle due infermiere, più pesanti condanne accessorie di interdizione alla Dicembre 2015 Rassegna Responsabilità Professionale professione per tutti i professionisti coinvolti (per un numero di anni pari alla condanna). Assoluzione per lo studente di medicina. Da un punto di vista civilistico anche un risarcimento danni che sfiora i due milioni di euro. Quello che mi preme commentare sono i titoli di alcuni giornali che riportano i commenti di soddisfazione dei parenti che parlano di “condanna esemplare”. I parenti delle vittime delle attività sanitarie hanno tutte le ragioni per esprimere giudizi, anche pesanti, sull’operato dei professionisti sanitari e dell’organizzazione. Una riflessione comunque si impone. Chi scrive è sempre stato critico sui provvedimenti legislativi che hanno in parte depenalizzato l’attività degli “esercenti le professioni sanitarie” come in questi ultimi anni il legislatore ama chiamare i professionisti sanitari. Critico sia con la legge Balduzzi che con il ddl “Gelli”. Quanto accaduto a Palermo non può però non fare riflettere sulla funzione della pena nei reati colposi. La durezza della pena, che è andata ben oltre alle richieste della pubblica accusa, impone una riflessione proprio sull’entità della pena stessa che si assume come “esemplare”. Una pena esemplare è una pena che rischia di essere profondamente anticostituzionale in quanto qui siamo ben oltre la riconosciuta necessità di una pena che abbia una funzione “generalpreventiva” e “retributiva” ma siamo, appunto, in presenza di una condannamonito: deve essere di esempio a tutti. La pena risulta quindi, nel caso di specie, sproporzionata rispetto ai fatti colposi commessi ma evidentemente proporzionata rispetto alla finalità generale che si vuole perseguire. Pena quindi che serve per una finalità generale e che eccede il caso specifico. Mi riferisco, è fondamentale precisarlo, ai fatti colposi, agli errori, all’imperizia, alla negligenza che hanno caratterizzato una buona parte degli eventi. Non mi riferisco ai comportamenti successivi di alcuni dei condannati che hanno nascosto l’errore alla paziente e ai suoi familiari, comportamento per cui nessuna scusa può essere accampata tanto è grave la situazione. Anche le sanzioni accessorie dell’interdizione dall’esercizio della professione colpiscono profondamente: stiamo parlando di un numero di anni che è stato stabilito da quattro a sette anni. Queste sono pene che devono tendere alla rieducazione del condannato come stabilisce la Costituzione o siamo nella sproporzione assoluta rispetto agli autori del fatto-reato? Vi è infine da domandarsi cosa sarebbe accaduto se fossero state in vigore le norme del ddl Gelli e se la vicenda processuale poteva finire diversamente. Probabilmente non sarebbe stato diverso in quanto il ddl Gelli depenalizza la colpa grave solo quando siano state “rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida e le buone pratiche clinico-assistenziali”. E’ vero che all’epoca della commissione del fatto le “Raccomandazioni” (vista la finalità che hanno sono da considerarsi “ buone pratiche”) non erano state emanate ma tutta l’organizzazione posta in essere al Policlinico di Palermo non rispettava le “buone pratiche”: unità di preparazione antiblastici non a norma, day hospital oncologico previsto solo con un medico strutturato (che ovviamente non poteva essere sempre presente), trascrizioni di terapie etc. E’ l’esemplarità della pena il vero punto critico della sentenza di Palermo. Per i professionisti sanitari –rectius gli “esercenti le professioni sanitarie” – che lavorano in organizzazioni fortemente carenti da un punto di vista della sicurezza delle cure vi è la certezza di rispondere personalmente degli “eventi avversi” avendo altrettanta certezza della non responsabilità da attribuire a chi ha il compito istituzionale di porre in essere una organizzazione del lavoro che disincentivi gli errori. Luca Benci Giurista 16 Dicembre Corriere del Veneto Perde testicolo a 13 anni, due condanne Rischia di non avere figli. Il giudice: «Pediatra e guardia medica colpevoli di lesioni gravissime» VERONA A soli 13 anni ha perso un testicolo e in futuro è «altamente probabile» che non possa avere figli. Così giovane (adesso di anni ne ha 18), si ritrova forse condannato a non diventare mai padre l’involontario e sfortunato protagonista di questa spiacevole storia sfociata ieri pomeriggio al secondo piano dell’ex Mastino nella duplice sentenza di condanna pronunciata dal giudice Marzio Bruno Guidorizzi. Tre i mesi di condanna inflitti ai due imputati del processo che vedeva sotto accusa una pediatra di base (difesa dagli avvocati Michele Masso e Maurizio Marini) e una guardia medica (rappresentato in aula dal legale Claudio Fiorini). Entrambi sono stati ritenuti responsabili del reato di lesioni personali gravissime e a tutti e due è stata comunque concessa la sospensione condizionale. Non solo, perché sia Maria Iuliano (la pediatra) che Wali Abdul Moh’d Karim Abdul Sa’d Hiasat (la guardia medica) sono stati condannati al risarcimento dei danni a favore delle parti civili (nel corso del procedimento si erano costituiti tali i familiari più stretti del ragazzino)da liquidarsi di fronte al Tribunale civile. È quindi sfociato ieri pomeriggio nella sentenza di primo grado quanto accaduto tra l’1 e il 3 dicembre del 2010 e che vide un tredicenne di Verona riportare «lesioni personali gravissime connesse alla perdita del testicolo destro , con conseguente indebolimento permanente della funzione procreatrice». Un episodio che fece puntare l’indice alla procura contro i due sanitari, considerati colpevoli «per negligenza, imperizia e imprudenza». In particolare, la pediatra «a fronte dei sintomi (dolore persistente, improvviso e intenso al basso Dicembre 2015 Rassegna Responsabilità Professionale ventre) a lei riferiti telefonicamente dalla madre del ragazzo» avrebbe «omesso di prendere in considerazione l’eventualità di una patologia intensa, tralasciando di richiedere alla madre di farle visitare i ragazzo in presenza di un dolore addominale acuto». Quanto invece alla guardia medica, avrebbe «omesso mentre visitava il ragazzo di esaminargli i genitali nonostante accusasse il sintomo del forte dolore al basso ventre limitandosi alla palpazione dell’addome e a manovre volte a esplorare i reni, con conseguente evitabile ritardo nella diagnosi della patologia. Nessuno dei due medici si sarebbe accorto che si trattava di una «torsione del funicolo spermatico», cui conseguì una «necrosi ischemica del testicolo» e l’«irrimediabile perdita funzionale e anatomica del genitale dopo il necessario intervento chirurgico». A soli 13 anni. Laura Tedesco 18 Dicembre Corriere del Trentino Donna morta di embolia, sei medici indagati Tribunale, scontro tra periti. Incidente probatorio: effettuata l’autopsia BOLZANO Sei medici dell’ospedale San Maurizio di Bolzano sono indagati per una morte sospetta avvenuta nel reparto di Medicina. Il caso risale a qualche mese fa e riguarda una donna morta di embolia polmonare. Ieri in tribunale si è svolto l’incidente probatorio davanti al giudice Emilio Schönsberg. Secondo la perizia portata dal pubblico ministero la morte sarebbe direttamente imputabile all’atteggiamento dei medici. Il magistrato ha però incaricato un altro perito di verificare la situazione. Ieri al San Maurizio si è svolta l’autopsia sul cadavere della donna ma l’esito non è ancora stato reso noto. Non è la prima volta e non sarà nemmeno l’ultima che dei medici altoatesini finiscono nei guai per sospetti errori sanitari. Anzi negli ultimi anni i casi di persone che si rivolgono alla magistratura. E proprio per mettere fine a questa situazione è nata la commissione di conciliazione medica che negli ultimi otto anni ha trattato una media di 31 casi l’anno. Complessivamente infatti sono 250 gli altoatesini che si sono rivolti alla commissione provinciale guidata dall’ex giudice Edoardo Mori. Due terzi dei casi trattati sono stati risolti nel giro di massimo un anno, il risarcimento medio pagato è di oltre 10mila euro. La norma, approvata nel 2005, stabilisce che possono rivolgersi alla commissione tutti i pazienti, anche senza l’aiuto di un legale, che ritengono la propria salute danneggiata da un errore nella diagnosi o nella terapia. Se entrambe le parti sono d’accordo la conciliazione può partire. Tra il 2007 ed il 2015 la Commissione ha preso in esame complessivamente 241 casi, in media una trentina all’anno, quelli ancora pendenti sono una ventina. Il 25,8% dei procedimenti avviati è stato risolto con una conciliazione già nella prima fase mentre il 26,7% si è concluso in una seconda fase con una proposta di conciliazione o un provvedimento finale formulato dalla Commissione all’udienza finale. Solo 12,7% delle domande è stato scartato per manifesta infondatezza mentre nel 9% dei casi la richiesta è stata archiviata per mancata comparizione del medico alla prima udienza. Il restante 15,4% dei casi si è concluso con archiviazione per mancato incarico alla Commissione dopo un l’insuccesso del tentativo di conciliazione. Nonostante tutto però il ricorso ai Tribunali è ancora piuttosto frequente. M. An. Quotidiano Sanità La Maddalena. Manca l’elisoccorso, muore una donna. Lorenzin invia task force “Vogliamo accertare le modalità di funzionamento della rete del sistema di emergenza - urgenza in Sardegna”, spiega il ministero. La donna era stata colpita da aneurisma e doveva essere trasportata a Sassari, ma l’unico mezzo sarebbe stato disponibile dopo 3 ore. La Asl: “Troppo grave, sarebbe morta lo stesso”. “In merito a quanto accaduto in provincia di Olbia dove una donna sarebbe morta in ambulanza per l’indisponibilità di un servizio di elisoccorso, il ministro della Salute Beatrice Lorenzin ha disposto l’invio di una Task Force per accertare le modalità di funzionamento della rete del sistema di emergenza - urgenza in Sardegna”. A comunicarlo è una nota del ministero della Salute, dopo la denuncia del sindaco de La Maddalena, luogo in cui è avvenuto il caso, Luca Montella, sui ritardi dell’eliambulanza: “Ci hanno detto che il mezzo sarebbe arrivato ma dopo tre ore”, racconta al quotidiano La Nuova Sardegna. Intanto, in una nota, la Asl di Olbia di Olbia ricostruisce la vicenda e sottolinea che “un aneurisma di tali dimensioni probabilmente avrebbe avuto un tale esito anche se la paziente si fosse trovata a Olbia; bisogna però precisare – prosegue nella nota Paolo Tecleme, commissario della Asl di Olbia - che la riorganizzazione della rete ospedaliera e territoriale a cui sta lavorando l’Assessorato regionale alla Sanità prevede la riorganizzazione della rete di Emergenza e Urgenza con la strutturazione del servizio di elisoccorso a cui potrebbe associarsi anche il servizio di ambulanza del mare, indispensabili per mettere in sicurezza la popolazione di La Maddalena e tutti quei territori lontani dai centri ospedalieri in cui verranno concentrate le alte specialità, come la cardiochirurgia”. Dai dati riferiti dalla Asl, la donna, 74 anni, si è presentata al Pronto Soccorso dell’ospedale Paolo Merlo di La Maddalena intorno alle ore 19.00 del 09.12.2015, lamentando un forte dolore toracico. In seguito agli accertamenti strumentali e di laboratorio gli operatori sanitari le hanno diagnosticato un “aneurisma con Dicembre 2015 Rassegna Responsabilità Professionale dissecazione aortica”. “Si tratta di un’emergenza chirurgica ad altissima mortalità che richiede un trattamento immediato in strutture specializzate, cioè in Cardiochirurgia, presente nel Nord Sardegna a Sassari”, spiega Carlo Randaccio direttore sanitario dell’ospedale Paolo Merlo di La Maddalena. “Gli operatori in servizio hanno preso immediatamente in carico la paziente, stabilizzandola e avviando il trattamento farmacologico”. “In seguito ad interlocuzione con il 118, con la Prefettura di Sassari e le forze dell’ordine, per il trasporto secondario gli operatori hanno stabilito di procedere in ambulanza, partita da La Maddalena alle 21.48”, riferisce la Asl. “Purtroppo durante il viaggio la situazione è precipitata velocemente in seguito all’improvvisa rottura dell’aorta, che ha portato al decesso della donna. L’anestesista e gli operatori sanitari a bordo del mezzo hanno cercato di rianimarla, ma ogni tentativo è stato vano e non hanno potuto far altro che constatarne il decesso”, spiega Randaccio. “La dissezione aortica, purtroppo, è una grave condizione in cui il tessuto dell’aorta si lacera e il sangue passa tra uno strato e l’altro della parete aortica; se non si interviene immediatamente, nell’arco di pochi minuti, può avere esiti fatali in tempi rapidissimi”, conclude Randaccio. La Nuova Sardegna La Maddalena: manca l'elicottero per trasferirla in un altro ospedale, non può essere operata e muore di Serena Lullia LA MADDALENA. Vite aggrappate al cielo, a un soccorso che spesso non arriva. Che non si alza in volo di notte o ha tempi troppo lunghi per una vita al bivio. L’elicottero non è arrivato per salvare una donna di 74 anni, colpita da aneurisma. Doveva essere trasferita d’urgenza a Sassari per un intervento. A La Maddalena la sala di chirurgia è stata chiusa qualche anno fa. Un’ora di attesa per trovare la disponibilità del mezzo. Tre ore il tempo stimato per raggiungere l’isola. Quindi la scelta disperata di trasportare la donna in ambulanza fino al capoluogo, la corsa per prendere il traghetto, lo sbarco a Palau, il viaggio verso Sassari. Tutto inutile. La donna è morta nel tragitto. Sull’argomento il consigliere regionale Pierfranco Zanchetta ha presentato una interrogazione urgente. Il sindaco Luca Montella ha vissuto in prima persona la disperazione di quella notte. Sono le 21. Il primo cittadino si trova in ospedale in visita a un familiare. «L'anestesista del pronto soccorso e il primario mi chiedono un aiuto d’urgenza – racconta –. Mi spiegano di avere una paziente in gravi condizioni. Il trasporto in ambulanza è sconsigliato. L’intervento di un elicottero è l’unica soluzione per salvarle la vita. Il trasporto in ambulanza a Sassari non è consigliato. Non so descrivere lo sguardo dei medici. Nei loro occhi disperazione, impotenza, la voglia di curare, il bisogno di intervenire». I medici e il sindaco si dividono i compiti. I primi chiamano la prefettura. Il secondo vigili del fuoco, marina militare e carabinieri. Tutti cercano un elicottero abilitato al volo notturno. A La Maddalena non c'è un’ elisuperficie per gli atterraggi dopo il tramonto. Sindaco, familiari e medici si organizzano per illuminare con i fari delle auto il piccolo eliporto che la Marina è pronta a mettere a disposizione. Ma non c’è l’elicottero che possa volare di notte. «Dopo un’ora riceviamo la comunicazione da Decimomannu che il mezzo sarebbe arrivato ma dopo tre ore – dice Montella –. Nel frattempo viene allertata la capitaneria per ritardare la partenza del traghetto delle 22. Avrei voluto che molti, soprattutto coloro che programmano la sanità, avessero visto la faccia di una infermiera e del primario di fronte alla richiesta di inviare un fax per spiegare che la paziente non poteva essere trasportata in altro modo. Non ci è rimasto che far partire l'ambulanza». I carabinieri di Olbia garantiscono spontaneamente una staffetta di pattuglie della radiomobile per tenere libera la strada fino a Sassari. L’ambulanza sale sul traghetto. Dopo 20 minuti è a Palau. Altri 25 minuti per raggiungere Olbia. Ma il cuore della donna smette di battere durante il viaggio. «Quando a Cagliari mi parlarono di ridimensionamento dell’ospedale ed elisoccorso – conclude il sindaco – dissi che la seconda ipotesi non sarebbe stata sufficiente e che la prima era da scongiurarsi del tutto. La vita delle persone viene prima dei numeri di bilancio. Il mio non è un attacco politico, ma una esortazione a riflettere, per ottenere quello che altri già hanno». Corriere del Mezzogiorno Neonata morta, Procura chiude indagini: sei indagati, tre medici accusati di omicidio colposo «Finalmente le indagini sono concluse, la verità scritta nero su bianco. Omicidio colposo e falso ideologico. Ringraziamo la Procura di Catania per il lavoro scrupoloso svolto». È il post pubblicato sulla pagina Facebook nata dopo il dramma della morte della piccola Nicole per chiedere giustizia sull’accaduto. E oggi, la Procura di Catania ha chiuso l’inchiesta sulla morte di Nicole Di Pietro, deceduta la notte dell’11-12 febbraio 2015, poco dopo la nascita nella clinica Gibiino a Catania. Sono sei le persone alle quali la polizia di Stato ha notificato il provvedimento: la ginecologa Maria Ausilia Palermo, il neonatologo Antonio Di Pasquale e l’anestesista Giovanni Gibiino, indagati per omicidio colposo; l’ostetrica Valentina Spanò per false attestazioni; il direttore sanitario Danilo Audibert e l’infermiere professionale Fabrizio Paglia per favoreggiamento personale. Per tre medici contestato l’omicidio colposo La notizia è resa nota dalla Procura, sEsplora il significato del termine: «Finalmente le indagini sono concluse, la verità scritta nero su bianco. Omicidio colposo e falso ideologico. Ringraziamo la Procura di Catania per il lavoro scrupoloso svolto». È il post pubblicato sulla pagina Facebook nata dopo il dramma della morte della piccola Nicole per chiedere giustizia sull’accaduto. E oggi, la Procura di Catania ha chiuso l’inchiesta sulla morte di Nicole Di Pietro, deceduta la notte dell’11-12 febbraio 2015, poco dopo la nascita nella clinica Gibiino Dicembre 2015 Rassegna Responsabilità Professionale a Catania. Sono sei le persone alle quali la polizia di Stato ha notificato il provvedimento: la ginecologa Maria Ausilia Palermo, il neonatologo Antonio Di Pasquale e l’anestesista Giovanni Gibiino, indagati per omicidio colposo; l’ostetrica Valentina Spanò per false attestazioni; il direttore sanitario Danilo Audibert e l’infermiere professionale Fabrizio Paglia per favoreggiamento personale. Per tre medici contestato l’omicidio colposo La notizia è resa nota dalla Procura, spiegando che alla ginecologa Maria Ausilia Palermo, al neonatologo Antonio Di Pasquale e all'anestesista Giovanni Gibiino, è contestato l'omicidio colposo per «aver cagionato, con condotte gravemente colpose, attive ed omissive, il decesso della neonata». «Da un lato, nella fase precedente al parto - sostiene la Procura - la ginecologa non avrebbe proseguito il doveroso e accurato monitoraggio del feto durante il travaglio che avrebbe consentito di prevenire la sofferenza fetale poi verificatasi ricorrendo ad un parto cesareo d'urgenza; dall'altro lato, dopo la nascita di Nicole Di Pietro, il neonatologo e l'anestesista avrebbero eseguito manovre rianimatorie inadeguate, aggravando così la sofferenza respiratoria della neonata fino al suo decesso avvenuto per arresto irreversibile delle funzioni vitali consecutivo a grave sofferenza acuta fetale». Ai tre medici, sospesi dalla professione dal Gip fino al prossimo 27 dicembre, è contestato anche il reato di falso ideologico: «False attestazioni nella cartella neonatale da parte del Di Pasquale e del Gibiino in ordine agli interventi rianimatori praticati e alle condizioni di salute della bambina immediatamente dopo la nascita, con l'annotazione di valori incompatibili con le reali condizioni di salute della neonata» e «false attestazioni della ginecologa Palermo e dell'ostetrica Valentina Spanò nella scheda di travaglio della partoriente, che riporta un valore del battito cardiaco del feto». Favoreggiamento e falso A Danilo Audibert e Paglia Fabrizio, all'epoca rispettivamente direttore sanitario e infermiere responsabile di sala operatoria nella clinica Gibiino, la Procura contesta il favoreggiamento personale e false informazioni al pm «sulla presenza in sala parto del kit di emergenza neonatale». Alla ginecologa Palermo sono contestate lesioni personali colpose nei confronti di Tania Laura Egitto, madre di Nicole, per «la mancata rimozione di una garza durante le fasi di applicazione dei punti di sutura post partum, con conseguente insorgenza di un'infezione protrattasi per 13 giorni fino alla definitiva rimozione del corpo estraneo, avvenuta al pronto soccorso dell'ospedale Cannizzaro di Catania». Le indagini dell'inchiesta, delegate alla squadra mobile della Questura, sono state coordinate dal procuratore Michelangelo Patané e dai sostituti Alessandra Tasciotti e Angelo Brugaletta. 24 Dicembre La Repubblica Milano Muore sotto i ferri, aperta un’inchiesta È MORTO in sala operatoria all’ospedale Sacco, durante un intervento chirurgico per l’impianto di uno stent coronarico. L’uomo aveva 63 anni, ed era già sotto osservazione presso la struttura. Sul caso, il sostituto procuratore Luca Gaglio — di turno in procura martedì, quando è avvenuto l’episodio — ha aperto un fascicolo d’inchiesta, al momento a carico di ignoti. Il reato ipotizzato è omicidio colposo. L’iscrizione consentirà agli inquirenti di verificare eventuali responsabilità del personale medico che ha condotto l’intervento. Il pubblico ministero ha inoltre disposto l’autopsia sul cadavere, che verrà eseguita nei prossimi giorni, per accertare le cause della morte del paziente. Il legale dei familiari della vittima ha chiesto l’acquisizione della cosiddetta “scatola nera” della sala operatoria. Vale a dire, le registrazioni di una videocamera installata nella stanza, che potrebbe consentire di ricostruire cosa esattamente sia accaduto. La direzione dell’ospedale fa sapere che il paziente aveva avuto in passato altri attacchi ischemici, tanto da essere sottoposto a un precedente intervento di angioplastica. L’uomo si era regolarmente sottoposto ai necessari esami medici, ma la situazione è precipitata negli scorsi giorni. Giunto in ospedale martedì, il 63enne aveva forti dolori al torace. Le analisi hanno indicato la necessità dell’intervento, con l’installazione di uno stent, una struttura metallica cilindrica che viene introdotta nelle coronarie per consentire il passaggio del sangue. Durante l’operazione, l’uomo avrebbe però cominciato a presentare serie aritmie cardiache, fino a quando il cuore ha smesso di battere. (f.v.) Corriere del Veneto Muore per una diagnosi errata due medici rischiano il processo Non si sarebbero accorti di una perforazione all’intestino PADOVA Due medici degli Ospedali riuniti Padova sud «Madre Teresa di Calcutta» della Bassa padovana dell’Usl 17 di Schiavonia rischiano di finire a processo con l’accusa di concorso in omicidio colposo per la morte di Gianni Tacchin, settantenne di Cartura. Il 415bis, a cui seguirà a breve la richiesta di rinvio a giudizio, è stata firmata dal sostituto procuratore Francesco Tonon nei giorni scorsi. Tacchin era stato ricoverato a Schiavonia per l’asportazione di un carcinoma, un tumore maligno, alla prostata. Il 23 aprile Tacchin era stato operato dall’equipe del reparto di Urologia come da programma ma qualcosa è andato storto. Il 28 aprile, cinque giorni dopo, il settantenne è morto per una perforazione dell’intestino, come recita il registro clinico. Dicembre 2015 Rassegna Responsabilità Professionale A far decollare il fascicolo è stato l’esposto del figlio Alberto che si è rivolto all’avvocato Giovanni Battista Campeis, di Udine, per mettere nero su bianco i sospetti e le domande a cui lui e la sua famiglia vogliono una risposta. Le indagini hanno dimostrato che non solo era andato storto qualcosa in sala operatoria ma anche fuori. Gli errori infatti sarebbero iniziati subito dopo l’operazione con la decisione (di uno dei due medici che rischia il processo) di prescrivere un esame inadatto per scoprire il sanguinamento interno. L’altro grande errore, il 27 aprile, giorno prima della morte. Il secondo medico avrebbe ritardato l’esecuzione di un esame del retto che, scrive l’accusa, se fatta in tempi brevi, avrebbe salvato la vita al paziente. Solo dopo la morte dell’uomo, si era riusciti a risalire alla genesi dei sanguinamenti, con la scoperta della perforazione dell’intestino dovuto – probabilmente – ad una manovra sbagliata nell’intervento del 23 aprile. (n.m.) 28 Dicembre La Stampa Mamma e figlia morte durante il parto, Lorenzin invia gli ispettori a Torino L’inchiesta dovrà accertare le cause del decesso. Ira dei parenti: «Nessuna spiegazione». Martedì l’autopsia Il ministero della Salute manderà nei prossimi giorni ispettori a Torino per indagare sulla morte di Angela Nesta, la donna di 39 anni deceduta durante il parto all’ospedale Sant’Anna. La conferma arriva da fonti del ministero, secondo cui l’indagine servirà a chiarire la dinamica dei fatti. Domani, martedì, sarà effettuata l’autopsia sulla donna. Intanto il pm Raffaele Guariniello ha trasmesso gli atti al pm Monica Supertino. Leggendo il referto la donna sarebbe stata stroncata da un arresto cardiocircolatorio e la piccola Elisa, la sua primogenita, «nata morta» poco prima. «E’ successo qualcosa di improvviso e impossibile da prevedere», spiega Chiara Benedetto, direttrice del reparto. «Nulla aveva fatto presagire un esito così tragico». Il padre della donna, Pietro Nesta, in ospedale ha affrontato il personale medico a muso duro: i carabinieri, già presenti per svolgere le incombenze più urgenti dell’indagine, sono dovuti intervenire per evitare che la situazione si complicasse. «Voglio sapere cosa è successo», dice Pietro. «L’ultima volta - racconta - l’ho vista nel pomeriggio. Aveva un dolore all’addome. Pensavo fosse normale per il parto, che era previsto per oggi. Poi i medici ci hanno detto, prima a me e poi al suo compagno, Francesco, di andare a casa. Da allora ho solo saputo che è morta, con la bambina, e nessuno mi ha dato uno straccio di spiegazione». Angela era arrivata al Sant’Anna il 23 dicembre. A seguirla durante la gravidanza non era stato il personale del presidio sanitario, ma il proprio ginecologo. «Erano state fatte tutte le analisi - spiegano in ospedale - e non era emerso niente che non andasse». Decorso regolare, tanto che i familiari erano stati invitati a rincasare. Poi è successo qualcosa di imprevisto, sembra una «dilatazione improvvisa». In sala parto, dove Angela è stata portata subito, «c’erano non meno di sette specialisti fra i migliori dell’ospedale». La direttrice Benedetto, inoltre, sottolinea che «l’anestesista ha tentato in ogni modo di defibrillare e rianimare la paziente, sfortunatamente senza risultati positivi». I carabinieri hanno sequestrato le cartelle cliniche e hanno identificato tutti i presenti. Domani verranno ordinate le autopsie. Il fascicolo è al vaglio di Raffaele Guariniello: uno degli ultimi di cui il magistrato si occuperà prima di lasciare il servizio. La Repubblica Morte in sala parto, medici aggrediti Torino, la mamma e la neonata non sopravvivono al travaglio al Sant’Anna. Le ipotesi: embolia o infarto La rabbia del padre della donna che non riusciva ad avere notizie: bloccato dai carabinieri. Indaga la procura OTTAVIA GIUSTETTI CARLOTTA ROCCI TORINO. Sono morte insieme, pochi istanti l’una dall’altra, durante il drammatico epilogo di un parto che fino a quel momento era sembrato normale, nell’incredulità di medici e ostetriche che erano lì accanto, in ospedale. Un’embolia polmonare, o un infarto, che ha stroncato mamma e figlia mentre era ancora nel ventre, e che ha agito così rapidamente da non lasciare il tempo di intervenire, se non quando ormai era tutto inutile. Avrebbe dovuto partorire ieri Angela Nesta, la donna torinese di 39 anni protagonista di questa tragedia d’altri tempi. Era arrivata proprio alla scadenza del nono mese: il 27 dicembre era il termine fissato dal ginecologo per il parto. Ma al suono del telefono della casa dei nonni, agli amici e i parenti che chiedono notizie dell’atteso arrivo della nipotina, il padre di Angela, Pietro, adesso sussurra tra le lacrime: «La bambina è nata morta e anche mia figlia non ce l’ha fatta». La cosa incredibile è che Angela e la sua piccola non sono morte nel tragitto fino all’ospedale. O perché avevano scelto un piccolo centro nascite di provincia. Quel che ha sconvolto ancor di più la famiglia è che tutto è accaduto in una delle sale parto del Sant’Anna, l’ospedale record per numero di nascite addirittura in Europa. Quando Pietro Nesta è salito in cerca della figlia al quarto piano nel cuore della notte, avvertito che qualcosa non andava, e i medici hanno cercato di spiegargli quel che era accaduto, l’incredulità e la rabbia hanno preso il sopravvento. L’uomo ha perso il controllo, si è messo a gridare che erano degli assassini, finché non sono intervenuti a calmarlo i carabinieri. Dicembre 2015 Rassegna Responsabilità Professionale La cartella clinica parla genericamente di «arresto cardiaco », come diretta conseguenza, forse, anche della morte della bambina a cui è mancato l’ossigeno proprio nel momento del parto. Unico fattore di rischio possibile secondo le prime indagini: la donna aveva preso molto peso durante la gravidanza, forse addirittura più di quaranta chili. Sull’episodio la procura di Torino ha aperto un’inchiesta affidata al procuratore Raffaele Guariniello. Al momento non ci sono indagati né ipotesi di reato. I carabinieri hanno sequestrato le cartelle cliniche ed è stata disposta per oggi l’autopsia di mamma e figlia. Angela è arrivata in ospedale la notte de 23 dicembre. «Aveva la pressione un po’ alta e piccole perdite, tutto nella norma », spiega il primario Chiara Benedetto. È stata ricoverata perché era al termine della gravidanza. Sabato i medici hanno deciso di indurre il travaglio. L’ultimo tracciato sul battito del feto e gli esami clinici non mettevano in luce nulla di strano: «Era tutto regolare» spiegano in ospedale. Tanto che il compagno della donna è stato rimandato a casa a tarda sera perché il parto non era ancora imminente. «Poco dopo mezzanotte la paziente ha chiamato perché sentiva delle contrazioni più forti. È stata trasportata in sala parto con l’equipe al completo ». Lì, a un certo punto, è andata una prima volta in arresto cardiaco. Poi un’altra e un’altra ancora. Gli anestesisti hanno cercato di rianimarla in tutti i modi. Di quel che stava succedendo in reparto i familiari non sapevano nulla. Fino alle due, quando dall’ospedale hanno telefonato a casa. «Hanno detto che la bambina era morta» racconta il padre. Tutti si sono precipitati in ospedale non immaginando che li attendesse un’altra tragica notizia, quella della morte della madre. Per calmare il padre sono intervenuti i carabinieri che lui stesso aveva chiamato quando aveva cercato informazioni su sua figlia senza ottenerne perché i medici erano impegnati nel tentativo di rianimarla. Ora, nella casa ancora addobbata per il Natale, cercano risposte che arriveranno solo con il referto dell’autopsia sul corpo della donna e della piccola Elisa. Come l’avrebbero chiamata la sua mamma e il suo papà. Sarebbe stata la prima figlia, il simbolo di una famiglia che si stava formando. Del progetto di una vita insieme, iniziata cinque anni fa, e spazzata via dal dramma di una notte. La Repubblica “Mi dicevano: stia tranquillo Ora voglio tutta la verità” «Me l’hanno ammazzata assieme alla mia nipotina». Pietro Nesta ha la voce calma. Ma è tutta apparenza: dentro gli ribollono la rabbia e la disperazione che ieri notte lo hanno spinto a scagliarsi contro i medici dell’ospedale Sant’Anna di Torino. «Se non mi avessero fermato i carabinieri, io non so cosa avrei fatto» dice. È un padre senza più la figlia, ieri sarebbe dovuto diventare nonno. Quando ha visto Angela per l’ultima volta? «Saranno state le otto e mezzo di sabato sera. Era tutto perfetto, dovevano farle ancora un tracciato prima del parto. Sono andato via tranquillo e ora lei non c’è più. Io non lo so cosa sia successo, ma voglio scoprirlo». Fino ad ora sua figlia aveva avuto una gravidanza tranquilla? «Sì, è proprio così. Nessun problema almeno fino a lunedì, quando ci siamo presentati per la prima volta al Sant’Anna. Pensava le si fossero rotte le acque e aveva contrazioni ogni sette minuti, ma è stata rimandata a casa. Anche il giorno dopo è tornata in ospedale perché stava male ma è stata nuovamente invitata a tornare a casa». Poi è stata ricoverata? «Sì, mercoledì notte, perché tanto era vicina al termine. Il giorno di Natale ci hanno detto che sabato, cioè l’indomani, avrebbero indotto il parto. Lei stava ancora male: eravamo ancora in ospedale, abbiamo chiesto che venisse vista da un medico che è venuto solo dopo averlo chiamato tre volte. Ha detto che era tutto a posto, poi ci hanno mandato a casa». Quando avete saputo che la situazione era precipitata? «Alle 2,15 di notte hanno telefonato a Francesco, il compagno di Angela, e senza tanti giri di parole gli hanno detto che la figlia era morta e di correre in ospedale. Siamo andati lì ma non volevano farci entrare in reparto. Per questo ho chiamato i carabinieri. Nessuno ci diceva niente». È vero che ha aggredito i medici? «I carabinieri me lo hanno impedito, ma si metta nei miei panni. Non mi lasciavano vedere mia figlia, nessuno mi diceva che era morta. L’ho saputo dai militari». ( c. r.) La Repubblica Torino Sant’Anna sotto choc “Infarto alla mamma fatale pure alla bimba” Morta di parto: parla Benedetto, primario di Ostetricia “Madre e neonata stavano bene, episodio rarissimo” CARLOTTA ROCCI «TUTTI i medici e le ostetriche che erano in sala parto sono ancora sotto shock. Siamo affranti». Parla Chiara Benedetto, direttrice del reparto di Ostetricia e ginecologia universitaria del Sant’Anna dove era ricoverata Angela Nesta, 39 anni, la donna deceduta ieri notte insieme alla sua bambina nata morta. Le cartelle cliniche, ora sequestrate dai carabinieri, parlano solo di «arresto cardiaco». Dicembre 2015 Rassegna Responsabilità Professionale «Io non ero in sala - spiega Benedetto - ma da quello che mi è stato riportato la donna ha avuto un arresto cardiaco durante la fase espulsiva del parto. È probabile che la bambina sia nata morta proprio per la mancanza di ossigeno causata dal malore della madre». La procura di Torino ha aperto un’inchiesta e disposto l’autopsia. La donna era arrivata in ospedale il 23 dicembre notte «perché aveva la pressione un po’ alta e piccole perdite che però non sono risultate essere liquido amniotico». È stata trattenuta in osservazione perché era quasi a termine con la gravidanza: la data prevista sarebbe stata infatti quella di ieri. «Sabato, d’accordo con la paziente, abbiamo indotto il travaglio ma alla sera il parto era ancora indietro » spiega il primario. Per questo motivo al compagno della donna era stato detto che poteva tornare a casa. Nella notte però il quadro è cambiato. «Verso mezzanotte la paziente ha chiamato perché sentiva contrazioni più forti e aveva tutti i sintomi di una dilatazione ormai completa». È stata trasportata in sala parto dove l’aspettava l’intera equipe medica. «Mentre stava spingendo ha avuto un arresto cardiaco. Gli anestesisti hanno cercato di rianimarla in tutti i modi». La donna non aveva particolari patologie o un quadro clinico che potesse insospettire. «Era una gravidanza andata avanti bene, gli esami erano normali. Anche le condizioni del feto erano regolari». Eppure è successo qualcosa. La famiglia parla di colpa medica, l’ospedale e la procura aspettano le autopsie. «Sono episodi rari dice Benedetto - ma che possono succedere. Vogliamo sapere anche noi quale sia stata la causa: è stato tutto talmente improvviso che in questo momento è difficile fare ipotesi». In piena notte sono arrivati i familiari della donna: quando sono entrati in ospedale sapevano già che la piccola era nata morta ma non avevano idea che la stessa sorte fosse toccata alla mamma della piccola. Ci sono stati momenti concitati di rabbia e disperazione. In reparto sono accorsi anche i carabinieri. «Sono stati momenti drammatici - aggiunge il primario - Io e il primario anestesista siamo andati a parlare ai parenti dopo quello che era accaduto. Siamo vicini alla famiglia». Corriere della Sera Due morti in sala parto, accuse ai medici La tragedia al Sant’Anna di Torino, le vittime sono la madre e la figlia che stava per venire alla luce I parenti: «Rimandata a casa due volte malgrado le contrazioni». Indaga Guariniello prima della pensione TORINO In Italia sono 41 le donne morte di parto negli ultimi due anni. In Piemonte, dal 21 ottobre scorso, hanno perso la vita Andreina da Silva, una ragazza brasiliana di 26 anni deceduta all’ospedale di Pinerolo e, ieri mattina, Angela Nesta, 39 anni, che ha portato con sé la piccola Elisa che aveva in grembo. Fatalità oppure una falla nel progetto di sorveglianza della mortalità materna avviato dall’Istituto Superiore di Sanità che ha scelto il Piemonte come una delle regioni pilota (le altre sono Emilia Romagna, Lazio, Campania e Sicilia). In ogni caso una tragedia. «Hanno ammazzato mia figlia e la mia nipotina» si dispera Pietro Nesta, 66 anni, un autista da poco in pensione e padre della vittima. L’uomo accusa l’equipe medica dell’ospedale Sant’Anna: «Angela — racconta — è andata in ospedale il 21 dicembre perché sentiva le prime contrazioni. Dopo il tracciato è stata mandata a casa. Così il giorno successivo. È stata ricoverata solo il 23. Dicevano che andava tutto bene». Sabato notte l’allarme. La corsa disperata in ospedale di Pietro Nesta e di Francesco Scarlata, il compagno di Angela, ma «non ci hanno fatto entrare in sala parto». Ne è nato un battibecco, poi una lite con il personale medico fino a quando sono arrivati i carabinieri chiamati dai parenti della donna. «Non volevano fare entrare neppure loro», ricorda Pietro Nesta. All’alba la conferma: «Angela ed Elisa sono morte». Un epilogo che Francesco non riesce ad accettare: «Una gravidanza normale, Angela è sempre stata bene. Negli ultimi giorni aveva accusato qualche sbalzo di pressione e preso qualche chilo, ma era una ragazza di un metro e ottanta di statura». Nulla lasciava presagire complicazioni: «Aveva frequentato il corso pre parto e il ginecologo non aveva mai manifestato alcun timore». Le domande che si pongono i famigliari delle vittime sono le stesse dei medici del Sant’Anna: «Il decorso clinico della paziente è stato del tutto regolare fino alla tarda serata di sabato quando si è registrata una complicazione improvvisa che ha fatto precipitare la situazione. Nell’ultima fase la signora — ha spiegato il primario di ostetricia e ginecologia dell’ospedale, Chiara Benedetto — ha subìto un arresto cardiaco. Non c’è stato nulla da fare e malgrado la presenza dell’intera equipe medica (sette persone ndr ) la bimba è nata morta e la mamma non si è più ripresa, nonostante i numerosi tentativi di rianimarla». Una spiegazione che placa solo in parte l’esasperazione di Pietro Nesta: «Non un medico, un infermiere o un’ostetrica che siano venuti da me o da mio genero per spiegare ciò che era accaduto. Che mia figlia fosse morta l’ho saputo da un carabiniere. Voglio giustizia, è un mio diritto sapere perché Angela ed Elisa non ci sono più». La cartella clinica della donna è stata sequestrata dai carabinieri e trasmessa in procura dove, dopo essere stata presa in visione dal magistrato di turno, è stata acquisita dal sostituto procuratore Raffaele Guariniello (che andrà in pensione tra pochi giorni). Il pm ha aperto un fascicolo penale («atti relativi», senza nessuna persona iscritta al registro degli indagati) per ora senza ipotizzare alcun reato e ha disposto l’autopsia che sarà eseguita oggi. Marco Bardesono Dicembre 2015 Rassegna Responsabilità Professionale La Stampa 29 Dicembre Il Fatto Quotidiano Sanità, perché diamo sempre la colpa ai medici? di Luciano Casolari Un episodio interessante nella sua stravaganza è capitato a un’amica dottoressa del pronto soccorso durante il turno di notte. Alle due di notte un paziente, che aveva atteso sette ore prima di essere visitato, le ha detto: “Dottoressa ho deciso di denunciarla! Non ce l’ho con lei ma con Renzi, Berlusconi e Grillo. Sono loro che mi fanno incavolare. Il meccanismo politico che tengono in piedi. Visto che però non posso denunciare il sistema allora denuncio lei che in questo momento lo rappresenta”. Dopo un’ora di colloquio la dottoressa e il paziente sono diventati quasi amici, per cui penso che non si sia arrivati alla denuncia. Questo episodio rappresenta un sentimento diffuso: tante cose non vanno come si vorrebbe, esistono ingiustizie e storture. La rabbia monta dentro le persone e si cerca un capro espiatorio. Chi in quel momento rappresenta le istituzioni assolve al ruolo di parafulmine. Soprattutto coloro che si occupano di attività o servizi per noi importanti divengono bersagli naturali di questa rabbia “sociale”. Il poliziotto che rappresenta istituzioni Dicembre 2015 Rassegna Responsabilità Professionale che non ci proteggono, l’insegnante che incarna un sistema educativo complesso con alcune falle e il medico che dovrebbe garantire la salute. La rabbia ci induce a sparare nel mucchio per trovare un capro espiatorio. Recenti notizie di cronaca nei confronti dei medici danno l’idea del cercare un colpevole a tutti i costi: 1. 23 medici accusati per il decesso di un paziente. Non un singolo accusato di qualcosa ma gran parte delle persone che sono state presenti durante l’iter della malattia; 2. Uomo morto, accusati tutti i medici che l’avevano visitato; 3. Aumento dei decessi nel 2015 rispetto agli anni precedenti: invece di pensare che la generazione del baby boom del dopoguerra arriva inevitabilmente all’età avanzata o al calo delle vaccinazioni si incolpano i medici e il servizio sanitario. Queste notizie, al di là dello specifico di ogni situazione, mostrano la tendenza a ricercare una responsabilità diffusa e non specifica per cui è la classe medica sotto accusa e non come sarebbe doveroso il singolo atto di un singolo medico. Di fronte a questa responsabilità diffusa è difficile anche per il medico difendersi. La banale constatazione che, indipendentemente dalla bontà delle cure, si deve pur morire, a volte giovani, non soddisfa la rabbia inconscia. Corriere del Veneto Mamma e neonato morti in due giorni, la procura indaga per omicidio colposo San Bonifacio, la 34enne vicentina era stata dimessa dopo una caduta. I familiari: «Ora vogliamo la verità» SAN BONIFACIO (Verona) Com’è stato possibile che né mamma Anna né il suo piccolo Leonardo siano sopravvissuti al parto? In che modo e, soprattutto, per quale ragione sono morti entrambi nel giro di poche ore? Si è trattato di una tragedia duplice quanto inevitabile, oppure all’ospedale «Fracastoro» di San Bonifacio si sarebbe potuto fare qualcosa in più per salvarli? Lo vogliono sapere sia il compagno, il commercialista veronese Andrea Zambotto, sia i genitori di Anna Massignan,il medico di base di 34 anni di Sarego stroncata il giorno di Natale mentre i medici dell’ospedale sambonifacese le stavano praticando il taglio cesareo che avrebbe dovuto far nascere il suo primogenito. Un dramma che si è fatto ancora più angosciante la sera di Santo Stefano, quando ha cessato di battere anche il cuoricino di «un angioletto chiamato Leonardo», rimasto in vita solo pochissime ore. Da ieri mattina, per cercare una risposta agli strazianti interrogativi del compagno Andrea e degli inconsolabili genitori di Anna, papà Antonio e mamma Assuntina Maule, si è mossa anche la procura di Verona. Con l’ipotesi di omicidio colposo, il pubblico ministero Elisabetta Labate ha aperto un’inchiesta che ha due scopi precisi: accertare sia la dinamica che le motivazioni del parto sfociato nel dramma e appurare eventuali responsabilità di quanto accaduto. Ragion per cui, da parte del magistrato, sono state immediatamente disposte le autopsie su entrambi: domani alle 9 verrà conferito l’incarico e, finché il medico legale non avrà ultimato l’esame, dalla procura non verrà accordato il nullaosta alle sepolture. Oltre al consulente del pm, all’autopsia parteciperà almeno un medico nominato dalle famiglie Massignan e Zambotto, che hanno scelto di farsi tutelare legalmente dall’avvocato Francesco Longhi. Quest’ultimo sta già predisponendo un esposto per «chiedere agli inquirenti di approfondire in ogni aspetto i gravissimi fatti accaduti». Nessun’altra dichiarazione ufficiale dai familiari che, attraverso l’avvocato Longhi, invocano con un comunicato ai mass media «riservatezza e rispetto per i recenti lutti subìti». Un silenzio invalicabile, rotto soltanto da mamma Assuntina: «Anna era un angelo. Tanto buona, si preoccupava solo per gli altri». Proprio la vigilia di Natale, la figlia aveva cenato a Sarego a casa sua: «Il giorno in cui era caduta - ricorda l’anziana - mi aveva chiamato sul tardi, per cenare qui con il compagno perché era stanca, non aveva voglia di cucinare. “Per favore fatemi da mangiare”, aveva detto. Ma quel giorno non si era lamentata, si era presa un bel piatto di pasta.È stata la mattina dopo che è peggiorata all’improvviso». Venerdì 25 Anna sarebbe dovuta tornare all’ospedale di San Bonifacio alle 13.30 «per quella che doveva essere una visita normale – ricostruisce ancora la madre - ma si è sentita male già al mattino e il suo compagno l’ha portata lì d’urgenza. E non è più uscita». Immenso dolore ma anche tanta incredulità, perché «dall’ospedale non ci hanno mai telefonato, non ci hanno detto nulla. Ma noi vogliamo vederci chiaro. Anna aveva perso un po’ di liquido nella caduta, eppure il ginecologo al telefono le aveva detto di non preoccuparsi. Vogliamo sapere cosa è successo, se sia stata trascurata». Al momento ancora non è fissata la data dei funerali della figlia Anna e del nipotino Leonardo: «Spero ci facciano sapere qualcosa mercoledì, per noi queste ore sono tremende». Dalla felicità allo strazio, dalla gioia al dolore. «Un immenso dolore». Laura Tedesco Andrea Alba 30 Dicembre La Repubblica Palermo Morte di parto, è giallo L’autopsia conferma “Angela stava bene” L’esame su madre e neonata non svela le cause del dramma I periti di procura e famiglia:“Nessuna patologia o lesione” CARLOTTA ROCCI Dicembre 2015 Rassegna Responsabilità Professionale LA morte di Angela Nesta e della sua bambina resta un mistero. Nemmeno le due autopsie, eseguite ieri dagli esperti nominati dalla procura di Torino e a cui hanno assistito i periti nominati dall’avvocato della famiglia, Giulio Calosso, hanno dato risposte. L’esame sui due corpi non evidenzia «segni macroscopici che possano spiegare le cause dalla morte». Anche il tempo intercorso tra il decesso della piccola Elisa e quello di sua madre è talmente breve da non poter stabilire con certezza chi delle due se ne sia andata per prima. I medici Valter Declame e Sergio Costantini, per la procura, Aurelio Storace e Tullio Bandini, per la famiglia, hanno lavorato quasi tutto il giorno per cercare lacerazioni, malformazioni, tracce di problemi cardiaci o polmonari nella bambina e nella madre che potrebbero essere stati sottovalutati dai medici. Non ne hanno trovati ma questo non basta a chiudere un caso per il quale la procura indaga per omicidio colposo. La soluzione potrebbe arrivare, infatti, da altri esami di cui il pm Monica Supertino ha incaricato gli esperti: approfondimenti istologici e tossicologici che potrebbero evidenziare problemi non emersi in precedenza o ignorati da chi si è preso cura di Angela, o potrebbero trovare sintomi di un uso improprio di medicine. Nessuno, né i medici dell’ospedale - che nei prossimi giorni saranno sentiti dagli ispettori del ministero della Salute - né la famiglia, ha parlato di farmaci somministrati alla donna. «Le hanno fatto sempre e solo tracciati » diceva ieri il compagno di Angela, Francesco Scarlata, che per tre giorni l’ha accompagnata avanti e indietro dal Sant’Anna da dove, però, è sempre stata rimandata a casa fino al 23 dicembre, quando è stata ricoverata. L’unica medicina, inserita nell’utero della gestante per indurre il travaglio, è il gel prostaglandinico. «È un preparato usato per stimolare il raccorciamento e la dilatazione del collo dell’utero - spiega Chiara Benedetto, direttrice del reparto di ostetricia e ginecologia del Sant’Anna - Sono sostanze che il corpo produce normalmente ». Pochi e rari i rischi e le controindicazioni: «Difficile pensare ad una reazione allergica perché sarebbe emersa subito - spiega ancora il primario - e comunque la paziente aveva perso, già molte ore prima, il dispositivo che conteneva il gel. È una tragedia per ora incomprensibile, siamo tutti molto provati per quello che è successo » conclude Benedetto. L’esame tossicologico servirà anche a chiarire eventuali, per ora comunque poco probabili, reazioni a questo preparato. Il cuore di Angela si è fermato all’improvviso nel momento più delicato del parto: potrebbe essere questa la causa che ha ucciso la bambina rimasta senza ossigeno nella sua prima vera fatica, quella di venire al mondo. Ma nemmeno questa ricostruzione ha trovato completa conferma nell’esame autoptico. In ospedale dicono che Angela avesse rifiutato l’ultimo tracciato per verificare le condizioni del feto: non ce la faceva più e voleva far nascere la bimba. «In ogni caso il feto è stato monitorato costantemente anche senza il tracciato» dicono i medici. La famiglia di Angela vuole risposte e vuole sapere se quel 21 dicembre, data della sua prima visita al Sant’Anna, ci fosse già qualche segnale premonitore, come quei piccoli sbalzi di pressione che i medici, dicono i parenti, potrebbero aver sottovalutato. Ma gli esami autoptici eseguiti ieri non danno risposte nemmeno su questo punto. Il termine per consegnare le relazioni dei periti con gli esami aggiuntivi scadrà tra 60 giorni. La Repubblica Roma Bambino morto durante il parto indagato medico del Gemelli “Il cesareo effettuato in ritardo” Il pm pronto a chiedere il processo GIUSEPPE SCARPA IL piccolo è morto durante il parto. Una tragedia che, per la procura, si sarebbe potuta evitare. Tanto è che il pm Antonio Calaresu ha chiuso le indagini per omicidio colposo contro una ginecologa del policlinico Gemelli: «Negligenza e imperizia del medico — scrive il magistrato nel capo d’imputazione — che non ha disposto un tempestivo cesareo, considerato lo stato patologico della madre, e ha così determinato una sofferenza fetale acuta». «Alle dieci di mattina (marzo 2013 ndr) sono arrivato all’ospedale e la dottoressa di turno mi ha detto che non c’era più niente da fare, mio figlio era deceduto». È incredulo il padre, quei momenti terribili sono scanditi in una denuncia presentata, poche ore dopo il dramma, ai carabinieri della stazione Monte Mario. La gioia in un manciata di secondi si trasforma nel peggiore delle tragedie, l’uomo tra le lacrime racconta tutto ai militari. Si tratterebbe di un errore umano, una colpa medica. Ne è convinto il padre del piccolo così come il pm Calaresu. Per la procura infatti la morte del neonato poteva essere scongiurata se solo i medici fossero intervenuti con un «tempestivo taglio cesareo». «Faremo di tutto — spiegano i legali di parte civile, Gianluca Marucchi e Marco Monaco — per dimostrare le responsabilità dei sanitari intervenuti ». Di parere opposto il legale del medico, l’avvocato Gaetano Scalise che spiega: «Non c’è stata nessuna negligenza o imperizia, c’è solo una indagine superficiale. Lo stesso consulente del pm ha più volte chiesto un approfondimento con uno specialista ginecologo che il magistrato non ha disposto. L’indagata non ha mai seguito la paziente, e non si comprende come sia stata coinvolta perché non avendo gestito il travaglio o il parto. Ci auguriamo che il Gup vorrà disporre l’approfondimento che dimostrerà l’estraneità del medico ». Dicembre 2015 Rassegna Responsabilità Professionale 31 Dicembre Corriere della Sera Marta, un’altra morte in sala parto I medici: «Uccisa da un’embolia» Il docente «L’età media delle partorienti cresce, aumentano anche i fattori di rischio» La tragedia a Bassano del Grappa. È il terzo caso in pochi giorni dopo Torino e Verona Morire mentre ci si appresta a mettere al mondo un bimbo; morire portando con sé anche la creatura che si ha in grembo. Sembravano eventi da consegnare al passato e invece per tre volte in pochi giorni, a cavallo del Natale, la tragedia si è ripetuta, l’ultima due giorni fa all’ospedale di Bassano del Grappa: Marta Lazzarin, 35 anni, è deceduta assalita da febbre e forti dolori quando, al settimo mese di gravidanza, ha cominciato ad avvertire le contrazioni. Il destino di Marta è identico a quello di Angela Nesta, che il giorno di Santo Stefano è morta in sala parto a Torino con la bimba che stava per nascere; ed è identico anche a quello di Anna Massignan, medico trentaquattrenne che non è sopravvissuta al tentativo di parto il giorno di Natale all’ospedale di San Bonifacio (Verona); il giorno dopo di lei è morto anche il bimbo che i medici avevano fatto nascere quando la mamma era già deceduta. Quella di Marta Lazzarin era stata una gravidanza serena, testimoniata dalle foto postate sui social network dal suo compagno Chris. Alle 12 del 28 dicembre la donna era arrivata invece all’ospedale di Bassano in preda a forti dolori, perdite di liquido amniotico e febbre. Fin da subito i medici diagnosticano la morte del feto e poche ore dopo per Marta cominciano le contrazioni del parto; dalle 17 la situazione precipita: subentrano complicazioni respiratorie dalle quali la paziente non si riprenderà più. «Embolia polmonare» è il primo verdetto formulato dell’ospedale di Bassano sul caso. Commovente il ricordo di Marta, blogger che amava i viaggi e aveva girato il mondo, postato da Chris: «Sarai fiera di me, cercherò con tutte le mie forze di regalare sorrisi a chi ne ha più bisogno. Proprio come facevi tu». Nelle stesse ore, sempre a Bassano, era morto un bimbo, nato da poche ore, stroncato da un’emorragia cerebrale. Sulla morte di Marta Lazzarin la magistratura non ha preso ancora alcuna decisione. Un fascicolo è stato aperto invece dalla procura di Verona per Anna Massignan, morta il giorno di Natale a San Bonifacio. Anche qui i nove mesi della gestazione erano trascorsi senza problemi; il 23 però Anna è vittima di una caduta in casa. Un incidente banale ma per il quale la donna, che è medico, decide di farsi visitare. Resta ricoverata per controlli, il 25 viene rimandata a casa con l’accordo di ripresentarsi il giorno dopo. Non c’è tempo: Anna torna precipitosamente in ospedale a Natale con febbre e dolori. I sanitari decidono di far nascere il bimbo con un parto cesareo ma Anna non supera l’intervento e muore; il giorno dopo stessa sorte toccherà al piccolo appena venuto al mondo. Tra i due eventi non esistono collegamenti, così come non ce ne sono con la terza tragedia di questi giorni, quella avvenuta al Sant’Anna di Torino e costata la vita ad Angela Nesta, 39 anni. «È rimasta vittima di una complicanza rarissima, non c’erano state criticità» hanno riferito ieri i medici torinesi agli ispettori inviati dal ministro della Sanità Beatrice Lorenzin. Ma questo ripetersi di morti di giovani donne incinte è un fatto che deve preoccuparci? «È difficile abituarci all’idea che una donna possa morire mentre dona la vita — dice Mauro Busacca, professore di clinica ginecologica all’Università di Milano — ma si tratta pur sempre di un evento a rischio; non a caso tutti i reparti ospedalieri dove avvengono parti sono considerati d’emergenza e attrezzati per gli imprevisti». Ma le cifre cosa ci dicono al proposito? «Dicono che l’Italia è il paese con la mortalità più bassa d’Europa per le madri e che sotto certe cifre sarà impossibile scendere. Ma dicono anche che l’età media delle partorienti sta aumentando. E questo, al contrario, può accrescere molti fattori di rischio» . Claudio Del Frate La Repubblica Torino Morte durante il parto “Una complicanza rara e imprevedibile” La nota del Sant’Anna dopo l’ispezione del ministero Sentiti i sette medici e infermieri, acquisite le cartelle CARLOTTA ROCCI «UNA complicanza rarissima e imprevedibile ». Per la prima volta dalla morte di Angela Nesta e della sua bambina durante il parto, l’ospedale Sant’Anna prende posizione su quello che è successo. Lo fa, pur con il condizionale, in un comunicato diffuso subito dopo la visita degli ispettori inviati dal ministero della Salute per far luce su quello che è accaduto domenica notte tra il secondo e il quarto piano del presidio sanitario. L’ospedale «non ritiene vi siano state criticità cliniche e strutturali da parte del personale operante né della Struttura stessa». In questa vicenda fatta di ipotesi scartate ma non ancora di risposte certe, bisognerà attendere, assieme ai risultati degli esami istologici e tossicologici, anche la relazione degli ispettori, una vera task force, che ieri mattina si sono presentati in corso Spezia. Del gruppo, rimasto a Torino fin nel primo pomeriggio, fanno parte oltre ai dirigenti del ministero coordinati da Alessandro Ghiraldini, carabinieri del Nas, i rappresentanti delle Regioni e tre esperti di Agenas. Il gruppo ha iniziato l’ispezione con una riunione con la dirigenza per poi Dicembre 2015 Rassegna Responsabilità Professionale interrogare tutti gli operatori, sette tra medici, infermieri, ostetriche e anestesisti, che quella notte erano in sala parto con Angela. Hanno voluto vedere le sale, i macchinari e si sono fatti consegnare copia delle cartelle cliniche. Proprio come nell’autopsia, gli ispettori non sembrano aver trovato errori macroscopici nell’operato dei medici, ma sarà la relazione conclusiva consegnata al ministro Beatrice Lorenzin a dare le risposte ufficiali e più attendibili. Gli ispettori si sono concentrati, infatti, anche ai giorni precedenti al ricovero, quando Angela, accompagnata dal convivente, è stata rimandata a casa per ben due volte. Anche Francesco Scarlata, il compagno, e il padre di Angela, Pietro Nesta, sono stati sentiti dagli ispettori che con loro hanno ripercorso le ultime ore di vita della donna fino alla telefonata, arrivata nel cuore della notte con la quale un’ostetrica annunciava che «la bambina è nata ma è morta». L’ospedale non spiega quale sia questa «complicanza rarissima e imprevedibile» che potrebbe aver provocato l’arresto cardiaco di Angela e la conseguente morte della bambina, così come l’autopsia svolta martedì dai medici legali Valter Declame e Sergio Costantini, su disposizione del pm Monica Supertino, non aveva evidenziato malformazioni o gravi lesioni. Nel frattempo è arrivato il nulla osta per i funerali che però non sono ancora stati fissati, ma con ogni probabilità si svolgeranno nella chiesa di Santa Monica, in via Vado, a due passi da dove Angela ha sempre vissuto e dove, subito dopo il parto, sarebbe tornata con il compagno. La procura di Torino indaga per omicidio colposo contro ignoti. Nei prossimi giorni il pm, che ha già raccolto tramite i carabinieri la testimonianza della famiglia di Angela difesa da Giulio Calosso, potrebbe decidere di ascoltare anche i medici dell’ospedale. FoggiaToday Cesareo 'post mortem' a Foggia. Galante: "Gestito ad altissimo livello professionale e con tempismo" Dario Galante, presidente SIAATIP: " La neonata, ne sono sicuro, ha perso la mamma ma ha trovato nuovi genitori morali in tutti coloro che si sono prodigati per salvarle la vita" Incinta al nono mese, muore in casa: eseguito cesareo post-morte al "Riuniti" Il dr. Dario Galante, presidente delle Società Italiana di Anestesia, Analgesia e Terapia Intensiva Pediatrica (SIAATIP), in riferimento alla notizia drammatica della morte di un giovane mamma e dell'esecuzione di un cesareo post-mortem a seguito del quale la neonata è sopravvissuta, sottolinea il ruolo fondomentale e professionale di tutto il personale impegnato nelle gestione dell'emergrenza-urgenza compresi gli anestesisti rianimatori. "La letteratura scientifica dimostra che, in caso di arresto cardiaco e decesso materno, le speranze di sopravvienza del neonato variano tra i 5 e i 20 minuti. Ciò dimostra che l'evento drammatico è stato gestito ad altissimo livello professionale e con tempismo fondamentale sia dal personale del 118 che dagli anestesisti rianimatori che non si sono certo limitati a trasportare un corpo senza vita ma hanno continuato a garantire la perfusione ematica uteroplacentare attraverso manovre di rianimazione cardiopolmonare eseguite correttamente e senza discontinuità in mancanza delle quali la neonata sarebbe sicuramente deceduta. Trovo eticamente, moralmente e sopratutto scientificamente corretta questa precisazione, almeno come presidente di una società scientifica di settore, non avendo letto nulla al riguardo sulle testate giornalistiche o dai comunicati stampa inviati. Ancora una volta i colleghi impegnati in emergenza e urgenza e gli anestesisti rianimatori hanno lavorato in umile silenzio, con grande spirito di abnegazione e la SIAATIP gli è riconoscente. Non dimentichiamo inoltre la famiglia della giovanne mamma a cui vanno le più sentite condoglianze e che, proprio nel momento in cui si festeggia il Natale e l'inizio di un nuovo anno, vive un doloroso dramma. La neonata, ne sono sicuro, ha perso la mamma ma ha trovato nuovi genitori morali in tutti coloro che si sono prodigati per salvarle la vita".